Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista

Interventi D - G

Roma, 30 - 31 ottobre 2004

PASQUALE D’ANGELO (Federazione di Chieti)

“Piena corresponsabilizzazione” governativa del PRC, forzature per la costituzione del PSE, primarie e “vincolo di maggioranza”, troppo strane convergenze “umanitarie”, allusioni a possibili cambi di nomi e simbolo del partito, progressivo stemprarsi verso il riferimento operaio e gonfiatura di quello movimentista, tentativo di revisione di caratteri fondanti la nostra identità e la sua “diversità comunista”, convergenza con la “Grande Alleanza Democratica”: un susseguirsi di esternazioni sovrapposte partito e fuori di qualsiasi verifica democratica, in una angusta prospettiva “governista” e verso l’adeguamento ai futuri impegni “istituzionali”.

Il rischio è la cancellazione del riferimento comunista, attraverso il superamento, di fatto, della sua identità di classe, dei suoi caratteri fondanti, nonché la definitiva perdita della sua autonomia.

Quell’angusta “prospettiva istituzionale” si varealizzando nel contesto di un’alleanza, la Gad appunto, che sin d’ora si presenta inagibile a rappresentare una effettiva alternativa, se non per semplici “tamponamenti” ai guasti del governo delle destre. C’è davvero da chiedersi come sia possibile che gli stessi compagni di maggioranza, che continuano a sostenere le linee dell’attuale direzione politica nel partito, non giungano a percepire le conseguenze, disastrose per un partito comunista, della non corrispondenza piena alle aspettative del dopo Berlusconi.

Sarebbe drammatico se la prevedibile reazione popolare o la sua disillusione trovassero il nostro partito “corresponsabile” e non, invece, il necessario riferimento comunista che - avendo già fatto la propria parte per scalzare le destre - sarebbe ancora nelle condizioni di autonomia e di agibilità organizzativa e politico-programmatica per andare oltre nel risultare credibile riferimento istituzionale ad ogni livello.

E’ evidente che, anche per noi, perché la situazione non arretri ancora oltre, la “cacciata” del centro-destra è una priorità, e dunque vanno individuati, insieme al resto delle forze di opposizione, tutti i meccanismi “tecnici” per conseguirla; essa, però, è per noi aspetto di un percorso lungo il quale la nostra pratica diretta nelle istituzioni e nella realtà sociale, i rapporti con le altre forze di sinistra e quelli col resto del centro-sinistra - necessari, ma da mantenere ben distinti - siano vincolati a linee politiche e programmatiche in grado di conseguenziare il senso effettivo delle spinte contestative.

Adesso, però, a partire dall’appuntamento congressuale, c’è da salvare il partito e garantire la sua autonomia, nonché operare perché le forze del movimento che fanno riferimento al partito non finiscano piegate e utilizzate, dagli interessi spuri non vocati all’alternativa che vi si sono sovrapposti, per diluire il partito stesso e la sua identità; con esse, anzi, va trovato il modo perché, nell’insieme del movimento, si possa risultare avanguardia nell’operare, dentro la concretezze delle problematiche di lotta, a ché maturi sempre di più la coscienza di classe necessaria a riguadagnare l’originaria dimensione anticapitalistica.

SALVATORE DISTEFANO (Comitato regionale siciliano)

La nostra discussione si tiene in concomitanza con la manifestazione nazionale per la pace a conferma della forza e della vitalità del movimento, schierato a fianco di quanti lottano l’occupazione americana, che incontra ogni giorno di più forme di resistenza che impedisce all’imperialismo di conquistare l’intera area petrolifera. In Iraq c’è un massacro di immani proporzioni, centomila morti irakeni secondo “The Lancet”, che dev’essere fermato subito: così come chiede il movimento per la pace.

Dobbiamo continuare l’opposizione al governo Berlusconi impedendo il “massacro sociale” su occupazione, pensioni, scuola, sanità, e specificando che ci battiamo non per un semplice ritorno al passato, ma per cancellare tutto ciò che è stato fatto contro la classe operaia e le grandi masse popolari nell’ultimo decennio. In particolare, occorre battersi per una politica che rimetta al centro la “questione meridionale”, resa marginale sia dal divario economico-sociale sempre più crescente, sia dai cedimenti delle forze democratiche e dall’aggressività del blocco conservatore, valorizzando le risorse esistenti e richiedendo massicci investimenti pubblici nel campo delle politiche industriali, dell’agricoltura, della ricerca, del credito, della formazione culturale. Bisogna rifiutare, invece, le opere faraoniche e speculative come il ponte sullo Stretto e le basi militari, che fanno del Mezzogiorno una “portaerei” schierata nel Mediterraneo contro i popoli del Sud del mondo. Va dedicato, altresì, un impegno straordinario, anche in vista dello sciopero della scuola del prossimo 15 novembre, per cancellare la “controriforma” Moratti e per ridare alla scuola e all’università il ruolo della formazione del pensiero critico, capace di offrire alle nuove generazioni gli strumenti per cambiare la società.

