Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista

Interventi A - C

Roma, 30 - 31 ottobre 2004

MAURIZIO ACERBO ( Segretario regionale Abruzzo)

Mi lascia perplesso il richiamo retorico e, scusate la franchezza, piuttosto strumentale all’unità del partito che ho sentito ripetere in vari interventi. E mi stupisce che venga da compagni che negli ultimi anni hanno condotto una serrata ed organizzata polemica nei confronti del complesso della linea uscita dall’ultimo congresso. Non capisco come si possa dire che bisogna “circoscrivere le divergenze” quando si è fatto di tutto per dispiegarle con effetti laceranti nel corpo del partito. Il pluralismo è una ricchezza ed è ora che maturi una cultura effettivamente democratica. I compagni e le compagne hanno il diritto di poter democraticamente decidereil profilo politico, culturale e programmatico del nostro partito e di esprimere gruppi dirigenti che in quella linea si riconoscano. Mi sembra eccentrico che prima si vada in giro dicendo che il segretario vuole sciogliere il partito, che fa proprie le categorie del revisionismo storico, che addirittura rasenta l’anticomunismo ecc. e poi dire che ci dividono solo alcune sfumature. Se pensano che ci sono di questi pericoli è bene che questi compagni le esplicitino senza reticenze e propongano al confronto democratico la propria proposta politica alternativa che sarebbe strano siinabissasse proprio in occasione del congresso. Uno di questi compagni prima ci ricordava, riprendendo la barbara battuta di Tremaglia sui “culattoni”, che gli omosessuali finivano nei lager nazisti. Io non mi sento anticomunista se gli ricordo e mi interrogo sul fatto che anche nella Russia di Stalin l’omosessualità divenne oggetto di persecuzione! Ovviamente non sto celebrando l’unanimismo, anzi.

Ma una cosa è discutere ed esprimere dissenso dentro una condivisione della direzione di marcia, altra è proporre una linea complessivamente alternativa ed alimentare una permanente polemica spesso sotterranea e poi giocare a nascondino. Non mi pare che la mancanza di chiarezza dentro la maggioranza dopo l’ultimo congresso abbia funzionato molto in termini di coesione del partito.

Abbiano grandi responsabilità, affrontiamole con un dibattito aperto.

IMMA BARBAROSSA (Forum Donne PRC)

In un convegno organizzato da Franco Russo ho avuto modo di constatare che esiste anche a sinistra un atteggiamento di elogio del trattato costituzionale europeo, che invece è la fissazione della flessibilità e del mercato, consentirebbe all’Europa di fare le “guerre per la pace” e stabilisce una vera e propria blindatura alla frontiera. Tanto più è importante la posizione contraria del partito della Se e della Rete di donne della Se, che sta lavorando con un punto di vista di genere.

A proposito delle 15 tesi; devo esprimere una osservazione critica sulla tesi Nove, riguardo a contributo che il femminismo ha dato alla rifondazione di un pensiero critico. C’è nella formulazione una sorta di genericità e anche una possibile indicazione che non condivido. E’ vero che il pensiero femminista ha indicato nel senso del limite un punto critico della onnipotenza della scienza e della tecnica, della cosiddetta neutralità della medicina, e della scienza in generale, ma io penso che questo non ci debba portare ad una sorta di fondamentalismo naturista, quasi ad una mitica “innocenza della natura”. Non ho tempo per riprendere Leopardi, ma temo il “partorirai con dolore” che il Dio della Bibbia ha “naturalmente” assegnato alle donne. Condivido, invece, nelle tesi il nesso guerra e terrorismo, nel senso che il terrorismo è un progetto politico sciaguratamente autonomo. Come pure la critica del potere. A chi osserva che il potere (e la forza o la violenza) è un mezzo e che se il fine è “giusto”, il mezzo si può (e si deve) usare, faccio osservare che quel mezzo inquina e deturpa anche quel fine. Se il fine è il socialismo, quale socialismo è quello che si raggiunge con la barbarie?

CLAUDIO BELLOTTI (Direzione nazionale)

Dobbiamo cogliere la svolta della nostra epoca: le mobilitazioni più avanzate, siano queste su scala nazionale (Melfi, Autoferrotranvieri, Acerra, …) che internazionale (Venezuela, Bolivia, India, ecc.) segnalano l’inizio dell’inversione di tendenza, sia pure ancora in una fase iniziale.

