Nel decennale di "tangentopoli" e nel
ventennale della lotta alla Mafia

La rivincita del CAF

Negli Stati la democrazia, quando c'è, è sempre incerta e al potere giudiziario è consentito solo di assicurare un livello di legalità compatibile con il sistema di potere politico dominante: quando ciò non è più possibile, quando l'equilibrio si rompe, il potere politico reagisce e per uscire dalla crisi rimodella il potere giudiziario riportandolo alla "normalità".

Un sistema politico, per quanto forte possa essere, non può impedire che vi siano fasi di crisi interna che forniscono l'occasione per una rottura della convivenza/connivenza con il "suo" potere giudiziario: alla fine però riesce sempre a ristabilire gli equilibri imponendo le sue regole.

Ciò è stato vero sia per la fase della lotta alla mafia, dal 1982 in poi, che per quella alla corruzione, dal 1992 in poi, e le due fasi hanno molti elementi in comune.

In Sicilia la crisi della convivenza/connivenza con la mafia si acuisce tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80 con gli omicidi di decine di uomini dello Stato e dell'opposizione politica (Impastato, Giuliano, Mancuso, Terranova, Costa, Chinnici, Mattarella, Della Chiesa, La Torre, ecc.) e centinaia di appartenenti alle organizzazioni mafiose (500 nel solo biennio '82 -'83).

A questo punto il potere politico non può più far finta che nulla di grave stia accadendo e il contrasto, almeno quello poliziesco e giudiziario, prende corpo e si intensifica travolgendo le prime file più esposte e non più difendibili, sia nel campo politico che in quello criminale: cadono da un lato Ciancimino e i cugini Salvo di provata fede andreottiana, dall'altro i boss che sino a quel momento avevano potuto agire quasi indisturbati.

Classe corrotta

A Milano e nel resto del Paese, una classe politica corrotta, costosa e inefficiente, con il suo centro di riferimento nel Caf (Craxi-Forlani-Andreotti), non è più ritenuta funzionale ai bisogni di "modernizzazione" del sistema. Anche in questo caso, lo Stato non può ignorare la corruzione dilagante, mentre le imprese capiscono di dover ricorrere a nuovi rapporti di collusione/corruzione che però li metta al riparo dalla crescente delegittimazione sociale: nel '92 questa classe politica viene abbandonata nelle mani di un potere giudiziario che, come in Sicilia dieci anni prima, riconosce di avere tutta la legittimazione sociale possibile per usare la sua autonomia al fine di ristabilire una parvenza di legalità nella vita politica e amministrativa.

Non ci sarà nessuna "rivoluzione", né si instaurerà la tanto deprecata "repubblica dei giudici": si tratterà solo di una ristrutturazione che, alla fine del percorso, vedrà Berlusconi subentrare al Caf nella gestione dei soliti interessi consolidati e le mafie riaffermare il loro potere in raccordo, come sempre, con il blocco di potere nazionale.

La evoluzione di questo processo è molto complessa e la fase di normalizzazione del sistema giudiziario, in termini di compatibilità con gli assetti di potere dominanti e con il suo tasso di illegalità, è ancora in corso, con una crescente accelerazione dopo la vittoria elettorale del centrodestra.

Se avesse vinto il centrosinistra, quest'ultima fase sarebbe stata forse più lenta e meno appariscente nei suoi aspetti "criminogeni", ma il destino della normalizzazione del potere giudiziario era già segnato dalla necessità di "modernizzazione" neoliberista del sistema politico-economico che non può essere attuata senza privatizzare, liberalizzare, distruggere diritti collettivi e rapinare risorse pubbliche e senza, nel contempo, ridurre il sistema delle garanzie e di controllo di legalità: basta andarsi a rileggere le cronache relative alla parentesi del governo di centrosinistra e, in particolare, alle filosofia che reggeva le proposte avanzate nella abortita riforma costituzionale della commissione D'Alema.

Inversione di rotta

In Sicilia i primi segnali di inversione di rotta c'erano già stati con il siluramento di Falcone come consigliere istruttore, ma la mafia non li coglie e insiste nella sua folle contrapposizione stragista ad uno Stato che già è sulla via della ristrutturazione della sua classe politica e chiede solo un po' più di tempo per portare a compimento il suo progetto: le stragi di Capaci e via D'Amelio, le bombe di Firenze e Roma non possono essere ignorate e "questa" mafia va rimessa in riga perché non disturbi stupidamente un manovratore che non le è nemico.

Un ulteriore segnale, secondo me avvertito dai mafiosi, lo si ha con la cattura di Totò Riina e l'inverosimile mancata perquisizione del suo rifugio, con la altrettanto inverosimile incapacità di catturare Provenzano.

Ora la mafia ha capito che lo Stato può chiudere un occhio e che le consente di accumulare denaro e potere funzionali al "nuovo" assetto politico solo se lascia da parte la violenza omicida appariscente. Ora Lunardi può riconoscere pubblicamente la necessità della convivenza con la mafia e il governo può accedere ad una legislazione di connivenza (rientro dei capitali in forma anonima, stop alle rogatorie, ecc.) dimostrando ai gruppi di potere politico-mafioso che il sistema può garantire tutti gli interessi, compresi quelli criminali, a patto che in giro non ci siano teste calde pronte a sparare.

Anche nel resto del Paese, sempre durante la parentesi del centrosinistra, la musica è la stessa: le forze di governo sposano in pieno l'ideologia della destra su "legge e ordine" e, tanto per fare qualche esempio che riconduce alla successiva sconfitta elettorale, invece di pensare a risolvere l'incombente conflitto di interessi berlusconiano o ratificare il trattato con la Svizzera per le rogatorie, amplificano il panico collettivo contro la microcriminalità e gli immigrati.

Potere ri-costituito

Tra queste macerie rimane in piedi un qualche simulacro di indipendenza della magistratura che (messi da parte i tanti casi particolari di mala giustizia) è ancora in grado di mettere in discussione l'alto tasso di illegalità del potere ri-costituito. Bisogna dunque correre ai ripari e ristabilire la compatibilità dei controlli di legalità con il sistema di potere politico: oggi siamo in questa fase.

Il sistema del controllo di legalità si regge su un perfetto equilibrio (costituzionalizzato) che ha uno dei suoi cardini nel potere di autogoverno della magistratura: è da lì che il Cavaliere Banana parte, indebolendone la struttura, riducendone la funzionalità e la rappresentatività. Non lo vanno ripetendo da anni anche molti vati del centrosinistra che "qualche" modifica andava apportata al Csm?

L'organo di autogoverno diventa funzionale all'indipendenza e all'autonomia della magistratura con la riforma elettorale del '76 quando da maggioritaria, la composizione diventa proporzionale: Berlusconi sta tornando al passato, quello che aveva favorito "il porto delle nebbie" della procura di Roma e una Cassazione pronta ad accogliere le legittime suspicioni e a spostare i processi dove potevano essere meglio insabbiati.

Oggi "celebriamo" il decennale di tangentopoli e il ventennale della lotta alla mafia all'insegna di una sconfitta annunciata dello Stato di diritto, con tanti auguri a Silvio Berlusconi leader della socialdemocrazia italiana.

Giuseppe Di Lello
Roma, 17 febbraio 2002
da "Liberazione"