Direzione nazionale di Rifondazione Comunista, Roma 28 aprile 2003

Il documento della maggioranza

(approvato)

La Direzione Nazionale del Prc ribadisce la condanna intransigente per l’aggressione ed ora per l’occupazione militare dell’Iraq da parte della coalizione angloamericana. La guerra, nella sua fase più acuta, è finita, ma non è finita la guerra, sta piuttosto cambiando la modalità attraverso la quale essa si sviluppa.

Siamo preoccupati per il drammatico salto di qualità determinato dalla “dottrina Bush”, in altre parole della guerra preventiva.

Questo attacco è inscritto in una strategia imperiale ed è il prodotto più evidente della crisi del sistema della globalizzazione neoliberista. La globalizzazione neoliberista, di fronte alla crisi, non può essere più governata per consenso, com’è avvenuto nella fase ascendente, ma necessita della guerra globale permanente. La guerra infinita ed indefinita agisce come un colpo di stato permanente, una sovversione delle elite dominanti. Si è, di fatto, superata la dottrina del multilateralismo aggressivo di Clinton, che pure fu responsabile delle criminali guerre balcaniche, e si va oltre la strategia interventista di Reagan e Bush padre. Oggi l’amministrazione Bush vuole cambiare i rapporti di potere su scala planetaria, ma anche ridefinire concetti come quello di sovranità, democrazia e libertà. La peculiarità e pericolosità dei neoconservatori alla guida dell’amministrazione degli Usa non può sfuggire ad un’analisi attenta: si tratta di un impasto tra potenti lobbies, petrolifere e belliche, e una destra fondamentalista religiosa e millenarista, disposta a qualsiasi azione per garantire i propri interessi. I successi militari sono utilizzati per giustificare a posteriori la validità dell’azione bellica, anche se prevalgono in ogni caso gli interessi immediati, come la gestione della ricostruzione e il controllo delle risorse petrolifere affidati a multinazionali affidabili.

Allo stesso modo si è conseguito il risultato di un oscuramento e di un progressivo deterioramento della funzione politica dell’Onu. I contrasti nel Consiglio di Sicurezza precedenti alla guerra non si sono più esplicitati in sedi formali: non è stata convocata la seduta plenaria, non è stato convocato il Consiglio di Sicurezza, non si è considerata l’Onu come centro della ricostruzione post bellica.

L'analisi proposta dalle tesi approvate nell’ultimo congresso ci ha consentito di interpretare correttamente l’attuale fase e di rifuggire da inutili e dannose polemiche, come quella sulla durata della guerra. La guerra globale permanente, che porta dentro di sé lo scontro di civiltà, contribuisce a costituire una nuova forma di sovranità. Le contraddizioni forti che si sono registrate tra governi non possono essere confuse con uno scontro tra imperialismi: non siamo in una situazione analoga ai primi anni del Novecento che produceva la guerra tra Stati imperialisti. Oggi assistiamo alla crisi dello Stato Nazione ma non alla sua scomparsa. Questa crisi è in primo luogo determinata dalla globalizzazione neoliberista ma anche dalle nuove funzioni che assumono organismi di natura tecnocratica (come il G7 economico, il G8 politico, il Fmi, il Wto, ecc.) nella ridefinizione del dei poteri mondiali. Le forti contraddizioni sono quindi interne al sistema neocapitalista e sono emersi dei contrasti sul modo e sulle forme dello stesso processo neoliberista. Non è un caso che, dopo la presa di Baghdad, si sia riunito solo il G7 e che in quella sede si sia indicato nel Fmi un protagonista della “ricostruzione”. Così come evidenzia una contraddizione tutta interna anche l’invito della Cina al prossimo G8 di Evian, che la Francia non avrebbe concordato con gli Usa.

L’evoluzione della situazione in Iraq avrà gravi ripercussioni su tutto il quadrante mediorientale. Le continue accuse rivolte alla Siria e all’Iran, il mantenimento delle truppe d’occupazione in Iraq sono la concreta minaccia di estensione del conflitto. La questione kurda tende ad un peggioramento complessivo. In Palestina l’aggressione di Sharon è sempre più sistematica: dalla costruzione del muro nei territori occupati all’identificazione dei palestinesi come terroristi. In entrambi i casi è indubbio che il ruolo degli Usa tenderà a favorire i suoi storici alleati, Turchia e Israele.

