Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista

Interventi S - Z

Roma, 28 - 29 giugno 2003

Licia Sema (Federazione di Trieste)

In merito alla relazione di Bertinotti, bene la sintesi e ottima la professione unitaria. La situazione politica vede un successo del centrosinistra nel suo complesso e dei Ds in particolare: bisogna vedere dove i Ds hanno recuperato, perché sarebbe uno scherzo del destino se due anni di lotte e di opposizione al governo in carica si fossero tradotte in un loro rafforzamento. Occorre poi analizzare le ragioni del successo dell’Udc in Sicilia, e le motivazioni dell’alzata di scudi della Lega, tenendo conto anche dello stretto legame fra Bossi a Tremonti che rimanda a un certo modo di concepire la politica economica italiana, e in particolare all’insistito richiamo agli investimenti in opere pubbliche associato alla riduzione dello stato sociale. Sull’art. 18 non siamo riusciti a far diventare senso comune una battaglia giusta: i numeri dicono che il 75% degli italiani ha giudicato irrilevante o addirittura nocivo estendere un diritto a chi ha un lavoro precario. L’indagine sulle cause della sconfitta deve andare avanti, ma intanto bisogna prepararsi alle nuove battaglie, e farlo bene, con idee chiare e non con decisioni assunte sotto la spinta di qualche urgenza dell’ultimo minuto. L’apertura al centrosinistra ci consente un periodo sufficientemente lungo per raggiungere accordi qualificati che tengano conto delle nostre priorità: lavoro, pace, art. 11 della Costituzione, welfare, pensioni, educazione pubblica, servizio sanitario nazionale. Se il referendum ha dimostrato i limiti di un piccolo partito del 5% è anche vero che si è trattato di una prova di orgoglio per questo partito che comunque ha mobilitato il 25% dell’elettorato. Le lamentele sulla mancanza di innovazione (nessuno ha mai spiegato quali siano queste innovazioni...) non tengono conto che il partito ha dato quello che ha potuto. Per il resto occorre perfezionare la nostra capacità di interpretare la fase politica ed economica che è contemporaneamente nazionale, europea e internazionale. n Patrizia Sentinelli Segreteria nazionale La fase che viviamo, la proposta e il complesso dell’iniziativa che proponiamo richiede - ritengo più di altri momenti - un di più di consapevolezza del Partito. Una proiezione esterna convinta. Una soggettività motivata. Dunque un Partito diverso, attraversato da esperienze di innovazione, capace di esprimere il sentimento proprio di una comunità non identitaria né autoreferenziale. Non occorre un Partito unito apparentemente, per tattica di fase. Serve riconoscersi attorno ad un lavoro concreto, a un fare, ad una vertenza da animare, a una lotta da sostenere. Quindi conquistare una sintonia di movimento nella relazione con e nelle sue articolate pratiche e mobilitazioni. Il movimento è destinato a durare. E’ globale. Non tornerò su questo punto analizzato altre volte. Mi interessa segnalare l’importanza che esso ha nella trasformazione sociale. Nell’incedere muta i rapporti di forza e ricostruisce il soggetto sociale scomposto dal neo liberismo. (Bene perciò tutte quelle esperienze come quelle dei giovani comuniste/i e i disobbedienti che vanno in questa direzione). Anche la sconfitta referendaria va letta dentro questo quadro, non di chiusura ma di apertura dinamica di un ciclo. Perciò le forze organizzate, le singole persone che hanno dato vita alla campagna referendaria non vanno disperse. Vanno tenute insieme dentro a iniziative di scopo per far crescere l’opposizione sociale. Serve, pur tuttavia, un di più di proposta dello stesso movimento, a cui noi - parte interna - possiamo concorrere con una piattaforma per l’autunno (Europa, salario, pensioni, precarietà, scuola, stato sociale). E porre il problema tra movimento e politica. C’è il rischio di un correre parallelo tra l’esperienza sociale e quella politica. E’ un rischio da superare attraverso le nuove forme e le nuove modalità di relazione politica che proprio il movimento ha invocato e evocato. Il confronto programmatico con le forze del centro sinistra che proponiamo risponde a questa domanda anche di unità che irrompe, intessuta però strettamente alla definizione di contenuti alternativi. Non c’è solo l’ipotesi di un tempo a venire (il 2006), c’è un durante, quello che viviamo. E’ quello che dobbiamo riempire di lotte, opposizione e di sfida programmatica

