Comitato Politico Nazionale del PRC. Roma 3 - 4 luglio 2004

Dal voto un impegno per costruire subito un’alternativa di governo e una sinistra d’alternativa

SINTESI DELLA RELAZIONE DEL SEGRETARIO NAZIONALE FAUSTO BERTINOTTI

Care compagne e cari compagni, a tutte e a tutti voi va in primo luogo un ringraziamento per l’impegno profuso in una lunga e difficile campagna elettorale.

Abbiamo ottenuto un risultato molto importante e questo, almeno così credo, rende la discussione nel nostro comitato politico nazionale più facile e distesa. Si tratta di un risultato a tutto tondo. Abbiamo superato la soglia del 6 per cento; siamo il quarto partito in Italia. Come si direbbe, con il linguaggio della critica cinematografica, abbiamo avuto un successo di pubblico e di critica, come si è visto anche nei commenti successivi al voto. Era chiaro per noi che il superamento della soglia del 6 per cento avrebbe rappresentato una vera e propria svolta, anche se per prudenza lo abbiamo detto quasi sussurrando. Questo successo è dovuto alla linea che abbiamo assunto. Ne abbiamo avuto sentore durante una campagna elettorale molto incoraggiante, ove si vedevano un consenso ed una partecipazione più intensi che nel passato. Si è realizzata in particolare una presenza giovanile molto significativa.

Siamo stati capaci di coinvolgere non solo una vasta opinione di sinistra, ma settori organizzati che costituiscono l’arcipelago della sinistra di alternativa. Abbiamo assistito allo sgretolarsi di quei muri che si frapponevano alla nostra crescita di consenso.

La caratteristica del nostro voto

All’inizio, sulla base di esperienze passate, temevamo che quel consenso potesse indirizzarsi verso forze di più rilevante peso elettorale. Così non è stato, e torneremo su questo punto. Se guardiamo alla nostra crescita tra le precedenti elezioni europee, le ultime politiche e le attuali europee vediamo un incremento in voti assoluti di 650mila voti, che rappresentano persone fisiche e non solo percentuali. Il nostro aumento è stato rilevante nel centro e nel sud, dove registriamo il più alto addensamento di voti rispetto alla media nazionale. Bisognerà naturalmente studiare i flussi elettorali. Già da ora possiamo però vedere che il nostro voto esprime una adesione giovanile (tra i 30 e i 40 anni), con alta o altissima scolarizzazione.

Questo dato esprime un grande dinamismo dal punto di vista dei consensi elettorali, ma mette in luce anche problemi che non dobbiamo sottovalutare. Infatti continuiamo a registrare, pur all’interno di un risultato ampiamente positivo, una difficoltà di insediamento popolare.

Per quanto riguarda l’elettorato sopra i 65 anni, prevalentemente composto da donne e con bassa scolarità, siamo molto indietro, il che per un partito come il nostro non può non costituire un problema.

L’efficacia della nostra linea

Questo risultato chiude una discussione tra di noi, ma non certo tutte le discussioni.

Mi riferisco al fatto che almeno è chiara l’efficacia della linea fin qui praticata. Questa questione è stata certamente risolta dall’esito del voto. E’ stato spezzato l’impedimento, che prima esisteva, a passare da un consenso su temi specifici a uno più generale. In questo modo possiamo intervenire sulla crisi della politica, che anche in questa circostanza si è manifestata in un considerevole astensionismo.

Nello stesso tempo si è infranto il muro tra noi e l’altra parte della sinistra. Ancora, i movimenti dopo tanti anni tornano a vincere: e c’è una relazione tra tutto questo e l’esito del nostro voto.

Possiamo quindi rivendicare senza alcuna superbia il successo della linea e del progetto del nostro partito sui quali abbiamo lavorato in questi anni. Non si può isolare un aspetto di questa linea da un’altro. Tutto si tiene. Il buon risultato che abbiamo avuto è frutto della combinazione di diversi elementi. Mi riferisco in particolare alla collocazione strategica nel movimento, alla capacità di avanzare una proposta politica aperta, alla pratica di una innovazione politica e culturale.

La collocazione nel movimento

La nostra collocazione nel movimento è strategica e non contingente, costituisce cioè una scelta di fondo e di lungo periodo. Abbiamo compreso per tempo che il movimento è un fenomeno nuovo che apre un ciclo politico nel mondo e che costituisce un avvenimento di lunga durata. Questo movimento ha saputo connettere tra loro diversi temi, da quello della pace a quelli del lavoro.

