Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista

Interventi H - N

Roma, 30 - 31 ottobre 2004

LUIGI IZZO (Direzione nazionale)

Anche in questo Cpn la discussione si è concentrata prevalentemente sulla questione dell’alleanza col Centro Sinistra e sull’ingresso nel probabile governo Prodi.

La mia preoccupazione è che ancora una volta avremo un congresso-referendum, poiché sicuramente i compagni saranno chiamati a pronunciarsi sull’ingresso o meno nel futuro esecutivo. Dal modo con cui verrà posta la questione (allearsi con la Gad per cacciare Berlusconi) è chiaro che i compagni saranno portati ad accettare la proposta della maggioranza. Penso che noi non dobbiamo farci ingabbiare in questo referendum, poiché un congresso di questo tipo finirebbe per mettere in discussione la nostra stessa esistenza come opposizione comunista ai governi liberisti e di destra e come partito di classe. Non dobbiamo dimenticarci le scelte fatte da Prodi nel 1996, come le finanziarie “lacrime e sangue”, le privatizzazioni, l’ingresso in Maastricht, ecc.

Prodi oggi riconferma quell’impostazione e quella prospettiva strategica. Il compagno Bertinotti in quest’ultimo anno ha accelerato il processo di autoriforma del partito operando una cesura netta con la nostra storia e con la nostra cultura. Questa svolta si pone come obiettivo la trasformazione del nostro partito in uno dei tanti soggetti politici riformisti, che nulla avrà a che fare con la rappresentanza dei lavoratori e delle masse oppresse. La destrutturazione del partito è in realtà la dote che bisogna consegnare al centrosinistra e a Prodi: per raggiungere questo obiettivo il gruppo dirigente ha evitato persino di coinvolgere i nostri compagni in un confronto orizzontale. Il patto di sangue che oggi si concretizza non è altro che il progetto che il nostro segretario ha accarezzato da sempre. A tal fine si sono cancellate le forme più elementari di democrazia: si sono scavalcati tutti gli organismi dirigenti, da quelli territoriali a quelli nazionali, e anche laddove questi sono stati consultati, hanno potuto solo ratificare ciò che era stato già deciso altrove.

Esempi di ciò sono stati la costituzione del partito europeo, la decisione di fare l’alleanza programmatica con Prodi, la stessa partecipazione alle primarie del centrosinistra, dove Prodi è il leader incontrastato e dove noi, con questa scelta, accettiamo il principio di maggioranza, con tutto ciò che ne deriva; infine, la stessa proposta di costruzione della coalizione democratica.

La gravità della fase, invece, ci impone un congresso vero che discuta della rifondazione di un vero partito comunista, e che soprattutto coinvolga tutti i nostri iscritti, al contrario di quanto in realtà sta avvenendo, laddove l’unico dibattito, aperto di volta in volta su Liberazione, coinvolge sempre e solo i soliti noti. Non mi sembra molto democratico dare tanto spazio alle 15 tesi del segretario senza dare la stessa opportunità a quei compagni che hanno da sempre espresso posizioni alternative alla linea politica della maggioranza.

L’attacco al pluralismo si sta facendo sempre più duro; piuttosto che incentivare la dialettica interna si preferisce sedare qualsiasi tentativo di confronto tra posizioni diverse, censurando qualunque voce contrastante con quella della maggioranza; in questo modo, al partito dei militanti stiamo sostituendo il “partito del leader”.

Ciò ha determinato un abbassamento del livello di critica interna: infatti nei circoli si discute sempre meno, e questi si stanno svuotando progressivamente sia di contenuti che di compagni. Perciò dobbiamo costruire un dibattito che sia in grado di coinvolgere la base tutta. Condizione di tutto ciò è il ripristino di un adeguato livello di democrazia interna.

ALESSANDRO LEONI (Federazione di Firenze)

Di fatto questo Cpn è stato chiamato a ratificare un “fatto compiuto”: la costituzione della cosiddetta “Gad”, ovvero della coalizione politica che riunendo l’intera opposizione all’attuale governo delle “destre” si candida alla guida del paese.

