Direzione nazionale di Rifondazione Comunista, Roma 28 aprile 2003

Un dibattito serrato. Dall'analisi della guerra contro l'Iraq al rapporto con il movimento

Discussione appassionata ad un anno dal Congresso di Rimini

Tre documenti e un ordine del giorno. Nonostante gli impegni stringenti - tra cui le amministrative e soprattutto la campagna referendaria - la direzione nazionale di Rifondazione comunista di lunedì scorso, alla presenza anche del gruppo parlamentare, si è confrontata ad ampio raggio sul quadro internazionale e nazionale, sul rapporto con il movimento pacifista e tra questo e il movimento no-global, facendo un bilancio di un anno di intenso lavoro dopo il Congresso di Rimini.

Una lunga giornata di dibattito serrato, aperta dalla relazione del responsabile Esteri, Gennaro Migliore, e terminata con le conclusioni di Fausto Bertinotti. In mezzo, 15 interventi e un voto finale sui documenti che ha visto approvato a maggioranza quello proposto dal segretario nazionale. Maggioranza ancora più ampia per l'ordine del giorno che ha fissato le scadenze del partito per i prossimi mesi (pubblicato su Liberazione di ieri).

Il ragionamento - articolato nella relazione di Migliore - non poteva che partire da questo "post guerra" di guerra, dove l'attacco è diventato occupazione militare. La guerra permanente perseguita dall'amministrazione neoconservatrice di Bush - spiega Migliore - è frutto della crisi della globalizzazione neoliberista. Non potendo essere gestita per consenso, si usa come strumento la guerra preventiva e infinita.

Guerra imperialista

Claudio Grassi, primo firmatario del secondo documento respinto, contesta soprattutto questa interpretazione. Pur sottolineando come dopo il congresso si sia registrata un'importante «convergenza» negli impegni portati avanti, ha ribadito le «divergenze» già espresse allora, in particolare sul concetto di «imperialismo». «L'errore di fondo - sottolinea - è non considerare come le cause della guerra in Iraq siano di natura principalmente economica. E' stato un attacco imperialistia dentro un quadro di conflitto interimperialista». Grassi fa un esempio su come le tesi non abbiano visto giusto: «L'analisi che individuava un'alleanza tra Usa, Europa, Russia e Cina si è dimostrata errata». Stessa chiave di lettura proposta anche da Gianni Favaro e Fausto Sorini. Per Favaro la guerra ha riportato al fascismo come ideologia: «Se questa è l'analisi il nostro obiettivo deve essere quello di costruire un fronte mondiale contro il fascismo». Per Sorini si tratta inoltre di «ricostruire un contrappeso all'imperialismo americano con una consistenza paragonabile a quello dell'ex Urss. Obiettivo che si raggiunge con la convergenza di diversi fattori, dalla resistenza del popolo iraqueno alla tenuta e allo sviluppo del movimento popolare per la pace».

Quale globalizzazione

La maggior parte degli interventi ha invece ribadito il valore dei concetti proposti a Rimini anche rispetto all'analisi delle vicende internazionali. «La relazione di Migliore - sottolinea il deputato del Prc, Ramon Mantovani - nel riproporre le tesi congressuali rappresenta un importante contributo per l'aggiornamento dell'analisi. Non c'è dubbio - ha continuato rispondendo alle critiche sul concetto di "globalizzazione" - che si debba sempre rifuggire dalle concezioni semplicistiche. Noi non abbiamo infatti parlato dell'estinzione degli Stati-nazione, né della fine del conflitto tra sistemi economici, ma li abbiamo collocati dentro il quadro della globalizzazione e delle sue fasi, che costituiscono oggi il tratto prevalente del capitale». Sulla necessità di problematizzare e di portare avanti una ricerca costante sul capitalismo, si è espresso anche il senatore Luigi Malabarba. «La transnazionalizzazione del capitale è allo stadio iniziale, mentre la concorrenza tra stati non è stata eliminata. Siamo in una fase intermedia, di transizione tra le varie tendenze che produce aspetti tra loro contraddittori».

