Il movimento degli autoconvocati è un movimento trasversale dei compagni e
delle compagne del PRC che può divenire dirompente se verrà caratterizzato
fortemente come una rivolta unitaria della base del Partito contro il tentativo
di svolta decomunistizzante, revisionista e liquidazionista avviato dal segretario
e dal suo gruppo dirigente.
Noi, compagne e compagni del Partito della Rifondazione Comunista,
abbiamo appreso da Repubblica e dal Corriere della Sera che ci
dirigiamo speditamente verso un partito sempre meno comunista e sempre
più inserito nello stato di cose esistente, che i nostri nuovi
riferimenti ideologici sono Gandhi e Capitini, mentre dal Manifesto
abbiamo saputo che il nostro segretario vorrebbe vedere in faccia uno
che oggi si ispiri a Marx o a Lenin; un partito, dunque, che approda a
teorie e obiettivi apertamente moderati.
Ora sappiamo anche di
essere iscritti ad un nuovo partito, quello della Sinistra Europea, il
cui manifesto fondativo non differisce molto da quello di un blando
partito riformista.
Tutto questo è avvenuto dopo mesi di
giravolte politiche del segretario nazionale: centrosinistra definito
una gabbia da far saltare e poi dichiarato morto; centrosinistra
resuscitato e prospettato come partner di governo in una riedizione
peggiorativa dell'infausta esperienza antioperaia, guerrafondaia e
privatizzatrice del governo Prodi; identificazione di Rifondazione
Comunista con un movimento a sua volta identificato riduttivamente nei
suoi ceti politici; scontro – strumentalmente in nome della nonviolenza
- con aree di movimento prima portate in palmo di mano, come i
Disobbedienti, per poi recuperarle nuovamente in chiave
elettoralistica, mentre si sdegna ogni rapporto con altre forze della
sinistra comunista e antagonista in Italia e in Europa.
Avremmo molte cose da discutere.
Per esempio, non condividiamo l’affermazione che la Resistenza sia
stata “angelizzata”, semmai ci sembra che sia stata progressivamente
derubricata da lotta di liberazione nazionale a “guerra civile” e che
la Costituzione - che di quella Resistenza è figlia – sia stata e sia
tuttora obiettivo di profonda revisione proprio nelle parti che
tutelano l’uguaglianza, i diritti sociali e la coesione nazionale,
producendo ulteriori disuguaglianze.
Per esempio, rifiutiamo la
definizione ”spirale guerra/terrorismo” che tutto sussume e di fronte
alla quale non vi è altra scelta che quella della “nonviolenza”. La
lotta di liberazione del popolo palestinese dal feroce colonialismo
israeliano o la resistenza del popolo irakeno all’occupazione
anglo-americana-italiana non sono vicende leggibili con la lente di
quella definizione, che le forze imperialiste vorrebbero applicare
anche al popolo venezuelano che difende il proprio esperimento
bolivariano, a Cuba che resiste eroicamente al pluridecennale embargo,
alla guerriglia delle FARC colombiane. Una definizionee, che stravolge
persino il senso della vittoriosa guerra di liberazione condotta contro
gli invasori israeliani dalla resistenza libanese, in cui i comunisti
hanno versato un alto tributo di sangue.
Per esempio, infine, non
vediamo alcun segno di un presunto cambiamento nel redivivo
centrosinistra, che ci sembra ancora quello che ha boicottato il
referendum per l’estensione dell’articolo 18, che non vuole il ritiro
delle “nostre” truppe dall’Irak occupato e che, dulcis in fundo, si
costituisce parte civile contro le vittime delle violenze poliziesche
di Genova, cioè anche contro di noi. Un centrosinistra che, in buona
sostanza, è sempre quello dell’aggressione alla Jugoslavia, del
sostegno all’intervento in Afghanistan, del Pacchetto Treu, della legge
Turco-Napolitano e dei lager per gli immigrati, dello stravolgimento
federalista della Costituzione imposto a stretta maggioranza in
Parlamento e ratificato da un referendum–farsa in cui la nostra voce
non si è (colpevolmente) quasi fatta sentire.
