Direzione nazionale di Rifondazione Comunista, Roma 28 aprile 2003

Il documento della minoranza di Ferrando

(respinto)

La sconfitta dell'Irak nella guerra appena conclusa ha rappresentato indubitabilmente un successo per l'imperialismo Usa e i suoi alleati. Tuttavia tale successo rimane incompleto e la vittoria imperialista - come evidenziato dagli avvenimenti in questi giorni - è lungi dall'essersi stabilizzata.

La Dn afferma la sua piena solidarietà con la lotta del popolo irakeno per il ritiro immediato di tute le truppe imperialiste dalla regione. Così come ritiene che nella guerra trascorsa fosse dovere delle forze del movimento operaio porsi sul terreno della difesa dell'Irak. Ciò da un punto di vista di classe e antimperialista autonomo, senza alcun sostegno politico al regime di Saddam Hussein, di cui anzi andava appoggiata la prospettiva di rovesciamento, ma da parte delle masse operaie e contadine irakene in piena indipendenza dall'imperialismo.

La scelta del passaggio dalla guerra indiretta (le sanzioni Onu con centinaia di migliaia di morti) alla guerra sul campo da parte dell'amministrazione Bush, è stata determinata da vari fattori.

Centrale tra questi certamente la questione del "petrolio", o per meglio dire del confronto delle fonti energetiche al fine di determinarne il più possibile strettamente il costo di produzione e di vendita nel mondo. Ma accanto ad essa - necessariamente presa a punto di riferimento nel movimento antibellico - vi sono altre motivazioni di fondo.

Vi è la volontà di ristabilizzare compiutamente il controllo del Medio Oriente. Ciò sia in relazione agli altri riottosi regimi della regione (Iran e Siria) sia rispetto alla fondamentale questione palestinese. Su tale terreno infatti l'imperialismo Usa, utilizzando la vittoria militare, sta cercando, dopo il fallimento anche a causa dell'Intifada degli ingannevoli "Accordi di Oslo", di trovare un nuovo e più lineare strumento per rendere definitiva una soluzione neo-coloniale contro il popolo palestinese.

Altro elemento non secondario della guerra è stato anche di fronte alla situazione economica degli Usa (e della Gran Bretagna) l'allettante prospettiva della ricostruzione dell'Irak con i conseguenti profitti. Tale questione è stata ed è apertamente elemento di dibattito interno alle varie potenze imperialiste e non è un caso che si preparino a fare la parte del leone, nella suddivisione degli appalti, le aziende che hanno sostenuto la campagna elettorale di Bush e che sono direttamente legate all'attuale gruppo dirigente dell'amministrazione di Washington.

Più in generale sul terreno economico questa guerra imperialista (come quelle che la hanno preceduta) è stata finalizzata anche al necessario sfogo per l'economia di guerra permanente che costituisce uno degli elementi centrali del capitalismo imperialistico moderno. Infatti, senza lo sviluppo senza precedenti delle spese militari (e le conseguenti successive ricadute sul terreno "civile") non sarebbe stato possibile lo sviluppo dell'epoca del boom e, soprattutto, oggi le conseguenze dell'attuale crisi economico-sociale capitalistica sarebbero più gravi. In questo senso "il capitalismo porta in sé la guerra come le nubi il temporale" (per usare una frase di Lenin) non solo come espressione delle sue contraddizioni strutturali, ma anche come necessità economica più immediata, per creare le opportunità di un nuovo sviluppo di queste forze di distruzione di massa.