Queste mobilitazioni si affiancano alla crisi del “poliziotto mondiale”. I vertici dell’amministrazione americana ammettono ormai apertamente il loro fallimento in Iraq; non per questo il ritiro è vicino, prima di abbandonare l’Iraq tenteranno di devastarlo definitivamente, di lasciare solo un cumulo di macerie.

Tuttavia la prospettiva di una sconfitta del “poliziotto mondiale” avrà necessariamente un effetto rivoluzionario su scala internazionale. A ciò si sommano le crescenti contraddizioni economiche su scala mondiale.

Su queste basi è necessario avviare una riflessione sul riformismo e la socialdemocrazia. È illusoria l’idea che attraverso l’integrazione europea si possano ricreare quei margini di riformismo oggi così chiaramente erosi. Questa idea è stata anche alla base della costruzione del Partito della Sinistra europea.

Accade invece precisamente il contrario, come oggi vediamo in Germania con l’attacco frontale, il peggiore dal dopoguerra, allo stato sociale, ai salari e all’orario di lavoro, il tutto sotto un governo di sinistra e con la conseguente crisi della Spd. Questa crisi dei partiti riformisti crea la potenzialità per ribaltare i rapporti di forza a sinistra e, per il Prc, di uscire dalla condizione di minoranza.

Ma questo percorso può essere avviato solo alla condizione di mantenere una rigorosa indipendenza di classe.

Al contrario, i primi passi del partito nella Gad costituiscono dei veri e propri macigni (posizione sulla guerra, disciplina di coalizione, ecc.) che pregiudicano pericolosamente la nostra autonomia politica. Si dice che la lotta contro Berlusconi implica l’adesione all’alleanza. Non concordo: partecipare, anche con accordi tattici, alla lotta contro le destre non è la stessa cosa che entrare in un governo a chiara egemonia centrista.

Da queste considerazioni nasce la scelta di sviluppare il documento che presentiamo in questo Cpn in una mozione congressuale e di raccogliere su di essa le 500 firme necessarie alla sua presentazione.

FULVIA BILANCERI (Federazione di Livorno)

Viviamo una fase politica delicatissima ed estremamente complessa sia dal punto di vista della politica internazionale che nazionale oltre che in una perpetua campagna elettorale, visto che dopo le elezioni amministrative ed europee appena passate siamo impegnati nella “costruzione” delle prossime elezioni regionali e politiche.

Il partito ha vissuto un’estate in cui la linea politica e la strategia sono state delineate in ogni luogo eccetto che negli organismi interni preposti, dando adito a molteplici interpretazioni e lanciando nel caos il corpo militante del partito stesso con effetti di ulteriore smembramento a cascata delle istanze del partito: dalle federazioni ai circoli, vedo il mio territorio. Oggi non torniamo affatto né su quei temi, neppure per una formale ratifica - dandoli per ovviamente assodati essendo i tempi della politica tanto serrati ed essendo stati toccati nella scorsa Direzione; né sul metodo: se ne è molto discusso sulle pagine di Liberazione, e si ritiene sia sufficiente. I compagni e le compagne avranno avuto modo di dar ragione alle posizioni con cui avevano maggiori convergenze in modo assolutamente individualistico.

La cesura prodotta con il corpo del partito e le sue istanze è drammatica. Ma di questo non ci si cura affatto, non ce n’è accenno nella relazione e non si cercano soluzioni. Così la discussione è ridotta ad un parlarsi addosso tra dirigenti di alto livello, professionisti della politica, procedendo con un metodo autoritario, senza fare una autocritica, e utilizzando gli schieramenti preconcetti, ancora senza cercare sintesi.

Trovo questo nostro incontro del 30-31 ottobre quanto mai inutile e fine a se stesso.

Compito di questo Cpn è dare avvio alle procedure che ci porteranno al 6° congresso del Partito: luogo di elaborazione della linea politica e di definizione della strategia? In questo contesto?