ROBERTA FANTOZZI (Segretaria Federazione di Pisa)

L’apertura di una nuova fase fuori dall’egemonia liberista e dalla guerra permanente è l’obiettivo della nostra iniziativa.

Dobbiamo sentirne tutta la centralità se è vero che sono aperti su scala globale esiti contrapposti: o la riapertura di un processo di trasformazione, né semplice, né lineare, o la possibilità di essere trascinati dal fallimento della globalizzazione capitalistica in un imbarbarimento generalizzato. Non sono tempi in cui sia consentito di ritrarsi in comode nicchie.

La possibilità di conquistare l’apertura di un nuovo ciclo viene giustamente indicata in due elementi di fondo: l’instabilità che è realmente il segno di questa fase e lo sviluppo dei movimenti che ha riaperto la possibilità di un processo di trasformazione.

La questione del governo è variabile dipendente, non obiettivo in sé ma possibile strumento. La cacciata del governo Berlusconi è necessaria non solo per i danni che si stanno producendo nell’immediato, ma perché se quelle politiche si consolidassero l’arretramento del contesto in cui operiamo sarebbe tale da renderne nel medio periodo difficile la reversibilità.

Se non si torna indietro sulla legge 30, se non si sventa l’attacco al contratto nazionale di lavoro, i processi di frammentazione e parcellizzazione sociale cresceranno esponenzialmente, mettendo a rischio la possibilità stessa di un protagonismo collettivo del mondo del lavoro.

Nelle 15 tesi vengono indicati anche specifici punti di programma - l’abrogazione della legge 30, delle Riforme Moratti, della Bossi Fini e la conquista di politiche redistributive - ma è indubbio che esse devono poggiare su un impianto complessivo e che è prioritaria la costruzione di una democrazia del conflitto e della partecipazione, per rompere quell’impermeabilizzazione dei ceti politici e della sfera istituzionale dai bisogni sociali che è impedente di ogni processo di trasformazione.

Per fare tutto questo occorre un partito, che sappia costruire più relazioni sociali, più conflitto, più movimento.

Il contrario di qualsiasi passivizzante adattamento alla dimensione istituzionale. Più facile a dirsi che a farsi. Ma questa è la sfida che abbiamo di fronte.

GIANNI FAVARO (Direzione nazionale)

Mi soffermerò solo sulla prima parte della relazione dove viene proposto un congresso su mozioni non emendabili, nel senso che saranno ammessi solo emendamenti che non modifichino l’impianto complessivo e che non potranno costituire rappresentanza negli organismi dirigenti, affinché, come ha detto il segretario: il Partito sappia qual è la linea proposta che lo deve guidare.

Non importa se questo impianto determinerà un maggiore frazionamento della nostra discussione, un accentuazione della divisioni ed una loro cristallizzazione in correnti, se gli iscritti saranno esclusi dalla discussione e nei fatti dalla costruzione della linea. Tutto ciò non importa purché si possa ottenere una linea chiara e una proposta politica compiuta.

Non sono d’accordo penso che sia non solo sbagliato ma anche dannoso per il nostro Partito. Penso che, soprattutto in una fase così difficile e complessa come questa che stiamo attraversando dovremmo lavorare per favorire una ricomposizione unitaria. Penso che il modo più corretto per ottenerlo sia un congresso con un documento a tesi emendabili da tutto il Partito a cominciare dai circoli così potremo veramente decidere la linea che dovrà guidarci.

Si dice che già l’altro congresso, pur essendo stato un congresso a tesi emendabili, il partito si è trovato poi diviso. Vero, ma la responsabilità delle divisioni non sta nel tipo di congresso piuttosto nel massimalismo politico espresso tre anni fa, nei continui cambi di linea e soprattutto nella esclusione del Partito dalla discussione e decisione della linea. Chi può sostenere, senza vergogna, che la linea decisa allo scorso congresso è la stessa di oggi? E chi può dichiarare, senza sapere che sta mentendo, che quella che decideremo al prossimo congresso non cambierà fino a quello successivo?

Dunque non è per la chiarezza della linea che si impongono le mozioni ma per due esigenze: la prima è quella di bliad (Gad ? ndr) e del futuro governo anche senza un programma concordato, la seconda è quella di garantire l’omogeneità dei gruppi dirigenti a tale scelta.

MARCO FERRANDO (Direzione nazionale)

Se l’intera relazione di Bertinotti deve spiegare che “il cuore del congresso non è il governo”, allora vuol dire che il governo è di fatto il cuore del congresso. Peraltro dopo una svolta di governo che ha messo il nostro partito davanti al fatto compiuto; dopo la proclamazione di una “Grande Alleanza democratica” con Prodi, Rutelli, D’Alema, senza neppure la parvenza di un programma comune, vi sarebbe da stupirsi se la prospettiva del governo non fosse al centro della discussione.