Non ci possono essere dubbi sulla centralità che tale decisione riveste per il Prc e, conseguentemente, per l’intera sinistra italiana. Ogni altra considerazione proposta (“alternativa di società”, “sinistra per l’alternativa”, ecc...) risulta del tutto subordinata alla natura, ruolo e prospettiva della “Gad” stessa.

Ed è proprio dalla consapevolezza di ciò che deriva la critica al metodo e alla sostanza dell’operazione compiuta. Con tale scelta non si è soltanto contraddetto un principio fondamentale del Prc, unire, sempre, i contenuti programmatici agli schieramenti e non viceversa, ma, addirittura, accompagnando tale decisione con l’accettazione del sistema selettivo delle “primarie” (sia sulla leadership che sui programmi) si finisce per far proprio il modello apolitico - istituzionale “made in Usa”, cioè si contribuisce, attivamente, all’affermarsi di quel sistema “bipolare perfetto” già in altre occasioni, non poi tanto remote, definito elemento distintivo di quella “democrazia autoritaria” propria del dominio capitalistico contemporaneo. Natura e futuro del Prc sono, dunque, gli argomenti del prossimo, nostro, VI congresso.

EZIO LOCATELLI (Segretario regionale Lombardia)

Punto primo. O abbiamo la capacità, a breve, di far esplodere in avanti le difficoltà del governo oppure si torna terribilmente indietro. Allora deve essere chiaro di un congresso che non ci chiude in casa, bisogna che la discussione si leghi ad un rinnovato impegno di mobilitazione e di risposta politica, nostra e dei movimenti.

Trovo molto convincente l’impianto di ragionamento e di proposta che il segretario ha svolto. Dire di una fase nuova in cui il movimento è l’evento chiave che accompagna da protagonista la crisi della globalizzazione capitalista, significa dire anche e soprattutto di una necessità: l’apertura di tracciati di ricerca politica che devono fare premio sulle pigrizie politiche, sulle coazioni a ripetere presenti nel nostro dibattito. Ad esempio, il tema della trasformazione, dell’alternativa di società è un tema che non penso sia più riproponibile semplicemente in termini di costruzione di contropotere; va reindagato non per sfizio ma molto concretamente per una attualizzazione di senso del nostro modo di fare politica, meno incentrato sulle forme statuali, istituzionali, più attento e impegnato a costruire presenza, conflitto, organizzazione dal basso.

In questi tre anni abbiamo fatto molti passi in avanti sul piano della innovazione della proposta.

Ma è anche vero di uno stacco che persiste in larga parte del partito, il continuare ad operare in base a schemi fermi. Basti dire dei termini della discussione sull’alleanza di governo, una discussione spesso sovradimensionata, che per lo più si divide su un problema di collocazione: facciamo o non facciamo l’accordo.

E’ un approccio datato, fermo alla fase del ’96, che perde di vista quanto si è prodotto in questi anni. Qualcosa è venuto avanti in questi anni e su questo credo sia giusto investire, sia in termini di processo dinamico di confronto per un’alternativa di governo che di prospettiva più avanzata, ovvero di costruzione di una sinistra alternativa.

GIGI MALABARBA (Capogruppo Prc al Senato)

1. L’alternativa tra Bush e Kerry è quella tra un grande disastro e un disastro, sostiene giustamente Sansonetti. Ciò nondimeno bisogna impedire la rielezione di Bush. Prodi, Rutelli e Fassino si identificano persino programmaticamente con Kerry: se per noi è imprescindibile cacciare Berlusconi, sarebbe un disastro pensare a Ministri PRC nel Governo Prodi.

2. Se non dobbiamo piantare paletti, ma puntare addirittura su un "impianto di società" condiviso con gli alleati, sostiene Bertinotti, la difesa del rigore del Patto di stabilità e della sua sovrastruttura politicogiuridico, la Costituzione europea liberista, da parte del Centro sinistra inibisce a priori qualsiasi ipotesi di politica economica alternativa. Come ha sempre sostenuto Rifondazione comunista.

