Comitato politico nazionale di Rifondazione Comunista
Roma, 6 - 7 Marzo 2004

L'impresa politica della rifondazione comunista

Sintesi della relazione del Segretario nazionale

Anche da questo CPN, nel quale come è prevedibile si confronteranno opzioni tra loro differenti e alternative, deve venire un appello alle compagne e ai compagni del partito, in tutte le sue articolazioni, per una partecipazione impegnata, al di là dei dissensi su questioni di merito pur importantissime, alla impresa politica che Rifondazione Comunista va dispiegando, sulla base della condivisione di fondo di questa impresa che è quella della rinascita di una prospettiva comunista.

Questa impresa ha l'obiettivo dell'attualizzazione del comunismo nell'Italia e nel mondo di questo nuovo millennio. Una riattualizzazione del comunismo che non vogliamo praticare nella sfera separata autoreferenzialità ma camminando con altri, con un codice interno che è quello del rapporto centrale con i movimenti.

Dobbiamo dare atto di una difficoltà cui le compagne e i compagni sono sottoposti.

Nella ricerca che abbiamo iniziato a compiere abbiamo guadagnato obiettivamente un interesse e un'attenzione importanti ma, in alcuni casi, siamo premuti da interpretazioni esterne fuorvianti e il Partito tutto è sottoposto a queste interpretazioni.

Vi sono anche letture interne che tendono a suscitare paure invece che a produrre razionalità politica, anche qualche volta con accenti e toni incompatibili con l'appartenenza a una comunità condivisa.

Il nostro compito, quello cui tutto il gruppo dirigente è chiamato, consiste, al contrario, nel rendere nitido il senso della nostra ricerca. A partire dall'altezza dell'ambizione che ci proponiamo (la riattualizzazione del comunismo) e la difficoltà del percorso, la sproporzione esistente tra l'ordine di questa ricerca e la debolezza delle nostre risorse individuali e collettive.

Crediamo, però, che l'analisi che abbiamo cominciato a compiere della globalizzazione capitalistica, che con un ossimoro abbiamo definito rivoluzione restauratrice e il suo esito estremo del neoliberismo e della guerra, e la crescita dei movimenti di contestazione di questa globalizzazione, riattualizzino il grande tema della trasformazione, ovvero della rivoluzione.

Anche con una punta di orgoglio, possiamo riconoscere che qui da noi, anche e soprattutto in forza di questa nostra originale ricerca, è in discussione non solo il tema del passato del comunismo ma quello della sua attualità, ovvero del presente e del futuro del comunismo.

Una innovazione di sinistra

Non dobbiamo farci ipnotizzare dal passato recente. Abbiamo alle spalle venticinque anni nei quali, nei partiti della sinistra e nel movimento operaio, innovazione ha significato una deriva moderata. Innovare ha significato passare dall'idea della trasformazione a quella della governabilità, dalla prospettiva dell'alternativa alla pratica dell'alternanza. Una innovazione figlia di una sconfitta storica che, sbagliando, ha assunto in sé le ragioni di quella sconfitta.

Oggi, questo è il senso della nostra iniziativa, siamo al cammino contrario, ci proponiamo cioè, un'innovazione come uscita da sinistra, con una riscoperta della radicalità sulla base della rinascita dei movimenti e dei conflitti. Per questo, la paura dell'innovazione, sulla base delle esperienze del passato recente, va bandita.

La storia migliore del movimento operaio e del Partito Comunista Italiano è stata proprio nella capacità di determinare delle discontinuità per essere all'altezza delle sfide che la fase nuova determinava.

Abbiamo, quindi, dato avvio a una ricerca nuova che sta dentro a un percorso della rifondazione che già avuto tappe importanti. Possiamo definire questa una ricerca neoidentitaria per ridare senso generale e attuale al termine comunista.

La scelta della nonviolenza

In questo percorso, abbiamo incontrato la nonviolenza. Questo tema non lo abbiamo creato noi, lo ha posto la crescita dei movimenti e dei pensieri critici della globalizzazione neoliberista. Noi lo abbiamo assunto come un asse della nostra ricerca neoidentitaria.

In questo dibattito, abbiamo incontrato tante altre elaborazioni e tanti incoraggiamenti.

Colgo qui anche l'occasione per ringraziare pubblicamente l'interesse e il contributo importante che un grande dirigente del movimento comunista come Ingrao ha voluto dare a questo nostro sforzo.