Sono il primo a riconoscere che questa trasformazione del Prc nella sinistra del centrosinistra ha oggi un suo spazio politico e sociale, a fronte della mutazione liberale della maggioranza Ds e del mancato “partito di Cofferati”. Ma si tratta della vecchia riproposizione del compromesso sociale tra liberalismo e socialdemocrazia, tanto caro al Novecento: quello in cui i liberali, in rappresentanza dei poteri forti, guidano e segnano il governo e i ministri socialdemocratici portano in dote la rappresentanza e il controllo dei movimenti. Dire che “il governo per noi è solo uno strumento dell’alternativa di società” non salva l’anima: significa ripetere quello che per un secolo han detto tutti gli esponenti del riformismo storico, a partire da Bernstein. Ma ciò che ha contato ogni volta non sono state le parole ma i fatti. E tutta l’esperienza storica dimostra che nessun governo coi liberali ha tracciato la via di un mondo nuovo.

Questo è tanto più vero oggi, quando la crisi capitalistica e i nuovi equilibri mondiali privano il compromesso sociale di ogni spazio riformatore e di fatto lo trasformano in un compromesso controriformatore. Jospin, Lula, l’attuale governo indiano sono al riguardo emblematici.

Per di più, questa “grande alleanza democratica” col centro liberale dell’Ulivo non è oggi un’astratta petizione strategica ma la subordinazione a una concreta operazione di alternanza che la grande borghesia intraprende contro i movimenti. Se i liberali oggi ci offrono posti di governo è per privare i movimenti di un riferimento di opposizione, per corresponsabilizzare l’opposizione ai loro programmi contro le ragioni dei movimenti. L’argomento della necessità di un governo con Prodi “per cacciare Berlusconi” è falso e demagogico.

Siamo i primi a rivendicare la cacciata di Berlusconi. Ma lo si vuole cacciare alla testa delle lotte dei lavoratori o alla coda di Prodi e dei banchieri contro i lavoratori?

La verità è che la subalternità delle sinistre al Centro liberale e a Montezemolo finisce proprio col paralizzare l’opposizione di massa a Berlusconi, come si è visto nei mesi di giugno e luglio, dove nessuna indicazione di lotta è stata data contro un governo virtualmente morto col risultato di salvarlo. E ciò in subordine alla volontà del Centro ulivista di garantire a Berlusconi modi e tempi per completare il lavoro sporco contro pensioni e sanità, a vantaggio del futuro governo Prodi.

Il sostegno del Prc a un secondo governo Prodi distruggerebbe le ragioni sociali del nostro partito.

È un esito che va scongiurato. È necessaria una proposta coerentemente alternativa che assuma il carattere irrinunciabile dell’opposizione comunista ad un governo liberale. Che si rivolga apertamente a tutte le forze del movimento operaio e dei movimenti per rivendicare l’unità di lotta contro Berlusconi, su una piattaforma di mobilitazione radicale e in funzione di un’alternativa di classe. Perché solo la lotta dall’opposizione per una vera alternativa anticapitalistica può difendere vecchie conquiste e strappare risultati. Ogni corresponsabilizzazione di governo distrugge vecchie conquiste e ne impedisce di nuove.

È l’esperienza degli ultimi venti anni. Tutti i compagni e le compagne convinti di questo possono e debbono unire le proprie forze, su basi chiare, al di là di ogni vecchio steccato di mozione, nel VI Congresso del partito.

SAVERIO FERRARI (Federazione di Milano)

I 15 punti proposti da Bertinotti non rappresentano la semplice riscrittura delle tesi del passato congresso o un doveroso aggiornamento di analisi, ma un dato politico e strategico nuovo, che sposta per tutti in avanti il dibattito, non consentendo più a nessuno di rimanere ancorato alle posizioni passate.

I punti vanno considerati nel loro insieme, come un corpo organico, come possibilità di messa a valore di tappe di riflessione non solo politica ma anche teorica.

La difesa della democrazia, minacciata da un’emergenza costituzionale, risulta centrale per le nostre scelte politiche, diviene dirimente. Un contenuto sovraordinatore nella formazione di un programma alternativo di governo. Le destre in Italia presentano caratteri specifici, con componenti con un passato eversivo, provenienti da una storia di estraneità ai valori democratici.

Altre componenti hanno tratti razzisti ed oscurantisti.

Nel loro insieme costituiscono un pericolo ai valori fondanti la Costituzione. Anche per questo l’idea di un governo alternativo diviene un passaggio necessario. La battaglia all’interno della grande coalizione democratica segnerà il destino delle opposizioni ed anche il nostro. O si realizzerà un rapporto di forza complessivamente favorevole a posizioni di sinistra o si rimarrà stretti fra le contraddizioni che produrrà un accordo insufficiente, dentro ad una forte spinta all’unità che eserciterà il popolo democratico e di sinistra.