Mi ha fatto piacere sentire parlare di chiarezza, partecipazione e unità del partito come linee guida per il dibattito congressuale. Tuttavia mi permetto di essere molto scettica sulle reali capacità e sulla volontà di praticare queste parole d’ordine perché fino ad ora non sono appartenute alla storia del vivere quotidiano nel partito - in particolare dallo scorso congresso ad oggi - e non ho visto nessun ripensamento, anzi semmai una accelerazione di quelle pratiche che hanno segno opposto, come appunto negli ultimi mesi. Pratiche autoritarie che si contraddistinguono per mancanza di trasparenza e rendono difficile la partecipazione e quindi una discussione libera e aperta, dunque la possibilità di una sintesi e la ricerca di una reale unità nel partito.

Credo che questo elemento e le responsabilità di questa scelta debbano essere molto chiare per fuggire la possibilità di ulteriori equivoci.

BIANCA BRACCI TORSI (Direzione nazionale)

Sono convinta che chiarezza e partecipazione, richiamate dal compagno Bertinotti, siano elementi necessari non solo per lo svolgimento di un congresso che discuta di politica e definisca una linea condivisa o almeno accettata, ma per la vita stessa di un partito comunista in una situazione delicata e difficile come l’attuale. Non mi sembra però che costituisca un incentivo alla partecipazione la scelta - mi pare obbligata - di documenti contrapposti e, di fatto, non emendabili.

Manca in questo impianto una parola e la pratica che le corrisponde, una parola proibita “sintesi”, che costituirebbe l’unica via per un ampio e libero dibattito e per l’accettazione consapevole di un voto di maggioranza.

Nel merito, non mi sembra scontata la “crisi strategica delle politiche neoliberiste”, né un segno importante di inversione di tendenza la sconfitta di Barroso e Buttiglione, (che pure riempia di gioia chi, come me, considera le religioni “oppio dei popoli” quando incidono sulle scelte statuali) che non tocca argomenti come la guerra, lo stato sociale, il lavoro, sui quali varie forze politiche italiane ed europee, rigorosamente laiche, hanno pareri molto lontani dai nostri. Infine sulle tre culture presenti nella sinistra, nel movimento e nel nostro partito - marxista, movimentista e di autogestione e autogoverno - e sulla loro possibilità di convergere, dobbiamo tener presente che nel movimento dei movimenti sono presenti tutte e tre, con una infinità di sfumature e distinguo come dimostrano le diverse posizioni assunte su guerra, terrorismo, non violenza, resistenze e modalità di lotta. Un “altro mondo possibile” è la parola d’ordine che effettivamente unifica tutte le culture, sia al nostro interno che nel movimento, ma mi pare che bisognerebbe discutere di come dovrà essere e per quali vie costruirlo. Anche nella necessaria tessitura di un rapporto reale fra no global e movimento contro la guerra e movimenti sociali.

ALBERTO BURGIO (Responsabile Giustizia)

Nella sua relazione il segretario ha sostenuto che il congresso dovrà porre tutti i compagni in condizione di partecipare nel modo più aperto alla elaborazione della linea del partito. E’ un’affermazione impegnativa.

Mi auguro che le regole congressuali che stiamo per definire consentano di tradurla in realtà, e per questo mi associo a quei compagni che chiedono un congresso su documenti a tesi emendabili.

Sulla nostra partecipazione al governo (questione centrale nella nostra discussione congressuale, per le difficoltà e i rischi che comporta), mi limito qui a due considerazioni. La prima è che la situazione nella quale ci troviamo non autorizza grandi ottimismi, come mostrano la debolezza dei movimenti (sottolineata dal compagno Cannavò) e la grave arretratezza di vasti settori del centrosinistra.

Di tale arretratezza fanno fede, da ultimo, l’inopportuna decisione di rinviare la manifestazione contro la finanziaria e il passo indietro rappresentato dalla mozione parlamentare sull’Iraq rispetto a quella, ben più avanzata, votata in giugno.

Questo quadro raccomanda la massima prudenza nell’assumere impegni con forze politiche le cui posizioni restano profondamente distanti dalle nostre.

La seconda considerazione riguarda le condizioni programmatiche che proprio questa situazione impone di porre in vista di un eventuale accordo di governo. Il segretario ha sostenuto che la richiesta di chiedere precisi impegni programmatici è in contraddizione con il tentativo di influire sull’impianto generale del futuro governo.

Non ne capisco i motivi.

