2° Congresso regionale del Prc Lombardia

Relazione del Segretario Ezio Locatelli

Milano - 20 novembre 2005

Ezio Locatelli

Ezio Locatelli

Segretario del PRC - Lombardia

Care compagne, cari compagni

questo nostro congresso regionale si tiene in un momento di profondi cambiamenti. Siamo in presenza, nella nostra regione oltre che a livello nazionale, di una crisi economica dagli effetti sociali dirompenti.
Per la prima volta dal 2001 – stando a quanto emerge da una ricerca Ipsos – il numero delle persone nettamente insoddisfatte della propria condizione economica e sociale è salito e ha superato la percentuale del 50 %, una percentuale che non ha eguali in Europa. La condizione è di malessere, ma non solo. La consapevolezza diffusa è che così non si può più andare avanti, con il risultato di produrre un travolgimento di schemi e assetti di pensiero consolidati.
Mi rifaccio a un’altra ricerca, condotta dall’Università di Urbino. Ciò che emerge ancora è che, proprio in ragione di una situazione di incertezza materiale, sono sempre meno, oramai una minoranza, le persone che hanno una qualche fiducia nei confronti delle politiche che mettono al centro il privato, il mercato, la flessibilità.
I temi diventati prioritari nella percezione delle persone sono ben altri: l’occupazione, la sicurezza sociale, i servizi, la previdenza, e ciò che viene avanti è una nuova domanda di intervento pubblico.
In pratica, siamo ad una messa in discussione del segno e della validità delle politiche liberiste. In questa situazione diventa urgente e assolutamente necessario non disperdere le risorse, le energie che la crisi libera, il sentimento nuovo di disponibilità, la domanda di cambiamento che c’è in questo momento nel nostro Paese.

Primo: battere Berlusconi e le politiche di destra

In campo nazionale non c’è dubbio: l’obiettivo prioritario è di battere Berlusconi, di costituire una nuova maggioranza, di andare alla formazione di un nuovo governo.
Obiettivo prioritario perché nessuno, data la gravità del momento – ultimo in ordine di tempo, il gravissimo attacco della destra alla Costituzione nata dalla Resistenza -, può permettersi di ignorare ciò che si muove nella coscienza collettiva ed esige una risposta: la domanda prorompente di fermare l’azione del governo, una domanda che spinge in direzione di un collegamento politico con altre forze.
Sappiamo bene che in questo momento, dentro un processo generale di riorganizzazione che domina la scena politica, la misura del confronto è tra un’ipotesi di alternanza e un’ipotesi di alternativa. Tuttavia, credo che sarebbe un approccio sbagliato insistere, in maniera pregiudiziale, sulla difficoltà di identificare con esattezza gli elementi che dovrebbero portare ad un effettivo cambiamento. Sbagliato non perché non si debbano vedere le difficoltà, gli aspetti di ambiguità che sono propri di una fase come quella che stiamo attraversando, di crisi e di passaggio politico. Anzi. Ma l’esito di un processo nel senso di un’alternativa di governo, di nuova politica, di una società più giusta e democratica, non può che essere perseguito stando sul terreno del confronto e della battaglia politica, soprattutto del collegamento con le grandi masse.