RITA GHIGLIONE (Direzione Nazionale)

Molte considerazioni contenute nelle tesi sono condivisibili per questo spero che si possa andare ad un congresso a tesi emendabili non solo perché ci permetterebbe di fare un congresso davvero democratico dove la differenza è ricchezza non isolamento, non cristallizzazione, non logica di schieramento. Se dovesse prevalere le mozioni temo si determinerebbero gravi lacerazioni nel partito o potrebbe prevalere una logica di schieramento rispetto ad congresso vero. Per entrare nel merito, penso che abbiamo due obiettivi fondamentali, 1) mandare a casa questo Governo il più presto possibile per non permettergli di fare ulteriori disastri 2) avviare una nuova politica di sviluppo e di giustizia sociale alternativa a quella antipopolare praticate da questo Governo.

Occorre iniziare a ragionare su cosa oggi c’è. Penso che il percorso fatto dal ns. partito sulle alleanze (merito e metodo) sia molto discutibile. Nel merito il partito, ancora una volta, è stato messo di fronte a scelte già fatte, mi riferisco alla disponibilità di entrare al Governo (prima che se ne definisca il programma), alla disponibilità alle primarie, all’accettazione del vincolo di maggioranza per il programma, all’adesione alla GAD. Con gli organismi dirigenti chiamati solo a ratificare. Questo metodo non si concilia con la pratica della democrazia interna e della partecipazione.

Nel merito politico, la disponibilità già data di un ns.

ingresso nel Governo, prima di definirne i contenuti, cancella il principio del “prima il programma poi gli schieramenti”. Questo percorso va rovesciato, ferma restando la disponibilità con le altre forze di opposizione a cacciare Berlusconi. Perché il programma?

Il mondo del lavoro, una grande parte del Paese, credetemi, non si appassiona, non è attratta dalle formule, dai contenitori.

Le condizioni materiali di milioni di lavoratrici e lavoratori sono sempre più dure e difficili, non si sa se potrai arrivare con il tuo stipendio a fine mese.

Per questo la domanda è, certo se riusciremo a cacciare Berlusconi con le sue politiche disastrose, ma soprattutto se questa sinistra saprà e vorrà esprimere un programma chiaro, alternativo di sinistra, che risponda ai bisogni materiali ed impellenti.

Allora per noi comunisti quali sono i punti programmatici che debbono stare nel programma?

La pace, l’abrogazione della legge 30, mettere al centro il lavoro a tempo indeterminato, l’abrogazione della legge sulle pensioni, uno strumento che difenda i salari/le pensioni dall’inflazione reale, una riforma fiscale dove chi più ha più paga, una nuova politica industriale che rilanci il pubblico nei settori strategici del ns. Paese. La necessità per noi è di qualificare la piattaforma politica (fra l’altro abbiamo già dei contributi i 6 punti della la FIOM il documento della la CGIL). Ecco perché dobbiamo creare le condizioni perché a breve si possa dar vita ad un coordinamento delle forze sociali e politiche della sinistra alternativa che individui obiettivi condivisi per una piattaforma di programma avanzata, capace di modificare e coinvolgere l’insieme delle opposizioni su un programma di sinistra.

ALFONSO GIANNI (Deputato)

Ogni congresso ha una caratterizzazione prevalente. Quello precedente si distingueva per l’attenzione posta all’impianto analitico-teorico, e per questo abbiamo scelto la forma delle tesi, che mi sembra tuttora valido, visto che le nostre scelte successive si inquadrano perfettamente entro quelle tesi e il documento politico finale. Quello attuale si caratterizzerà invece prevalentemente per la scelta politica da compiere per i prossimi anni. E’ giusto perciò che si proceda per mozioni contrapposte, in modo che sia chiara e netta la scelta.

Questo non significa che non dovremo tornare anche su questioni di fondo, come quella del terrorismo.

Ve ne è bisogno, visti anche gli sbandamenti su questo tema di parti del nostro partito, persino in occasione del rapimento delle due Simona, e dei gruppi dirigenti del movimento.

Ma il punto essenziale cui il congresso dovrà rispondere è il seguente: come valorizzare quell’accumulo di forze sul piano internazionale e interno per l’alternativa, cui abbiamo direttamente contribuito, mentre le forze dominanti conoscono una crisi di credibilità a ogni livello che le spinge a mettere con la guerra e uno spietato liberismo in discussione la stessa civiltà? Qui dentro sta la questione del governo. Proprio per questo vanno chiariti due problemi. Il primo: non siamo, come in altre epoche storiche, di fronte ad un’alternativa tra riformisti e rivoluzionari. Lo spazio per i primi è consumato dalle logiche della globalizzazione.