3. Il movimento e il conflitto sociale possono creare concretamente le condizioni per la costruzione della sinistra alternativa e la caduta da sinistra di Berlusconi, puntando a condizionare con le lotte il governo di alternanza che nascerà. Occorre proseguire con il metodo efficace del referendum sull’articolo 18. Il nuovo contesto determinato dalla nascita del movimento mondiale contro il liberismo e la guerra, diversamente dal 1996-98, può darci la forza necessaria.

CESARE MANGIANTI (Federazione di Rimini)

Convengo con il Segretario allorché afferma che è necessario svolgere un Congresso che faccia chiarezza e che non lasci alcuna ambiguità sulla linea. E’ necessaria anche una ricerca tesa al recupero delle identità del Partito contro le alchimie neoidentitarie che si rifanno più a Proudhon che non a Marx.

E’ vero che dall’ultimo Congresso ad oggi la conflittualità è aumentata, ma il Segretario ha non poche responsabilità; quando si afferma che non si vuole essere Segretario di sintesi è evidente che, specie in periferia, tale atteggiamento privilegia la sopraffazione al confronto.

Non condivido affatto la proposta di andare ad un Congresso per documenti non emendabili, anziché per tesi - in qualche caso anche alternative - dove i compagni, liberamente, possano dissentire su alcuni punti ed approvarne altri, magari più significativi. La proposta di un documento non emendabile, bloccato, non tende a favorire il confronto tra compagni, ma ad alimentare la contrapposizione in un Partito che la cosiddetta “innovazione” dell’ultimo Congresso sta rischiando di distruggere.

Ritengo che la questione del governo debba essere al centro del nostro Congresso.

Chi ha deciso che il Prc debba far parte del Gad?

Non il Cpn.

Chi ha deciso che il Prc debba seguire il vincolo di maggioranza anche nel caso di una guerra?

Non il Cpn.

Allora cerchiamo accordi con il centrosinistra, ma solo se prima si trova un’intesa programmatica - e le fughe in avanti ci hanno messo in forte difficoltà - su punti significativi quali il no alla guerra e alla Nato, no alle privatizzazioni, meccanismo per il recupero del potere di acquisto di salari e pensioni. Punti che vanno ottenuti non solo dalla trattativa, ma dalla lotta nei luoghi del conflitto.

Come ho già affermato, dopo essere usciti allora da sinistra dal governo Prodi non possiamo ora rientrarci da destra.

RAMON MANTOVANI (Deputato)

Il fallimento degli ulteriori passi di liberalizzazione sia nel WTO sia negli accordi bilaterali, l’opinione pubblica mondiale contraria alla guerra, e in Italia le vittorie in molte lotte, lo spostamento a sinistra di grandi organizzazioni, come la CGIL, sono risultati del movimento che è divenuto ancora più forte. Questo, ed altro ancora, deve essere tradotto anche in una contesa per il governo del paese. Elezioni e governo intese come passaggio e non come meta. Sarebbe sbagliato trasformare alcuni contenuti del movimento in “paletti”.

Equivarrebbe a dire che il movimento fa domande e la politica da risposte con relativa subalternità del movimento.

Ma sarebbe ancor più grave considerare l’approdo di governo come ineluttabile. Non sono d’accordo a far finta di avere convergenze con il centrosinistra anche quando non è vero, come è stato il caso dell’ultima mozione unitaria sull’Iraq, che per questo non ho votato. Preparare così l’accordo è molto più pericoloso che definire le reali distanze e lavorare per convergenze reali. Infine penso che avere un partito con un leader forte, una direzione debole e un corpo passivizzato sia gravissimo e considero molto deludente che ci si appresti ad un ulteriore rinvio di una discussione su questo tema fondamentale.