Unità e competizione, ancoraggio alle lotte e ai movimenti

Da qui, per esempio, la scelta che abbiamo fatto di partecipare alle primarie del 16 ottobre, una partecipazione che per noi è stata il riflesso non di una scelta di omologazione, ma di una scelta di competizione.
Detto ciò una cosa deve essere altrettanto chiara: l’ultima cosa da fare è di vivere il terreno dell’unità come un impaccio, un fattore paralizzante, invece che nei termini di una sfida democratica sul terreno dell’avanzamento della proposta, degli indirizzi, delle cose da fare.
Non andremmo lontano se dovessimo illuderci di affrontare una crisi complessiva come quella che stiamo attraversando solo attraverso i meccanismi della manovra e del cambiamento istituzionale. Punto essenziale è la capacità del partito di promuovere la partecipazione e l’intervento delle masse nella vita politica, di agire la spinta dei movimenti che sono il vero motore di qualsiasi processo di cambiamento politico. Di sicuro, senza i movimenti di questi anni, da quelli contro la globalizzazione e contro la guerra, a quelli in difesa dell’articolo 18, o in difesa della scuola pubblica, alle lotte dei lavoratori, sarebbe stato impossibile pensare all’apertura di nuovi spazi di iniziativa e di partecipazione, alla possibilità - oggi - di un cambiamento e di un’alternativa di governo.
Così com’è altrettanto evidente che senza i movimenti di questi anni, non saremmo nemmeno nella condizione di discutere di sinistra alternativa o di soggettività con all’ordine del giorno il tema della trasformazione della società capitalista, che è e rimane il nostro obiettivo strategico. Questa la lezione grande che ricaviamo da un’intensa stagione sociale, una lezione duratura che dovrà orientarci anche per il futuro.

Un nuovo ciclo politico

Ora, mancano pochi mesi alle elezioni politiche. Saremo certamente parte attiva di un percorso di battaglia e di mobilitazione politica per la costruzione di un’alternativa di governo. Ma insieme a questo impegno di carattere generale l’esigenza che abbiamo è di misurarci sulle prospettive di evoluzione della crisi in Lombardia, tenuto conto del peso assai grande che la regione ha sulle vicende nazionali. E’ questo il punto da cui partire, attorno al quale siamo chiamati a sviluppare la discussione in sede di congresso regionale
Nostra convinzione è che anche in Lombardia, non solo a livello nazionale, si è aperto un ciclo diverso, un nuovo capitolo della lotta per l’alternativa.
Negli ultimi anni ci siamo trovati di fronte ad una sequenza impressionante di sconfitte elettorali della Casa delle Libertà. Il centrodestra ha sì vinto alle ultime elezioni regionali, una vittoria celebrata come segno di tenuta e di controtendenza rispetto alla sconfitta intervenuta a livello nazionale. Tuttavia ciò che subito è apparso chiaro è non solo di un risultato che ha risentito del venir meno della spinta propulsiva del modello Formigoni (750 mila voti persi) ma di una maggioranza ad altissimo tasso di litigiosità, in particolare tra Lega e Forza Italia.

La crisi della CdL Lombarda

Sbaglieremmo se pensassimo a difficoltà che vivono semplicemente dentro una vicenda di Palazzo, se vedessimo soltanto il risvolto di una guerra intestina per la distribuzione di posti e soldi nelle principali istituzioni lombarde, ospedali e aeroporti, autostrade e progetti urbani. La crisi del centrodestra assume sempre più i contorni di una difficoltà di tenuta di un blocco sociale per l’insorgere di tutta una serie di contraddizioni sociali, culturali, economiche.
Proprio per questo la tregua intervenuta all’interno della Casa delle Libertà, dopo il “caso” Formigoni-Cè, che ha paralizzato la Giunta regionale per quasi due mesi, è una tregua che lascia il tempo che trova.

Il gioco della Lega Nord

Ciò che dobbiamo smascherare è il doppiogiochismo della Lega, che dentro queste contraddizioni, avendo già scommesso sulla sconfitta del Centrodestra in campo nazionale, da una parte punta a incassare il più possibile (la cosiddetta devolution, il maggior numero di seggi parlamentari, l’assalto a fette di potere regionale) e dall’altra tenta di rilanciarsi come il “partito difforme” del Nord che può rappresentare le insoddisfazioni dei ceti e delle aree produttive colpite dai processi di globalizzazione. Il giochino va fatto saltare.
Non solo stiamo parlando di un partito che in questi anni è stato dentro fino al collo a quella che con disprezzo viene definita la “politica romana”, ma di una forza politica che ha compiuto i peggiori disastri proprio qui, in molte situazioni, dove governa in prima persona. A questo proposito vorremmo porre una domanda, credo che la dovremo porre pubblicamente sul territorio: dove sono finiti i soldi dei tremila bidonati da CredieuroNord, meglio conosciuto come la “banca della Lega”? Non c’è risposta se non nell’inaffidabilità e nell’inettitudine, al di là delle posizioni di destra estrema, di questa forza politica.

