Dopo la manifestazione dei 40.000 al Palavobis di Milano

Porto Alegre chiama Palavobis. Ci sentite?

l'opinione di Rifondazione Comunista

Non vi è dubbio che la manifestazione dei 40mila del Palavobis di Milano fosse una manifestazione contro Berlusconi.

E non vi è dubbio che Rifondazione comunista sia il partito che più di tutti e in modo radicale si batte contro Berlusconi e il suo governo. Basterebbero gli atti parlamentari di questi mesi per dimostrarlo: soli siamo stati a votare contro la guerra, soli abbiamo votato contro la cosiddetta legge anti-terrorismo (in realtà legge emergenziale che limita le libertà individuali), soli abbiamo detto no sul diritto di voto degli italiani all'estero, soli siamo contro le privatizzazioni, e potremmo continuare a lungo.

Eppure, molti di noi hanno guardato alla manifestazione al Palavobis con una estraneità di fondo. Non si tratta di snobismo, o di «un pizzico di sprezzatura», come qualcuno ha scritto, ma di un sentimento che vogliamo nominare.

Il Palavobis ci interessa, perché pensiamo che la partecipazione sia comunque un fatto positivo, dopo tanti anni di deserto politico, perché là c'erano tanti giovani, e perché là c'erano persone che esprimono un disagio sincero verso la politica.

E allora vorremmo provare a parlarci, a distanza, senza fretta, senza scorciatoie, senza inseguimenti di maniera, ma anche provando ad approfondire il nostro senso di estraneità e misurando, dall'altra parte, l'interesse a un reciproco riconoscimento.

Legalità, giustizia e giustizialismo

Sarebbe facile, chiudere il capitolo, già sul terreno dei contenuti: la domanda di legalità e giustizia, nelle parole d'ordine del Palavobis, aveva in sé elementi di giustizialismo; quel giustizialismo che non ci appartiene, quantomeno da alcuni anni, da quando cioè abbiamo saputo risolvere definitivamente l'apparente contraddizione tra diritto formale e diritto sostanziale. La dimensione chiusa dei palazzi di giustizia ci offusca la vista e ci impedisce di respirare. La nostra visione di classe ci fa leggere la connotazione delle ingiustizie del mondo, contro cui non abbiamo mai smesso di batterci. Ma siamo anche in grado di non sottovalutare, anzi di rivendicare, tutti quei diritti di stampo liberale che non sono propri della storia comunista, ma che, semmai, vorremmo superare in avanti. Il nostro garantismo sarebbe già buona ragione per spiegare l'estraneità.

Perchè questa indignazione giusta contro Berlusconi non si accompagna all'indignazione per altre situazioni non meno gravi e drammatiche?

Ma vorremmo andare oltre. Perché, ci viene spontaneo chiedere: tutta questa legittima indignazione di persone che hanno a cuore, come noi, l'autonomia della magistratura e l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, perché si scatena, giustamente, contro un governo che approva leggi come quella sulle rogatorie o il falso in bilancio, costruite su misura per il presidente del Consiglio, e invece non sente alcun fremito quando si cancellano diritti sociali fondamentali nel campo dell'istruzione, della sanità o del lavoro? Perché la stessa indignazione non è emersa per una "guerra duratura" fatta su misura per gli interessi degli Stati Uniti, anche quando il prezzo viene fatto pagare a cittadini inermi? Perché questi cittadini dei "girotondo" non sentono il dramma del popolo palestinese? Perché questa società civile ci fa le prediche o ci insulta quando denunciamo i drammi della flessibilità, sta a guardare quando ci battiamo contro la barbarie di un paese che costringe migliaia di persone ad arrivare in Italia con i gommoni, e poi magari partecipa alle campagne perbeniste che equiparano immigrati e delinquenti?

Potremmo insistere su quanto ci ha diviso in questi anni nel giudizio sulla globalizzazione capitalista: mentre noi denunciavamo le ingiustizie sociali drammatiche, il debito dei paesi poveri, l'acqua e i farmaci che vengono negati, ci veniva indicata la strada delle opportunità che la globalizzazione avrebbe aperto anche per i dannati del pianeta.

Forse, quelli che stavano al Palavobis ci hanno guardato con sospetto quando manifestavamo a Genova contro l'illegittimità del G8, e hanno speso pure parole per disquisire sulla nostra violenza parolaia quando dichiaravamo di voler "sfondare", simbolicamente, la zona rossa.

Forse sono questi percorsi così lontani che ci impediscono di parlarci, oltre che di capirci. E probabilmente non è un caso, se nessuno di coloro che oggi grida allo scandalo per la lottizzazione centro destra-centro sinistra, non ha sentito il bisogno di spendere una parola per dire che pluralismo significa rappresentare anche quel popolo e quel movimento che si batte contro la guerra e il neo-liberismo.

Perchè ci interessa l'opposizione che si è manifestata al Palavobis?

Come si vede, gli elementi che ci dividono potrebbero alzare degli steccati.

