Nel "crollo dell'Urss" l'esplosione della questione nazionale ha pesato come fattore non marginale, anche se non sempre percepito come tale in Italia: le secessioni dei paesi Baltici, della Moldavia, della Cecenia, i feroci conflitti etnici nel Caucaso ma anche all'interno di molte repubbliche centroasiatiche, hanno colto di sorpresa chi non aveva voluto guardare i molti sintomi di una crisi che maturava da tempo. Molti dei problemi creati quando il diritto all'autodecisione era stato cancellato da un centralismo russo esasperato, si erano accumulati negli anni: l'esplosione era stata differita solo al prezzo di una repressione senza paragoni.
Nel suo "Testamento politico" Lenin si era mostrato allarmato per un'inversione di rotta già visibile: «A quanto pare sono fortemente in colpa verso gli operai della Russia perché non mi sono occupato con sufficiente energia della famosa questione [... ] della unione delle repubbliche socialiste sovietiche. [... ] Si dice che ci voleva l'unità dell'apparato. Ma da dove sono venute fuori queste affermazioni? Non sono forse venute proprio da quell'apparato russo che, come ho già rilevato in una delle note precedenti del mio diario, abbiamo ereditato dallo zarismo, e che è stato solo appena ricoperto di uno strato di vernice sovietica?» (Lenin, Opere., vol. XXXVI, 1969, pp. 439-443). Lenin insisteva sul ruolo di quell'apparato «che noi chiamiamo nostro», ma che «in realtà ci è ancora profondamente estraneo» e che «rappresenta il filisteismo borghese e zarista». L'atteggiamento di Lenin era motivato da una riflessione sull'esperienza georgiana, a cui dedicò la sua "ultima battaglia", appoggiando decisamente la minoranza georgiana perseguitata da Stalin. A questo proposito Lenin si riferì per due volte a Stalin come "Diergimorda" (il rozzo poliziotto dell'Ispettore generale di Gogol). In entrambi i casi l'allusione era piuttosto esplicita: «Abbiamo noi preso con sufficiente sollecitudine i provvedimenti necessari per difendere effettivamente gli allogeni dal Diergimorda veramente russo? Penso di no, sebbene avessimo dovuto e potuto farlo. Io penso che qui hanno avuto una funzione nefasta la frettolosità di Stalin e la sua tendenza a usare i metodi amministrativi, nonché il suo odio contro il famigerato "socialnazionalismo".»
Poche pagine dopo chiariva che il poliziotto "veramente russo" poteva benissimo essere nato in Georgia: «Il georgiano che considera con disprezzo questo aspetto della questione, che facilmente si lascia andare all'accusa di "socialnazionalismo" (quando egli stesso è non solo un vero e proprio "socialnazionale", ma anche un rozzo Diergimorda grande-russo), quel georgiano in sostanza viola gli interessi della solidarietà proletaria di classe, perché niente ostacola tanto lo sviluppo e il consolidamento della solidarietà proletaria di classe quanto l'ingiustizia nazionale, e a niente sono così sensibili gli appartenenti alle nazionalità "offese" come al sentimento di eguaglianza e alla violazione di questa eguaglianza, anche solo per leggerezza».
Lenin a partire da queste considerazioni ricavava in primo luogo la proposta di togliere Stalin dall'incarico di segretario generale, che gli aveva consentito di «concentrare nelle sua mani un immenso potere», di cui già allora non si serviva «con sufficiente prudenza». L'indicazione più importante tuttavia non era di natura personale, ma riguardava l'atteggiamento da seguire verso le minoranze nazionali: «È meglio esagerare dal lato della cedevolezza e della comprensione verso le minoranze nazionali che non il contrario. Ecco perché in questo caso l'interesse più profondo della solidarietà proletaria, e quindi anche della lotta di classe proletaria esige che noi non abbiamo mai un atteggiamento formale verso la questione nazionale, ma che teniamo sempre conto della immancabile differenza che non può non esserci nell'atteggiamento del proletario della nazione oppressa (o piccola) verso la nazione dominante (o grande)».