All’opposizione per un’alternativa chiara e netta

Come finirà la vicenda in Lombardia avremo modo di vederlo nei prossimi mesi. In ogni caso, come abbiamo già fatto, è bene essere chiari su un punto, e cioè sulla improponibilità di un qualsiasi accordo o di un qualsiasi abbassamento di tono della battaglia politica, pensando di ridisegnare per questa via il quadro della maggioranza, o di ottenere chissà quali risultati.
La proposta di accordo ponte con Formigoni, fatta da alcune forze dell’Ulivo proprio nel momento di massima crisi della CdL, francamente ci è apparsa del tutto fuori luogo, grottesca,
sulla falsa riga di posizioni incentrate sul senso di responsabilità o della governabilità fine a se stessa, il cui unico risultato è stato quello di ingenerare confusione.
Non si interviene nella crisi della CdL inserendo un cuneo di disponibilità tra la Lega e le altre componenti a meno che non ci sia la tentazione, questo il rischio che intravediamo in alcune posizioni, di un ritorno a pratiche moderate, neocentriste, o a soluzioni bipartisan che trovano qualche ascolto nell’area del “riformismo” e del “terzismo” milanese.
Ci siamo presentati alle elezioni regionali con un obiettivo preciso: costruire l’alternativa al centrodestra. Non ci siamo riusciti ma abbiamo aperto vistosamente un varco. E quando si aprono dei varchi, degli spazi politici li si deve praticare fino in fondo mantenendo ferma e chiara la prospettiva di discontinuità con le forze e con le politiche del centrodestra lombardo.

Radicalizzazione e debolezza del “modello Formigoni”

Peraltro la crisi di tenuta della maggioranza in Regione non significa il venir meno di un disegno politico per quanto riguarda l’azione di governo. Anzi. Siamo a un salto, ad una radicalizzazione politica con la sussidiarietà, il federalismo, la competitività, che da semplici modelli organizzativi sono tramutati addirittura in principi fondativi e strategici dell’identità lombarda. Come spiegare questa accentuazione di disegno, a prima vista paradossale, essendo che siamo in presenza di smentite clamorose?
Prendete per esempio il federalismo: l’impatto finanziario che avrebbe l’attuazione integrale del titolo V della Costituzione sulla nuova spesa pubblica finale viene quantificato in 13 punti di Pil. Semplicemente insostenibile. Oppure, altro esempio, l’inconciliabilità della sussidiarietà o delle politiche di privatizzazione con l’orientamento e la domanda della stragrande maggioranza della popolazione, che oggi chiede più intervento pubblico.
Ora a noi sembra che il salto che viene compiuto nei termini di peggioramento delle politiche regionali più che una dimostrazione di forza sia il segno di una debolezza, di una difficoltà a trovare delle risposte in avanti ad una realtà in crisi.
Faccio riferimento al rapporto annuale di “Sbilanciamoci!”. La Lombardia è sì la regione che produce più Pil d’Italia ma è anche la regione che non tramuta la ricchezza prodotta in qualità sociale, riguardo alla quale si colloca solo al nono posto tra le regioni italiane.
Per quanto ci riguarda come rispondiamo? Possiamo stare semplicemente sul terreno della denuncia delle promesse mancate, dei risultati negativi, dell’incapacità di farsi carico dei problemi del declino della regione? Oppure, come pensiamo, bisogna essere capaci di una discontinuità, di una sfida di modello, di un’idea diversa di sviluppo come promozione di eguaglianza, di reddito, di diritti, di benessere sociale?