Il che non significa che non sono perseguibili riforme, ma queste possono nascere solo da una posizione alternativa e radicale.

In parole povere tra Berlusconi e un governo d’alternativa, al di là delle formule, non vi è uno spazio effettivo di manovra. Le soluzioni neocentriste esistono solo come paravento politico di una sostanziale politica di destra.

Il secondo: dobbiamo domandarci cosa è oggi il governo. Cosa è nell’epoca della crisi (non certo del dissolvimento) degli stati nazione per la riduzione di ruoli e poteri su di essi esercitata dai centri di comando internazionali (Banca mondiale, Fondo Monetario, Banca europea ecc.) e per l’erosione di funzioni che deriva dalla disarticolazione pseudofederalista, nonché dai sistemi elettorali maggioritari che spingono la contesa sulla conquista del centro. Su questo si sta ragionando da più parti, mi colpisce invece che il nostro dibattito non sia neppure sfiorato da questo tema.

In parole povere se ai tempi del primo centrosinistra negli anni sessanta la polemica era se entrando nella mitica stanza dei bottoni era possibile schiacciarli o si rimaneva solo ad assistere, oggi è se i bottoni veri stanno dentro la stanza o piuttosto fuori da essa. Non confondiamo la questione di un ingresso nel governo a seguito di una vittoria elettorale, che solo in questa prospettiva potrebbe essere perseguita, con la conquista del potere.

Se ce la faremo andremo al governo non per andare al potere ma per avere uno strumento in più per mettere i bastoni nelle ruote del potere delle classi dominanti e per contribuire alla trasformazione della società. In questo senso la questione del governo è, parafrasando, la continuazione della politica con un mezzo in più. Ne consegue che strategicamente decisiva sarà la relazione che sapremo creare tra questo eventuale governo e i movimenti, senza i quali in ogni caso saremo sconfitti.

FOSCO GIANNINI (Segretario Federazione Ancona)

1) Per ricostruire l’unità interna e dare avvio ad un serio processo di rifondazione comunista la scelta migliore sarebbe un documento a tesi. Perché un documento non emendabile - come vuole la maggioranza - presuppone che chi lo avanza abbia già compiuto il processo di rifondazione comunista e le altre “anime” del Partito siano ostacolo a tale processo, siano - dunque - da “battere”. La maggioranza si comporta come se già avesse messo a punto le nuove “Tesi di Lione” e a queste Tesi potesse sacrificare l’unità interna. Siamo - invece - tutti ben lungi dal poter definire una prassi ed una teoria comuniste all’altezza dell’odierno scontro di classe. Occorrerebbe tenere aperto il dibattito e la ricerca, cercare la sintesi alta e l’unità.

Per questo la via razionale sarebbe quella di un documento a tesi, all’interno del quale confrontarsi e sulla base del quale unirsi per le difficili lotte presenti e future.

2) Le famiglie sono alla miseria; il welfare è smantellato; la Costituzione stracciata e il Paese è in guerra. Di fronte a ciò vi è una risposta di lotta del centro sinistra?

No, anzi si cancella anche la manifestazione del 6 novembre contro la Finanziaria, “perché Prodi è in Europa”: ma la manifestazione era contro la Finanziaria o era per far parlare Prodi? E’ questo il centro sinistra con cui ci si lega sino al punto di aver già deciso di far parte del nuovo governo e di entravi senza uno straccio di programma?

Senza un “no” alla guerra e tutti i necessari cambiamenti in difesa dei lavoratori, in quell’eventuale governo non si dovrebbe entrare. Intanto, senza programmi e parole d’ordine, “l’alternativa” è priva di ogni passione popolare, non cresce tra i lavoratori: rischia di essere parola morta tra ceti politici.

3) 600 mila bambini morti per l’embargo Usa; 13 anni di bombardamenti che hanno distrutto l’intero Paese; due guerre; almeno 100 mila morti tra i civili; la vita di un popolo trasformata in un inferno quotidiano (riusciamo ad immaginarlo dentro le nostre camicie ben stirate?): a tanto orrore il popolo iracheno risponde con una Resistenza eroica, verso la quale dovremmo inchinarci. Sinceramente, mi sento a disagio se nel mio Partito - mentre Falluja è sotto il fuoco imperialista, i bambini muoiono come mosche e le donne strisciano sottoterra per portare aiuti ai partigiani - si spacca il capello in quattro e ci si diletta a rimpicciolire la “r” alla Resistenza irachena.

ALESSANDRO GIARDIELLO (Federazione di Milano)

La proposta del segretario non può essere condivisa.

L’accordo dell’11 ottobre con la Gad rappresenta nei fatti una rinuncia a rappresentare gli interessi dei nostri referenti sociali. Il problema non è solo che manca una base programmatica per l’accordo (come viene sottolineato dai compagni dell’Ernesto), quello che è decisivo è il carattere di classe della coalizione.