Penso, al contrario, che se i vincoli programmatici fuori da un coerente impianto complessivo rischierebbero di rimanere impraticabili, un impianto generale privo di concreti obiettivi programmatici rischierebbe di esaurirsi nella enunciazione di nobili aspirazioni.

Stiamo attenti a non firmare cambiali in bianco, perché potremmo poi trovarci a dover sostenere (senza argomenti per criticarle) scelte politiche non condivisibili.

SALVATORE CANNAVÒ (vicedirettore di Liberazione)

La relazione del segretario esplicita con coerenza e organicità la prospettiva di governo come passaggio centrale della prossima fase collocandola in una complessiva analisi dei movimenti, delle classi dirigenti e delle forze della sinistra. Proprio questa “lucidità” aumenta e non riduce il mio dissenso che, appunto, è organico e coerente. Muove cio da una diversa analisi per arrivare a una divesa proposta politica.

Per schematizzare potremmo dire che la differenza tra noi è tra “ottimisti” e “pessimisti”. Vista la mia internità ai movimenti penso di poter parlare dei limiti di questi senza perorarne la scomparsa.

La fase attuale vede ancora una funzione essenziale dei movimenti di massa. Il Forum di Londra, la manifestazione per la pace, mostrano ancora l’esistenza di una forza di cambiamento che deriva dal rivolgimento politico e ideale avviatosi a Seattle.

Quello che il “movimento dei movimenti” ha espresso è una forte critica al sistema alludendo alla necessità di un nuovo spazio politico radicale. Questa intuizione, esaltata dal movimento pacifista e dalla sua vocazione etica, non ha finora trovato corrispettivo nella dimensione sociale, nel radicamento, in quelli che semplificando possiamo definire i rapporti di forza tra le classi, ancora nettamente sfavorevoli, come dimostrano quasi tutte le vertenze sindacali europee, si pensi alla Siemens o alla Volkswagen. Il problema è che i movimenti hanno ancora il “diritto alla pazienza”, alla crescita, alla fiducia in se stessi. Non possono immediatamente sfociare nella soluzione politica. Tentare di adeguarli al quadro politico - come si sta cercando di fare, con la prospettiva della Grande alleanza democratica - significa distorcerli: accentuandone la delega, e le illusioni, oppue comprimendoli ai tempi e alle priorità del quadro politico.

Questa difficoltà complessiva è speculare alla situazione delle classi dirigenti del mondo. Se è vero che l’ideologia neoliberista è incrinata è altrettanto vero che mai come ora le classi dominanti sono all’offensiva. Gli Usa rilanciano un moderno imperialismo - che fa piazza pulita della teoria dell’Impero o del presunto dissolvimento degli stati - ancora più aggressivo e spietato; Russia, Cina, mondo arabo, sudest asiatico sono ancora preda di governi reazionari e l’Europa, dopo il varo della moneta unica, ha conseguito l’allargamento a est e la firma della Costituzione europea, cioè un ordinamento liberista compiuto.

Le classi dirigenti sono in crisi ma sono molto più aggressive e si servono dei gruppi dirigenti del centrosinistra per governare la crisi.

Anche Prodi è classe dirigente. E le forze di sinistra anticapitalistica e alternativa scontano ancora la loro debolezza di impianto sociale, di proposte programmatiche, di relazioni internazionali.

(la sinistra alternativa si sta dibattendo in un politicismo incomprensibile: le servirebbero meno convegni e più campagne, così anche alla Sinistra europea). Per questo prevale la strategia elettorale del “male minore” dove si sceglie il meno peggio per mancanza deI meglio.

Da quest’analisi discende che si deve continuare con la linea dell’ultimo congresso in continuità con il ’98 e con Genova. Si tratta oggi di padroneggiare tre livelli connessi tra loro: consolidare lo sviluppo dei movimenti per incidere nei rapporti di forza tra le classi; avanzare nella costruzione di una più ampia sinistra anticapitalistica; conciliare questi due obiettivi con l’unità sociale, e conseguentemente politica, in funzione di battere le destre. Per questo un accordo elettorale, e non di governo, è lo strumento più utile. Un governo con le forze liberali del centrosinistra, può infatti farci correre il rischio più grande: renderci responsabili di una crisi verticale dei movimenti di massa; renderci partecipi di una sorta di “soccorso” alla crisi delle classi dirigenti. Questo rischio, in particolare, è presente nell’esperienza della Grande alleanza democratica (definita e percorsa senza un dibattito interno al partito) in cui Rifondazione elimina la sua differenza di fondo dalle forze centriste dell’Ulivo e in cui si determina un compromesso al ribasso senza programmi né contenuti.

