Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista

Interventi N - R

Roma, 28 - 29 giugno 2003

Francesco Nappo (Federazione Napoli)

La sconfitta di una battaglia politica non decide, di per sé, della sua giustezza. Solo un cieco pragmatismo può ritenere che è vero solo ciò che riesce. Tutto ciò, naturalmente, non autorizza alcun avventurismo e non esime dalla responsabilità. Essa ha animato i nostri militanti e dirigenti in questa campagna referendaria. Sapevamo che era una lotta giusta e ardua, speravamo in un risultato migliore, ma nessuno si è fatto stolte illusioni. Contro di noi, infatti, stava la coalizione quasi completa del ceto politico allargato e degli interessi capitalistici della società civile, con noi buona parte della base sociale del centrosinistra, come il risultato dimostra. Se la Cgil esprimesse l'autonomia di classe e, per questo, una direzione comunista, non si sarebbe, probabilmente, arrivati al referendum. Ma non è così e, a lungo, non sarà così. Da qui per noi un compito eminentemente rifondativo: innovare organizzazione e pratica dall'interno della composizione politica di classe in tutta la sua estensione, nelle lotte e culture trasformative che attraversano il processo produttivo e quello riproduttivo, di fronte ad una crisi del capitalismo mondiale che, ancora una volta, non si manifesta come crollo economico ma come comando politico dello sfruttamento e guerra. Ciò non significa che la contesa referendaria sia da vedere come una sorta di supplenza rivendicativa impropria. Al contrario, dobbiamo difendere la natura politica del nostro referendum: né surrogato di azione sindacale, né sussulto eticista. Dobbiamo anzi chiarire il carattere responsabile ed unitario e la valenza riformatrice della battaglia. L'estensione dell'articolo 18 è stato un tentativo di rovesciare una tendenza generale di politica economica, non una fuga in avanti di egualitarismo estremistico. Dovevamo, forse, dire più nettamente che l'estensione dell'articolo 18 era un obiettivo di lotta giusto perché univa sociale e politico sotto due aspetti rilevantissimi: 1) la diffusione di capacità contrattuale in tutte le imprese; 2) un punto d'inversione nelle relazioni di classe e produttive, contro la deregolazione del mercato e la compressione del salario. Due problemi strategici che restano aperti, resi sempre più attuali dalla crisi capitalistica, anche grazie al nostro referendum.

Marco Nesci (Resp. Dip. Riforme dello Stato)

Condivido la relazione di Bertinotti e le indicazioni politiche in essa contenute. Sul referendum non condivido il catastrofismo sull'esito, qui argomentato da taluni compagni, e giudico assurdo parlare della sua utilità. Undici milioni di voti sono il 37% dei voti validi del 2001, cioè il primo partito e per di più esprimono una radicalità che non si può non vedere. Evidente che spostano l'asse della politica su cui lo stesso centrosinistra dovrà riflettere. Ovvio che rispetto all'obiettivo di una estensione immediata dei diritti abbiamo perso, ma sul piano politico no, tutt'altro. Come spiegare se no che 790mila voti alle liste che hanno sostenuto Gasparra a Presidente della Provincia a Roma sono stati uno straordinario successo mentre invece 805mila Sì al referendum sull'art. 18, sempre nella stessa provincia di Roma, sono una sonora sconfitta? Ho l'impressione che sia schizofrenia politica. Trovo sbagliata l'analisi secondo cui non capitalizziamo, in termini di voti, il dispiegarsi del movimento. E' un ragionamento elettoralistico che non vede quali potenzialità esprima, in direzione di un cambiamento, la rottura dell'egemonia culturale liberista prodotta dal movimento. Tali affermazioni andrebbero suffragate da vere indagini sui flussi elettorali che, al contrario, dalle prime indicazioni sembrano andare in tutt'altra direzione. La stessa analisi del voto sulle elezioni amministrative, anche se corretta, mi sembra parziale e riduttiva, chiusa dentro una logica premiale dello "stare dentro" piuttosto che fuori. In realtà: a) il sistema bipolare è certamente penalizzante; b) tale sistema premia il partito più forte della coalizione; c) il carattere locale muove elettoralmente ampie fasce di elettori dentro un ambito di voto di scambio e clientelare. In questo senso mi pare sbagliato dire che eventuali buoni programmi concordati siano sufficienti ad ottenere risultati elettorali apprezzabili. Il metodo del confronto deve pertanto partire subito con un allargamento alla partecipazione attiva di quei soggetti sociali e di movimento che possono, insieme ad un nostro diverso atteggiamento nell'operare all'interno delle istituzioni, diventare il sistema che rende efficace e realizzabile quella "pratica dell'obiettivo".