Non si può stare con Prodi e allo stesso tempo con i lavoratori. La questione democratica non può lasciare indifferente il movimento operaio, ma non è slegata da quella sociale.

In un contesto di crisi economica attacchi ai diritti democratici e alle condizioni di vita vanno di pari passo.

Non a caso il primo governo Prodi ha introdotto la Turco- Napolitano, Lula in Brasile ha represso le manifestazioni dei dipendenti pubblici, ecc.

La storia è piena di governi di “alleanza democratica” che spianano la strada alle destre e alla reazione.

La questione non è opporsi a qualsiasi governo all’interno del capitalismo (come sostengono i compagni di Progetto Comunista) ma lavorare per la “rottura al centro” e per l’alternativa.

Sulla base di un movimento di massa la prospettiva di un governo delle sinistre con un programma di classe è non solo possibile ma rivendicarlo è un passo necessario per intervenire sulla crisi della socialdemocrazia e sulle contraddizioni che si aprono al suo interno (tra gli apparati e la base di massa).

Ignorare la richiesta di unità che ci viene da sinistra sarebbe una scelta settaria che condurrebbe all’isolamento, entrare nel governo Prodi per questa ragione è ugualmente un errore. Dire, come fanno i compagni di Erre, che la questione del governo non è centrale significa stare fuori dal dibattito che attraversa le grandi masse.

Da qui le ragioni per presentare un documento alternativo sia alla maggioranza, che alle altre minoranze del Cpn che non ci paiono cogliere il passaggio chiave che affronterà il partito nella prossima fase.

BEATRICE GIAVAZZI (Commissione nazionale di Garanzia)

Passaggio sempre difficile quello dei Cpn che preparano la discussione per la proposta dei congressi.

Passaggio ancor più difficile quello del congresso, che dovrebbe chiamare tutti i compagni del Partito a mettere in campo il massimo di dialettica per l’ analisi e la proposta che sarà il contenuto della piattaforma politica successiva.

Sulla politica ma anche sull’organizzazione del Partito.

Niente di tutto questo nel dibattito a questo Cpn del 30 e 31 ottobre, prima discussione del percorso congressuale.

La proposta contenuta nella relazione del segretario è infatti tutt’altro che una proposta di sintesi unitaria di cui il Partito avrebbe grande necessità, che non corregge quindi ancora la scelta del V Congresso di non portare a sintesi l’elaborazione ampia del Partito.

Si propone, infatti un congresso di “chiarezza”.

Di quale chiarezza si parla?

Quella per cui tutte le differenze diventano più nitide e delineate e, quindi, distanti? Quella che, anziché concorrere alla “rifondazione comunista” così come l’abbiamo sempre intesa, sintesi delle esperienze che tutte le componenti fondanti mettessero a disposizione della costruzione di un forte ed autonomo partito comunista di massa, porti invece alla cristallizzazione delle posizioni, presenti pur fin dalla sua nascita, in Rifondazione Comunista?

Alla discussione poi non si propone una parola sullo stato di salute del Partito, su come uscire dalla preoccupante asincronia di risultati elettorali positivi (segno di apettative che il partito genera) e fiato corto nell’adesione al partito, quindi tesseramento in calo costante, nell’organizzazione delle iniziative (la manifestazione nazionale del 25 settembre per tutte) e sul preoccupante stato della democrazia interna, tutti segnali di difficoltà reali e gravi. Una proposta unitaria sarebbe andata anche in questo senso.

Spendersi nello sforzo massimo possibile per ottenerla forse avrebbe giovato a tutti. Faremo invece un congresso a mozioni non emendabili sull’accordo di governo già enunciato prima della costruzione del programma, mai oggetto di discussione approfondita degli organismi politici.

Peccato.

LICIA GIULIANA SEMA (Federazione di Trieste)

Vado subito alle Quindici Tesi, una raccolta di buone intenzioni con valenza etica da cui manca una chiara definizione di programma. Esaminiamo l’esperienza del Friuli-Venezia Giulia. Ad un anno e mezzo di partecipazione al governo della Regione, il programma di Intesa Democratica in tema di politiche sanitarie, del lavoro, economiche, ambientali, delle minoranze, degli immigrati, della scuola è ben lontano dal l’essere attuato anche in minima parte. È vero che il governo locale è diverso da quello centrale come dice Bertinotti, ma possiamo partecipare al governo del Paese con nostri ministri senza punti fermi, ai quali ancorare la nostra partecipazione?

Quali difficoltà, poi, per elaborare un programma?

Quando gli altri dicono “guerra”, i comunisti rispondono “pace”. Quando gli altri dicono “privatizzazioni”, i comunisti rispondono “nazionalizzazioni”.

Quando dicono “flessibilità”, noi rispondiamo “posti sicuri”.

