CHE GUEVARA PROMOVE IL LAVORO VOLONTARIO A L’AVANA.
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Le soluzioni che il Che proponeva per limitare i danni della riproduzione meccanica del modello sovietico, probabilmente non sarebbero state risolutive anche se non fossero state rifiutate nel corso del grande dibattito economico del 1963- 1964, su cui ci sarebbe tutta la documentazione disponibile anche in italiano, se si volesse fare i conti con quello che Guevara realmente pensava e non con le leggende.
Alcune raccomandazioni erano decisamente scomode: ad esempio puntare ad aumentare la produttività; lottare contro gli sprechi e il parassitismo, le assunzioni clientelari, il rigonfiamento degli organici indipendentemente da una valutazione rigorosa di costi e ricavi:
«Dobbiamo funzionare meglio del capitalismo, se vogliamo batterlo».
Era una conferma di quanto era stato proficuo lo studio del Lenin concretissimo degli ultimi anni. La resistenza alle sue proposte veniva dalla micidiale alleanza tra le abitudini locali (la pigrizia, il rinvio di ogni compito al domani, ecc.) e gli uomini più legati al modello sovietico (in cui gli sperperi e le inefficienze erano sistematici e funzionali al meccanismo di controllo politico delle masse).
Questi scritti, contenuti prevalentemente nel VI volume dell’opera curata da Borrego (quella stampata in 200 copie rigorosamente riservata ai dirigenti) ma anche in alcune raccolte di memorie e testimonianze di suoi collaboratori, andrebbero pubblicati organicamente in un’edizione critica. È difficile dare un idea anche sommaria di questo lavoro nello spazio di un articolo.
In Italia qualche frammento delle conversazioni bimestrali al MinInd (il ministero dell’Industria) era stato pubblicato dal manifesto mensile nel dicembre 1969, poi pubblicato da Roberto Massari con alcune mie integrazioni e una revisione complessiva sull’originale (Scritti scelti, v. II, pp. 536- 579), ma non circolano a Cuba, anche se non c’è nessuna affermazione sensazionale paragonabile a quelle degli scritti sull’Urss. Perché? Probabilmente perché risulterebbe evidente la contraddizione tra quegli scritti e la gestione dell’economia a Cuba oggi, soprattutto dopo la dollarizzazione e le aperture alle società miste e ai capitalisti stranieri. Se si conoscessero gli scritti economici del Che, sarebbe più difficile sostenere - come si fa abitualmente - che è l’ispiratore della politica attuale.
Ma l’ultimo Guevara aveva cominciato a riflettere anche sulla deformazione burocratica della rivoluzione. Ci sono alcuni articoli, un discorso franco ed autocritico alla gioventù algerina del giugno 1963, ma soprattutto accenni frequenti a questo problema nei suoi interventi nelle fabbriche che visita e nei dibattiti bimestrali al ministero.
Paradossalmente, tuttavia, lo scritto in cui si tirano più nettamente tutte le conseguenze dalla riflessione di Guevara sulla burocrazia non porta la sua firma, ed è apparso dopo la sua partenza da Cuba. Si tratta dell’editoriale “La lucha contra el burocratismo: tarea decisiva” (compito decisivo), apparso in quattro puntate su Granma nel marzo 1967.
In particolare nella seconda e terza parte, il pericolo che «in seno alle organizzazioni politiche e allo stesso Partito si costituisca, per il tramite dei quadri professionali, una categoria speciale di cittadini, differente dal resto della popolazione », viene ricondotto alla «introduzione di certi sistemi amministrativi e forme di organizzazione presi in prestito da paesi del campo socialista minati dalla burocrazia ».
La burocrazia viene definita non solo «un freno per l’azione rivoluzionaria», ma anche «un acido corrosivo che snatura [... ] l’economia, l’educazione, la cultura e i servizi pubblici», al punto che «ci danneggia più dell’imperialismo stesso». In queste parole, nelle quali è chiara l’impronta del Che, è racchiusa una delle più severe e mordenti critiche della burocrazia apparse dall’interno di un partito comunista al potere.
Gli editoriali, nonostante il titolo parlasse solo di «burocratismo » (termine che ridimensiona il fenomeno riducendolo a un comportamento discutibile e fastidioso, e che non caso è stato usato periodicamente da tutti i governanti del socialismo reale, da Stalin a Gorbaciov) contenevano in realtà nel testo un appello alla «lotta contro la burocrazia su tutti i fronti e in tutte le sue manifestazioni», con accenti drammatici: «Le forze della classe lavoratrice devono affrontare la burocrazia. Le esperienze della lotta contro questo male dimostrano che la burocrazia tende a comportarsi come una nuova classe. Tra i burocrati si stabiliscono legami, rapporti e relazioni simili a quelli che possono esservi in qualsiasi altra classe sociale».