Alfio (Nicotra)

Non dobbiamo disperdere la ricchezza del fronte referendario. La scelta di grandi organizzazioni, Cgil ed Arci segnatamente, di rompere la "disciplina ulivista" e di battersi per il Si all'art. 18, è un risultato frutto dello spostamento culturale e politico operato dal "movimento dei movimenti" ed in particolare da quello della pace. Se è stato giusto riconoscere senza troppi infingimenti la sconfitta, in particolare per non essere stati capaci di uno sfondamento con il sentire profondo del Paese, non dobbiamo dimenticare che i dieci milioni e mezzo di Si, sono poco meno dei voti ottenuti dal referendum antiproporzionale del 2000, che pure godeva di ottima stampa e di un consenso generalizzato di larga parte delle forze politiche. Attenti inoltre a dare una lettura di "crisi" del movimento attraverso le lenti interpretative del novecento. La crisi del pensiero unico del mercato e l'incapacità del partito della guerra di tornare ad essere maggioranza nell'opinione pubblica, segnalano un potenziale enorme sul quale possiamo ragionevolmente pensare ad un rilancio del movimento stesso. La mobilitazione contro il round del WTO a Cancun sarà occasione per far capire ancora una volta non solo che il movimento non smobilita, ma che permangono le sue caratteristiche strutturali: essere di dimensione planetaria e radicale nei propri contenuti. Mi convince la proposta di Bertinotti di tasformare la nostra altrimenti rituale manifestazione di fine estate, in una unitaria delle forze antiliberiste e di collegarla alla questione sociale europea. Ha tanto più senso questa proposta se la si vede nell'ottica del Forum Sociale Europeo di Parigi del novembre prossimo. Dobbiamo far si che come l'opposizione alla guerra funzionò da traino alla manifestazione del Forum di Firenze, le questioni sociali (no alla precarietà ed alla controriforma delle pensioni etc.) diventino la parola d'ordine di una grande manifestazione continentale da tenersi nella capitale francese.

Vito Nocera (Segretario regionale della Campania)

Il risultato referendario va indagato nelle sue cause strutturali: le difficili connessioni tra i movimenti rinascenti, la insufficiente relazione tra la proposta e i soggetti cui si è rivolta, la difficoltà nel prodursi di quella egemonia più larga che abbiamo sperato potesse essere aiutata dalla forza di penetrazione di cui sulla pace si era dimostrato capace il movimento. E però abbiamo illuminato una zona d'ombra, messo al centro del paese la questione cruciale del lavoro, dei suoi diritti, della sua precarietà, della sua nuova composizione. Ripartire da quegli 11 milioni di voti non è un appello reducista ma l'idea di investire su una possibilità. Lo studio del "Cattaneo" ci aiuta a indagare la composizione sociale del sì. Il fatto che le regioni che hanno portato al voto le percentuali più alta di chi nel 2001 aveva votato centrosinistra e Prc siano nell'ordine Sicilia, Lazio e Campania ci dice che forse il referendum ha avuto una sua capacità di parlare a fasce di precariato, di lavoro atipico di varia natura, di disoccupati. In Campania il Centrosinistra e Prc nel 2001 raccolsero 1.300.000 voti, lo schieramento referendario ha portato al voto per il SI quasi un milione di persone. Sconfitta sì, ma qui parliamo di tali proporzioni di massa mai impattate prima dal nostro partito. Per questo la sconfitta può aprire un ciclo di lotta di massa alla precarietà del lavoro e di tutti i rapporti sociali. Un patrimonio che può pesare sugli orientamenti del Centrosinistra che se non si è rotto appare però carico di contraddizioni e di domande critiche. Una radicalità programmatica può provare a spostarne gli indirizzi in un confronto che faccia pesare i movimenti. Per questa impresa è indispensabile l'innovazione politica e l'autoriforma del partito. Non una destrutturazione del partito come si teme e si è temuto, ma un tentativo di sua ramificazione: associazioni, organizzazioni collaterali,. Siamo a un tratto decisivo del passaggio dal modello fordista-keynesiano a uno più centrato sulla precarietà del lavoro e su una produzione che non crea più essa stessa il suo mercato e ha il passo rapido di chi consuma e brucia in fretta le occasioni di profitto. E' questo che produce il movimento, l'abbozzo di una nuova composizione di classe che ci costringe a misurare, nel cuore di questo nuovo modello del capitalismo la sfida della costruzione del partito.