Di tutti questi
argomenti e di molti altri avremmo voluto e vorremmo ancora poter
discutere nelle sedi del nostro partito, ritrovandoci invece di fronte
a decisioni già prese anche in nostro nome, in virtù dell'obliterazione
della democrazia nel partito e della deriva cesarista che ha fatto
piovere dall'alto tutte le prese di posizione del partito, grazie anche
all'emarginazione di iscritti e militanti e ad organismi dirigenti
ridotti ad un ruolo di mera ratifica.
Per questi motivi è nato e
si sta sviluppando un movimento autoconvocato di compagne e compagni
del Partito della Rifondazione Comunista.
Per noi non
esiste alcun tipo di soffitta dove relegare la nostra storia. Nella
realtà materiale esistono la classe operaia, i lavoratori, la lotta di
classe. Invece, in nessuna delle ultime mobilitazioni il nostro partito
ha avuto una presenza non diciamo decisiva ma quanto meno visibile; la
presenza organizzata del nostro partito tra i lavoratori è ai minimi
storici.
E’ evidente come la perdita dell’ancoraggio di classe
sia il frutto dell’abbandono di una visione di classe degli avvenimenti
e della società in generale, visto che al proletariato non si
attribuisce più un ruolo centrale e si parla solo di nuovo movimento
operaio, estendendo e diluendo il concetto di classe, all’interno della
quale vengono messi tutti quelli che genericamente sono più o meno
critici della globalizzazione.
Le idee che ci hanno unito sono
semplici e chiare. Intendiamo contrastare in tutti i modi la
liquidazione del patrimonio politico, storico, ideologico e culturale
del movimento operaio e del progetto comunista, respingendo il
revisionismo borghese che vede le lotte di emancipazione delle classi e
dei popoli solo in termini di orrori da condannare, trascurando i
processi di liberazione compiuti da miliardi di uomini e donne.
Non intendiamo negare ai popoli ed ai proletari che non possono
esprimersi democraticamente il diritto alla resistenza con ogni mezzo
necessario. Non intendiamo confondere strumentalmente la necessaria
battaglia per sconfiggere il governo di destra con il nostro
coinvolgimento e la nostra partecipazione ad un altro governo
egemonizzato da neoliberisti e democristiani riciclati. Non intendiamo
rinunciare alla prospettiva non di un generico “altro mondo possibile”,
ma di un altro mondo non più fondato sulla proprietà privata dei mezzi
di produzione, sul profitto e sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo:
un mondo che chiamiamo comunismo.
Non intendiamo nemmeno
rinunciare allo strumento necessario per pensare e costruire
collettivamente il nuovo mondo: il Partito Comunista.
Nessun
gruppo dirigente pervaso da appetiti ministeriali e clientelismi può
illudersi di ridurre al silenzio la nostra voce e seppellire
definitivamente il percorso della rifondazione comunista.
I
prossimi mesi saranno decisivi: dobbiamo utilizzarli per rivitalizzare
e rimotivare i nostri circoli, stimolando il libero dibattito sulle
questioni più importanti, come la natura stessa del nostro partito, la
necessaria solidarietà ai popoli in lotta contro l’imperialismo e la
guerra permanente, l’internità al movimento e al conflitto sociale, le
battaglie per i diritti sociali e civili. Il congresso che si annuncia
anticipato a novembre sarà nei fatti un congresso straordinario nei
contenuti e nelle finalità, per cui è assolutamente indispensabile
affrontarlo pretendendo modalità realmente democratiche, con una
premessa di fondo: noi vogliamo il congresso delle iscritte e degli
iscritti al Partito della Rifondazione Comunista, non la convention di
un’entità evanescente e non nostra come il partito della “Sinistra
Europea”.
Invitiamo tutti i compagni e le compagne iscritti al
partito, insieme ai tanti che lo hanno abbandonato in questi anni di
trasformismi, ad uscire dal mugugno e dall’impotenza, dando battaglia
insieme a noi contro la deriva revisionista e anticomunista di un
gruppo dirigente che sta negando le ragioni e gli obiettivi per i quali
i comunisti hanno rifiutato la resa della Bolognina e hanno ribadito la
volontà e la necessità del comunismo.