Breve storia del nuovo ministro degli Interni Giuseppe Pisanu

Mago Silvan

Clemente Mastella, uno che lo conosce bene, lo chiama "mago Silvan", per una supposta abilità manipolatoria e per l'aria azzimata, mai un capello fuori posto, E forse anche per quel parlare sottovoce, curiale, con frequenti citazioni delle scritture, malgrado l'aria da signore di campagna che gli viene dall'aver studiato agraria. Parte da lontano Beppe Pisanu, e arriva sempre dove vuole, perché conosce l'arte di aspettare il tempo del raccolto. Raccontano che la sera in cui stese la lista dell'attuale Governo, prima di salire al Quirinale, Berlusconi si chiuse per tre ore con lui in una stanza di via dell'Anima. Pisanu entrò da ministro dell'Interno in pectore, come scrivevano i giornali, e uscì con un inedito e buffo incarico di consolazione: Responsabile dell'Attuazione del Programma di Governo (RAPG). Scritto proprio così, con tutte maiuscole, per farlo sembrare importante. Una specie d'ottimizzatore, come nelle aziende americane. Che abbia fatto in tutto questo tempo il "RAPG" nessuno lo sa. Di certo ha aspettato. E aspettando, ha evitato le grane toccate al suo predecessore: la disastrosa gestione del G8, l'infelice uscita dopo l'11 settembre ("Ci sono ventimila morti", disse Scajola, informato chissà da chi), e infine la grana delle grane, la scorta negata al professor Biagi.

Il fedelissimo

Ha schivato tutto questo, il paziente Pisanu, e ora entra in campo fresco e riposato, in una squadra che mostra abbondanti segni di logoramento. Un po' come il Gattuso di Berlusconi: uno dei pochi del gruppo di cui il mister si fida, cui regala la confidenza di un lungo sguardo. L'unico, insieme a Letta, ad avere accesso libero in via dell'Anima, residenza privata del leader. Al punto che qualcuno in Forza Italia, ragiona e si chiede: a chi affiderebbe Berlusconi il ministero dell'Interno, se anche Pisanu dovesse scivolare sulla cera del Viminale?

Ma è difficile che accada, perché Pisanu viene da lontano, più lontano di Scajola, che come lui era democristiano, ma di ben altro calibro. Negli anni '70 e '80, quando il suo predecessore sbrigava le piccole faccende di Imperia, Pisanu respirava già alta politica. Anche allora da gregario, il più fidato in un ristretto gruppo di fidati. Lo chiamavano "Beppe della banda dei quattro", i quattro ammessi alla corte di Benigno Zaccagnini, allora leader democristiano: lui, Bodrato, Belci e Galloni. E prima ancora collaboratore strettissimo, e fidatissimo naturalmente, di Aldo Moro. Di cui ancora oggi, quando in giro non c'è Berlusconi, Pisanu parla come del suo grande maestro di politica.

Anche col leader di Forza Italia il rapporto è antico, e questo spiega la fiducia assoluta (perché se fosse solo una questione di servilismo, di concorrenti in Forza Italia Pisanu ne avrebbe camionate). Un legame che data dai tempi della Sardegna, quando Pisanu era sottosegretario democristiano al Tesoro e Berlusconi un quarantenne costruttore rampante, col pallino di innalzare villette a schiera e antenne televisive in Costa Smeralda.

L'amicizia con Carboni

A fare da tramite tra i due, nei primissimi anni '80, c'è Flavio Carboni, faccendiere che a sua volta fa da collegamento tra la mafia corleonese, la banda della Magliana e il banchiere Roberto Calvi, già invischiato fino al collo nell'imminente crack della sua banca, l'Ambrosiano. Carboni gestisce i soldi della mafia ma è anche in affari con Berlusconi, e intercede presso il potente Pisanu: «Il Carboni si diceva congiuntamente interessato alle televisioni private in Sardegna - racconterà anni dopo ai giudici del crack Ambrosiano lo stesso Pisanu - ciò in un'ottica d'inserimento nella Regione del circuito televisivo "Canale 5", facente capo al signor Silvio Berlusconi di Milano. …Il Carboni mi disse di essere in affari col signor Berlusconi non solo con riferimento all'attività televisiva, ma anche con riguardo ad un grosso progetto edilizio di tipo turistico denominato ‘Olbia 2'. Fin dall'inizio ritenni di seguire gli sviluppi delle varie attività di Carboni, trattandosi di un sardo che intendeva operare in Sardegna e che peraltro mostrava di avere vari interessi e vari contatti con persone qualificate e per me degne di fede».

