Direzione nazionale di Rifondazione Comunista, Roma 28 aprile 2003

Il movimento contro la guerra

Sintesi della relazione iniziale

La conclusione della fase più acuta della guerra ci pone di fronte alla necessità di un'analisi e di una proposta. Vorrei proporre una chiave di lettura e un punto di osservazione. La chiave di lettura è relativa allo sviluppo, della dottrina Bush. Il punto di osservazione invece è quello del movimento di opposizione alla guerra. E' indubbio che la guerra preventiva ha conseguito alcuni successi parziali, mentre il movimento non è riuscito a fermare la guerra.

Ovviamente non è una situazione definita, anzi l'instabilità domina la fase attuale. La tesi che propongo è che l'instabilità prodotta da questa guerra non sia facilmente governabile. In questo senso il movimento, sottolineando l'instabilità crescente, è riuscito a trascendere il senso di sconfitta maturata dopo l'esito della guerra. Il movimento non si era posto l'obiettivo di parteggiare militarmente per il regime di Saddam e quindi non ha fatto l'errore di scommettere sulla guerra lunga, dando piuttosto una lettura di questa guerra come globale e permanente. Non è un caso che continui l'esposizione dei drappi iridati della pace. Sono convinto inoltre che sia stata una risorsa essenziale per il movimento pacifista l'essere legato a doppio filo al movimento antiglobalizzazione, leggendo la profonda connessione esistente tra guerra e neoliberismo.

Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno ottenuto effettivamente una facile vittoria militare e i primi risultati si vedono. Innanzitutto il controllo delle risorse petrolifere. Un altro risultato immediato è quello del business legato alla ricostruzione. Non a caso non è stato previsto nessun coinvolgimento dell'Onu nella ricostruzione, cosa che invece era avvenuta in altri conflitti non autorizzati dall'Onu, per esempio la guerra del Kossovo. E' importante comprendere che uno degli obiettivi della guerra era di contribuire ulteriormente all'esautoramento delle Nazioni Unite. L'Ue stessa è stata messa a dura prova manifestando evidenti contraddizioni al suo interno. Queste contraddizioni sono determinate dalla volontà unipolare statunitense.

In questo senso le élite dirigenti al potere negli Usa hanno proposto un'accelerazione nella riorganizzazione del potere mondiale, che prende la forma quasi di un colpo di stato nella globalizzazione neocapitalista. Sarà utile fare un'analisi più approfondita dei neoconservatori di Bush, che sono l' espressione di un'alleanza tra i settori più conservatori e più aggressivi delle lobby militari e petrolifere e una tendenza fondamentalista e millenarista che propone la guerra di civiltà.

Le contraddizioni che si sono espresse tra Francia, Russia e Cina e Stati Uniti sono relative ad una differente interpretazione del governo della globalizzazione: la scelta è tra l'unilateralismo e la multipolarità. Ma non credo che si possa parlare di contraddizioni fra imperialismi anche perché queste dovrebbero sfociare in guerre tra stati capitalisti. Dal punto di vista dei neoconservatori questa accelerazione non è prodotta solo per una volontà di potenza, ma anche perché essa è la risposta che dà la parte più forte del potere mondiale alla crisi della globalizzazione, che non può essere più governata per consenso. Per questo motivo penso che si possa parlare di una crisi della sovranità e quindi distinguere quella che è stata una fase di espansione della globalizzazione, fino al 2000, quando l'economia era sostanzialmente vista come una governance e dal punto di vista militare si applicava una dottrina più orientata a un multilateralismo aggressivo, che prevedeva l'utilizzo della Nato (vedi Balcani). In questa fase di crisi della globalizzazione invece, sono più evidenti le forme aggressive. Sul piano economico si può parlare di un legame diretto tra i governi e le multinazionali, mentre dal punto di vista politico militare si applica la strategia che gli Usa hanno scritto nel documento sulla sicurezza nazionale, che prevedeva l'unilateralismo e la guerra preventiva. C'è stata davvero utile l'interpretazione di questa fase fatta nelle tesi congressuali, soprattutto perché in queste c'era un'analisi processuale che non avanzava una teoria compiuta.

A questo punto si potrebbe fare una domanda provocatoria: gli Usa vinceranno? L'intervento unilaterale ha prodotto un disordine tale che questa domanda non ha in sé una risposta certa, anche se ciò dischiude una potenzialità rivoluzionaria per il movimento. Mi pare comunque che l'amministrazione statunitense non faccia i conti con alcune delle contraddizioni più profonde che la sua politica genera: basti guardare ciò che sta accadendo con l'occupazione dell'Iraq, dagli sciiti al rifiuto popolare dell'invasore. O più in generale sugli effetti di questa guerra preventiva nelle opinioni pubbliche arabe.

Uno degli elementi più pericolosi che sono insiti in questa guerra globale è quello dello scontro di civiltà. La guerra al terrorismo è stata utilizzata in maniera strumentale degli Stati Uniti. Esso propone una serie di giustificazioni, come quella del presunto legame di Saddam con le reti terroristiche, ma anche un fronte interno stimolando la xenofobia, la privazione di diritti per coloro i quali vengono indicati come terroristi (vedi Guantanamo). Lo scontro di civiltà non è casuale ma è stato consapevolmente scelto dall'amministrazione Bush.