Ilaria Sorrentino (Federazione di Novara)

Pur concordando a grandi linee con la relazione del segretario, occorre, secondo me, puntualizzare alcune cose. Sulla questione della sconfitta referendaria, serve una severa analisi sul perché il salto di qualità del partito non ci sia stato, sul perché il consenso della piazza non si traduca poi in voto, se non in una bassa percentuale. Andiamo oltre all’oscurantismo dei mass media, all’invito all’astensione dei partiti non solo di maggioranza perché i conti non tornano comunque. Se la positività del referendum è stata quella di mettere al centro la questione lavoro/diritti, bisogna ragionare su come si è posto finora il partito, e non solo, rispetto a quella che dovrebbe essere la nostra classe di riferimento. Mi riferisco alla Cgil e anche alla stessa Fiom. E’ ancora debole la nostra influenza tra i lavoratori, nelle aziende. Non mi sembra come ha detto anche il segretario, che la pratica della sola disobbedienza ha dato buoni frutti, visto che ci siamo fermati a termini imerese! Serve un percorso che sia di indagine. Indaghiamo su quanti tra gli iscritti nei circoli sono lavoratori, operai e non. Indaghiamo su chi e come il partito ha investito e speso negli ultimi due anni per capire il perché del nostro radicamento sociale così debole. Altrimenti continueremo ad avere una linea strategica che non dà risultati. E da qui ripartire insieme a tutte le forze che con noi hanno lavorato, i comitati per il Sì, incentrando la nostra iniziativa politica nei prossimi mesi, anche perché il governo incalza a ritmi paurosi, e sta rendendo la questione del lavoro una vera e propria macelleria. Sulle pensioni, sulla precarietà, sulle questioni salariali, che mi sembrano di primaria importanza. E’ di oggi un articolo apparso su “Liberazione” di una pensionata che non arriva a fine mese con 1.250 euro: ci sono milioni di lavoratori e pensionati che ne prendono la metà e non sono ancora attrezzati per i miracoli. E’ con il “fronte referendario” che dobbiamo cercare un percorso di unità e per fare questo dobbiamo essere in grado di dare una chiara indicazione politica, perché non mi sembra che si siano risolte le contraddizioni soprattutto sul piano delle politiche economiche all’interno del centro sinistra.

Bruno Steri (Federazione di Roma)