Crisi dello “sviluppo competitivo” regionale

Rimaniamo per un attimo al dato economico e chiediamoci che fine ha fatto l’idea della Lombardia come modello vincente, che fine ha fatto la metafora della Lombardia come locomotiva trainante lo sviluppo nazionale. A noi sembra di una maggioranza di governo completamente bloccata nella comprensione e nelle risposte su ciò che realmente sta venendo avanti. Certo, la crisi c’è ma ciò che viene detto è di una crisi congiunturale, tale comunque da non intaccare “la posizione di primato della Lombardia nel settore economico”.

In realtà i dati, le tendenze, dicono di una crisi senza precedenti per ordine di grandezza e complessità, sia chiaro non come effetto di rimbalzo del rallentamento dell’economia europea ma come vero e proprio allontanamento dall’Europa per quanto riguarda i principali indicatori economici, oltre ai bassi tassi di crescita - mediamente più bassi anche di quelli nazionali - perdita di quote commerciali, deficit della bilancia tecnologica. Secondo uno studio della Cgil, l’80% della perdita di competitività del Nordovest è attribuibile alla nostra regione. Semmai ci fossero ancora dubbi sulla portata della crisi lasciamo al “Sole 24 ore” di fare la fotografia della situazione: ”Nel corso dei secoli la Lombardia è stata sempre sinonimo di business. Non a caso a Londra la via degli scambi e dei commerci si chiama Lombard Street. Negli ultimi 10 anni più della metà della flessione dell’export italiano sui mercati internazionali è attribuibile alla Lombardia”.

Turbocapitalismo sregolato e senza prospettive

Allora, tenuto conto di questa situazione, è ancora possibile parlare di crisi congiunturale oppure siamo di fronte – questo è ciò che pensiamo - a qualcosa di nuovo, ad una fase di uscita da un lungo ciclo di espansione economica e sociale che segna
un’estenuazione, una linea di frattura con il modello che ha dominato in questi anni? Parliamo del modello di sviluppo competitivo, della crescita continua fine a se stessa, una sorta di turbocapitalismo regionale incapace di vedere una situazione di mercato e una situazione ambientale segnate, a differenza dal passato, dal “limite”.
Ciò che inoltre si è dimostrato del tutto fallimentare è il pensare che fosse una garanzia di crescita e di competitività di impresa ridurre i salari e i diritti dei lavoratori, deregolamentare il mercato del lavoro, smembrare e decentrare interi comparti produttivi, privatizzare i beni pubblici. Su questa strada si è finito soltanto per alimentare uno sviluppo senza regole, di bassa qualità, di scarse prospettive oltre che distruttivo di territorio.

Per non parlare delle coperture offerte a rendita e evasione fiscale, alle attività sommerse, sempre più diffuse a livello territoriale, che non di rado sconfinano nella vera e propria criminalità economica.

Il declino industriale della Lombardia

In Lombardia più che altrove, il declino è anzitutto un declino industriale. In questo settore, la dimensione di impresa si attesta intorno ad una media di appena 8,5 addetti. E’ evidente di una struttura produttiva con un tessuto di professionalità troppo fragile e dequalificato per competere con i punti alti della divisione internazionale del lavoro e, al tempo stesso, con costi troppo alti per reggere il confronto con i paesi in via di sviluppo.
A giugno 2005 le vertenze occupazionali in regione erano 792, con oltre 100 mila posti di lavoro a perdere o a rischio, 1/3 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo il risultato di politiche che hanno portato la Lombardia ad essere il punto più esposto di un declino industriale, con centinaia di punti di crisi, decine di migliaia di posti di lavoro a perdere o a rischio, con la chiusura di decine e decine di aziende che hanno fatto la storia industriale della nostra regione!

