A partire dai prossimi giorni organizziamo, assieme ad altre forze politiche o a parti di esse, a
rilevanti organizzazioni sindacali di categoria e a sindacati extraconfederali, a movimenti e associazioni,
a espressioni della società civile e a singole personalità, una raccolta di firme per giungere alla
proclamazione di referendum da tenersi nella primavera del 2003. I temi che saranno oggetto della
campagna referendaria vanno da quelli della difesa dell'ambiente a quelli del mantenimento del carattere
pubblico della scuola, da quelli del ripristino della legalità a quelli della affermazione dei diritti
nel mondo del lavoro.
Proprio questi ultimi costituiranno il cuore della battaglia referendaria. Il motivo non risiede
solo nel fatto che l'attacco confindustriale e governativo alla tutela reale dai licenziamenti ingiusti,
contenuta nell'articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, occupa il centro dell'attuale
scontro politico e sociale e quindi gran parte dello spazio mediatico ad esso dedicato. La ragione
è più profonda e si articola su diversi punti.
- In primo luogo l'affermazione dei diritti per tutti i lavoratori, qualunque sia la loro condizione
contrattuale o la dimensione di impresa nella quale sono occupati, significa finalmente provocare
un'irruzione della dignità della persona e della democrazia in ogni luogo di lavoro. E' esattamente
quanto mancava da sempre alla democrazia italiana ricostruita dopo la lotta al nazifascismo, la
parte implicita ma finora muta e inapplicata della Costituzione repubblicana. Ma, poiché le promesse
mancate nel passato possono essere mantenute solo con un balzo nel futuro, ottenere questo risultato
significa oggi concretamente combattere i processi di svuotamento di ogni forma di democrazia sostanziale
che sono conseguenza degli assetti sociali provocati dalla ristrutturazione capitalista e nello
stesso tempo riproporre il mondo del lavoro come portatore di una concezione alternativa della società.
- In secondo luogo l'affermazione dei diritti per tutti i lavoratori è l'unico terreno possibile
su cui può essere costruita un'Europa diversa da quella sottomessa alle leggi della proprietà e
del mercato e guidata dalle politiche liberiste e di guerra. La stessa carta di Nizza, che abbiamo
giustamente criticato perché considera il cittadino come un'entità socialmente indeterminata, non
può fare a meno di ribadire che «ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento
ingiustificato». Questa battaglia per l'estensione dell'articolo 18 è dunque perfettamente coerente
con quella che conduciamo per un'Europa sociale, per i diritti nel mondo del lavoro e per l'occupazione
su scala continentale, per un salario europeo che parifichi ai livelli migliori le condizioni retributive
dei lavoratori, per il diritto al lavoro, ai servizi sociali e alla partecipazione politica dei
migranti.
- In terzo luogo l'affermazione dei diritti per tutti i lavoratori è il modo più efficace, anzi
l'unico, per rispondere adeguatamente all'offensiva politico-sociale mossa da governo e confindustria.
L'iniziativa referendaria che sosteniamo smonta la demagogia padronale e governativa secondo la
quale si vorrebbero difendere solo i diritti di chi li ha già, e si propone di ricomporre le diverse
figure del lavoro frantumate e contrapposte dalla ristrutturazione capitalista, sull'unico terreno
possibile e indispensabile, appunto quello dell'estensione dei diritti e delle tutele. Rappresenta
quindi uno dei modi di lotta conseguenti all'allargamento e all'approfondimento della frontiera
e della contraddizione che contrappone capitale e lavoro. Nello stesso tempo chiama in campo una
pluralità di soggetti, diffonde la battaglia in tutta la società, rompendo una visione ingessata
non più corrispondente alla realtà, secondo la quale solo i lavoratori in senso stretto sarebbero
titolari dei loro diritti, i quali a loro volta dovrebbero essere avanzati dalle loro rappresentanze
sindacali e politiche, mentre agli altri al massimo verrebbe affidato un ruolo di semplice sostegno.
- In quarto luogo l'affermazione dei diritti per tutti i lavoratori è necessaria dalle stesse modificazioni
intervenute nell'organizzazione produttiva e nella struttura occupazionale del paese. Quando venne
varato lo Statuto dei diritti dei lavoratori, nell'ormai lontano 1970, ben diversa era l'incidenza
dei lavoratori occupati nelle imprese maggiori rispetto a quelli impiegati nelle piccole. In particolare
dagli anni '80 in poi l'incidenza di questi ultimi sul totale degli occupati è cresciuta enormemente.
Pur essendo questo un dato generale, esso è particolarmente accentuato nel nostro paese ed in questo
senso costituisce una peculiarità nel quadro europeo. Infatti, secondo dati risalenti al 2000, il
37,3% dell'occupazione italiana è presente nelle microimprese comprese fra 1 e 9 dipendenti. Non
era così nel 1971, quando l'occupazione nelle aziende maggiori, cioè quella al di sopra dei 500
addetti, da sola rappresentava più di un quinto del totale. Negli ultimi venti anni, almeno, è stata
prodotta una frammentazione della dimensione d'impresa con una maggiore incidenza dell'occupazione
nelle piccole. La reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, che era
stato evitato dal legislatore di allora in virtù di una vicinanza fisica fra il padrone e il lavoratore,
oggi, se mai ne ha avuto, non ha più senso, poiché in moltissime piccole imprese che operano su
un mercato di dimensioni mondiali, spesso la faccia del datore di lavoro è persino sconosciuta ai
suoi dipendenti.
- Infine l'affermazione dei diritti per tutti i lavoratori non rappresenta in alcun modo un freno
alla eventuale crescita dell'occupazione. La dinamica di quest'ultima dipende da ben altri fenomeni,
che concernono il modello produttivo, l'organizzazione del lavoro e dei suoi orari, la particolare
congiuntura economica. Nella prima metà degli anni Novanta le imprese del Nord Est, comprese tra
i 15 e i 50 dipendenti, sono aumentate in numero e in occupazione, mentre al contrario si sono ridotte
quelle al di sotto della fatidica soglia dei 15 dipendenti. Gli ultimissimi dati Istat, relativi
al trascorso trimestre, rilevano un incremento dell'occupazione a tempo indeterminato proprio nelle
imprese situate nella fascia immediatamente superiore ai 15 addetti. In altre parole la presenza
dell'articolo 18, cioè della tutela reale dai licenziamenti ingiusti, non ha mai ostacolato lo sviluppo
dell'occupazione e neppure della crescita dimensionale delle imprese.
Non vi è quindi alcuna giustificazione, neppure sulla base di gretti interessi immediati, all'attacco
padronale e governativo all'articolo 18 e all'articolo 35 che regola il godimento dei diritti di associazione
sindacale, che non sia quella di una vendetta di classe, del tentativo di produrre uno sfondamento
definitivo nel campo dei diritti e delle tutele conquistati in lotte centenarie, della ricerca di
una sorta di "soluzione finale" nei confronti di ogni forma degna di questo nome di movimento sindacale.
E allora, compagne e compagni, diamoci da fare. Raccogliere oltre 500.000 firme nei prossimi tre
mesi è un'impresa difficile ma alla nostra portata, soprattutto per l'ampiezza delle forze che scendono
in campo. Quando una battaglia, come quella attuale, non può che essere vinta o persa, tutti noi dobbiamo
fare di tutto per vincerla.