Quando dicono “opportunità”, noi diciamo “diritti”. E questo solo per accennare alcuni presupposti irrinunciabili.

Meglio quindi preparare il programma, respingendo la tesi del voto a maggioranza, perché non credo che ci favorirebbe.

In tema di innovazioni del comunismo: la non violenza.

C’è qualcuno che ragionevolmente può sostenere che senza la resistenza irachena, l’America di Bush non sarebbe vincitrice assoluta e quindi legittimata dalla vittoria stessa ad esportare la democrazia in altre zone del Pianeta? La violenza delle uccisioni fa inorridire, ma di queste i mass media ci danno martellante informazione, mentre nulla è dato di sapere delle morti dei civili iracheni, che sono ormai più di centomila. Per la Palestina, non ci può essere equidistanza, non perché si sia fiancheggiatori dei terroristi ma perché la distruzione delle case e l’uccisione di bambini e adolescenti ci riporta ai più neri periodi della storia. Infine non credo che il terrorismo si possa battere con la mobilitazione, la polizia e i servizi segreti.

CLAUDIO GRASSI (Segreteria nazionale)

Ci sono diverse cose della relazione, come già nelle 15 Tesi, che mi convincono, altre meno, su alcune dissento. Ciò mi conferma che si poteva decidere di svolgere un congresso con un documento unitario a tesi emendabili. E’ vero che questa modalità ha evidenziato numerosi limiti in passato (ne andrebbero indagate le cause), ma temo che il rimedio che si propone - le mozioni contrapposte - sia peggiore del male.

Infatti, già ora, si ipotizzano 6 o 7 documenti alternativi.

Detto questo, ritengo che ogni congresso si caratterizzi su una questione prevalente. Quello che stiamo iniziando avrà, come elemento centrale, il tema del governo e ritengo necessario che su questo si discuta approfonditamente.

Rifondazione Comunista, fin dalla sua nascita, non ha mai preso in considerazione la possibilità di un ingresso diretto nel governo nazionale. Non per un motivo ideologico, ma poiché si è sempre ritenuto che, in questa fase, non ve ne fossero le condizioni politiche. In questo congresso noi decideremo, ove si vincessero le elezioni, se e a quali condizioni entrare nel governo.

La scelta è importantissima e ritengo che non bisogna darla per scontata. Credo sia stato un errore aver lasciato intendere - soprattutto con le interviste di questa estate - che Rifondazione Comunista ne farà parte con dei propri ministri. Noi questo lo dobbiamo dire solo alla fine. Solo dopo la stesura di un programma che ci convinca. Ecco perché, altro punto di dissenso, noi dobbiamo dotarci di un programma minimo al di sotto del quale non si deve entrare nel governo. Non può essere sufficiente un “impianto generale”. Per esempio: non è sufficiente scrivere che bisogna aumentare salari, stipendi e pensioni. Bisogna specificare quale legge si varerà per ottenere questo risultato. Se non faremo così, rimarranno delle parole, poiché la componente maggioritaria del centrosinistra, che non si è affatto spostata a sinistra (basta leggere le tesi congressuali della maggioranza Ds), ci dirà che il disavanzo economico lasciato da Berlusconi e i vincoli di Maastricht non ce lo consentiranno.

Nelle 15 tesi, e anche nella relazione, non si nomina mai la Resistenza irachena. Capisco che valutare positivamente la Resistenza irachena entri in conflitto con tutta la elaborazione fatta sulla nonviolenza. Per quanto mi riguarda, poiché la ritengo una forma di lotta non solo legittima, ma decisiva per sconfiggere, in sinergia con il movimento per la pace, la politica di guerra dell’imperialismo americano, considero ancora valide le critiche che avevo avanzato a proposito del dibattito sulla nonviolenza. E’ sbagliato quindi rappresentare la situazione internazionale attraverso la “spirale guerra-terrorismo”. Nessuna indulgenza nel condannare il terrorismo. I comunisti lo hanno sempre fatto a partire da Lenin.

Ma le responsabilità non sono equiparabili. La politica del governo americano e, per il Medio Oriente, del governo israeliano sono all’origine delle guerre e della aumentata tensione internazionale.

FRANCO GRISOLIA (Direzione nazionale)

Il cuore del progetto proposto da Bertinotti è la partecipazione al governo senza condizione alcuna. La questione del governo, insieme con quella della guerra imperialista, è, storicamente, la discriminante fondamentale tra riformismo e marxismo, che rifiuta per principio ogni partecipazione a governi di collaborazione di classe. Alla domanda bertinottiana: “Ciò significa che con l’esistenza del capitalismo il governo è precluso ai comunisti? ”, la risposta non può essere che affermativa. Il pensiero marxista sulla questione, enunciato migliaia di volte, è sintetizzato al meglio da Rosa Luxemburg, nella sua polemica contro i governisti di cento anni fa. “Nella società borghese il ruolo spettante alla socialdemocrazia è per sua natura quello di un partito di opposizione; come partito di governo può farsi avanti solo sulle rovine dello stato borghese”.