MIMMO CAPORUSSO (Federazione di Bari)

La relazione del compagno Bertinotti mi porta a non condividere alcuni punti. Credo che il prossimo congresso a differenza di quello che sostiene il nostro segretario deve essere svolto nella maniera più unitaria possibile; questo ce lo chiede la stragrande maggioranza degli iscritti. I nostri compagni di base sono mortificati e demotivati (basta vedere il fallimento della nostra manifestazione nazionale che ha visto la partecipazione più scarsa da quando è nata Rifondazione) perché non coinvolti in maniera preventiva nelle scelte che il nostro gruppo dirigente nazionale effettua. Dopo l’adesione al Pse il cui simbolo non ha la falce e il martello (dobbiamo assistere ad un altra Bolognina?), il nostro partito aderisce alla Gad senza che nessun circolo sia stato consultato. I compagni ci chiedono unità! Penso che sia un grave errore svolgere un congresso con mozioni contrapposte, la base del partito ne risentirebbe molto con effetti che potrebbero indebolire in maniera forte un partito che già è debole. Per questo credo che si debbà svolgere un congresso a tesi emendabili. La partecipazione del nostro partito al governo è il tema centrale del prossimo congresso. Abbiamo sempre detto che le forze di centro destra che governano il nostro paese sono un pericolo e quindi bisogna fare uno sforzo per trovare un accordo che alle prossime elezioni politiche non consenta a queste forze di governarci ancora; tutto ciò però và fatto nella massima chiarezza e senza prendere in giro i nostri elettori.

Come Rifondazione comunista insieme alle altre forze della sinistra alternativa dobbiamo chiedere alcuni punti programmatici chiari; primo fra tutti la questione salariale.

Noi dobbiamo chiedere che venga reintrodotta la scala mobile (io non conosco altri strumenti che tutelino il potere d’acquisto degli stipendi e pensioni) ormai tutti i lavoratori è i pensionati sono colpiti dalla sindrome della quarta settimana, lo stipendio nella migliore delle ipotesi dura soloper tre settimane poi vai in crisi. Stop al lavoro precario le nuove generazioni vengono assunti tutti con lavoro a tempo determinato.

Nessuna controriforma delle pensioni. Stop alle privatizzazioni della sanità e scuola.

Questione meridionale e per finire no alla guerra. La mozione per il ritiro dei soldati dall’Iraq presentata dalla Gad in parlamento che ha visto il nostro gruppo alla camera non votare in maniera unanime è un passo indietro rispetto alla mozione votata dal centro sinistra nel giugno scorso e rispetto alla posizione di Zapatero. Senza questi punti programmatici io credo sia difficile trovare un accordo di governo. Per questo bisogna individuare prima i contenuti e poi tutto il resto e poi di parlare di eventuali ministri del Prc.

BRUNO CASATI (Direzione Nazionale)

Se a un Congresso è assegnato il compito di definire, almeno per tre anni, la linea di condotta di un partito, al 6°Congresso di Rifondazione è consegnata una scelta, e una sola: se investire o meno su un Governo di Grande Alleanza Democratica e cacciare Berlusconi. Che poi questa scelta sia un fine o un mezzo (come io credo) è addirittura secondario. La linea d’ombra del dibattito congressuale passa solo sul si o il no alla scelta. Le mozioni perciò si attestino su questo: che è poi la svolta intervenuta nel Partito e che, anticipata, ha già pagato in termini elettorali e di visibilità.

Qui si colloca il Congresso vero.

Comprenderei meno la deviazione su un finto congresso che ne annacqui la centralità della scelta - Governo si o no - per forzare invece la conta su elementi di una ricerca culturale, si importante ma che andrà ben oltre il 6° Congresso. Insomma ritengo che è possibile discutere di spirale guerra - terrorismo, non violenza e Novecento ma dentro lo stesso alveo di ricerca. Le culture non chiedono mozioni congressuali.