La nonviolenza non si pone come una nuova ideologia totalizzante, come un corpo dogmatico con il quale giudicare la storia e il mondo. Tutto il contrario, si pone, oggi, come una prospettiva per ridare senso a una ipotesi di trasformazione.

La nonviolenza è l'idea della partecipazione di massa al processo della trasformazione sociale, è l'idea della contestazione radicale alla separatezza del potere che è realizzata dalle società capitalistiche ma che è stata caratteristica anche delle società post rivoluzionarie del secolo scorso, è la messa in discussione della separazione (spesso della contraddizione) tra mezzi e fini.

Attraverso questa nuova elaborazione, possiamo indagare l'onda lunga del processo rivoluzionario e l'onda breve dei conflitti e riattualizzare il tema della rivoluzione dentro un processo più ampio di liberazione (come molte letture critiche, a cominciare dal femminismo ci hanno insegnato).

La pace contro la guerra è l'architrave, il primo spartiacque della nostra ricerca. La pace, cioè, non è la "non guerra" ma l'ispirazione di una nuova società e di nuove relazioni, anche di nuovi linguaggi. Anche la scelta del disarmo e la nostra opposizione al sistema di difesa europeo non può essere compreso senza il vettore della scelta della nonviolenza.

Il soggetto politico della sinistra europea

Anche la proposta del partito della sinistra europea, ovvero di una soggettività politica della sinistra di alternativa in Europa, si pone dentro questa nostra ricerca.

Ci sono critiche da parte di compagni che parlano di una eccessiva fretta nella promozione di questo evento. Credo il contrario: siamo in ritardo, un grave ritardo che ha pesato e non poco nella debolezza di una risposta unitaria in Europa in circostanze cruciali.

Due soli esempi. Il mancato sciopero europeo contro la guerra non è solo l'effetto di una scarsa condivisione dei sindacati e di una loro debolezza ma anche conseguenza della mancanza di un soggetto politico europeo, capace di dare il respiro e la dimensione continentale a quella iniziativa che avrebbe raccolto una istanza fortissima dentro il movimento per la pace.

Dopo Lisbona e la decisione, evidentemente concertata su base europea, di un attacco generalizzato al sistema previdenziale, il rinchiudersi delle lotte contro questo processo controriformatore delle pensioni si è rinchiuso in una scala dei singoli Paesi, con lotte gigantesche ma che avrebbero ben altra forza e possibilità di incidenza se avessero la sponda di una soggettività politica europea che ne incarni le istanze e le richieste..

Con questa proposta d costruzione della soggettività politica della sinistra europea, noi facciamo il primo passo della costruzione di un edificio più ampio.

E' una partenza imperfetta (per esempio per la non completezza delle forze della sinistra di alternativa in campo)? Ne siamo consapevoli, ma è un partenza e questo è l'importante.

Oggi, infatti, partire con l'edificio già completo sarebbe equivalso a restare fermi, fare "tutti" avrebbe significato fare "nessuno".

La scelta è stata empirica, ovvero sulla base del reciproco riconoscimento, l'unica scelta possibile per avviare il percorso.

Il Partito della Sinistra Europea nascerà l'8 e 9 maggio, con il congresso costituente che si svolgerà a Roma. Ciò dovrebbe essere motivo di orgoglio per la capacità di incidenza della nostra iniziativa. Tutti i partiti del GUE, tranne uno, anche coloro che non saranno tra i promotori di questa soggettività e parteciperanno come osservatori al congresso, hanno dato il loro incoraggiamento e riconosciuto come questo percorso avviato sia importante e non metta assolutamente in discussione la collaborazione e la partecipazione dentro il gruppo unitario del parlamento europeo.

Esistono opposizioni interne ed esterne ai partiti interessati all'avvio di questo processo.

Le medesime critiche hanno caratteri tra loro differenti: c'è una critica che teme il rischio di una sottrazione di sovranità politica dei partiti nazionali. Questa critica è evidentemente superata dalla semplice considerazione che, almeno in tutta una prima fase, le decisioni della nuova soggettività politica della sinistra europea avverranno con il metodo della condivisione, ovvero all'unanimità delle forze presenti e, dal fatto, che lo statuto posto come base di discussione consegna alla potestà esclusiva dei partiti nazionali la decisione circa le scelte che i partiti compiono nella vita politica dei singoli Paesi.

C'è una critica che afferma come in questa costruzione si alienerebbe la cultura comunista.