LEONARDO MASELLA ()

Il congresso dovrà rispondere alla domanda: come battere Berlusconi senza farsi omologare nel liberismo ulivista? Già da tempo ritengo indispensabile un accordo con il centro-sinistra per battere Berlusconi, tuttavia qui stiamo passando da un estremo all’altro. Non mi convince questa frenesia governista che sta prendendo piede nel partito. Contribuire a battere Berlusconi senza alcun dubbio, ma questo non significa andare al governo a tutti i costi. Altrimenti, fra l’altro, le nostre possibilità di condizionare a sinistra l’alternativa si riducono drasticamente, come infatti sta avvenendo, come si vede dal progressivo slittamento al centro della sinistra moderata sotto la spinta dei poteri forti (Confindustria, Nato, Vaticano).

Prima i contenuti poi gli schieramenti, prima i programmi e poi i leader: così abbiamo sempre fatto in tutti gli appuntamenti elettorali, nazionali e locali.

Così avremmo dovuto fare, invece di dare per scontato il nostro ingresso al governo. Serve certamente un impianto politico generale alternativo alle politiche di destra, ma servono anche alcuni conseguenti punti minimi programmatici vincolanti e irrinunciabili, senza di cui non si può entrare in un governo: mai più la partecipazione ad una guerra, neanche sotto l’egida dell’Onu; un meccanismo di rivalutazione automatica dei salari, senza di cui non si risolve il gravissimo problema del calo del potere d’acquisto; abrogazione delle leggi di Berlusconi (Bossi-Fini, Moratti, Legge 30 e non comprendo perché non dovremmo pretendere anche l’abrogazione della ennesima vergognosa controriforma delle pensioni); nuova legge sulla democrazia sindacale.

Non mi sembrano richieste estremistiche ma le minime condizioni per assumerci responsabilità di governo. Non condivido la logica della scelta drastica: o al governo oppure che vinca Berlusconi; o tutto o niente. Ci sono molte possibilità intermedie da tenere aperte.

Siamo di fronte a scelte molto importanti e difficili. Se commettiamo errori mettiamo in gioco l’esistenza stessa del nostro partito, che invece va rafforzato, sia nella sua organizzazione che nella sua identità comunista, affinchè possa essere un forte perno della massima unità d’azione e programmatica di tutta la sinistra di alternativa esistente, senza preclusioni.

Infine, non sono d’accordo con le modalità del congresso. Non è vero che non si può coniugare un confronto interno chiaro con l’unità del partito. Sarebbe stato più utile al partito, sia alla sua unità che alla sua libera dialettica democratica, un congresso con un documento unitario a tesi emendabili, piuttosto che la contrapposizione fra mozioni alternative.

VLADIMIRO MERLIN (Federazione di Milano)

Il ragionamento che chiede trasparenza di posizioni e nega rappresentanza alle differenze politiche dentro lo stesso documento sembra lineare ma, in realtà, produce una conseguenza ben precisa: posizioni politiche che possono avere molte affinità ma anche alcuni elementi significativi di differenza vengono costrette a presentarsi come mozioni alternative.

In soldoni, ogni differenza politica di un certo rilievo deve diventare una posizione alternativa, in definitiva contrapposta. Questa modalità, quindi, esaspera le divisioni nel partito (spinge alla moltiplicazione delle mozioni) e cancella le differenze interne alle mozioni. Sul governo: Bertinotti sostiene che la questione del governo è legata all’esigenza di avviare un processo verso la trasformazione sociale.

Domando: siamo veramente convinti che, anche in misura iniziale ciò possa essere fatto da un governo Prodi? (ex presidente della comm. europea, tuttora strenuo difensore dei parametri di Maastricht, con tutto ciò che implica). L’unità più ampia possibile per battere Berlusconi è un dato di fatto indiscutibile, ma quali saranno gli sbocchi di governo, per il nostro partito, deve dipendere esclusivamente dai contenuti effettivi che saranno alla base dell’eventuale governo Prodi, vi possono essere gradazioni di scelte diverse, che non possono oggi essere date per scontate.