Rosa Palumbo (Federazione di Salerno)

L'esito del referendum ci induce a fare delle considerazioni di fondo sullo stato del partito e del movimento e sugli obiettivi di medio e lungo termine. Innanzitutto il risultato del referendum mette impietosamente a nudo i rapporti di forza reali tra le classi sociali e la condizione di minoranza per un altro mondo possibile. La sconfitta c'è stata e non basta appellarsi ai milioni di voti ottenuti, ma d'altra parte la battaglia del referendum era da giocarsi fino in fondo per un motivo ben preciso: il movimento chiede uno sbocco e un risultato sia pure parziale di modifica dello stato di cose presenti. La campagna referendaria è servita come strumento dell'unità di classe e la costruzione sui territori di politiche concrete della sinistra alternativa. Ora però bisogna riprendere la direzione verso il conseguimento di risultati concreti e di vertenze soprattutto nelle realtà locali: in primo piano c'è la richiesta di reddito dei soggetti sociali precari e l'apertura di spazi liberati che portino anche al rafforzamento del contropotere diffuso che esprime il movimento. La centralità dello sviluppo del movimento e delle vittorie concrete di questo richiede dunque l'estendersi del conflitto sociale e della sedimentazione sul territorio di esso. La disobbedienza ha fatto da "password" per l'allargamento del conflitto, la sua riproduzione diffusa e soprattutto per la capacità di rompere la passività sociale e per dare parola ai soggetti che non chiedono rappresentanza novecentesca, ma la possibilità di agire direttamente e di autorganizzarsi. In questo senso l'utilità sociale del partito si situa nella sua capacità di moltiplicatore del conflitto: per questo l'innovazione e la realizzazione delle linee congressuali sono il punto centrale del futuro.

Gianluigi Pegolo (Direzione nazionale)

Ho apprezzato la relazione del segretario a partire dalla proposta politica che la caratterizza. La costruzione dell'alternativa al governo delle destre costituisce una oggettiva necessità e non solo per la pericolosità, dal punto di vista democratico e sociale, di tale governo, ma anche per la presenza di una spinta di massa all'unità delle forze di opposizione che non possiamo assolutamente sottovalutare. In questo contesto le difficoltà nascono, da un lato, dalla necessità di promuovere un salto di qualità nella battaglia di opposizione e, dall'altro, di superare la considerevole distanza programmatica che esiste fra noi e il centro sinistra. Partiamo da una condizione di difficoltà oggettiva. L'esito negativo del referendum è preoccupante in quanto rischia di ripercuotersi sui soggetti che l'hanno promosso. Inoltre, la sostanziale tenuta di Rifondazione comunista nelle elezioni amministrative deve tuttavia fare i conti con l'ulteriore rafforzamento della sinistra moderata. Per ribaltare la situazione non resta che accumulare forze al fine di rilanciare un'iniziativa sociale efficace e di modificare i rapporti di forza a sinistra. Di qui l'utilità di ripartire dagli 11 milioni di sì facendo delle forze che hanno concorso a questo risultato l'embrione di una sinistra di alternativa plurale e non minoritaria. I terreni di impegno sui quali cimentarsi sono, da un lato, la costruzione di una efficace opposizione sociale a partire da alcune grandi questioni (legge 30, pensioni, salario) e, dall'altro, l'apertura di un confronto con il centro sinistra per supportare tale opposizione e in prospettiva definire un programma di governo alternativo. Su quest'ultimo punto, tuttavia, dobbiamo essere chiari. Un'intesa politico-programmatica con le forze dell'Ulivo, operazione tutt'altro che facile, deve essere il risultato di un confronto serio su contenuti rilevanti in un rapporto con l'iniziativa di massa. Tutto meno che un approccio politicista e minimalista. Infine, sul ruolo del partito non vi sono difficoltà ad assumere la sfida dell'innovazione ma in primo luogo occorre disporre di una verifica circa l'esito delle proposte a suo tempo avanzate nelle conferenze di Chianciano e, in secondo luogo, anche per rifuggire dai rischi di uno sterile nuovismo, dovremmo partire dal superamento di limiti anche recentemente individuati.