In questa soggettività entrano partiti comunisti e partiti che non sono comunisti ma che si ritrovano nelle discriminanti del no alla guerra e al neoliberismo. Per noi, questo non rappresenta un limite ma una ricchezza. Noi entriamo nella sinistra europea come comunisti ma siamo contenti di condividere un percorso con chi comunista non è ma condivide l'obiettivo di costruire una sinistra di alternativa in Europa.

C'è, anche, una critica di metodo, che afferma un inadeguato coinvolgimento del partito. Dobbiamo prestare attenzione a queste critiche e saper distinguere. Crediamo, infatti, che se si vuole mettere in evidenza un limite di partecipazione, questo è un elemento che dobbiamo assumere anche per favorire un dibattito più ampio e coinvolgente. Non c'è stato, però, alcun deficit di percorso democratico.

La Direzione ha discusso una proposta, si è svolta una consultazione ampia dentro il partito, questa sessione del CPN ha la piena titolarità ad assumere una decisione di merito positiva o negativa sulla proposta di contribuire alla nascita del partito della sinistra europea sulla base della proposta di manifesto, di statuto e delle forze promotrici.    

La nostra richiesta al CPN è, naturalmente, quella di un voto favorevole. Pensiamo, infatti, che con quella scelta compiamo un passo in avanti nella rifondazione comunista e nella costruzione di una sinistra anticapitalistica in Europa. Insomma, si apre una nuova opportunità e pensiamo che anche il simbolo che presenteremo alle Europee, che è ovviamente quello del PRC, debba aggiungere un segno che rappresenti questa adesione.

Riceviamo attenzione e disponibilità di adesione a questo progetto in strati significativi di intellettualità, di espressioni di movimento, di rappresentanze sociali. Se lo statuto finale che il congresso approverà, conterrà la possibilità che, oltre alle adesioni dei Partiti, saranno possibili anche adesioni personali e collettive, abbiamo segnali di interesse vasti.

Con la Conferenza programmatica per le elezioni europee, che ci proponiamo di svolgere il 17 e 18 aprile a Genova, avremo un altro passaggio importante con il quale segnare una discontinuità programmatica per un'altra Europa a partire dall'uscita dalle politiche di Maastricht.

La scadenza elettorale

Il prossimo 13 giugno avremo un voto importante e difficile per le elezioni europee e per un insieme estremamente significativo di amministrazioni locali e nella Regione Sardegna. Si tratta di un impegno gigantesco e decisivo cui tutto il Partito è chiamato a fornire il massimo impegno. Si tratta per noi di un ennesimo banco di prova decisivo. Giochiamo in quell'appuntamento gran parte della praticabilità della nostra linea e dell'ambizione della nostra ricerca. L'obiettivo che deve divenire il nostro assillo consiste nel diminuire la forbice tra la simpatia e l'interesse alla nostra iniziativa e la sua tramutazione in consenso attivo, anche elettorale.

Quella simpatia e quell'interesse verso di noi sono palpabili. Lo possiamo rappresentare attraverso la descrizione di tre piazze differenti nelle quali abbiamo svolto ultimamente iniziative che hanno visto grande partecipazione.

A Pisa, nella sede dell'università, con una sala stipata di giovani, in particolare studenti, con un dibattito intenso, seguito con un'attenzione vera sui temi della nonviolenza con noi e Lidia Menapace da una parte e Toni Negri e Mario Tronti; a Livorno al teatro Goldoni con un platea rappresentativa di quello che possiamo definire il popolo del PCI, in un dibattito sulle prospettive delle sinistre; a Napoli in un cinema straripante di un proletariato urbano sofferente, nella drammaticità di una condizione sociale insopportabile che parla di una crisi profonda della società italiana.

La crisi del Paese

Il nostro è un Paese sconnesso in cui alle antiche contraddizioni, alle vecchie e nuove povertà, alle nuove forme di esclusione sociale, all'attacco dei diritti del lavoro e alla sua frammentazione sia aggiunge una nuova e insidiosa linea di faglia tra un'Italia in alto e un'Italia in basso. Un'Italia in basso della precarietà che si fa condizione generale di esistenza, in cui la riduzione dei salari e delle retribuzioni assume il carattere di un vero e proprio collasso del potere di acquisto e delle condizioni di vita, di una drammatica condizione di impoverimento e di marginalità. Un'Italia in alto, favorita dalla deregolazione e dai processi di finanziarizzazione speculativa dell'economia. Un fenomeno di arricchimento selvaggio dentro un processo mondiale. Negli USA in pochi anni gli stipendi dei manager sono passati dal 40% al 400% in rapporto alle retribuzioni medie.