La guerra globale porta con se il terrorismo, che ne costituisce una parte non meno feroce. Tuttavia l’uso della categoria terrorismo ha assunto connotati strumentali ai fini della dottrina Bush: l’indeterminazione del nemico (individuazione di decine di Stati Canaglia), tesi di aggressione indimostrate (Saddam come Bin Laden), crisi del diritto (a Guantanamo ci sono terroristi e non meritano nessuna tutela, negli Usa si fanno arresti privi di garanzie processuali e così via), crescita del razzismo (tutti gli arabi sono potenzialmente terroristi, leggi xenofobe, ecc.).

Abbiamo detto della crisi profonda dell’Onu, ma anche l’Ue è fortemente provata dal dispiegamento della guerra globale permanente. Berlusconi ha contribuito ad evidenziare la rottura del patto tra i fondatori dell’Ue e, insieme ad Aznar e Blair, a dispiegare un’alleanza filostatunitense. Berlusconi ha mentito quando ha parlato di non belligeranza (come dimostra il caso Sismi), ha contribuito a violare la Costituzione concedendo basi, spazio aereo ed oggi inviando truppe (pur nella forma ambigua dell’operazione umanitaria). Per L’Europa sarà ancora di più centrale il ruolo della Nato allargata, sia per la politica di difesa che per il significato politico dell’alleanza. Per questo ci opporremo con ancora più forza alla Nato ed alla presenza sul nostro territorio delle sue basi militari oltre a quelle Usa. Intanto sarà decisiva la partita aperta sulla Difesa Europea, così come è proposta nella Convenzione. Si tratta di esprimere una netta contrarietà ad un’ipotesi di Esercito Europeo e di valutare questo progetto in uno schema costituzionale che, esplicitamente, recepisca la Carta della Nazioni Unite e molte Costituzioni Nazionali che “ripudiano la guerra”.

Il prossimo semestre europeo, con la presidenza Berlusconi, sarà assolutamente decisivo: allargamento dell’Unione; varo della Convenzione Europea; crisi politica post bellica e tentativi di ricucire gli strappi tra i paesi filoamericani e l’asse franco-tedesco; interventi contro la spesa sociale, a partire dalle riforme pensionistiche. Per il nostro partito sarà un momento decisivo per le mobilitazioni e le proposte politiche alternative da contrapporre alla linea interpretata da Berlusconi, oltre ad essere il periodo di preparazione delle prossime elezioni europee. In questo senso l’agenda del movimento scandisce gli appuntamenti di contestazione (Salonicco a giugno e Roma a dicembre, in coincidenza con i vertici dell’Unione) e quelli di costruzione di un progetto alternativo (in primo luogo il Forum Sociale Europeo a St. Deny).

Proprio L’Europa potrebbe e dovrebbe costituire un’alternativa di modello sociale e politico agli Stati Uniti, ma ciò potrebbe accadere solo se l’Ue diventasse un soggetto politico da costruire ex novo. Per realizzare tale prospettiva dovrebbero essere sconfitte le attuali tendenze filostatunitensi, maggioritarie nei governi continentali, ed imporsi un progetto di società maturato dal basso.

E’ proprio il movimento per la pace che costituisce la più rilevante novità positiva di questa fase. Pur avendo subito lo scacco della guerra, il movimento attuale ha saputo trascendere la sconfitta subita per confermarsi come l’elemento più coeso e coerente nella lotta per la pace e per un’alternativa di società. Anche in questo caso le scelte operate al congresso ci hanno consentito una piena partecipazione al movimento, che per altro conferma le sue caratteristiche mondiali e di opposizione al modello sociale che produce la guerra.

Il movimento che si è opposto alla guerra ha avuto indubbiamente caratteristiche peculiari nelle diverse aree del pianeta. Nell’area Mediorientale, e più in generale nei paesi islamici, c’è stata una presa di posizione dei governi che non hanno avallato l’intervento angloamericano proprio per non subire la contestazione radicale di ampie fasce della società di quei paesi. Pur non essendo in presenza di un movimento dal profilo politico ben definito, è molto interessante cercare di comprendere quanto sta accadendo nelle società islamiche.