Per tutte queste ragioni l’internità al movimento resta il punto centrale della nostra strategia.

Rimane tale anche dopo quel doloroso conflitto che abbiamo dovuto attraversare nella scelta su chi dovesse insediarsi nel quinto seggio che abbiamo ottenuto nel parlamento europeo grazie alla crescita dei nostri voti. Abbiamo dovuto scegliere, come era inevitabile fare in un caso di questo genere. Comprendo che vi siano sofferenze e malumori, ma voglio sottolineare che anche in questa scelta noi abbiamo ribadito la necessità di stabilire un rapporto non strumentale tra noi e il movimento e un rifiuto della logica dei gruppi di pressione. Per quanto ci riguarda questa vicenda non interrompe la collaborazione con il movimento neppure nello specifico della situazione nella quale si è manifestato il problema.

L’apertura politica

Abbiamo avanzato una proposta politica di apertura.

Abbiamo concepito la costruzione di un’alternativa a Berlusconi insieme a quella di una sinistra di alternativa.

Avere mantenuto insieme queste due prospettive ci ha fatto guadagnare consensi.

Questo ci permette anche un chiarimento molto importante.

Noi non finalizziamo la nostra azione alla eventualità di una nostra presenza in un futuro governo. Al contrario stabiliamo il baricentro della nostra iniziativa nella società civile. L’esperienza di governo, se ci sarà va vista in questo quadro. Perciò la lotta contro Berlusconi assumeva ed assume il valore di cambiare il gioco e i rapporti di forza, e dentro questo la prospettiva della costruzione di una sinistra di alternativa è venuta affinandosi.

Abbiamo assistito ad un elemento di novità anche negli esiti delle elezioni locali.

Anche dove non è stato possibile, ma non per colpa nostra, giungere a soluzioni unitarie, non siamo stati penalizzati per questo (come è risultato chiaro a Firenze). Voglio cioè dire che la nostra presenza in ogni caso non è stata vista come una testimonianza. Il vecchio ricatto del voto utile non ha funzionato. Questo lo dobbiamo perché era a tutti chiaro il nostro atteggiamento di apertura a tutti i campi dell’opposizione e di costruzione di una soggettività nuova di sinistra.

L’innovazione politica

Abbiamo praticato un’innovazione politica e culturale.

Molto è dovuto alla costruzione del partito della sinistra europea. Il suo successo si è visto e ha pesato anche nel corso della campagna elettorale.

Attorno a questo progetto abbiamo ricevuto un consenso senza precedenti nella sinistra italiana. Mi riferisco a quell’autorevolissimo insieme di firme guidate da quella di Pietro Ingrao, che voglio di nuovo ringraziare.

In questo modo abbiamo saputo porre l’Europa come centro della politica. Su questo terreno la sinistra anticapitalista ha saputo costruire una piattaforma ambiziosa, che può essere riassunta nel no alla guerra, no al neoliberismo, no ad un’Europa tecnocratica per un’Europa della democrazia e dei popoli. Al partito della sinistra europea partecipano comunisti e non comunisti, con la reciproca valorizzazione delle identità; un arcipelago di forze unite su discriminanti programmatiche per un’altra Europa.

L’innovazione culturale e teorica

Infine abbiamo saputo praticare un’innovazione culturale di teoria politica. Non solo abbiamo messo in discussione la nostra storia, chiudendo definitivamente i conti con un certo passato dell’esperienza comunista, ma soprattutto ci siamo mossi nella direzione di una ambiziosa costruzione di una nuova identità comunista. Per semplificare ci siamo mossi dalla rottura definitiva con lo stalinismo all’approdo della non violenza, quale idea forza per riattualizzare il comunismo nel nostro tempo. Questo è stato un elemento significativo, non inferiore agli altri, che ci ha permesso di ottenere dei risultati anche concreti ed immediati.

Basti ricordare la grande manifestazione pacifica contro la presenza di Bush a Roma. Non abbiamo inventato nulla a tavolino, ma abbiamo saputo esaltare le potenzialità che esistevano nel movimento.