L’occasione di un radicale ripensamento

A fronte di questa situazione, come non considerare un cambiamento radicale di prospettiva? Il dibattito è aperto anche su versanti a noi distanti.
Per esempio, lo stesso presidente della Unioncamere della Lombardia riconosce che “un territorio denso di persone, imprese, infrastrutture e con scarso territorio non può più inseguire ritmi cinesi… i problemi di competitività ci sono, ma riguardano più la qualità dello sviluppo che la quantità della crescita”.
Questo ragionamento può essere un punto di partenza e tuttavia, sia detto anche rispetto a certe posizioni sindacali o di sinistra, la fuoriuscita da una fase di incertezza non può essere solo un problema di uscita da un terreno di bassa competitività qualitativa da realizzare attraverso il rilancio della formazione, della ricerca, di uno spostamento di attenzione sulle produzioni a più alto valore aggiunto. La crisi deve essere l’occasione per rimettere radicalmente in discussione il credo predominante della competitività, della globalizzazione liberista.
Si tratta di pensare ad una politica di sganciamento da questi modelli di riferimento, non solo perché comportano la distruzione di regole e diritti che riguardano il lavoro e gli standard di vita delle persone ma perché su questo terreno, per forza di cose o si vince o si perde. Non vi sembra una pretesa balorda il pensare oggi di competere e di reggere in rapporto a Paesi grandi come la Cina o gli Usa che crescono rispettivamente dell’8 e del 4 per cento? Non è che invece bisogna pensare ad un altro percorso di sviluppo, ad uno sviluppo che non sia per forza di cose ridotto ai tassi di crescita e alla conquista di quote di mercato?
Detto molto sommariamente, insieme a produzioni di qualità, bisogna investire su un’economia delle risorse e dei bisogni capace di misurare l’utilità sociale dell’attività economica, bisogna che cresca ciò che migliora la qualità della vita, delle relazioni sociali, ciò che è compatibile con gli equilibri ambientali.

Cambiare rotta su ambiente, energia e mobilità

Sulla questione ambientale, in particolare, per quanto attiene un modello a minore consumo di risorse naturali e a minore inquinamento ambientale, non è più possibile tergiversare. Basta con la reclamistica formigoniana della Lombardia come uno dei “motori più competitivi d’Europa”!
In realtà stiamo parlando di un motore che è altamente inquinante e dissipativo, che è a forte intensità di utilizzo di energia, di risorse, di territorio. Basterebbe dire della Lombardia come l’area del mondo con il maggior numero di auto pro-capite oppure di un piano energetico che non rispetta minimamente il protocollo di Kyoto.

Ci sono immagini che dicono più di tante parole circa la portata enorme della crisi ambientale in atto. Le immagini scattate via satellite che ritraggono la Lombardia, e più in esteso la Pianura Padana, come una delle aree più inquinate d’Europa e del mondo. Proprio in questi giorni, a proposito dell’altissima incidenza di tumori, abbiamo letto del grido d’allarme di un direttore Asl: ”O si cambia nel giro di sei-sette anni, oppure sarà una specie di ecatombe”.
Soltanto una straordinaria cecità politica può portare a minimizzare, a continuare sulla stessa strada come se niente fosse. Per esempio, continuare a pensare che siccome la nostra economia vive dentro un sistema a competizione globale, ogni territorio deve valorizzare se stesso avendo di mira l’inserimento concorrenziale della Lombardia nei grandi circuiti dello sviluppo e della produzione. Questa è una logica distruttiva che sta portando alla demolizione di tutti gli strumenti di pianificazione e di controllo ambientale, riconoscendo ai privati, alla loro cosiddetta “domanda di sviluppo”, grandi poteri di intervento per quanto riguarda i progetti di trasformazione territoriale, le grandi opere infrastrutturali, la costruzione di nuove autostrade.
Su quest’ultimo punto specifico la nostra è una posizione netta anche rispetto al dibattito che è aperto in tutta una serie di ammistrazioni comunali di cui facciamo parte. Basta con un sistema del trasporto che vive di un gigantesco consumo di energia e di risorse. Più investimenti nel trasporto ferroviario, pubblico e collettivo che è la sola risposta di prospettiva che possiamo dare ai problemi della mobilità.
Più in generale bisogna cominciare a pensare in termini di impulso agli investimenti pubblici nel campo della prevenzione, della mobilità collettiva, dei servizi, del risparmio energetico, del riuso dei materiali, della difesa dei beni comuni e anche su questo nessun sconto di contro ai processi di privatizzazione che vengono avanti.