Negli Stati Uniti ed in Europa si è sviluppato il movimento più consapevole ed esteso contro la guerra. Le manifestazioni del 12 aprile, che si sono tenute in varie città del mondo, pur tenendosi a pochi giorni dalla caduta del regime di Saddam, sono state un successo ed hanno posto le basi per un rilancio del movimento.

Abbiamo visto molte mobilitazioni contro la guerra, in particolare negli Usa, molto represse. Crediamo che, a guerra finita, si cercherà una normalizzazione del dissenso interno. Dall’uso massiccio dei mezzi di informazione alla repressione puntuale degli elementi più radicali dell’opposizione, si accrediterà la tesi di “intelligenza con il nemico” per chiunque continui a dissentire ed ad opporsi alla guerra. Non è da escludere che si utilizzi, per organizzazioni islamiche e per settori radicali del movimento antiglobalizzazione, l’esplicito teorema della contiguità ai fenomeni terroristi.

Tra le campagne repressive che si attivano all’indomani del conflitto un posto di rilievo è occupato dall’azione intimidatoria degli Usa nei confronti di molti paesi Latinoamericani, che per la stragrande maggioranza si sono espressi contro la guerra preventiva. Gli Usa potrebbero decidere di intervenire direttamente in Colombia, di appoggiare nuovamente i tentativi golpisti in Venezuela, di inasprire le sanzioni verso Cuba. Questa prospettiva ci preoccupa e per questo intensificheremo la nostra azione politica in difesa delle conquiste democratiche raggiunte in quel continente.

Intendiamo tuttavia distinguere la nostra amicizia, solidarietà e sostegno nei confronti di Cuba dalla netta condanna per le esecuzioni e per la stretta repressiva contro la dissidenza interna. Sappiamo dell’ignobile accerchiamento cui è sottoposta Cuba, delle detenzioni illegali di cinque patrioti cubani negli Usa, della violazione della sovranità e dei diritti umani a Guantanamo e contestiamo duramente tutto ciò. Eppure non troviamo giustificazioni per i recenti accadimenti nell’isola, anzi siamo persuasi che essi siano in contraddizione con i progressi della rivoluzione in questi anni. Auspichiamo che la nostra critica fraterna, insieme ad una maggiore intensità di rapporti, possa contribuire a mutare alcuni orientamenti: dall’abolizione della pena di morte, che ovviamente chiediamo sia abolita ovunque sia applicata. , fino ad una diversa gestione del rapporto con l’opposizione interna.

In Italia il movimento ha avuto la capacità di esprimersi con grande consapevolezza, unità e forza. Ovviamente tale percorso avrebbe potuto trovare una maggiore efficacia se le organizzazioni sindacali avessero convocato lo sciopero generale in Italia ed in Europa. Così non è stato, nonostante il generoso tentativo dei sindacati di base, ma non per questo le mobilitazioni, gli atti di disobbedienza, le testimonianze individuali e l’opinione pubblica diffusa sono state meno importanti. Basti osservare la permanenza dei drappi della pace che ormai sono divenute ben più di un simbolo episodico di opposizione, ma stanno ad indicare una profonda coscienza del rifiuto della guerra da parte di larghi strati della popolazione.

Il movimento ha segnato profondamente il dibattito politico nel nostro paese. Il centrosinistra, verso il quale abbiamo operato una costante pratica unitaria e critica, non ha retto alle sue contraddizioni interne e, non a caso, si è trovato unito solo nell’occasione in cui ha accettato di sostenere una mozione comune con noi. Lo sviluppo del conflitto e la sua conclusione hanno invece fatto registrare un mutamento di posizione delle forze del Centrosinistra. Ciò riguarda sia il tentativo di recuperare un rapporto con Blair che una cultura politica specifica, che è quella di adattarsi alla politica dei fatti compiuti e di avere la presunzione di poterli influenzare ex post. Sull’invio dei tremila militari in Iraq la maggioranza del Centrosinistra ha accettato che vi fosse una interpretazione umanitaria dell’intervento, ritornando a quella che lo portò a partecipare entusiasticamente alla “guerra umanitaria” in Kossovo.