Le diverse presenze nelle nostre liste

Questi quattro punti che ho qui ricordato sono gli elementi costitutivi della linea che abbiamo praticato in questi anni. Questo ci ha permesso di “pescare” nelle sinistre reali e potenziali. Alcune candidature, come certamente quella di Nunzio D’Erme hanno fatto accorrere al voto una parte di proletariato urbano, che altrimenti si sarebbe rinchiuso nell’astensione. Nello stesso tempo abbiamo costruito una solida relazione con i protagonisti della storia comunista del nostro paese, ma anche in questo caso lo abbiamo fatto non in nome del recupero del passato, ma in base ad una riconosciuta capacità innovativa.

Cambia il vento e cresce l’opposizione

Tutte queste considerazioni ci permettono di evidenziare alcuni elementi. In primo luogo possiamo dire che il vento cambia. E’ già avvenuto in altre parti d’Europa come in Spagna o in Francia, e nel mondo, come in India.

In questa scadenza elettorale si è manifestata una rinascita dell’opposizione classica ai governi, socialmente qualificabile come di sinistra. Due sono gli elementi politici che l’hanno caratterizzata, il no alla guerra e il no alle politiche neoliberiste; forse queste ultime hanno pesato ancora di più, perché la condizione materiale delle popolazioni europee è stata determinante per l’orientamento nel voto.

Ecco perché il voto colpisce in particolare i governi di destra, anche quelli più brillanti come quello di Aznar, ma anche il governo francese di Raffarin, che malgrado la non partecipazione alla guerra, subisce una sconfitta a causa delle sue politiche sociali.

Questo è confermato anche dal crollo delle socialdemocrazie, sia di quelle che hanno praticato la guerra, come il governo Blair, sia quelle che hanno attuato politiche antisociali come il governo tedesco di Schroeder, e ciò malgrado che i sindacati tedeschi fossero stati sconfitti già prima in una battaglia importante come l’estensione dell’orario di lavoro a 35 ore nei territori orientali della Germania.

L’opposizione al sistema politico

In secondo luogo, si è manifestata una critica ed un’opposizione al sistema politico come tale. Intendo dire non un’opposizione ai governi e alle loro specifiche politiche, ma proprio una estraneità al sistema politico.

Questa estraneità ha provocato sia forme di astensione dal voto che voti di protesta, anche con destinazioni del tutto diverse dalle motivazioni sociali di partenza.

Abbiamo cioè registrato anche un voto populista di destra.

Il distacco dei popoli da questa costituzione europea

In terzo luogo, abbiamo assistito ad un distacco drammatico dei popoli europei dall’Europa politica. Non si tratta di euroscetticismo, né di eurofobia, ma di estraneità a questa costituzione formale dell’Europa. In sostanza siamo di fronte ad una separazione della condizione materiale dei popoli dalle pratiche comunitarie.

Si è realizzata una astensione specifica nel voto europeo, molto elevata in particolare nei paesi dell’Est ma non solo.

Naturalmente si sono manifestate anche eccezioni, tra cui l’Italia, dove hanno pesato sull’afflusso alle urne motivazioni politiche extraeuropee.

Da noi si è andato a votare per colpire il governo Berlusconi.

In Italia è stato premiato il movimento, un movimento presente su tutti i temi, attraverso forme organizzate che gli garantiscono la continuità.

Rischi e potenzialità

L’effetto combinato di questi elementi appena descritti determina l’esistenza dell’opposizione dell’Europa sociale all’Europa politica. Qui vi è insieme un rischio e una potenzialità.

Dobbiamo saper vedere un pericolo, e cioè che si determini un esodo delle masse dalla politica. Si tratterebbe di un percorso, di cui ora abbiamo solo delle anticipazioni, del tutto contrario a quello che avvenne lungo il ’900, quando si determinò una presa di possesso della politica da parte delle masse. Possiamo assistere al prevalere dell’alienazione dalla politica, in quanto può negarsi l’idea della trasformazione della società e della fine dello sfruttamento. Se si rinunciasse a questo la politica diventerebbe pura governabilità, quindi politica solo delle classi dirigenti.

Tuttavia vediamo elementi di rinascita della politica dentro i movimenti e non solo.

Possiamo così dire, con qualche approssimazione, che la politica è ad un bivio tra morte e rinascita. Il rapporto tra movimento e politica è l’elemento fondante della rinascita, e in questo senso il teatro europeo è significativo e indispensabile.