Infine l'"ideologia" propria dell'amministrazione Bush, benché elemento subordinato, deve essere considerato come uno degli aspetti che determinano le sue linee decisionali. Nelle sue due componenti, quella religiosa-integralista (con il suo "Dio lo vuole") e quella laico-sionista (con il suo "la Storia lo vuole") l'amministrazione Bush esprime un approccio fondamentalista imperialista che rappresenta un salto di qualità rispetto al passato. Salto di qualità che sarebbe fuorviante inserire nello schema del "fascismo". Si tratta invece di individuare l'utilizzo da parte di queste forze dell'immenso potenziale tecnologico-militare e anche ideologico (qui con più difficoltà) centrato intorno ai tentativi di imposizione globale delle forme più ristrette e controllate della pseudo "democrazia" borghese sotto controllo dell'imperialismo dominante Usa e in funzione delle sue concezioni dell'economia, dei rapporti sociali, politici e civili. Quel "capitalismo compassionevole" basato sul liberismo (accompagnato da un qualche keynesismo militare e di sostegno alle lobby economiche amiche), in cui di "compassionevole" vi è solo l'utilizzo più aperto della violenza statuale militare, degli assassinii di massa o individuali, della tortura, delle privazioni dei diritti, della violazione delle norme, in nome della difesa di una pretesa "civiltà" imperialista in stile statunitense.

Tutte queste ragioni, maggiori o minori, della guerra devono essere inquadrate nell'ambito di una più generale ragione di fondo, che sta alla base del conflitto. Esso è lo stato contraddittorio di crisi del capitalismo derivante dalla sua incapacità di ristabilizzare un "nuovo ordine mondiale" dopo il venir meno nell'ultima fase del secolo scorso degli essenziali equilibri su cui si era basato il lungo periodo post-bellico (quello del "boom economico", del "keynesismo" con lo sviluppo del cosiddetto Welfare State, della decolonizzazione col il neocolonialismo, della "guerra fredda" con l'Urss). In particolare accanto alla fine della fase lunga dell'espansione post-bellica centrale è stato l'epocale fenomeno del crollo dell'Urss e degli Stati ad esso legati, con il conseguente caotico processo di reintroduzione del capitalismo. Il crollo dell'Urss ha indubbiamente rappresentato una grave sconfitta per il proletariato mondiale, perché al di là dei regimi totalitari burocratici che vi dominavano, paesi che erano fuoriusciti dal capitalismo sono stati reinseriti in esso e le conquiste sociali della rivoluzione sono state annullate. Tuttavia contrariamente alle aspettative e alle illusioni dei capitalisti e dei loro rappresentanti ideologici, tutto ciò non è servito a stabilizzare il quadro economico-sociale internazionale, la cui instabilità si è anzi da allora aggravata nonostante le indubbie sconfitte subite su vari terreni e su scala globale dal proletariato, in particolare negli anni Ottanta e nella prima metà degli anni Novanta. Da questo punto di vista le guerre degli ultimi dodici anni, a cominciare dalla prima guerra del Golfo del '91 (vera "guerra costituente" dell'attuale fase storica) sono state espressione del tentativo da parte dell'imperialismo, in primo luogo Usa, di stabilizzare la realtà globale sotto il proprio dominio (appunto il "nuovo ordine mondiale"). A tutt'oggi questo nuovo equilibrio non si è realizzato perché in realtà è la natura propria delle contraddizioni strutturali del sistema capitalistico e del suo modo di produzione che lo rendono impossibile; pur in un alternarsi di momenti di rottura e di riequilibrio che vanno colti.

E'in questo quadro che si approfondiscono anche le contraddizioni inter-imperialistiche. La contrapposizione di Francia, Germania e Russia alle scelte dell'amministrazione Bush esprime questa realtà di contrasti materiali e strategici tra "briganti imperialisti" (con la Russia che cerca faticosamente di trovare la via per uscire dal caos della fase di reintroduzione del capitalismo verso uno sviluppo in tal senso). Nulla quindi a che vedere con scelte "progressiste" o di "civiltà".