Ma ci si può costringere alla mozione per ragioni diverse dalla scelta obbligata. Come mi sono apertamente esposto al 5° Congresso lo faccio ancora: sono a sostegno di una ricerca di alleanze per cacciare Berlusconi sulla base di un programma, moderato fin che si vuole ma limpido, e a sostegno di quegli interessi calpestati da questo governo. Aggiungo però che sono altresì preoccupato del dilagare in questo partito di un male oscuro che non consente il dibattito vero e così penalizza il partito stesso. Un partito che non a caso cala quando l’elettorato cresce: è il male del conformismo.

MAURO CIMASCHI (Federazione di Crema)

Sulla questione dell’accordo di Governo concordo con quanti hanno sottolineato che non ci si può accontentare di “un impianto generale” come proposto nelle 15 tesi, ma va precisato con alcuni punti programmatici, vincolanti e irrinunciabili, senza i quali non si entra nel Governo: il rifiuto della guerra da chiunque dichiarata, Onu compresa, l’abrogazione delle leggi vergogna, una nuova scala mobile, una legge che consenta ai lavoratori di votare i loro contratti.

Ciò che preoccupa è lo stato del Partito che si accinge nel caso si arrivi ad un accordo, a sostenerlo e a farlo vivere tra i nostri militanti ed elettori.

Come si pensa possa reggere il Partito e il nostro consenso elettorale, alla presenza in un Governo il cui asse moderato è maggioritario, senza una forte condivisione di obiettivi ben definiti e un capillare radicamento nel paese?

Da una parte aumentano i consensi e le simpatie attorno al Prc, dall’altra calano gli iscritti, la militanza e i circoli a partire da quelli nei luoghi di lavoro. Ciò è dovuto alla lenta mutazione che rischia di farlo diventare un Partito sempre più di opinione e di immagine, con relativi rischi di repentini mutamenti di consenso elettorale (vedi Pci ultima fase e Partito radicale).

La portata dei compiti che ci attendono in questa delicata fase porre in primo piano l’esigenza di rafforzare il partito nelle sue strutture e nel suo radicamento sociale e territoriale, mobilitandolo sui problemi di ogni giorno (salari, pensioni, guerra …) nei luoghi di lavoro e di studio. Per fare ciò occorre riformare e rilanciare le strutture di base, circoli e federazioni, coinvolgendole nella elaborazione delle decisioni politiche e conferendo loro le risorse necessarie per superare i limiti che negli ultimi anni hanno contribuito a scoraggiare sia l’iscrizione che la militanza.

Unità e collegialità, democrazia e partecipazione, rispetto delle diversità e ricerca della sintesi sono valori da affermare sia nella cultura che nella pratica quotidiana, e linee guida della fase congressuale che si sta aprendo. Per questo credo sia necessario un congresso con un documento a tesi emendabili, che possa offrire a tutti, in un quadro unitario, la possibilità di contribuire - dai vertici al singolo militante - alla elaborazione della linea del Partito.

LIDIA CIRILLO (Federazione di Milano)

Il compagno Bertinotti nella sua introduzione, come sempre ben costruita e argomentata, ha utilizzato un espediente retorico che falsa la prospettiva del futuro prossimo. Ha cioè collocato sullo stesso piano fenomeni che stanno invece su piani assai diversi tra loro.

Le contraddizioni aperte nel liberismo e la comparsa del movimento - dice il segretario - rendono possibile ciò che è già da tempo necessario: l’apertura di un nuovo ciclo capace di portarci fuori dal tempo del liberismo e della guerra permanente.

Il governo deve perciò essere visto solo come un momento da cui in Italia questo processo può prendere avvio.

Il problema è che i tempi di preparazione e di realizzazione di un governo di centro - sinistra sono molto più ravvicinati rispetto a una dinamica che certo potrebbe aprirsi, ma che nei fatti è per ora solo dischiusa, nel senso che lascia appena intravedere un orizzonte.

A breve termine Rifondazione è destinata a confrontarsi con dati della realtà diversi da quelli indicati nell’introduzione.

Il primo è quello della crisi non del liberismo in quanto tale, ma delle sue versioni apologetiche e moderate. Il contesto economico, politico e militare esercita sui governi europei una più forte pressione perché, siano essi di destra o di sinistra, comunque si adeguino alle dinamiche della globalizzazione. Mi sembra indicativo da questo punto di vista l’esempio della socialdemocrazia tedesca, che nel suo complesso aveva comunque opposto una certa resistenza, anche per i legittimi timori legati all’unificazione e alla storia di quel paese.