Questa linea di politica economica è clamorosamente fallita. C'è quindi la necessità e l'urgenza di una nuova politica economica. Ma questa nuova politica economica, per il livello dei guasti prodotti in questi anni di politiche neoliberiste, per la profondità e la vastità della crisi determina da quelle politiche, non può che presentarsi con la radicalità di una riforma di sistema, come negli anni 30 della grande depressione.

La costruzione dell'alternativa

Per questi motivi, questo rinnovamento è così osteggiato. La reazione delle classi dirigenti alla crisi delle politiche neoliberiste possiamo descriverla con questa formula "E' morto il re, viva il re". Ovvero siamo al fallimento, andiamo avanti comunque. E si ripresentano due versioni, quella estremistica, rappresentata dal Berlusconi e quella moderata, del temperamento di quelle politiche.

In questo quadro, dalla crisi e dal fallimento può riemergere, anzi è già un processo in atto, l'attrazione per le classi dirigenti, per quell'Italia in alto di cui parlavamo, di un'ipotesi neocentrista, che erediti il fallimento di Berlusconi. Il governo delle destre, infatti, è in una crisi di logoramento e questo logoramento fa rinascere l'idea del centro moderato. E' un'ipotesi ancora immatura politicamente ma questo progetto attrae le classi dirigenti.

Rutelli, certamente non da solo, sembra interpretare questa propensione. Non è un caso che questa si manifesti in due scelte precise su temi decisivi: il non voto sul ritiro delle truppe dall'Iraq e l'apertura sulla controriforma delle pensioni.

Scelte sbagliate e gravi che rompono con la parte più significativa e avanzata dei movimenti che chiedono la coerenza di una scelta e di una rappresentazione di essa nelle istituzioni. Così è sulla missione militare in Iraq, rispetto cui il movimento unitariamente chiede la nettezza di una posizione chiara e netta con il voto No; così è sulle pensioni in cui va considerata provocatoria ogni proposta di elevamento dell'età pensionabile.

La centralità è per noi il rapporto con il movimento, questa è la variabile indipendente della nostra iniziativa, la variabile dipendente è il sistema di alleanze, al centro come in periferia.

Così nessuno si meraviglierà che a Genova, proprio sulla base di quella discriminante, arriviamo una rottura.

Così, indichiamo con nettezza una prospettiva di ricerca di convergenza e di rapporto tra le opposizioni per un'alterativa di governo alle destre e lo facciamo senza minimamente deflettere dalla coerenza con il rapporto ai movimenti, anzi al contrario proprio sulla base di questo rapporto per determinare una maggiore influenze e incidenza di essi sulle scelte e per contrastare, anche attraverso questa sponda, l'ipotesi neocentrista.

L'Italia in basso, se non incontra un progetto di alternativa forte e credibile, rischia di rimanere nella marginalità, di oscillare tra la delusione e l'abbandono e esplosioni di ribellismo.

Per questo il nostro impegno deve consistere nel dare centralità all'opposizione al governo Berlusconi, accentuare e qualificare questa opposizione e farsi pienamente carico di quest'Italia in basso. Dobbiamo lavorare per una prospettiva unitaria delle lotte e dei conflitti in quattro direzioni:

Riteniamo che l'esperienza delle forme di coordinamento unitarie dei gruppi parlamentari rappresenti un passo significativo in questa direzione.

Le scadenze di lotta

Il 20 marzo, la manifestazione per la pace e il ritiro delle truppe in Iraq rappresenta una scadenza fondamentale per tutto il Partito. Costruiamola, favorendo la partecipazione dell'insieme del mondo delle vertenze territoriali, favorendo così uno scambio e una contaminazione di esperienze.

Avremo altri appuntamenti importanti, come lo sciopero generale del 26 marzo e quelli tradizionali del 25 aprile e del primo maggio.

Noi rilanciamo, in questo percorso, la proposta, che alcuni vorrebbero derubricare, di una grande manifestazione popolare delle opposizioni contro il carovita e per l'aumento dei salari e delle pensioni.

Al complesso di questo percorso di movimento e di rilancio delle lotte, dobbiamo contribuire con grande forza anche con la ripresa e il rilancio di una campagna nazionale di discussione e mobilitazione su salari e lavoro e che intrecci il tema dell'impoverimento di massa con quello del declino economico e sociale.

Fausto Bertinotti
Roma, 6 marzo 2004
da "Liberazione" (del 7 marzo 2004)