La nuova qualità dell’offensiva contro il lavoro

La necessità di porre in campo un’altra idea di società non può che misurarsi con il carattere straordinario dell’offensiva politica e padronale che viene rivolta contro le regole e i diritti che del lavoro. Questa offensiva muove innanzitutto da un punto, che è il disconoscimento dell’esistenza del lavoro e dei lavoratori in quanto tali. E’ sintomatico come in nessun documento regionale si parli di lavoratrici e lavoratori con i loro bisogni e i loro diritti. Si tratta di una precisa scelta politica che coincide con un preciso messaggio ideologico: non è più il lavoro a creare ricchezza ma è la ricchezza (e l’impresa) a creare il lavoro.
Il risultato è una svalorizzazione del lavoro, in tutti i sensi, dalla perdita di diritti e di potere d’acquisto, alla precarizzazione e al deterioramento delle condizioni lavorative con dati che attestano come in Lombardia si sia andati più indietro che altrove. Basti dire che nella sola Lombardia ci sono tanti infortuni sul lavoro quanti nell’intera Germania. Ma c’è un dato, sopra tutti, a dimostrazione di condizioni che sono peggiorate drasticamente. E’ il dato sul “lavoro impoverito”. Non è più come ai tempi di Keynes quando la povertà veniva vista come conseguenza diretta della disoccupazione. Su oltre 543 mila famiglie povere o a rischio di povertà ce ne sono tantissime costituite da lavoratori sottopagati, privi di tutele, di diritti fondamentali. Lavoratori costretti anche a lavorare in età sempre più avanzata (la popolazione anziana che lavorava oltre i 60 anni di età nel 2003 era del 27,8% di contro al 24,6% del 1995).
Ed ancora, più dei 3/5 dei nuovi ingressi nel mondo del lavoro sono nella forma di contratti “atipici”, precari.

Centrale è la lotta contro la precarietà

Siamo soltanto all’inizio visto il proposito della maggioranza di dare piena attuazione alla legge 30, di ridisegnare il mercato del lavoro in senso compiutamente liberista. In pratica l’idea è di un mercato del lavoro alla stregua di tutti gli altri, un mercato in cui gli “utenti” dovrebbero godere di una supposta “libertà di scelta” di impiego e occupazione. Un inganno colossale.

Avevamo ragione a dire degli effetti a cascata della legge Bossi-Fini. Ciò che prima è valso per i migranti, la titolarità individuale di un rapporto di lavoro temporaneo, la ricattabilità di questo rapporto, è stato poi perseguito per tutte le lavoratrici e i lavoratori italiani. Anche per questo nessuna divisione, la lotta contro la precarietà e le disparità è una lotta di classe da portare avanti nell’interesse di tutte le lavoratrici e lavoratori. Dunque, se proprio si deve parlare di libertà di scelta, questa non può che essere perseguita in senso radicalmente diverso, nei termini di un’uscita dal mercato del lavoro capitalistico, nei termini di un diritto al lavoro e tempo scelto, di una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, di lavoro e di reddito garantito come fonte di dignità e di sicurezza nei percorsi di vita. Diversamente, rendere il lavoro flessibile, precario e intermittente significa soltanto rendere precari e intermittenti i diritti di cittadinanza democratica, sociale.
Facciamo diventare la lotta contro la legge 30 e la precarietà punto centrale della nostra iniziativa. Raccogliamo l’esperienza importante della Rete regionale contro la precarietà che opera ormai da due anni a questa parte. Una battaglia che in Lombardia può avvalersi di due progetti di legge di iniziativa popolare, l’uno per il riconoscimento della funzione sociale del lavoro stabile e a tempo indeterminato, l’altro per il diritto di ognuno al reddito minimo garantito. Sapendo una cosa: che senza questo diritto al reddito, diritto che rende ogni altro diritto effettivo, viene meno anche l’affermazione della dignità delle persone.