Dire, come ha fatto il segretario a Milano, “o si va (il Prc) al governo o si muore, non solo mi sembra una forzatura, ma ci lega le mani riguardo alla possibilità reale di incidere sul programma di governo, dato che comunque ci consegnamo a tale prospettiva (per cui diventa controproducente perché indebolisce l’azione politica che dobbiamo sviluppare per contrastare le posizioni più moderate della Gad). Significativa, a questo riguardo, la disdetta della manifestazione del 6/11 perchè non c’era Prodi, dimostra una concezione della politica “ all’ americana”, dove il leaderismo sovrasta i contenuti; la finanziaria continua ad essere in campo, viene a mancare la mobilitazione di massa delle opposizioni.

ENRICO MILANI (Federazione di Caserta)

Il movimento dei movimenti ha riaperto la strada della partecipazione, del ritorno alla politica attraverso la critica della politica.

Lo abbiamo intuito per tempo e ne abbiamo fatto il riferimento essenziale di una scelta strategica. Esso segnalava la crisi del neoliberismo, e contemporaneamente l’approfondiva.

La condizione di crisi del neoliberismo riguarda i suoi “fondamentali”, e non semplicemente la sua rappresentanza. E’ per questa ragione che oggi possiamo porre a noi stessi e al movimento la questione del governo, in quanto vanno progressivamente emergendo proprio le condizioni oggettive di un nuovo ciclo, nel quale sia possibile reagire alla frammentazione di classe che ha minato dalle fondamenta la capacità, la forza e l’azione del proletariato. Al di là della infondatezza in linea di principio del “non possumus” rivendicato dalla minoranza interna, mi pare che sia vero proprio il contrario di quello che altri compagni sostengono, secondo cui “oggi non ci sarebbero le condizioni”. Del resto, le stesse modalità con cui il segretario ha aperto il confronto per la costruzione della Gad sono in stretta connessione con la situazione concreta in cui si snoda la nostra iniziativa: non una negoziazione tradizionale, puntiforme, sostenuta dalle percentuali elettorali, sia pure sommate con altre, ma il risultato di una tensione continua, generata dall’impatto complessivo del movimento per quello che esso è e concretamente esprime nella sua mobilitazione: il no alla guerra e alle occupazioni militari, il ritiro delle truppe dall’Iraq, il no alla precarietà e alla flessibilità, la costruzione di una nuova cittadinanza e di una nuova stagione del salario e dei diritti sociali. Da quest’impatto, con ben altra forza e risultati, sarà condizionata la costruzione programmatica della Gad, come peraltro già avvertono alcuni commentatori politici, che riescono ad essere più attenti sul ruolo di Rifondazione comunista di quanto non lo siano alcune posizioni al nostro interno.

Quanto al congresso, il dovere della chiarezza politica in un congresso di linea è fuori discussione: non capisco davvero come si possa marginalizzare sotto forme surrettizie e poco rispettose dell’intelligenza delle compagne e dei compagni del nostro partito un dissenso di impianto e di linea tanto evidente e conclamato, quanto debole e contraddittorio nelle argomentazioni.

ROBERTO MUSACCHIO (Capogruppo Prc Parlamento europeo)

Nella sua relazione, che condivido, Bertinotti propone anche una verifica dell’efficacia del nostro agire politico sia in termini di linea che di forma assunta dall’articolazione della nostra dialettica interna. Faccio due esempi, il primo è la Sinistra Europea. Alla prova dei fatti mi appare come una scelta fondamentale e già capace di rappresentare un asse di fondo della nostra identità e della nostra iniziativa. Credo sia di grandissimo significato che il Partito della Sinistra Europea si sia presentato unito nella critica alla costituzione europea esprimendo il proprio no. Fatto non scontato e che, assai prima di altri elementi programmatici o ideologici, segna l’esistenza di una forza autonoma in Italia e in Europa con una possibilità di intervento importante a partire dal punto più avanzato della dialettica sulla costituzione che si sta realizzando in Francia dove puntare a un no che rimetta in discussione nei fatti l’impianto liberista.