Cosa rappresenta per noi il tema del governo

La rinascita della politica è dunque appena avviata. Per poter andare avanti ha bisogno di riattualizzare il problema della trasformazione della società capitalista. Per poter compiere questo passaggio bisogna ricollocare la politica nella società, bisogna ridefinire il blocco sociale dell’alternativa.

Il tema dell’alternativa di governo si colloca qua dentro, non costituisce un nuovo finalismo, ma è interno a questo percorso. Questo è un punto essenziale, da comprendere bene, altrimenti tutta la nostra politica viene fraintesa. Noi non siamo un partito di governo e di lotta, secondo la vecchia formula. Per noi la presenza nel governo può esserci o no, in ogni caso essa è strumentale per il raggiungimento dell’alternativa. Per noi la presenza nel governo rappresenta un passaggio difficile e rischioso, ma ora necessario per costruire e rafforzare i soggetti della trasformazione. La differenza con l’esperienza della desistenza non è solo una semplice questione tattica.

Il problema è che la posizione del baricentro della nostra iniziativa è una questione strategica fondamentale.

Noi dobbiamo spezzare quel pendolo che condanna in ogni caso la sinistra alla sconfitta.

Questo consiste nel fatto che quando le destre governano e le sinistre sono all’opposizione, l’atteggiamento delle masse in larga misura orienta il consenso su queste ultime, perché le investe di un bisogno e di una speranza. Ma quando le sinistre vanno al governo e, magari, si distaccano da quel mandato popolare, vedono capovolgersi il rapporto con le masse, perdendo il consenso fin a quel momento raccolto.

Il buon risultato dei partiti della Sinistra europea

Noi siamo incoraggiati anche dall’andamento del voto in altri paesi europei ove, salvo qualche eccezione si è verificato l’avanzamento e il successo dei partiti che fanno parte del partito della Sinistra europea o del Gue sinistra verde nordica.

Questo ci permette di svolgere meglio il nostro lavoro su scala europea e di avere una ricaduta positiva in Italia.

La crisi del berlusconismo

Dicevamo che nel nostro Paese abbiamo assistito ad un voto contro Berlusconi. Si è realizzata un’opposizione crescente, anche se frenata dalle articolazioni delle posizioni delle forze politiche. Un dato mi pare inequivoco: siamo di fronte ad una crisi di sistema e di forma di governo irreversibile, strutturato, che coinvolge l’impianto teorico e culturale delle forze di destra e il blocco sociale del berlusconismo.

Si è manifestato negli ultimi tempi una certa propensione delle classi dirigenti verso un assetto neo-centrista. E’ successo anche in altri momenti storici. Ora lo si vede bene, e, a dire il vero, questa pulsione è presente anche nello schieramento d’opposizione.

La nuova tendenza neocentrista

Non è vero che il passaggio di voti da Forza Italia ad altre componenti della maggioranza sia irrilevante. Al contrario sottolinea proprio l’esistenza di una tendenza neocentrista.

Come al solito è nella regione Sicilia che si vedono con più chiarezza l’enuclearsi di queste tendenze, cioè quelle che costituiscono un tentativo di un’uscita morbida dal berlusconismo.

Non si tratta del ritorno alla vecchia democrazia cristiana, ma della costruzione di nuove intese politiche (che non disdegnano rapporti con il potere mafioso) e di una nuova classe dirigente che si candida a decidere la distribuzione dei fondi provenienti in particolare dalla Ue.

La crisi del blocco sociale delle destre

Ma non per ciò la crisi è meno reale. Siamo di fronte alla crisi del blocco sociale di riferimento delle destre, al manifestarsi di una tendenza centrifuga delle forze sociali. Ci riferiamo non solo ai ceti più umili, ma anche a quelle forze che speravano in un miglioramento della propria condizione e sono invece colpite dal fallimento economico. Anche da qui trae motivo la spinta al neocentrismo, che è diventata più forte proprio dopo la mozione unitaria delle opposizioni sul ritiro delle truppe dall’Iraq. Infatti le forze della maggioranza hanno visto in quel fatto il pericolo di una crescita delle forze di alternativa e dei movimenti e di una loro possibile egemonia sull’intera opposizione. Per questa ragione abbiamo assistito ad un’offensiva moderata che va da Enrico Letta a Giuliano Amato, anche se da parte di quest’ultimo vi è stata poi una successiva correzione. La nuova dirigenza della Confindustria, la Banca d’Italia, la Confcommercio vogliono mettere al riparo la probabile sconfitta di Berlusconi da una crescita dell’alternativa.