Iris Pezzali (Federazione Cremona)

Voglio iniziare dalla questione del partito. Sono decenni, anni che sento parlare di innovazione. Nella storia prima del PCI, per quanto mi riguarda, e poi qui. Il mio particolare approccio a questa parola "innovazione" è d'insofferenza autentica. Come lo è "conservazione" e tutto l'armamentario di parole che attengono ad una struttura culturale e concettuale che non è la mia di comunista. Decenni di innovatori e innovazioni delle "forme della politica organizzata di massa" hanno prodotto nel migliore dei casi la distruzione della partecipazione e hanno lasciato intatte le dinamiche interne più conservatrici e perciò più deleterie per lo sviluppo di una pratica effettivamente democratica. Che occorra ragionare sulla salute di questo partito è fuori dubbio. Vorrei si facesse tale lavoro partendo da un'impostazione nuova rispetto al passato: capire, discutere e ragionare su cosa sia per ognuno di noi "l'organizzazione del movimento reale che rivoluziona lo stato di cose presenti". Mi sembra una lente ottimale per mettere a fuoco le questioni in un momento così particolare e difficile in cui un po' ci siamo cacciati anche da soli. In sostanza dobbiamo ripartire dalla scelta originaria di dare vita a questo partito, ragionare sulla questione che allora ponemmo al centro: la sua autonomia culturale, politica, organizzativa. Occorre un nuovo congresso? No. Credo che l'innovazione vera consista nell'imparare la capacità del confronto e di ascolto. Vedo troppi "maestri" in giro, dentro e fuori il partito, dentro e fuori i movimenti: potremmo ricominciare ad essere "alunni" della realtà che è si complessa, ma non conosce scorciatoie o velleità di sorta.

Nicoletta Pirotta (Segreteria regionale Lombardia)

Credo che vada tenuta in considerazione oltre alla categoria della precarietà anche quella della militarizzazione della società e delle coscienze. Intendo per militarizzazione non solo il consolidamento degli insediamenti militari sul territorio, l'aumento della produzione e del commercio di armi e delle spese militari (a scapito delle spese sociali con il conseguente aumento di precarietà) la proposta di dare vita ad un esercito europeo, ma soprattutto l'applicazione del "militare" al "sociale" e cioè la criminalizzazione del conflitto, le risposte autoritarie e antidemocratiche ad esso (si vedano gli esempi in Perù e in Francia), il controllo invasivo dei soggetti considerati "socialmente pericolosi" perché (il "Patriot act" approvato negli Usa per es.). Sul binomio precarietà/militarizzazione sarà opportuno costruire iniziative concrete in grado di far convergere quanti più soggetti possibili per tenere aperti spazi di conflittualità sociale, partecipazione e mobilitazione. A partire dai dieci milioni di persone che hanno votato Si ai referendum (sconfitte ma non eliminate!). Sul rapporto con il centro sinistra io la vedo così: la modalità attraverso la quale costruire relazioni in grado di produrre possibili accordi è quella della "costruzione di movimento": individuare obiettivi praticabili sui temi della pace, del lavoro, dei diritti, aprire una positiva conflittualità sociale, far convergere il maggior numero possibile di soggettività sociali e politiche. A mio avviso, è nella materialità dei processi che si creano le condizioni di possibili accordi. Il nostro partito dovrebbe essere in grado di svolgere un ruolo significativo e visibile. Una opportunità in questo senso, per es, ce la offre il percorso iniziato il mese scorso nel seminario femminista di Firenze(in preparazione del Forum europeo di Parigi) dove donne diverse per età, provenienze, appartenenze sociali e politiche hanno convenuto di lavorare insieme sui temi legati alle condizioni

Patrizia Poselli (Federazione di Genova)