Queste note sono del 31 dicembre 1922, e chiariscono che l'ultimo Lenin, che concentrava le poche forze rimastegli su quelli che riteneva i problemi più drammatici dello stato sovietico, non aveva affatto ridimensionato la "tattica" contingente la scelta del rispetto dei diritti delle minoranze.
Il Testamento politico di Lenin coglie il nesso tra le violazioni dei diritti delle minoranze nazionali (e ancor più di quelli delle nazioni che liberamente si erano associate su basi paritetiche alla repubblica sovietica russa) e involuzione complessiva dello Stato sovietico. Tra l'altro, subito dopo la conquista del potere da parte dei comunisti georgiani nel marzo 1921, Lenin aveva inviato a Orgionikidze alcuni preziosi suggerimenti: «Primo, bisogna armare immediatamente gli operai e i contadini poveri, per creare un forte esercito rosso georgiano. Secondo: è necessaria una particolare politica di concessioni verso gli intellettuali e i piccoli commercianti georgiani. [... ] Terzo: è infinitamente importante cercare un compromesso accettabile per fare blocco con [... ] i menscevichi georgiani che prima ancora dell'insurrezione non erano del tutto contrari all'idea di un regime sovietico in Georgia a determinate condizioni». È chiaro che Lenin concepiva un'unione basata sul rispetto non solo formale della diversità, compresa quella politica e sociale, delle repubbliche associate a quella russa.
Nei mesi successivi, prima di cominciare la sua battaglia sulla "questione georgiana", Lenin aveva tempestato di telegrammi i dirigenti delle repubbliche caucasiche insistendo nello stesso senso, sia sul terreno del rispetto delle particolarità e delle forze politiche locali, sia per la costituzione di un'armata rossa autonoma. Tutto questo era stato contraddetto dai dirigenti vicini a Stalin come Orgionikidze e Kirov, spingendo Lenin alla dura sconfessione della loro politica nel suo "Testamento". Negli anni successivi alla sua morte il "diritto all'autodecisione dei popoli" fu sempre più svuotato, dapprima con pesanti interferenze nella formazione dei gruppi dirigenti (destituendo quelli autoctoni regolarmente eletti e paracadutando altri del tutto estranei a quelle realtà), per poi arrivare, al momento della seconda guerra mondiale, alla deportazione di interi popoli, puniti collettivamente per le "colpe" vere o presunte di alcuni membri, o semplicemente vittime di un assurdo pregiudizio, come i tedeschi del Volga, istallati nella regione dalla fine del ‘700 e principale punto di appoggio del potere sovietico durante la guerra civile, ma sospettati di simpatie per il nazismo, solo perché parlavano tedesco!
La stessa politica verso la consistente comunità ebraica (di tutte le minoranze, quella che aveva fornito il maggior numero di militanti alle diverse correnti del movimento operaio russo e in particolare a quella bolscevica) aveva assunto gradatamente le caratteristiche di un'assurda persecuzione di un gruppo etnico in quanto tale. È vero che la maggior parte degli ebrei che furono vittime del "grande terrore" degli anni Trenta erano stati colpiti in quanto comunisti di vecchia data e non per la loro origine, ma già durante la seconda guerra mondiale e soprattutto negli ultimi anni di Stalin la persecuzione era "mirata" e si riallacciava a vecchi stereotipi (i "medici assassini", il "cosmopolitismo", ecc.). Per questo negli ultimi decenni dell'Urss la maggior parte degli ebrei sovietici non aspirava che a emigrare e alla fine non hanno trovato altra possibilità che andare in Israele.
Dopo la fine dell'Urss i conflitti si sono ulteriormente esacerbati: il veleno dello sciovinismo di cui parlava Lenin era penetrato a fondo attraverso i decenni, e forniva a ogni capo demagogo un argomento, e alle ex vittime motivi di risentimento profondo. Il caso della indomabile Cecenia (i cui abitanti erano tra i "popoli puniti" da Stalin con la deportazione) è relativamente più noto, anche se non sempre ben interpretato. È la conferma che decenni di repressione non possono cancellare l'aspirazione di un popolo anche molto piccolo a organizzarsi autonomamente.