I risultati delle recenti consultazioni elettorali e l’esito del voto referendario ripropongono alla nostra riflessione un’irrisolta contraddizione tra il potenziale politico contenuto nelle scelte fondamentali del nostro partito – la coerente opposizione alla guerra, la battaglia contro la dilagante precarizzazione, per la difesa e l’estensione dei diritti del lavoro – e il modesto consenso che attorno ad esse riusciamo a concretizzare. Chi in questi mesi ha instancabilmente operato nei territori e nei luoghi di lavoro non ha certamente sottovalutato il valore della nostra presenza all’interno dei Comitati contro la guerra e il carattere propulsivo e di classe delle aggregazioni costituitesi (seppure in modo disomogeneo) nel corso della campagna referendaria: è anche e soprattutto grazie all’apporto delle nostre compagne e dei nostri compagni se, nel vivo di un’azione di massa, sono state riannodate relazioni sociali e riavviate preziose interlocuzioni sindacali. Resta tuttavia il dato generale di un insufficiente grado di affidabilità del nostro partito, che a sua volta rinvia, da un lato, al problema di una capacità di insediamento sociale ancora troppo fragile e, dall’altro, ad una proposta politico-programmatica non sufficientemente articolata e troppo spesso afflitta da applicazioni discontinue e dall’assenza di risultati. Torna quindi in evidenza il tema dell’efficacia della nostra azione. E’ evidente la necessità di non disperdere ed anzi valorizzare le risorse espresse dal fronte del Sì referendario: occorre ripartire da lì, per resistere ai contraccolpi della sconfitta e reimpostare attorno a pochi ma pregnanti obiettivi l’opposizione dura nei confronti del Centrodestra. Dalla forza con cui si saprà dispiegare tale intransigente opposizione, da condurre nelle istituzioni e nelle piazze, potrà scaturire la coerenza di un confronto programmatico con il Centrosinistra. Che dovrà tenere conto dei contenuti espressi dai poderosi movimenti di massa sviluppatisi nel nostro paese: l’intangibilità dell’art.11 della Costituzione, l’estensione dei diritti dei lavoratori, la salvaguardia e la qualificazione dei servizi pubblici, la difesa degli spazi di democrazia e partecipazione (a cominciare dalla revisione del meccanismo elettorale).

Silvana Stumpo (Federazione Cosenza)

Care/i compagne/i, l’esito non positivo del referendum ci suggerisce un’analisi da riprendere ed approfondire, tuttavia sento il bisogno di ringraziare tutte/i le compagne/i che si sono impegnati con generosità senza risparmio di energia. Vanno sicuramente valorizzate le relazioni stabilite con spezzoni importanti del mondo della sinistra sindacale ed associativa, Fiom, Arci, Cgil ecc., che prefigurano in embrione un mutamento dei rapporti di forza all’interno del centrosinistra. Sul dato amministrativo registriamo una sostanziale tenuta con il segnale inequivocabile di un parziale avanzamento laddove prevalgono nel partito le propensioni unitarie. Va analizzato il largo consenso ottenuto dai Ds pur lontani dal movimento e soltanto negli ultimi tempi, e non senza lacerazioni interni al movimento per la pace. Molto probabilmente godono di una rendita di posizione all’interno del sindacato e, sicuramente di un radicamento capillare sul territorio nazionale. Pur sottolineando la ricchezza di dibattito apportata dal movimento nell’agenda politica, vanno colti i limiti e le traiettorie non uniformi proprie del movimento. La stessa “pratica” della disobbedienza seguita con interesse da segmenti importanti del nostro partito, non ha prodotto risultati significativi ed apprezzabili. Molto probabilmente dovremmo recuperare la vecchia “pratica” dell’obiettivo, che in un contesto dominato da un sistema elettorale maggioritario inserito in un sociale polverizzato, che verticalizza il sistema di costruzione del consenso, il perseguimento di un maggiore radicamento del partito, della verifica costante del lavoro svolto, di un maggiore insediamento nei luoghi di lavoro, dovrebbe essere oggetto di riflessione da apportare nella costruzione della prossima conferenza del partito. Infine ritengo utile e necessario coinvolgere tutta la base degli iscritti e militanti del partito in vista della conferenza: partito, società e movimento.

Giuseppina Tedde (Direzione nazionale)