Non possiamo guardare pigramente al quadro politico.

Non vi è alcuna stabilità nel sistema.

Le stesse politiche neocentriste rischiano il fallimento prima di cominciare ad essere esercitate. Valga per tutti l’esempio della vicenda della determinazione del prossimo Dpef e delle dimissioni di Tremonti.

Insomma è in crisi l’intero sistema politico berlusconiano.

Berlusconi era ed è il portatore di una proposta politica e culturale rilevante, quella che mischia insieme il neoliberismo con il populismo.

E’ un’idea di governo, di personalizzazione e di spettacolarizzazione della politica, una prospettiva di presidenzialismo: tutto questo subisce una crisi.

Le elezioni amministrative

Il crollo di queste prospettive è sottolineato dalle elezioni amministrative ed anche dai ballottaggi. Esemplificativo per tutti è il caso di Milano.

Queste accelerano la crisi del sistema politico.

Per quanto ci riguarda questa tornata amministrativa ha significato la fine di due assunti.

Il primo è quello per cui Rifondazione comunista era comunque costretta a stare dentro un accordo con il centro sinistra, pena l’isolamento e la sconfitta elettorale. Il secondo è che era praticamente impossibile una leadership di compagne e compagni riconosciuti di Rifondazione comunista, pena la perdita dei voti più moderati. Questi assunti sono stati smentiti, basta guardare per quanto riguarda il primo caso a Firenze, o nel secondo al successo di Ascoli Piceno. In ogni caso da Cinisello Balsamo ad Acerra si dimostra che si è verificato un terremoto alla base di un sistema politico istituzionale.

Vogliamo la cacciata del governo Berlusconi

Noi dobbiamo affrontare la fase di transizione che abbiamo davanti con una rotta precisa e senza giocare di rimessa.

Per questo vogliamo costruire le condizioni, e lo diciamo esplicitamente, per cacciare anticipatamente il governo Berlusconi e giungere alle elezioni politiche nel 2005.

Guardiamo agli ultimi fatti.

Le dimissioni di Tremonti costituiscono insieme una crisi delle politiche neoliberiste e l’impraticabilità di un colbertismo di destra, ipotesi, quest’ultima, assai meno sciocca di quanto credeva il centro sinistra, perché comunque costituiva una risposta alla crisi del liberismo puro. E’ singolare e significativo che i critici neocentristi nei confronti di Tremonti non siano stati in grado di fornire una critica vera, se non quella che riguarda i presunti aspetti caratteriali del ministro.

E’ quindi chiaro che Tremonti non era altro che un bersaglio secondario per colpire Berlusconi. Il segretario dell’Udc Follini - la cui propensione esplicita per il sistema proporzionale, che noi certamente condividiamo e non da oggi, va disincagliata dalla prospettiva della costruzione di un nuovo centro moderato - ha anche insistito, e non si può dargli torto - sul rinnovo del Consiglio d’amministrazione della Rai. Ma tutto questo è comunque privo di una strategia di fondo. Al posto di questa vi è l’apoteosi della concertazione, con la quale si cerca di coprire il vuoto programmatico.

La costruzione dell’alternativa

Per battere in breccia questo tentativo, dobbiamo costruire l’alternativa. Noi parliamo di una cacciata del governo Berlusconi, non di una semplice spallata, perché questa comporta l’elaborazione di una proposta strategica.

Avanziamo quindi a tutte le forze dell’opposizione e ai movimenti la proposta di un confronto sulla politica economica e finanziaria, quindi sui prossimi passaggi parlamentari del Dpef e della legge fi- Il Comitato Politico Nazionale 3-4 luglio 2004 III Liberazione d o m e n i c a 4 l u g l i o 2 0 0 4 nanziaria, per giungere ad una elaborazione di politica economica che faccia della redistribuzione del reddito e dell’innalzamento delle pensioni il perno di una nuova proposta e di un terreno di lotte.

Avanziamo la proposta di due diversi ma paralleli progetti costituenti. Entrambi devono fondarsi sulla mobilitazione e sull’organizzazione delle lotte, con un protagonismo diretto del nostro partito attraverso la determinazione di obiettivi e l’effettuazione di campagne su scale nazionale ed europee.