Il secondo è la crisi Barroso e il ruolo avuto da noi che poggia proprio sul punto di analisi che. avanziamo di una crisi di questo percorso liberista e ademocratico che arriva a diventare crisi politica anche in luoghi quanto mai impermeabili quali il Parlamento Europeo; ponendo il tema, non facile naturalmente, dell’alternativa e della costruzione delle forze per realizzarla. Che ci spinge a lavorare per incrociare la crisi democratica con quella sociale, la contestazione di Barroso con quella sulle direttive sull’orario e Bolkestain. Su questi due esempi, le articolazioni di linea in termini di contestazioni della Sinistra Europea e del nesso crisi-alternativa a me non paiono semplici curvature ma punti di vista che rimettono in discussione l’impianto. Per questo, penso, dovremo lavorare per il Congresso ad un impianto che sia complessivamente ed effettivamente condiviso.

MARCO NESCI (Responsabile Riforme Istituzionali)

Il tema del Governo è, ovviamente, tema congressuale di importante rilevanza, ma non è centrale nella proposta strategica avanzata dal Segretario, che condivido.

La proposta strategica è quella dell’alternativa di società.

Il passaggio del Governo è quindi un mezzo e non un fine, un mezzo utile e necessario per l’oggi, ma non è detto che lo sia per il domani.

Quindi la proposta strategica è quella dell’alternativa di società su cui oggi esiste una condizione e una possibilità per uscire da sinistra dalla crisi del neoliberismo.

Ciò è possibile perché si apre un nuovo ciclo che vede nel movimento la sua centralità e potenzialità per un nuovo modello sociale.

E’ evidente che la rottura dell’egemonia culturale del modello liberista avanza una nuova istanza, che va raccolta e dispiegata verso il cambiamento.

In questo senso il potere è un passaggio, ma il progetto è assai più ampio di una pura e semplice contestualizzazione di un programma di governo.

E’ per questo che credo impercorribile ogni esperienza già vissuta a partire da quella del ’96: non è ponendo alcuni semplici paletti programmatici che si qualifica la svolta di alternativa, né tanto meno con accordi elettorali.

Il movimento ha prodotto in questi anni cambiamenti profondi, culturali e nell’agire politico; oltre alla fine dell’egemonia del pensiero unico, si sono riaperti conflitti sociali (dai meccanici agli auto-ferrotrasporti, dalla scuola alla sanità, alle vertenze territoriali), conflitti e dinamiche politiche che hanno ricollocato nell’attualità il processo della trasformazione.

Dentro a questo quadro se, appunto, vissuto come un mezzo, un passaggio e non un fine, la questione del Governo diventa, in questa fase e nel nuovo ciclo, un punto, non l’unico, verso l’obiettivo strategico dell’alternativa di società.

Ovvio che dall’altra parte ci siano risposte contrastanti al nostro progetto, che vanno dai tentativi neocentristi sino a risposte organizzative sul piano istituzionale, avverse al modello di democrazia partecipativa.

L’attacco alla Costituzione va iscritto in questo disegno: da una parte si spinge per costruire modelli istituzionali che blindino il sistema politico e sociale neoliberista, rendendo ogni istituzione territoriale e nazionale impermeabile a qualunque istanza di maggiori diritti o di applicazione degli stessi già esistenti; dall’altra, si agisce per parcellizzare l’esigibilità dei diritti sociali attraverso la frantumazione territoriale e la competizione tra essi.

Ne risulta una totale messa in discussione del sistema sociale esistente, a partire dallo stesso istituto del contratto collettivo nazionale di lavoro.

Per questo è indispensabile un investimento politico da parte del partito, affinché si collochi questo tema al centro della stessa iniziativa sui territori, come chiedo esplicitamente attraverso un ordine del giorno al Cpn.

ALFIO NICOTRA (Responsabile Pace)

La riuscita, tutt’altro che scontata, della manifestazione per la pace del 30 ottobre, non rinvia la necessità di un “cambio di passo” del movimento.