A parte il disaccordo sui piani e sui tempi, mi sembra che ci sia anche una divergenza nel giudizio sulla sinistra riformista e l’aggettivo stesso risulta oggi incapace di definirla, almeno nel suo complesso.

La crisi delle versioni moderate del liberismo ne sospinge la parte più consistente e più vicina alle istituzioni ancora più a destra, mentre un’altra parte avverte l’esigenza di cominciare ad opporsi con maggiore energia dinanzi al rischio della dissoluzione delle sue stesse condizioni di esistenza.

Lo schieramento che ha sostenuto il referendum sull’articolo 18 ha rappresentato in maniera visibile la divaricazione imposta dallo stato delle cose.

Il compagno Bertinotti non può presentare l’opposizione al nuovo corso del partito come un insieme preoccupato di mantenere la verginità del partito in attesa delle nozze con la rivoluzione.

Gli argomenti dell’opposizione partono tutti da preoccupazioni legate a un contesto, di cui prima di tutto si giudicano in maniera diversa le potenzialità e le prospettive.

All’indomani del referendum abbiamo indicato nell’insieme che aveva appoggiato il referendum la realtà da cui ripartire. Avremmo dovuto agire per accentuare la divaricazione, dare maggiore coerenza interna all’insieme, lavorare per approfondire il suo legame con il corpo sociale. Questo lavoro ovviamente non avrebbe escluso la discussione con l’altra parte al fine di trovare insieme il modo per mandare a casa Berlusconi, anche attraverso la scadenza delle elezioni.

L’ottica però doveva essere rovesciata, rispetto a quella inaugurata dal partito con il nuovo corso.

CELESTE COSTANTINO ()

Su tre questioni fondamentali: la situazione internazionale, il rapporto con il centrosinistra ed il sesto congresso del Partito.

Ritengo che la rappresentazione della situazione internazionale attraverso la spirale guerra - terrorismo sia assolutamente fuorviante.

È evidente che la guerra dichiarata dagli Stati Uniti non è derivata dagli attentati terroristici dell’11 settembre ma ha come obbiettivo il controllo di una zona strategica del mondo e la ricchezza derivante dal petrolio.

Le responsabilità della crisi internazionale sono dunque ascrivibili alle scelte di guerra attuate dal governo americano e, per quanto riguarda il Medio Oriente, dal governo israeliano. In questa ottica diventa fondamentale legittimare la resistenza irachena e fare in modo che questa partecipi a pieno titolo al processo di pace.

Il percorso seguito dal Partito per costruire l’alleanza con le altre forze di opposizione è a mio avviso criticabile sia per questioni di metodo che di merito.

Fino ad oggi le scelte fatte sono state assunte senza tenere conto di una discussione collettiva e sono state prese anticipando il dibattito in seno agli organismi dirigenti a tutti i livelli. Sul piano prettamente politico invece, la decisione di dare per scontata la partecipazione del Partito alla Gad mette in discussione il principio al quale Rifondazione comunista si è sempre attenuta, cioè prima i programmi e poi gli schieramenti.

Tenendo conto della situazione interna al Partito, in previsione del congresso, considero più utile il confronto democratico con un documento unitario emendabile piuttosto che la contrapposizione fra mozioni alternative e sostanzialmente inemendabili, che non fanno altro che acutizzare ancora di più le grandi lacerazioni che si stanno creando dentro il Partito.

AURELIO CRIPPA (Direzione nazionale)

La sfida alle destre, ma anche al campo riformista, è l’uscita dalla guerra preventiva e dal liberismo (battere il governo di centro-destra, costruire l’alternativa di società).

La sola resistenza non è sufficiente, ci vuole una controffensiva (un progetto politico ed un programma, una linea politica per attuarli, un partito di massa, forte ed organizzato, capace di affermarli).

Obiettivi immediati: eliminare il distacco tra politica e società, superando l’inadeguatezza della proposta anche nostra, (la fase non è quella ipotizzata a luglio) con una piattaforma rivendicativa politica.

Quali piattaforme alla base delle manifestazioni contro la finanziaria di Gad e Cgil Cisl e Uil?