Condivido la relazione del segretario: se il referendum è stato una sconfitta per quanto riguarda la capacità di spostare in modo più favorevole i rapporti sociali tra le classi del nostro Paese, non lo è stato dal punto di vista della capacità di aggregazione di forze sociali attorno ad un progetto di alternativa. Infatti sia il più importante sindacato della classe operaia italiana, la Cgil, che la più grande organizzazione di massa, l'Arci, pur in presenza di un pronunciamento contrario della stragrande maggioranza del centrosinistra, hanno aderito in maniera convinta alla battaglia referendaria, lavorando con i nostri circoli e con i nostri bravissimi Gc. Questo patrimonio di aggregazione è importante: con l'ultimo pronunciamento il Cpf di Genova ha proposto di aprire una riflessione comune ed un confronto sugli esiti del referendum e sulle prospettive di organizzazione di una forte opposizione sociale proprio a quei soggetti, collettivi e no, che con noi hanno combattuto sui territori e sui luoghi di lavoro in difesa dei diritti e dell'ambiente. Dobbiamo saper interloquire con quella parte dell'elettorato del centrosinistra che esprime una domanda di trasformazione sociale ben più radicale delle forze che poi sostiene e vota, rompendo la contraddizione tra il risultato elettorale, sempre più favorevole al maggioritario, e le politiche delle forze del centrosinistra arretrate e subalterne alle dottrine neoliberiste. Capiamoci: un conto è dire che il referendum è stato perso perché non ha raggiunto il quorum, altro conto è dire che non avremmo dovuto farlo! Interroghiamoci anche sul perché abbiamo perso voti nelle ultime elezioni: ma nelle amministrazioni in cui governiamo come ci comportiamo? Riusciamo a colmare il gap tra elaborazione di idee, costruzione di alleanze e concretizzazione degli obiettivi di classe o, per lo meno, di tenuta? Dobbiamo saper sostanziare la nostra opposizione alle politiche neoliberiste e sconiugarla con le lotte che nascono dai territori e dai posti di lavoro, ovunque sia possibile allargando al massimo la partecipazione. E' il vero spirito di PortoAlegre.

Raffaello Renzacci (Direttivo nazionale Cgil)

Abbiamo tentato, con il referendum sull'articolo 18, di fermare la controriforma sul mercato del lavoro costruita dal governo e dalla Confindustria. In questo abbiamo mancato l'obiettivo, ma la sconfitta del referendum non significa che questo tentativo fosse sbagliato. Purtroppo anche la mobilitazione costruita finora dalla Cgil non ha ottenuto i risultati auspicati, anzi il decreto attuativo della legge 30 si presenta come un tentativo di radicalizzare l'attacco ai diritti. Se la difficoltà a raggiungere risultati fosse la prova di un'impostazione sbagliata, allora avrebbero ragione Cisl e Uil e torto la Cgil. Il decreto attuativo della legge 30 concretizza gli obiettivi di frantumare il mondo del lavoro, di privatizzare la gestione del mercato del lavoro, di cancellare la rappresentanza collettiva dei lavoratori. Siamo di fronte a un tentativo di controriforma del complesso delle relazioni sociali del nostro paese. In questo quadro, la tentazione, presente in larghi settori della Cgil e del centrosinistra, di prendere tempo e affidare la possibilità di rivincita sulla politica sociale di Berlusconi alle elezioni del 2006, è totalmente illusoria. Se non fossimo in grado, nei prossimi due anni, di bloccare e invertire i tentativi di precarizzare il mondo del lavoro e individualizzare le relazioni sociali, la possibilità della sconfitta elettorale di Berlusconi rischia di trasformarsi in miraggio. L'estensione del movimento che abbiamo conosciuto negli ultimi anni rischia una crisi di risultati. La mobilitazione, la lotta, la partecipazione si affermano nel senso comune delle persone solo se, infine, raggiungono risultati, anche parzialissimi. La Fiom, con la scelta di aprire vertenze aziendali per la conquista del contratto nazionale, si sta ponendo con responsabilità, questo problema. La necessità di strappare risultati è il problema che ha la Cgil, che ha il movimento dei social forum e che abbiamo noi.

Mario Ricci (Segretario Regionale della Toscana)