La questione degli aiuti umanitari è invece di rilevanza assoluta nel prosieguo dello stesso movimento che si è opposto alla guerra. La maggioranza delle organizzazioni di cooperazione e di solidarietà hanno rifiutato la logica di una nuova missione Arcobaleno in Iraq e si è costituito un Tavolo della solidarietà, che dovrebbe avere un ruolo fondamentale nella promozione di cooperazione dal basso e nella realizzazione di scambi tra il movimento pacifista e parti significative della società irakena, similmente a quanto accaduto con altre esperienze in Palestina e Kurdistan con Action for Peace. In tale contesto sarà necessario riprendere le azioni di sostegno alle rivendicazioni kurde, palestinesi e del popolo sahrawi, attraverso iniziative di carattere politico, istituzionale e di movimento.

Il movimento ha saputo offrire spazi di nuova democrazia e non solo essere uno strumento di pressione verso le sfere istituzionali. E’ il caso delle pratiche di disobbedienza che, grazie in primo luogo al lavoro politico ed organizzativo dei Disobbedienti, sono diventate un fenomeno diffuso, una contestazione diretta all’ordine della guerra. Le azioni di disobbedienza si sono confermate come una ricerca costante di sviluppo del concetto di conflitto e consenso, in altre parole di una pratica che svelasse e ribaltasse verso chi fa la guerra i concetti di illegalità ed illegittimità. La pratica dell’obiettivo (dalla contestazione delle basi militari al trainstopping), pur scontando alcuni limiti, ha dischiuso possibilità nuove d’azione contro la società della guerra: la disobbedienza nonviolenta è stata percepita come replicabile e generalizzabile.

Inoltre c’è stata la compresenza di esperienze di matrice diversa che hanno saputo mantenere una relazione profonda con tutte le anime del movimento. In particolare le continue prese di posizione del Papa, le campagne di boicottaggio e di disobbedienza civile della rete Lilliputh e di organizzazioni come i “Beati i costruttori di pace”, la partecipazione di aree storicamente più moderate come le Acli alle manifestazioni pacifiste, sono state parte fondamentale nel costruire una consapevolezza comune di rifiuto della guerra per tutto il movimento.

La ripresa del movimento per la pace può avvenire solo ampliando la sua contestazione alla sfera sociale. Le radici profonde dell’attuale movimento pacifista sono a Seattle, Genova, Porto Alegre e Firenze. Non è vero che il movimento pacifista nasce da una contestazione agli obiettivi più evanescenti della lotta noglobal (contro il Wto, l’Fmi, il G8 ecc. ) ma, al contrario, da una loro valorizzazione. Per questo l’agenda del movimento, dalla contestazione del G8 ad Evian a quella del Wto a Cancuun, è un elemento imprescindibile per noi. Del resto non aderiamo a nessuna tesi frontista o neocampista: non ci basta aver registrato le contraddizioni interne ai G8 o quelle nel Wto per attenuare la nostra critica a queste nuove forme tecnocratiche di governo mondiale, rivolgendo la nostra opposizione solo contro il governo degli Stati Uniti. Sarebbe un passo indietro clamoroso e impedirebbe anche di comprendere la natura profonda degli intrecci di potere esistenti tra le elités mondiali, a partire ovviamente dall’amministrazione Bush che contrasteremo sempre più fortemente.

In conclusione, le esperienze di questi mesi, pur improntate alla ricerca della massima unità nel movimento, evidenziano quanto sia urgente proporre una concreta strategia che attivi una sinistra alternativa in Italia ed in Europa. Ci sono oggettivamente spazi politici, vista la crisi irreversibile delle proposte neoriformiste, e soggettività sociali, interne al percorso del movimento, che consentono di avanzare nel lavoro fin qui svolto. In Europa investendo sempre più sulla costituzione di un partito della sinistra alternativa continentale e sul piano nazionale, nel pieno della crisi strategica del centrosinistra, promuovendo al massimo le sinergie sociali e politiche che sappiano parlare di una società effettivamente alternativa.

Fausto Bertinotti, Paolo Ferrero, Loredana Fraleone, Gennaro Migliore, Patrizia Sentinelli, Stefano Zuccherini
Roma, 30 aprile 2003
da "Liberazione"