Terzo documento

Diversa ancora la posizione del documento proposto da Marco Ferrando, anche questo respinto a maggioranza. Il primo ad intervenire Franco Grisolia che, pur condividendo alcuni elementi della relazione introduttiva, mette l'accento sui punti di disaccordo: «Perché la guerra è parte dell'imperialismo dominante attraverso quella che viene chiamata guerra permanente. Sono le contraddizioni interimperialiste che non consentono l'equilibrio». Aggiunge Claudio Bellotti: «E' giusto chiedersi come fa Migliore se gli Usa vinceranno. Ma bisogna anche domandarsi contro chi. Non siamo solo davanti al conflitto tra le grandi potenze, ma tra paesi oppressori e paesi oppressi. Categoria che è stata messa tra parentesi per parlare di scontro di civiltà». Un concetto questo criticato anche nell'intervento di Ferrando, che proprio nella questione araba vede uno degli elementi di maggiore dissenso. Esteso anche al rapporto con il movimento contro la guerra: «Vive un ripiegamento, come si è visto dalla mancata proclamazione dello sciopero generale. Questo perché gli manca una capacità di lettura della dinamica mondiale».

In movimento

Ma è proprio sulla scommessa vinta nel e col movimento che hanno insistito la maggior parte degli interventi. «Tutt'ora - mette in evidenza Patrizia Sentinelli - viene vissuto da alcuni come un fatto posticcio. Al contrario, ancora di più oggi, rappresenta l'unica leva per produrre il cambiamento, in Italia, nel mondo. Questo perché il movimento per la pace è strettamente connesso alla lotta per la trasformazione sociale». Ci ritorna Rocco Papandrea: «Il movimento nell'ultima fase è talmente cresciuto da illudersi di poter fermare la guerra. Questa forza gli ha impedito di conoscere la sconfitta. E ancora oggi le bandiere per la pace continuano a sventolare come segno di protesta e di identità».

Movimento significa anche (e soprattutto) la scelta della disobbedienza, una pratica che ha avuto i frutti più importanti e visibili durante la fase del "trainstopping". «Ora si tratta di andare avanti - sottolinea il deputato Giovanni Russo Spena - di rilanciare la disobbedienza, rifuggendo alcuni possibili rischi. Ecco perché questo rilancio deve essere all'insegna di azioni sempre più antimilitari e di disarmo». Su questo punto ritorna Peppe De Cristofaro con un ragionamento di forte rilievo. «Come rimettere in campo l'"egemonia" di una sinistra alternativa?» è la domanda a partire dalla constatazione che dopo Genova nel movimento è entrata a far parte una sinistra moderata. Per De Cristofaro la strada è molto chiara: «Anche per bloccare ogni tentativo di riportare la radicalità attraverso lo scontro di piazza come si chiede in alcuni settori dei Disobbedienti, si deve rafforzare la connessione tra il no alla guerra e il sì ai diritti».

Art.18, un'occasione

La strada si chiama nell'immediato referendum per l'estensione dell'articolo 18 e quello contro l'elettrosmog, che ha visto tutta la direzione nazionale, anche nei singoli interventi, ribadire il proprio impegno. «Il referendum - rilancia Paolo Ferrero - ha un valore costituente per costruire quello che abbiamo chiamato il nuovo movimento operaio. Si tratta di mettere insieme le diverse contraddizioni, per creare una soggettività anticapitalista». Sul quesito sull'elettrosmog si è soffermato Roberto Musacchio, ricordando che «oltre al valore in sé del referendum, è importante perché è sostenuto da comitati, condomini, gruppi di cittadini che si stanno mobilitando e che di per sé non sarebbero invece attenti all'articolo 18».

Cuba

L'intero dibattito è stato attraversato dal confronto sulla questione cubana. La posizione già espressa nei giorni scorsi da Bertinotti, che distingue tra il ribadire l'amicizia nei confronti di Cuba e la critica radicale contro l'uso della pena di morte e per la stretta repressiva contro i dissidenti, ha ricevuto alcune critiche. Il documento di Grassi, pur dando un giudizio negativo sull'esecuzione capitale, si è distinto sui dissidenti, la cui repressione andrebbe inquadrata in un quadro di guerra non dichiarata da parte degli Usa. Per l'area di Ferrando altra posizione. Se Anna Ceprano ha difeso la pena di morte, «perché può essere una misura necessaria alla rivoluzione», per Ferrando il problema di Cuba è un altro: il deficit di dittatura del proletariato. La posizione proposta dal segretario, che è diventata anche mozione del Prc in Parlamento, è stata quella sostenuta a maggioranza.

Ora la discussione passa al Comitato politico nazionale che si riunisce sabato e domenica a Roma.

Angela Azzaro
Roma, 30 aprile 2003
da "Liberazione"