La posizione marxista non ha nulla di ideologico, ma si basa sulla concreta esperienza storica. I riformisti non sanno citare un solo esempio in cui l’ingresso al governo di un partito operaio sia stato utile alla classe. Al contrario è stata proprio la lotta di classe dall’opposizione che ha permesso al proletariato di ottenere importanti conquiste.

Qui sta la divergenza di principio tra noi. Quello che si può aggiungere è la particolare negatività del progetto attuale. Quello in cui gli alleati si scrivono Prodi, Rutelli, D’Alema, Bersani, Letta (e già basterebbe) ma si leggono Montezemolo e Profumo. Per questo le stese posizioni riformiste di sinistra, utopistiche e lontane dal marxismo rivoluzionario (come quelle dell’area Erre) non possono, questa volta, trovare spazio nell’ambito del documento maggioritario. Quello che bisogna opporre ad esso è una proposta alternativa netta, quella che qui presentiamo come Progetto Comunista. Perché è in gioco la natura di classe del nostro partito. Già nel 1996-98 quando votavamo la flessibilità selvaggia (pacchetto Treu) o le finanziarie di tagli e sacrifici non rappresentavamo certo gli interessi degli sfruttati. Seguire la ipotesi Bertinotti ci riporterebbe definitivamente su quel terreno. E’ per questo che bisogna respingerlo salvando il PRC come partito di classe.

DAMIANO GUAGLIARDI (Direzione nazionale)

Concordo con quanti evidenziano la necessità di un congresso a tesi emendabili, non solo per una esigenza liturgica della sintesi o di quella che una volta era la parola d’ordine dei comunisti: unità nella diversità. A me sembra del tutto dicotomico volere un congresso con documenti contrapposti e poi costruire al di fuori della nostra organizzazione esperienze e movimenti in cui la sintesi e la ricerca dell’unità collettiva sono strumenti indispensabili sia per battere le destra che per costruire il progetto di alternativa di società. Penso che Rifondazione comunista sta nei movimenti, nella Gad, nella sinistra di alternativa e nella stessa Sinistra europea con la consapevolezza di essere una componente di questi processi, tenuti insieme nel rispetto delle diversità e nella ricerca della sintesi comune.

Così non avviene nel nostro partito: prendiamo atto di una dicotomia pretestuosa che punta ad una gestione solitaria del partito, senza rendersi conto che non sempre chi vive e opera in via del Policlinico riesce a conoscere il partito meglio di chi costruisce l’organizzazione in periferia e nelle federazioni.

E il rischio di cinque o sei documenti congressuali è dimostrazione di questa mia preoccupazione.

Nella fase congressuale discuteremo molto di Gad, alleanza col centro sinistra e programmi, dimenticandoci dell’altra e immediata faccia della nostra iniziativa politica per sconfiggere le destre e costruire la nostra alternativa di società. Mi riferisco alle elezioni regionali che sembrano essere figli di un dio minore, quando invece rappresentano il centro della politica concreta in una Italia sempre più parcellizzata. Legge 30 e diritti nel lavoro, riforma Moratti e politica della formazione, politica sui migranti, diritti universali, modelli di sviluppo, politiche del credito, mafia e criminalità organizzata, Mezzogiorno, politiche ambientali, riforma dello Stato e forme di governo, e così via, appartengono alla nostra iniziativa politica oppure dobbiamo aspettare lo scoppio delle rivolte popolari - come è successo ad Acerra o Scanzano - per metterci alla testa dei movimenti? Penso che questi temi appartengano all’iniziativa quotidiana, per cui con il centro sinistra della Gad dobbiamo anche confrontarci nelle istituzioni e nei luoghi decisionali.

Sono per una alleanza forte pur di battere Berlusconi e le destre e in ciò ci riusciremo se avremo la possibilità di ascoltare il consiglio di Nanni Moretti, cioè di fare qualche cosa di sinistra. Ciò è possibile solo se le carte in tavola sono scoperte e ben visibili; se ciò non avviene corriamo il rischio di farci imbrogliare e di perdere consensi. Dal ’98 ad oggi abbiamo costruito una nostra personalità fatta di chiarezza e lealtà. Il sistema maggioritario ci ha penalizzato e ci costringe ad alleanze che in tempi diversi non faremmo mai. Ma non possiamo perdere identità e consenso affidandoci soltanto e semplicisticamente alla lealtà della Gad (Prodi, d’Alema, Amato, Rutelli, ecc.: gli stessi dell’ultimo decennio) o alla forza del movimento per costruire il nostro progetto di alternativa di società.

Redazione di Liberazione
Roma, 30 ottobre 2004
da "Liberazione" (del 7 novembre 2004)