Il maggioritario e il bipolarismo rappresentano un micidiale meccanismo per le forze che si collocano fuori da questa cultura binaria; la grande spinta di opposizione al governo Berlusconi pone una forte domanda di unità che va raccolta criticamente, senza farsi risucchiare nella cultura del maggioritario e del bipolarismo; il movimento è il "crogiuolo" per una ripartenza nel lavoro di ricomposizione fra politica e società e per sviluppare relazioni e connessioni fra le molteplici figure sociali drammaticamente devastate dalle politiche neoliberiste, a cominciare dal mondo del lavoro. Dentro questo percorso-processo io vedo delle insidie, ma non penso che le scorciatoie di segno diverso ed opposto consentano al Movimento e al Prc di stare saldamente in campo e guadagnare terreni più avanzati nella costruzione dell'alternativa di società. La rottura degli schemi politicisti e la ricostruzione di più efficaci e diffuse relazioni sociali passano per un progressivo accumulo di pratiche e di comunicazione fra molti soggetti. Mai come oggi si coniugano strettamente le prospettive del Prc con quelle del Movimento. Completamente fuorviante, perciò, è l'interrogativo abbastanza diffuso nel Partito: alleanze sì, alleanze no? Preferisco parlare di sfida al centrosinistra, che può produrre risultati importanti anche ai fini delle alleanze, se questa sfida si svolge tenendo ferme tre direttrici: • partecipazione attiva a questo nuovo corso politico-sociale di tutte le soggettività del Movimento; • rendere sempre più visibile nella pratica sociale e nella concreta alternatività alla società capitalistica che centrosinistra e Rifondazione comunista sono due cose diverse e distinte • il messaggio di unità contro Berlusconi e le destre, che il variegato popolo di sinistra ci ha inviato, deve divenire la leva per una qualificazione di metodo e di contenuto nel confronto fra le opposizioni, al fine di costruire con la innovazione programmatica una risposta alla domanda di cambiamento del Movimento e della grande stagione di lotte operaie e popolari, scivolo vero per realizzare un governo alternativo alle destre in Italia e in Europa.

Franco Russo (Forum ambientalista)

Nessuno ha messo in discussione la scelta di raccogliere le firme e andare ai referendum, tranne Ferrari, che ha parlato di strategia politica sbagliata. Ha omesso però il dato politico più rilevante: Sergio Cofferati, che, dapprima ha interpretato i referendum come un elemento di rottura verso la strategia dei diritti della CGIL e poi come un attacco politico a lui, ha legittimato l'astensione 'coprendo' la scelta di Fassino di schierare i Ds con il governo e la Confindustria. Cofferati si è così suicidato politicamente: da potenziale leader dell'Ulivo rinnovato a candidato sindaco di Bologna. Rifondazione, pur evidenziando la mancanza di possibilità riformiste nel capitalismo globalizzato, aveva visto in Cofferati l'esponente della "terza sinistra" del partito del lavoro: Cofferati l'ha uccisa. E' alle relazioni quotidiane nel movimento che si deve l'interlocuzione di Rifondazione con Cgil, sindacalismo di base, Arci, social forum che hanno condiviso la mobilitazione contro la guerra e la battaglia referendaria. Nella relazione con il centro-sinistra va rotto il rapporto a due (Ulivo-Rifondazione) e impostandolo come un rapporto tra molti, in cui siano coinvolti movimenti e organizzazioni nazionali. Il trattato costituzionale struttura in Europa un potere ademocratico, al di là del costituzionalismo che cancella diritti e democrazia: siamo alla costituzione octroyée. Il movimento propone un percorso per giungere a dicembre agli Stati generali dell'altra Europa, in cui affermare carte di principi espressive della sovranità delle/i cittadine/i, la pace, l'eguaglianza e la differenza di genere, i diritti sociali, la cittadinanza cosmopolita. A un potere senza costituzionalismo possiamo rispondere con la costruzione con un costituzionalismo europeo senza Stato.

Giovanni Russo Spena (Vice capogruppo Camera)

Siamo di fronte ad un mutamento di fase, anche se non è cambiato completamente il ciclo storico. Ha ragione Bertinotti: si pone a noi un problema strategico di ricollocazione del partito; il processo per l'alternativa non può che crescere e districarsi "dentro" e "contro" l'alternanza. Non sarà un processo facile, né dall'esito scontato. Se lo vivessimo con una cultura frontista, come esito obbligato del maggioritario, indotti dalla spinta di massa che crescerà (nei mesi precedenti le elezioni politiche) di unità a qualsiasi costo per cacciare Berlusconi, diventeremmo forza marginale (che vale solo per il cinque per cento della sua cifra elettorale). Va, invece, tenuto fermo il binomio unità/radicalità, che tiene al centro del confronto i movimenti, i sindacati classisti, l'associazionismo (un confronto tra molti attori). E, come con i referendum, dobbiamo costruire piattaforme di lotta che penetrino nel corpo sociale dell'Ulivo disarticolandone le propensioni liberiste. Tentiamo di far vivere, nella nuova fase i comitati per il Sì come fondamento della sinistra alternativa europea.

Redazione di Liberazione
Roma, 28 giugno 2003
da "Liberazione" (del 3 luglio 2003)