Invece l'opposizione del Palavobis ci interessa, la nostra curiosità politica ci spinge ad indagare sulle motivazioni che portano oggi queste persone in piazza. Non è il numero che ci impressiona: che saranno mai 40mila persone a Milano, quando da mesi il movimento no-global porta centinaia di migliaia di persone (la maggior parte giovani) in ogni piazza italiana ed europea, e persino 70mila a Porto Alegre?

Ci interessa invece il fenomeno, il simbolico in cui queste persone si identificano.

E allora accettiamo il terreno, quello che appare, quantomeno: l'opposizione a Berlusconi sul terreno della democrazia e la critica alla politica.

Chi stava al Palavobis, o fa i girotondo, sembra rivolgersi innanzitutto ai dirigenti dell'Ulivo, è l'espressione della sua crisi.

Anche qui potremmo tirarci fuori: la crisi della politica è cosa antica, e Rifondazione comunista propone il tema da anni, tentando di indicare la barra dei contenuti come modalità per affrontarla, per questo rompemmo con il governo Prodi, pagando anche prezzi dolorosi.

Alcuni spunti di riflessione

Vogliamo pensare invece che l'individuazione del campo in cui questa crisi ha origine e si manifesta può aiutare tutti a riflettere, forse a parlarci.

L'autoreferenzialità, per cui si criticano i dirigenti dell'Ulivo, non è la conseguenza di un lungo processo di cui è segnata la storia del nostro paese? Non è forse il frutto di una involuzione politica e legislativa che, a fronte di un degrado vero della vita dei partiti, li ha però demonizzati e condannati definitivamente, cancellando il loro ruolo democratico costituzionalmente previsto? Non vi è dubbio che è oggi aperta una grande questione democratica, quella della rappresentanza, ma anche questa è figlia di una stagione che ha inneggiato al maggioritario, al leaderismo, al personalismo, e che non poteva che selezionare gruppi dirigenti fatti di uomini, ricchi, potenti. Berlusconi non è una disgrazia, una escrescenza capitata per caso, un diavolo materializzatosi per un destino infame. Berlusconi è l'espressione più concreta di una disgregazione sociale e politica, che oggi registriamo, ma che ha origini e articolazioni profonde.

Berlusconi è la capacità drammatica di tenere insieme liberismo e populismo, è l'espressione di una modernizzazione senza modernità, della desertificazione culturale e della cancellazione del pensiero critico.

E' il pensiero debole che ha scavato a sinistra negli anni 80 e 90. Per questo oggi difendiamo con le unghie e coi denti lo Statuto dei diritti dei lavoratori, o il contratto di lavoro, o il diritto di sciopero, o il diritto a tutelarsi attraverso una organizzazione sindacale.

E' anche il frutto della stagione di Mani pulite, non per le inchieste giudiziarie che legittimamente e doverosamente furono intraprese dai magistrati, ma per l'errore di aver delegato, o pensato di delegare, a loro la soluzione di tutto quanto non ci piaceva.

Anche per questo, per queste esperienze con cui non abbiamo del tutto fatto i conti, preoccupa quando pezzi di popolo della sinistra, o del centro sinistra, hanno bisogno di schierarsi dietro le parole di un procuratore, assolutamente stimabile, come Borrelli, per testimoniare la propria voglia di opporsi a un governo.

In modo davvero pacato, con animo sincero, vorremmo chiedere a questi intellettuali, che oggi sanno così bene interpretare gli umori e i sentimenti popolari, ma che fin qui hanno accompagnato in silenzio la sconfitta delle sinistre, la perdita di valori e di riferimenti culturali forti, di anticorpi indispensabili per non perdersi nel groviglio delle complessità e delle difficoltà: quale è il loro bilancio di questi decenni, dove si può scavare oltre la manifestazione di un disagio?

Se il terreno di indagine fosse anche solo quello della democrazia e delle regole, noi ci stiamo. Ci interessa approfondire l'attualità e la forza della nostra Carta costituzionale, ci interessa discutere di quali regole fondamentali individuare per costruire l'Europa, ci interessa ragionare sul piano della rappresentanza istituzionale, sul rapporto tra questa e il governo, il potere.

Ci interessa soprattutto la cultura delle libertà su cui cimentarsi, per provare a delineare una idea di società; vorremmo che lo spirito di rivalsa, perché oggi governano l'autoritarismo e l'arroganza berlusconiana, possa essere dimensionato in una strategia alternativa più efficace.

Se il popolo del Palavobis avrà voglia di conoscere e riconoscere le istanze del popolo di Genova e Porto Alegre, forse si può tentare una reciproca contaminazione e un ascolto. E' positivo che da Milano sia venuto un messaggio per lo sciopero generale.

L'urgenza che proponiamo è anche la dimensione internazionale. Se ciascuno di noi allargasse il proprio orizzonte sul mondo, guardando anche l'illegalità mondiale rappresentata dalla guerra, forse tutti guadagneremmo una visione della democrazia più capace di scalfire il cuore del potere.

Graziella Mascia
Roma, 27 febbraio 2002
da "Liberazione"