Le costituenti programmatiche

Proponiamo in sostanza una costituente programmatica per le opposizioni e per le forze della sinistra d’alternativa.

Nella determinazione di un programma delle opposizioni non dobbiamo scegliere la logica della contrattazione di questo o di quel punto, ma più ambiziosamente ed efficacemente dobbiamo puntare ad una nuova egemonia dei movimenti e delle forze dell’alternativa che sappia informare l’intero programma. Perciò dobbiamo tra noi ragionare sul complesso di un’idea di programma e di un’idea di governo.

Per questo è stato giusto abbandonare quei luoghi che costringevano il nostro partito in una sorta di segregazione nella costruzione del programma. E’ giusta invece l’idea di un cantiere in cui tutte le forze politiche, i movimenti sociali, le associazioni, le forze intellettuali, contribuiscano al pari livello a questa elaborazione programmata.

Per la costruzione della sinistra d’alternativa del nostro paese l’esistenza e il rafforzamento del partito della sinistra europea costituisce un elemento indispensabile, perché trasmette un’idea di rinnovamento della politica e della forma partito capace di grande attrazione.

La costituente della sinistra d’alternativa

Deve essere chiaro in primo luogo almeno cosa noi non vogliamo. Non pensiamo ad un dissolvimento del nostro partito, ma non ci limitiamo a questo. Siamo contro tutte le ipotesi di precipitazione organizzativistica.

I cosiddetti “listini”, mutuati dal “listone”, le logiche federative che si propongono di unire le forze politiche così come sono oggi, appartengono ad una idea della politica da ceto politico.

L’idea che noi invece abbiamo è quella di un processo aperto alle forze sociali, sindacali, associative, di movimento, con tutti questi dobbiamo costruire percorsi e modalità assieme.

Proponiamo per la sinistra d’alternativa una costituente organizzata su due livelli, quello dei territori e quello centrale. L’elemento pesante deve essere quello dei territori, che devono essere collegati in una rete, e non strutturati in una forma piramidale.

Il livello centrale deve essere in grado di esprimere un’elaborazione politica e programmatica garantita da grandi personalità politiche e sociali. Le forze che collaboreranno con noi non devono sentirsi prigioniere di vecchi schemi, pure utili nel passato, come quelli che regolavano l’autonomia tra sindacati e partiti. Su questo aspetto, in Europa, si è alla ricerca di nuovi rapporti. Il grande sindacato tedesco Ig Metal ha aperto una discussione sul rapporto con l’Spd ed indica la possibilità di partecipare alla costruzione di un nuovo soggetto politico. In Inghilterra il rapporto fra il New Labour e il sindacato dei trasporti (tra i quali vi era una forma di finanziamento diretto) viene rimesso in discussione e questo sindacato individua un nuovo rapporto con Respect e il Partito socialista scozzese. Insomma siamo ormai ben oltre al Novecento.

Non separare la ricerca programmatica dall’azione

Il punto saliente di queste costituenti programmatiche politiche è una definizione di un piano di attività. Dobbiamo cioè sottrarle fin da subito ad una logica di separazione. Al contrario devono procedere insieme alla capacità di fare campagne nazionali e territoriali.

Che senso avrebbe, se no, la discussione sui municipi o sul bilancio partecipativo? Oppure, per continuare con gli esempi, non si può pensare che le forze motrici della sinistra d’alternativa siano le stesse tra Milano, Napoli o Firenze.

Esse comunque si devono muovere su tre grandi direttrici.

La prima è costituita dall’opposizione alla guerra e quindi dalla capacità di tradurre questa in iniziativa politica costante e articolata.

La seconda è rappresentata dalle questioni sociali e ambientali (e a questo riguardo non è certo irrilevante l’atteggiamento che il sindacato prenderà nei confronti del rilancio delle politiche concertative).

Mi riferisco in particolare alle questioni salariali.

Non parlo solo dell’aumento del salario per chi già ce l’ha, ma della necessità di fare del salario sociale un punto essenziale, come lo fu negli anni passati quello delle pensioni, per la riunificazione di diversi strati sociali. Proprio per questo siamo contro alle ipotesi di riduzione delle tasse.