Alla guerra infinita non si può rispondere con manifestazioni nazionali e/o oceaniche infinite. Occorre strutturare la mobilitazione pacifista, ricongiungerla con quella antiliberista e quella antirazzista (sul versante migranti siamo in grave ritardo), territorializzarla con apposite vertenze (cultura della pace, basi militari, banche armate etc.), tematizzarla per campagne etc. In tal senso va anche l’ordine del giorno che abbiamo presentato al Cpn congiuntamente con il compagno Migliore e buona parte della segreteria nazionale.

La mozione sull’Iraq presentata in parlamento se da un lato rappresenta un grande fatto in termini d’iniziativa unitaria tra tutte le forze dell’opposizione dall’altro ha palesato, nel dibattito stesso, una non univocità d’intenti specialmente nella maggioranza del listone che sembra sempre incline ad una gestione multilaterale della guerra e assai ambigua nella individiduazione su ciò che dovrebbe essere un contingente multinazionale “percepito” come di pace (si pensi alla proposta Fassino di coinvolgere la Nato). Fondamentale è non accedere ad una idea - in questo la relazione del segretario è netta - di passivizzazione del movimento in attesa che si compiano le manovre dell’alleanza programmatica elettorale della Gad. In questo il governo è cosa veramente leggera rispetto al nostro impegno nei movimenti per una alternativa di società che deve rimanere, ancora più dello scorso congresso, il cuore delle tesi congressuali. Solo questa concezione dinamica della fase e del nostro ruolo nella costruzione del conflitto sociale può consentirci di lavorare per aggregare la sinistra di alternativa e per motivare l’impegno dei/delle nostri/ e militanti/e.

VITO NOCERA (Segretario regionale della Campania)

Davanti a noi c’è una sfida, insieme politica e sociale, difficile ma ineludibile, pena l’esaurirsi di ogni ambizione di carattere politico dell’impresa nostra. Alla fine degli anni ’90 si è determinata la fine della stagnazione sociale che un certo modello di globalizzazione aveva imposto.

Prima i movimenti sovranazionali, poi quelli pacifisti, poi, anche se con più fatica, quelli - cui hanno dato un contributo qui da noi grandi sindacati come cgil e fiom - sul terreno sociale e del lavoro.

L’avversario sta reagendo ma questo spazio nuovo si è prodotto. In Italia la questione vera non sta tanto nel profilo delle forze del vecchio centro sinistra ma nel rapporto tra questo nuovo senso comune di massa e crisi delle politiche neoliberiste. Chi potrebbe - anche volendo - ripetere le politiche del ’96?

1. la questione salariale e della redistribuzione del reddito è nuovamente al centro, orienta forze e culture, difficile il profilarsi di una nuova stagione di contenimento salariale.

2. sulla guerra si può discutere su strumenti e organismi di effettiva garanzia ma chi potrebbe mai coltivare l’illusione di riportare il paese in nuove avventure militari al fianco degli americani sfidando movimenti pacifisti e opinione pubblica contro la guerra?

3. La mobilitazione di amministratori, sindaci, associazioni, contro la finanziaria, che aggredisce il Mezzogiorno riducendo gli investimenti produttivi modificando gli strumenti dell’intervento economico compresi i fondi strutturali, e che strangola gli enti locali e le regioni con i tagli e i tetti alla spesa, non è facilmente riconvertibile in nuove politiche di compatibilità finanziaria e di compressione sociale.

Dobbiamo investire con intelligenza su tutto questo, radicalizzando l’opposizione a Berlusconi, e fare il congresso, ridefinendo la nostra stessa identità culturale, nel cuore dei processi reali.

Pena la marginalità nostra e dei movimenti arrendendosi alla separatezza tra società e politica. E’ una sfida difficile che o sintetizza insieme analisi politica e cultura politica o scade nel politicismo più arido e inefficace. Rispetto le preoccupazioni ma penso che tutti abbiamo il dovere di lavorare all’affermazione di questo progetto politico.

Redazione di Liberazione
Roma, 30 ottobre 2004
da "Liberazione" (del 7 novembre 2004)