Il negativo esito del referendum sull’articolo 18, a fronte di una giusta battaglia, e la sostanziale tenuta del partito alle elezioni amministrative, ci impongono una attenta analisi e una adeguata risposta politica. I risultati ottenuti ci sottolineano la necessità di mettere in campo una proposta programmatica per le problematiche che evidenziano l’impoverimento sempre maggiore delle classi meno abbienti e il rischio di povertà che lambisce sempre più settori finora esenti (ceto medio del lavoro dipendente). E’ d’obbligo per noi creare un programma politico che cerchi di dare soluzioni vere e praticabili a questioni come la difesa: dei salari, delle pensioni, dello stato sociale. E’ chiaro quindi che per alleanze future non si può prescindere da un terreno di confronto su questioni per noi irrinunciabili. Se non c’è condivisione su temi come salari, pensioni, stato sociale, immigrazione, privatizzazioni risulta incomprensibile per qualsiasi militante o elettore di Rifondazione capire Il binomio unità e radicalità. Per questo, ma non solo, è necessario rilanciare e rafforzare il ruolo del partito. Da troppi settori sociali vengono poste domande a cui le forze politiche sono chiamate a rispondere: se il nostro partito sarà in grado di costruire una proposta politica chiara e condivisa (giusto quindi mantenere in piedi i comitati per il Sì) su tematiche come quelle su esposte, può cominciare ad essere visto come punto di riferimento sociale credibile e cominciare a raccogliere, anche in termini di voti, ciò che gli spetta.

Francesco Turano (Federazione di Cosenza)

Desidero associarmi a quanti hanno voluto esprimere apprezzamento e soddisfazione per il lavoro di migliaia di compagni/e che in questi mesi hanno dato gambe alle iniziative promosse dal Partito. Guardando i dati elettorali, sia delle amministrative che dei referendum, emerge che il risultato elettorale è direttamente proporzionale alla presenza e al radicamento del Partito sul territorio. Questo ci indica che le uniche forze su cui possiamo contare sono quelle dei nostri militanti. Dove c’è il Partito ci sono i risultati, dove il Partito non c’è i risultati sono più scarsi. Il voto dei referendum è stato al di sotto delle aspettative. Bisogna rifletter e indagare questo dato. Dobbiamo capire perché non siamo stati in grado di trasmettere alla gente, specie al Sud, il valore dei quesiti referendari. Il Partito ha tenuto, invece, nelle amministrative. Ha pagato, come sempre, il lavoro dei compagni, ma ha pagato forse anche la politica delle alleanze. Anche per il futuro, credo sia necessario cogliere la domanda assai diffusa nel popolo della sinistra dell’unità di un centrosinistra allargato. Dobbiamo mettere al primo punto della nostra agenda politica la lotta al Governo delle destre e la costruzione dell’alternativa ad esso. Dobbiamo essere in grado di costruire una nuova interlocuzione con le forze del centrosinistra, rompere lo schema tradizionale, coinvolgendo il mondo del sindacato, dell’associazionismo, dei movimenti, della società dei bisogni, ottenere delle garanzie sia sul piano politico che programmatico; candidarci ad essere l’elemento qualificante della coalizione. Mi sta bene, dunque, riprendere il binomio unità/radicalità. Credo però che un “rapporto privilegiato” Rifondazione debba averlo con quella sinistra che è stata al nostro fianco nella fase referendaria. Con le grandi associazioni di massa come la FIOM, la CGIL e l’ARCI, con i Sindacati di base, i Movimenti, ma anche, nelle realtà territoriali, con i tanti compagni di base che hanno disobbedito al vertice DS andando a votare Si. Ritengo che il Partito debba fare uno sforzo per puntare più che sull’innovazione, termine assai adoperato in questa fase, ma del quale personalmente non ho ancora compreso il significato reale, sul proprio radicamento e rafforzamento, innanzitutto incrementando la sua presenza nei luoghi del conflitto. Bisogna, dunque, ripartire dal consolidamento del Partito e dalla costruzione di un nuovo blocco sociale antagonista. Infine, care/i compagne/i, voglio ringraziare il Presidente per l’invito rivoltomi, che sono onorato di accogliere, e che, tra l’altro, mi da anche la opportunità di partecipare alla manifestazione di pomeriggio in difesa del popolo cubano.