La terza è indicata dalla nuova frontiera della costruzione di beni comuni e di nuovi diritti. Non si tratta solo di propaganda utopica, ma di elementi che cominciano a entrare nella realtà. Guardiamo alla vicenda Fiat, ove si può andare in direzione di un controllo nella e sulla proprietà da parte di banche pubbliche, sul modello tedesco, con il conseguente dissolvimento della predominanza proprietaria delle famiglie private.

La campagna per abrogare le leggi delle destre

In questo quadro noi dobbiamo e possiamo dare forza a campagne abrogazioniste delle leggi ademocratiche varate dal governo Berlusconi.

Dobbiamo però sottrarle a una tendenza demagogica o elitaria. Dobbiamo lavorare con forze che siano capaci di fare dell’abrogazionismo una campagna di massa, con strumenti diversi decisi a seconda delle necessità (dai referendum, alle leggi di iniziativa popolare, alla semplice raccolta delle firme) per giungere all’abrogazione di leggi come quella sulla precarietà del mercato del lavoro, quella sull’immigrazione, quella sulla scuola o quella sulla fecondazione assistita.

Non ci dobbiamo affatto spaventare dall’estensione e dalla varietà dei temi, questi aumentano l’efficacia perché ampliano la quantità dei soggetti coinvolti.

Un punto essenziale della nostra iniziativa deve essere quello della democrazia sindacale e dei lavoratori, da conquistare attraverso una legge. Abbiamo bisogno su tutti questi argomenti di campagne che attraversano tutti i territori, sapendo che oggi il Mezzogiorno come è stato dimostrato in più di un caso, rappresenta un formidabile bacino di lotte e di creatività.

Costruire dal basso un vero processo costituente europeo

La firma della costituzione europea è prevista per fine novembre.

Dobbiamo concepire un progetto di lotta che attraversi quel passaggio (passando o no attraverso i referendum) e apra e mantenga vivo un reale processo costituente in Europa. Dobbiamo condurre campagne in tutto il continente Europeo. Mi riferisco ad esempio a quello per introdurre il concetto di ripudio della guerra nella costituzione europea, così come è nella costituzione italiana, e per raccogliere firme per il ritiro dall’Iraq di tutte le truppe europee. Mi riferisco all’appello di Jacques Delors per rovesciare il trattato di Maastricht stabilendo nuovi criteri sociali e commisurando al raggiungimento o meno di questi le sanzioni nei confronti dei governi. Mi riferisco alla necessità che l’Europa sia aperta alla circolazione dei migranti.

Il Congresso del nostro partito

Le feste di Liberazione e la festa nazionale di Liberazione di Roma devono diventare un volano che mette a frutto il successo elettorale per accumulare ulteriore energia.

Avanziamo la proposta di una grande manifestazione nazionale a fine settembre, aperta a tutte le forze di alternative e ai movimenti per sancire in modo visibile e plastico il cambiamento di clima politico nel paese.

Il partito non verrà espropriato di nessuna decisione in ciascuno dei passaggi difficili che abbiamo di fronte.

Dobbiamo decidere qui la convocazione del nostro congresso nazionale, entro le scadenze istituzionali, e cioè nei primissimi mesi dell’anno venturo, naturalmente tenendo anche conto della possibile precipitazione del quadro politico in elezioni anticipate che ora possiamo solo ritenere possibile o probabile, ma certamente non prevedere esattamente.

In ogni caso il congresso ci vuole, affinché il partito possa decidere sulla linea, sulla strategia sulla proposta di alleanze elettorali e politiche.

Sarà un congresso vero e impegnativo, che comprenderà anche una discussione sullo stato del partito che per scelta oggi teniamo fuori dal dibattito, ma su cui condurremo degli opportuni seminari, a partire dall’analisi del comportamento tenuto in campagna elettorale e dal fatto che forme organizzate nel partito stesso costituiscono ormai un impedimento insopportabile alla sua crescita.

Già ora possiamo però indicare la necessità della massima apertura nei confronti dei movimenti e del conflitto sociale, nei confronti del mondo ecologista, verso la nuova ricerca femminista, in direzione della rinascita del protagonismo del sud, con una particolare attenzione al rafforzamento delle culture critiche nelle metropoli.

Credo che il nostro successo elettorale debba diventare irreversibile e in questo modo possiamo con fiducia lavorare per una forte soggettività del nostro partito nel quadro della costruzione della sinistra di alternativa.

Fausto Bertinotti
Roma, 3 luglio 2004
da "Liberazione"