Tra le "persone qualificate" c'è senza dubbio Roberto Calvi. Carboni è colui che lo accompagnerà, secondo i magistrati, all'appuntamento con la morte sotto il ponte dei Frati Neri, a Londra. Pisanu, sollecitato da Carboni, s'interessa attivamente delle vicende del banchiere, ben al di là delle sue competenze di sottosegretario al Tesoro: i tre s'incontrano ben quattro volte alla vigilia della morte di Calvi. L'ultima, il 22 maggio del 1982, con l'aereo privato di Carboni Pisanu vola a Drezzo, residenza privata del banchiere piduista. Pochi giorni dopo il sottosegretario risponde in Parlamento ad alcune interrogazioni sul Banco Ambrosiano, e dipinge una situazione meno grave di quella reale. Come se non sapesse, malgrado tutti i suoi contatti, che il melone è ormai marcio.

L'editore Angelo Rizzoli, che però non porta prove, ha così testimoniato davanti alla Commissione P2: «Calvi disse a me e a Tassan Din che il discorso dell'onorevole Pisanu in Parlamento l'aveva fatto fare lui. Qualcuno mi ha detto che per quel discorso Pisanu aveva preso 800 milioni da Flavio Carboni».

L'attendista

Accuse troppo generiche e prive di riscontri per avere seguito. Ma una responsabilità su di sé Pisanu la sente. E quando nel 1983 esplode lo scandalo dell'Ambrosiano, lui si dimette da sottosegretario, proprio a causa dei rapporti troppo stretti con Calvi e Carboni.

Non finisce però la carriera di deputato, che sembra esaurirsi solo dieci anni dopo, con l'estinzione della stessa Dc, travolta da Tangentopoli. Nel 1992 Pisanu non si presenta alle elezioni, dopo vent'anni di carriera parlamentare. Sembra finita, ma nel ‘94 entra in scena Berlusconi, che ha bisogno di professionisti, e di uomini fidati.

Pisanu è l'una e l'altra cosa: entra in Parlamento da vicecapogruppo, alle spalle dell'avvocato Dotti. Lui, professionista, dell'aula, scavalcato da un esordiente. Ma Pisanu, l'abbiamo detto, sa aspettare. E quando scoppia il caso di Stefania Ariosto, che di Dotti è la compagna, Pisanu è pronto a subentrare. Dotti gli cede la carica e si dimette. L'indomani, su mandato del capo, Pisanu celebra quella che viene ancora oggi ricordata in Forza Italia come la notte de lunghi coltelli: fuori dalle liste elettorali non solo Dotti, ma tutti quelli che nel corso della legislatura appena conclusa hanno mostrato autonomia di giudizio, e scarsa fedeltà al capo. Forza Italia si chiude in difesa, e Pisanu è il Gattuso che guida in campo il catenaccio. Il mister Berlusconi lo promuove capogruppo, e lui annuisce riconoscente.

Così riconoscente da accettare, nell'ora del trionfo, di farsi scavalcare da Scajola, l'ex democristiano di Imperia, e di trovarsi a fare l'ottimizzatore del Governo. Tanto c'è sempre un pavimento scivoloso di cera sul cammino di quelli che corrono e parlano troppo. Ora tocca a lui, ministro dell'Interno. Un po' come Gattuso schierato da centravanti.

Michele Gambino
Roma, 4 luglio 2002
da "Liberazione"