Franco Turigliatto (Direzione Nazionale)

Il dibattito sul dopo referendum ha conosciuto una evoluzione positiva, superando parecchi elementi di politicismo presenti agli inizi e mettendo al centro della riflessione la costruzione della opposizione sociale e politica e valorizzando il rapporto unitario di lavoro con le forze che già si sono mosse in una dinamica antiliberista. Lo scenario è molto difficile segnato dalle sconfitte subite dalla classe, da norme legislative del mercato del lavoro (e altro) dirompenti per l’unità e la forza dei lavoratori, dalla difficoltà ad avere un quadro militante ed attivo sia nei luoghi di lavoro e più in generale nei movimenti in grado di ricostruire un forte conflitto e per questa via favorire una polarizzazione sull’intera società. Ma non si può non ripartire dalla frattura sociale, da quei 10 milioni e mezzo che hanno sostenuto il si, una minoranza potenzialmente attiva per costruire una nuova piattaforma di lotta che leghi insieme pensioni, precarietà, salario, lotta contro la legge 30 e 348 bis e alle politiche padronali e del governo Berlusconi, che faccia riconoscere tra loro i diversi settori sociali e costituisca un momento unitario e mobilitante. Costruiamo una prima manifestazione in autunno, non autoreferenziale, ma preparata e partecipata da tutti questi soggetti. E’ sulla base di questi contenuti che si va a vedere le disponibilità delle forze del centro sinistra di impegnarsi veramente nella lotta al governo Berlusconi, l’unica strada per avere delle chances di batterlo. La mancanza di risultati sul terreno delle lotte alimenta a livello di massa il desiderio di una soluzione politica e la richiesta della “unità”. Di tutto questo occorre tenere conto sapendo che nella scadenza elettorale nazionale forme di convergenza per battere Berlusconi saranno necessarie, ma avendo molto chiaro nello stesso tempo che con le forze dominanti del centro sinistra (reduci da una totale convergenza, da un blocco socio-politico con le forze padronali e del centro destra contro una misura concretamente antiliberista come era l’estensione dei diritti dell’art.18) non solo esiste una divergenza strategica ma che si collocano nel quadro politico sociale della globalizzazione capitalistica, e quindi dentro una gestione dello stato e dell’economia ad essa funzionale. Come ha già detto D’Alema: “questo non è negoziabile”. Per questo non ha alcun senso ipotizzare forme di governo di nostra corresponsabilizzazione, quanto invece costruire i momenti di unità concreti di mobilitazione di massa capace di determinare una vera crisi del centro destra, mantenendo la barra della alternativa. Un percorso difficile su cui occorre preparare e costruire il partito.

Piero Valleise (Segretario regionale Valle d’Aosta)

Inizio con una riflessione e chiudo con una proposta. La sconfitta dei referendum ed il risultato delle amministrative hanno fiaccato il partito rendendolo fragile nei confronti della sinistra moderata che cresce. La difficoltà è amplificata da un congresso che sembra non finire. Colgo oggi un nuovo atteggiamento positivo del gruppo dirigente. Nella storia del PRC questa è la fase in cui è più debole la nostra presenza nella classe, questo accade mentre Arci e Cgil mettono in discussione il collateralismo con i Ds, fatto che rischiamo di non riuscire a sfruttare. In un momento di apertura al centrosinistra che condivido e che va giocata “imperativamente” sui contenuti e senza fretta, questa difficoltà va sciolta. I nodi del nostro malessere vanno scoperti con analisi e inchiesta. La proposta di un convegno di studio, di sintesi, non come continuazione del congresso, mi pare giusta. Ci sono aree in cui non siamo efficaci a causa della mancanza di strutture, materiale, funzionari. Paghiamo queste situazioni. Siamo noi a scuotere gli alberi e gli altri a raccogliere i frutti. Serve una mappa per rinforzare le realtà disagiate e consolidare quelle che rischiano ritardi. Le campagne del partito senza articolazioni territoriali non incidono. Salta il binomio radicalità/unità. Vorrei che la Direzione in tale senso valutasse la proposta di tre riunioni, nord, sud, centro per valutare progetti di radicamento/innovazione.

Redazione di Liberazione
Roma, 28 giugno 2003
da "Liberazione" (del 3 luglio 2003)