Non modifichiamo il nostro giudizio sul terrorismo, che riteniamo l'altra faccia della guerra, non meno feroce, ma l'interpretazione che si è data della guerra al terrorismo sarà utilizzata soprattutto per reprimere più o meno esplicitamente il dissenso interno.

Il movimento ci ha insegnato a non essere schiacciato nella logica di una replica militare all'evento, cosa che ha fatto invece il centrosinistra che così si è frantumato. Per rispondere alle sollecitazioni dominanti prima hanno difeso le ragioni della pace e poi hanno inseguito Blair. I problemi sono aumentati fino al punto della differenziazione sul voto della mozione sull'invio di 3mila carabinieri in Iraq. Si è data così una mano a Berlusconi.

Anche nel caso della scelta di internità al movimento la nostra analisi congressuale è stata utile. Siamo stati dentro questo movimento, lo abbiamo considerarlo il nostro orizzonte politico principale. In Italia il movimento può essere considerato, almeno nelle sue modalità organizzative, figlio di Genova. Le strutture portanti di questo movimento, cioè i sindacati, la rete dei cattolici, l'associazionismo e la sinistra radicale in particolare con il Prc e i disobbedienti, sono stati elementi fondanti di questa capacità di reggere lo scontro in una fase politica molto complicata. Questa articolazione ha creato un effetto moltiplicatore della sua capacità attrattiva sia verso la base dell'Ulivo, sia verso aree alternative non organizzate. Anche le azioni più dirette come quella del trainstopping, hanno costituito una possibilità di estensione e generalizzazione delle pratiche di lotta.

Il movimento ha una doppio canale di sviluppo. Il primo è dato dall'approfondire l'opposizione alla guerra e all'ordine della guerra, riprendendo per esempio le campagne di solidarietà e sostegno alla Palestina e al Kurdistan, ragionando insieme al Tavolo della solidarietà sui canali alternativi per gli aiuti umanitari, continuando la contestazione contro le basi Nato e Usa.

Il secondo canale è quello dell'estensione dell'opposizione al sistema della guerra denunciando le compromissioni tra guerra e neoliberismo. Per quanto ci riguarda la nostra azione dalla battaglia referendaria verrà un contributo importante alla lotta sociale nel nostro paese. Dobbiamo riprendere la questione di un diverso modello di sviluppo e ricostruire una coscienza ambientalista. E poi l'Europa. L'agenda è dettata: Salonicco come chiusura del semestre greco, Roma a chiusura del semestre italiano, e Parigi col Forum sociale europeo, tre tappe di mobilitazione, di riflessione e di azione. Nel prossimo semestre la presidenza Berlusconi sarà un fatto importante non solo nel nostro paese, ma anche per il ruolo che sta avendo Berlusconi nel quadro delle alleanze europee. Penso che guardare agli assi fondamentali di riorganizzazione dell'Europa: in particolare la Convenzione, il modello di difesa europeo, l'allargamento dell'Unione e il nuovo ruolo della Nato.

Contrastare le privatizzazioni, impedire le riforme delle pensioni, riprendere una politica a fianco dei migranti, ribadire la richiesta di sospensione dell'accordo tra Unione europea e Israele per quello che sta avvenendo in Palestina Sulla sinistra alternativa è aperta una possibilità, anche se soggettivamente alcune delle proposte che avanziamo sono immature. Oggettivamente credo che vi sia una crisi del neoriformismo: la guerra ha creato un corto circuito tra l'élite di comando e l'economia, e quindi non esistono terze vie, come si dimostra in Argentina, dove tornano i peggiori peronisti come Menem.

Alcuni dei segnali che ci vengono dal movimento e nel movimenti ci ispirano fiducia rispetto all'investire in queste nuove potenze democratiche e quindi al perseguimento di una sinistra alternativa. In Europa stiamo avanzando la proposta di un partito europeo. Dobbiamo anche puntare ad un rapporto più stretto con la sponda sud del Mediterraneo.

In Italia vista la difficoltà di incontro tra strutture organizzate sarà bene investire più che sui coordinamenti sulle reti. Stiamo contribuendo a realizzare esperienze significative: Transform, Global Tv, il forum ambientalista, i disobbedienti.

In conclusione vorrei confermare la distinzione tra il carattere di amicizia e di sostegno all'esperienza rivoluzionaria di Cuba con la critica e la condanna per le esecuzioni che sono state realizzate e per la stretta contro la dissidenza. Abbiamo espresso la nostra critica ed i compagni cubani non l'hanno confusa con le strumentalizzazioni di questi giorni. Essa è tuttavia necessaria per noi stessi, per la nostra cultura politica e per non rinunciare mai ad esprimere il senso profondo che diamo alla parola Rivoluzione.

Gennaro Migliore
Roma, 30 aprile 2003
da "Liberazione"