Contro la "legge di parità" imposta alla scuola pubblica dal governo di centrosinistra

Per la scuola di tutti e tutte

Abbiamo definito la legge di parità, imposta alla scuola pubblica dal governo di centrosinistra e poi sfruttata alla grande dal governo Berlusconi, la "madre di tutte le privatizzazioni" nella scuola. Non sottovalutiamo la portata di altri provvedimenti che hanno favorito l'estendersi della scuola-azienda e dell'istruzione-merce, come la sedicente "autonomia scolastica" o la regionalizzazione: purtuttavia, è la legge di parità a far da architrave e da riferimento obbligato per l'intero processo di privatizzazione/aziendalizzazione.

La gravità della legge discende innanzitutto dall'aver assegnato alla scuola privata, che è scuola di parte, lo stesso ruolo, funzione e portata della scuola pubblica che è, o dovrebbe essere, scuola di tutti/e e per tutti/e. La scuola pubblica non deve fare distinzioni o discriminazioni di ceto sociale, possibilità economiche, collocazione geografica, orientamento culturale o religioso, etnia o fede; la scuola privata, strutturalmente, tende alla separazione e alla affermazione di identità differenziate, ostacolando il pluralismo e la solidarietà. Aver unito queste due realtà antitetiche in un unico sistema di istruzione nazionale, significa aver minato il principale luogo pubblico dove è possibile lavorare per l'eguaglianza, la accettazione reciproca, e almeno l'attenuazione, se non la cancellazione, dei gravami dovuti alle differenze sociali e culturali esterne.

Ma, come avevamo facilmente previsto, la legge di parità si è rivelata di quelle a "pericolosità progressiva" anche per altri aspetti. Quando lottammo contro l'inserimento nella legge del finanziamento alle scuole private, ci si rispose, da parte di varie forze del centrosinistra che appoggiavano la legge berlingueriana, che le cifre assegnate alle scuole private sarebbero state assai modeste e sottoposte comunque a tali e tanti vincoli da renderle inesigibili. A parte l'incredibile contraddizione dei liberisti nostrani sempre ostili all'intervento statale a sostegno delle strutture sociali, che esigevano però dalla collettività i soldi per finanziare l'iniziativa privata nella scuola, i fatti da allora hanno dimostrato che le cifre spostate dalla scuola pubblica a quella privata sono tutt'altro che esigue.

Se nel 1997 alle scuole private, più che altro alle materne, andavano 235 miliardi (di vecchie lire), nel 2001 la cifra è salita a 922 miliardi, a cui stanno per aggiungersene nel 2002 altri 260 promessi dal governo (toccando i 1200 complessivi, circa 620 milioni di euro). Sono oramai cinque le Regioni che hanno istituito i Buoni scuola con i quali si pagano le rette che le famiglie dei più abbienti devono versare alle scuole private. Ma pressoché tutte le Regioni hanno delle proposte di legge per estendere in tutta Italia il finanziamento indiretto delle scuole private, prevedendo anche la detrazione dalle tasse delle spese effettuate per la frequenza a tali scuole. In questo modo, la legge ha consentito l'aggiramento del dettato costituzionale che consente l'attività delle scuole private ma "senza oneri per lo Stato".

Come se tutto ciò non bastasse, utlizzando la legge di parità, agli insegnanti delle scuole private sono stati riconosciuti gli stessi punteggi di chi, nella scuola pubblica, ha dovuto affrontare concorsi, abilitazioni, lunghi anni di pendolarismo, rispetto delle graduatorie. I proprietari delle scuole fanno lavorare addirittura gratuitamente i docenti, in cambio di quel punteggio valido per l'ingresso nella scuola pubblica: ed è tutto legale, visto che la legge consente al 25% del personale di lavorare nelle private come "volontario" (e tale percentuale viene abbondantemente superata, grazie all'esiguità/inesistenza dei controlli). Quest'anno oltre diecimila docenti delle private sono passati alla pubblica, "bruciando" altrettanti precari "storici": e, in deroga alla stessa legge, numerosi docenti senza nemmeno l'abilitazione li hanno potuti sostituire nelle private.

Ci sono infine gli insegnanti di religione nella scuola pubblica, nominati e revocati dalla Curia anche se privi di qualsiasi titolo didattico e pagati dallo Stato, che si vorrebbe rendere "di ruolo", nel clima privatizzante creato dalla legge: una volta che la Curia revocasse il mandato, la scuola pubblica dovrebbe garantire loro un altro posto stabile, insegnando non si sa bene cosa.

Dunque, ci sono motivi a iosa per raccogliere le firme per questo referendum che intende abrogare tutti i passaggi della legge di parità che hanno consentito i disastrosi passaggi fin qui citati. Il quesito referendario infatti cancella:

  1. le scuole paritarie private dal sistema nazionale d'istruzione che resta composto dalle sole scuole statali e degli Enti Locali;
  2. la possibilità che, attraverso i buoni scuola, le Regioni rimborsino alle famiglie delle scuole private le spese sostenute per le rette, e nel contempo i finanziamenti diretti dello stato alle scuole private;
  3. l'autorizzazione alle scuole private di far lavorare gratuitamente i "volontari".

Il referendum conserva invece il carattere di parità di diritti, trattamento e possibilità di accesso per gli studenti, come previsto dal comma 4 dell'art.33 della Costituzione, nelle scuole private che ne facciano richiesta ma che soddisfino tutte le garanzie richieste: pubblicità dei bilanci, progetto educativo in armonia con la Costituzione, locali e arredi conformi alla legislazione, Organi collegiali per la gestione democratica, iscrizione libera per tutti, con particolare riferimento ai portatori di handicap e condizioni di svantaggio, personale docente abilitato, contratti di lavoro in regola con il Contratto nazionale di lavoro. Il referendum, dunque, non concerne le parti "tributarie" della legge e mantiene gli obblighi per le private: entrambi queste caratteristiche garantiscono la accettazione da parte della Corte Costituzionale, una volta raccolte le firme.

E il referendum, oltre ad essere ineccepibile sul piano politico, sindacale e culturale, ha alte probabilità di vincere. Infatti, l'impopolarità delle scuole private continua a crescere anno dopo anno, nonostante gli aiuti ideologici e finanziari offerti ad esse dagli ultimi governi. Non solo tutti i sondaggi ufficiali effettuati negli ultimi quattro anni registrano una maggioranza di cittadini/e oscillante tra il 67% e il 75% contraria ai finanziamenti pubblici alle scuole private, ma anche sul piano dell'inserimento studentesco in tali scuole, molte di esse hanno dovuto chiudere perché il numero delle iscrizioni è in forte e progressivo calo: dal 1998 al 2001 sono diminuiti di 200.000 unità gli studenti delle scuole non statali, pari a circa il 35%. Dunque, nonostante gli sforzi del centrosinistra e del centrodestra per immiserire e degradare la funzione della scuola pubblica, gli studenti e le famiglie italiani sono sempre più decisi a non a scegliere una scuola privata che pochissimi amano e in altrettanto pochi frequentano.

Piero Bernocchi
Portavoce nazionale Cobas scuola
Roma, 18 maggio 2002
da "Liberazione"