Questo editoriale è con molta probabilità una rielaborazione collettiva di materiale preparato dal Che per la discussione in seno al gruppo dirigente, come appare da forti analogie con vari suoi scritti (ed anzi dalla riproposizione di interi periodi tratti dai suoi discorsi apparsi solo nell’edizione riservata ai dirigenti. Si tratta senza dubbio del punto più alto raggiunto dalla riflessione sulle ragioni dell’involuzione burocratica determinatasi in una società post- capitalistica (in larga misura indipendentemente dalla volontà dei suoi dirigenti). In ogni caso riflette un atteggiamento che era diffuso nel gruppo dirigente castrista in quegli anni, e ha quindi ancora più importanza, anche perché smentisce le leggende che il Che fosse dovuto partire per divergenze con Fidel: il problema vero era l’atteggiamento di ostilità dell’Urss.
La denuncia della burocrazia è una delle tracce che rivelano una lettura sempre più attenta dell’ultimo Lenin, a cui risaliva (già nel 1921!) la famosa definizione dell’Urss come «Stato operaio con una deformazione burocratica», che viene invece in genere attribuita al solo Trotskij.
Il riferimento a Lenin si fa più articolato: nel 1961 Guevara diceva ancora genericamente che «Lenin è probabilmente il leader che ha portato il massimo contributo alla teoria della rivoluzione», mentre successivamente distingue varie fasi del suo pensiero. E’ evidente che Guevara ha cominciato a distinguere quel che è contingente e tattico negli scritti del periodo della Nep, e conosce già qualcosa del dibattito degli anni Venti sulla “Economia politica del periodo di transizione” anche grazie all’incontro con Ernest Mandel, il suo principale sostenitore nel dibattito economico. Dallo studio di Lenin Guevara ha ricavato anche la comprensione della peculiarità dell’esperienza sovietica, che comincia a vedere non più come lucida applicazione di un perfetto modello, ma come empirica sperimentazione, sotto la pressione di potenti forze ostili e in un paese arretrato, «anello più debole della catena». Polemizzando con i fautori della riproduzione meccanica del modello dell’Urss, Guevara afferma che «l’Unione sovietica non è un esempio tipico di un paese capitalista sviluppato che passa al socialismo. Il sistema, così come lo ereditarono i sovietici, non era sviluppato, e per questo partirono prendendo a prestito molte cose anche dal capitalismo premonopolista».
Su questo tema ritorna molte volte. Nel dibattito sul “sistema di calcolo di bilancio” che propone in contrapposizione a quello sovietico, che egli respinge perché introduce disuguaglianza, incentivi materiali per i direttori, e incoraggia la falsificazione sistematica dei dati reali (i direttori di fabbrica sovietici «sono tecnici tanto nel produrre quanto nell’ingannare l’apparato centrale», dice in una delle riunioni del Minind), egli viene accusato di usare tecniche capitalistiche.
Il Che risponde che è vero: «Ci sono molte analogie con il sistema di calcolo dei monopoli, ma nessuno può negare che i monopoli abbiano un sistema di controllo molto efficiente, e stanno attenti perfino ai centesimi, anche se hanno milioni di dollari, e hanno tecniche di determinazione dei costi molto rigorose ».
Non solo ribadisce il concetto di imparare dai paesi capitalisti sviluppati che era costantemente presente in Lenin (e che divenuta impensabile negli anni in cui Stalin, appoggiandosi sullo sciovinismo grande-russo introduce una grottesca esaltazione del popolo russo e una ossessiva xenofobia), ma dice una semplice verità che doveva tuttavia suonare blasfema a generazioni di esaltatori dell’Urss: «In definitiva anche il sistema di contabilità che si applica in Unione sovietica lo ha inventato il capitalismo», e per giunta quello arretrato, dei primi decenni del Ventesimo secolo.
Queste osservazioni non erano conosciute che a un piccolo numero di dirigenti cubani al momento dello sgretolamento del sistema sovietico. La loro pubblicazione tempestiva avrebbe reso più facile la lotta contro la poderosa campagna che attribuiva al socialismo, a Lenin e allo stesso Marx il fallimento del “socialismo reale” e voleva liquidare per sempre con questi argomenti ogni idea di rivoluzione.
IL CHE PRIGIONIERO IN BOLIVIA POCO PRIMA DELLA MORTE
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Guevara si è laureato in medicina all’Università di Buenos Aires. Attivo nelle manifestazioni antiimperialistiche, è in Guatemala nel 1954, partecipando alla difesa fallita del governo di Arbens attaccato da mercenari appoggiati dalla Cia.
Esule in Messico, conosce Castro e lo segue come medico nella spedizione destinata ad aprire un fronte guerrigliero a Cuba contro il dittatore Batista. Occupa alte cariche nell’amministrazione rivoluzionaria: comandante delle forze armate, presidente del Banco nazionale, ministro dell’Industria, ambasciatore itinerante ecc. Compie viaggi nei Paesi socialisti e del Terzo Mondo. Famosa la sua requisitoria contro l’imperialismo Usa all’assemblea dell’Onu nel ’64 e riassunta nella celebre parola d’ordine «creare due, tre, molti Vietnam». Nel ’65 Guevara lascia Cuba per combattere l’imperialismo in altre terre. Dopo alcuni mesi di clandestinità in Africa, passò in Bolivia per sostenere i campesinos schierati contro il regime del nuovo presidente Barrientos, guidando un distaccamento guerrigliero. Ed è in Bolivia, il 9 ottobre del ’67, che viene prima catturato da reparti dell’esercito e poi assassinato da agenti della Cia e della polizia boliviana.