In questo senso è chiaro che i comunisti rigettano ogni ipotesi di "sostegno critico" alla nascente prospettiva di un imperialismo europeo (propria di Chirac, Prodi, Schroder), capace domani di contrapporsi per i propri interessi al dominante imperialismo Usa. Così come rifiutano di vedere come punto di riferimento l'Onu, anche "riformata". Le stesse contraddizioni di questa struttura nei confronti della guerra contro l'Irak non sono state che espressioni delle su ricordate contraddizioni interimperialistiche. Mentre in tutto il passato decennio, come nelle sua precedente storia, l'Onu si è rivelato uno strumento della peggiore politica imperialista in particolare decretando e organizzando le sanzioni economiche contro l'Irak che hanno provocato la morte per fame e malattie di un milione e mezzo di persone.

La Dn ritiene fondamentale che il movimento proletario, in Italia e nel mondo, mantenga la sua più completa autonomia di proposta e di progetto politico. La lotta contro l'imperialismo e il suo "disordine mondiale" impone la ricostruzione di una forza organizzata dell'avanguardia proletaria ugualmente mondiale; una Internazionale marxista rivoluzionaria conseguente.

La Dn del Prc si impegna in questa prospettiva perché tale Internazionale è strumento essenziale per sviluppare l'unica alternativa possibile alla realtà del capitalismo e alla sua crisi. Di fronte alla "guerra infinita" è tanto più necessario indicare la prospettiva al contempo difficile e necessaria della rivoluzione proletaria internazionale e dello sviluppo di una società socialista su scala mondiale, che sola potrà liberare l'umanità dalle guerre, dallo sfruttamento, dalla miseria e dalle infinite altre oppressioni dell'inaccettabile sistema sociale capitalista.

Importante è stato il pronunciamento netto del nostro partito contro la guerra così come l'impegno generoso di tanti compagni nel movimento.

Ma la politica di blocco col centrosinistra sul terreno dell'opposizione alla guerra, nella logica della sua "contaminazione" ha fallito. Ha fallito nei risultati annunciati a fronte della convergenza conclusiva del centro liberale con Berlusconi a sostegno della spedizione militare, in piena corrispondenza con la natura borghese del centro e la sua politica estera imperialista. Ma ha accompagnato anche la rinuncia, durante la guerra, ad una battaglia politica nel movimento: sul terreno delle sue forme di organizzazione, delle sue forme di lotta, della sua maturazione anticapitalistica e antimperialistica.

Più che mai oggi il rilancio necessario del movimento implica una battaglia aperta di indirizzo. E' necessario innanzitutto sviluppare nel movimento una battaglia politica aperta per liberarlo da ogni illusione sulla diplomazia borghese internazionale, affermarvi un indirizzo anti-capitalistico, legarlo alla classe operaia e all'egemonia delle sue ragioni sociali e di classe. Ma è necessario anche avanzare una precisa proposta di piattaforma d'azione per la continuità del movimento sul terreno dell'opposizione al colonialismo: a partire dal terreno dell'opposizione attiva al governo Berlusconi e all'imperialismo italiano. In questo senso si pongono alcune immediate necessità di proposta:

  1. promuovere e organizzare sulle basi di massa più larghe il boicottaggio attivo antimilitarista della spedizione italiana in Irak;
  2. denunciare gli interessi italiani nel grande businness della ricostruzione, nella spartizione petrolifera (Eni), nella produzione bellica, avanzando su questo terreno la rivendicazione della nazionalizzazione senza indennizzo di tutti gli interessi speculativi e guerrafondai;
  3. contrastare nel modo più netto la prospettiva dell'esercito europeo e del militarismo europeo entro una più generale opposizione allo sviluppo dell'imperialismo europeo.

Questa linea di indirizzo e di proposta implica una lotta aperta nel movimento per la sua piena autonomia dal centro liberale.

E questo a sua volta implica necessariamente una svolta politica di linea del Prc circa i propri rapporti col centro liberale dell'Ulivo quali si sono concretizzati con le commissioni paritetiche recentemente varate tra Prc e centrosinistra. Commissioni che vanno immediatamente revocate e azzerate.

Franco Grisolia, Marco Ferrando
Roma, 30 aprile 2003
da "Liberazione"