(l’esigenza è una controfinanziaria).

Senza obiettivi e continuità territoriale della mobilitazione si crea disillusione; restituire spazi e dare rappresentanza politica alle classi popolari; rovesciare il discorso in atto, tutto organizzativo- elettoralistico (ogni giorno una “nuova”) e portarlo sui contenuti programmatici per rispondere alle aspettative immediate e dar “corso” a programmi per le elezioni del 2005 e 2006.

Il partito: la relazione dice di un congresso (il prossimo) in cui si cominci a praticare una riforma del nostro agire politico (evidente la registrazione del fallimento dell’autoriforma del precedente, vedi stato del partito).

Condivido.

Il VI Congresso: confermo dissenso (questione politica, non solo modalità).

E’ stato annullato ruolo dirigente degli organismi, la partecipazione aperta alla elaborazione (alla “bisogna” bastava la convocazione del Cpn e la relazione, così come sempre è stato, assunta come base di discussione).

Documenti inemendabili a livello nazionale, prendere o lasciare tutto: non condivido questa modalità.

Da voce alla tesi e volontà già presente nel partito, che riduce il congresso ad un referendum pro o contro il Segretario (alla faccia della conclamata chiarezza delle posizioni politiche).

Il pluralismo delle idee è così ridotto a rendersi manifesto solo con le “correnti cristallizzate” (partiti nel partito), come già espresso nelle cronache di “Liberazione”, dove i dirigenti del partito non sono tali, ma rappresentanti/ esponenti di Erre, Alternativa, Progetto Comunista, l’Ernesto ecc.

Mi auguro che così non sia. Se così sarà, quali speranze per l’alternativa di società?

STEFANO CRISTIANO (Federazione di Pistoia)

Pansa descrive i partigiani comunisti come banditi, il governo toglie i soldi all’Anpi, mentre si equiparano nazisti e comunisti, questo revisionismo sta alla base dell’attacco alla costituzione e ci chiede di rivendicare la nostra storia criticamente ma senza pudori, e ad assumere come priorità la volontà unitaria del nostro popolo per battere Berlusconi. La voglia di unità è forte anche dentro il Prc. Per questo preferirei un congresso a tesi che favorisce i contenuti e circoscrive le differenze, rispetto a quello a mozioni che esalta gli schieramenti.

Nel merito concordo sulla necessità di costruire la sinistra di alternativa e non capisco perché anziché definirne i contenuti, per poi confrontarsi con più forza con tutto il centro sinistra, noi abbiamo già deciso di stare in una coalizione di governo senza sapere su quali basi programmatiche, e accingendoci a rispettarne i vincoli attraverso le primarie. Ma il no alla guerra senza se e senza ma e il ritiro immediato delle truppe dall’Iraq per noi sono fondanti, e un governo con ministri del Prc oltre a prevedere ciò, dovrà garantire che non faremo guerre, umanitarie o meno, con l’Onu o con la Nato.

Tale scelta non è mediabile e né può essere subordinata ad un vincolo di maggioranza.

Il segretario poi ci esorta a non parlare di paletti e propone un’alternativa di società per raggiungere la quale il governo è uno strumento.

Ma se è vero che Berlusconi risponde a un preciso blocco sociale, a chi risponde la Gad? Ai lavoratori? Alla confindustria? A tutti? Ecco perché alcuni contenuti sono indispensabili per capire dove vuole andare il governo di centro-sinistra. Cancellare la legge 30, la legge Moratti, le leggi sulla giustizia e la bossifini, la legge sulle pensioni, approvare una legge sulla rappresentanza sindacale, e introdurre una nuova politica salariale imperniata sul recupero automatico del potere d’acquisto degli stipendi, sono, a mio parere, le condizioni minime che ci possono permettere di rispondere alla nostra gente, e per questo dovremo dire con chiarezza, nel congresso e fuori, che un governo che non assuma tali impegni non vedrà la presenza del Prc.

Se Bertinotti riterrà questi argomenti tali da non consentire un congresso unitario perché “snaturerebbero la linea del partito”, ne prenderò serenamente atto e cercherò, con spirito unitario, di spiegare al partito le mie ragioni.

Redazione di Liberazione
Roma, 30 ottobre 2004
da "Liberazione" (del 7 novembre 2004)