Crescono le nuove povertà, si polarizza la ricchezza

Secondo alcune ricerche, soltanto a Milano ci sono 250 mila persone, cioè un cittadino su cinque, che sono povere o che stanno in equilibrio precario sulla soglia di povertà. Al contempo cresce il numero delle famiglie lombarde (+ 28% in un solo anno) costrette a ipotecare lo stipendio per pagare scuola, sanità e casa.
L’altra faccia della realtà è quella di una regione in cui si accumulano grandi ricchezze finanziarie, ma solo a beneficio di una ridotta classe di superprivilegiati, quella che, con patrimoni finanziari da 500 mila a oltre 50 milioni di euro nel 2004, attende per quest’anno un incremento medio del 10%.
Bastano questi pochi dati per dire della vacuità di certe rappresentazioni: la Lombardia come “terra delle opportunità”, in cui “ognuno è libero protagonista della propria vita”. La realtà, alquanto diversa, è quella di una vera e propria crisi di disuguaglianza. Mentre i ricchi diventano via via più ricchi il resto della popolazione viene sospinta in una condizione di crescente “vulnerabilità sociale” anche per effetto di una politica che ha ristretto drasticamente i diritti e la sfera della sicurezza sociale.

Contrastare la deriva verso una “società di mercato”

Sotto questo punto di vista siamo in presenza di una società che sta radicalmente cambiando, che si configura sempre più come “società di mercato”, dove per gli individui che la compongono non c’è più “il diritto ad avere diritti”, ad avere garanzie e protezione, se non mobilitando le proprie risorse, le proprie capacità contrattuali, alla faccia del “pieno protagonismo delle persone e della società civile” di cui parla la destra. Ma è protagonismo dire che i cittadini devono sempre più arrangiarsi nel campo dell’istruzione, della salute, dell’occupazione, della casa così come per tutta una serie di bisogni sociali? E’ protagonismo il fatto che le donne in prima persona devono sopperire con il proprio corpo, la propria fatica, la propria vita allo smantellamento dello stato sociale?
La realtà è di una destra che sta facendo politica sullo smantellamento dell’intervento pubblico e su una spesa pubblica manovrata in funzione di un blocco sociale di potere, dei tanti interessi che intrattengono rapporti privilegiati con le forze di governo, Compagnie delle opere in testa.
Il problema è cosa fa l’opposizione, cosa fa la sinistra. Basta lanciarsi all’inseguimento di parole d’ordine ingannevoli: il federalismo, la sussidiarietà, la parità!
Se non vogliamo assistere impotenti ad una devastazione di legami sociali, ad una crescita delle esclusioni e dei corporativismi, siamo chiamati a rilanciare l’intervento pubblico, a sviluppare un sistema dei diritti, il diritto alla salute, allo studio, al lavoro, alla cultura, ai servizi di pubblica utilità, un sistema in cui sia ridata centralità ai bisogni sociali e alla dignità delle persone.

Pace e solidarietà contro la secessione di guerra e disuguaglianze

Ciò che vorrei infine richiamare è l’impegno, fondamentale nel tempo in cui viviamo, di andare allo smantellamento della cultura dominante della guerra, alla costruzione di una nuova cultura della pace e della nonviolenza. Non intendiamo soltanto dire di un impegno di ordine generale, la mobilitazione contro la guerra in Iraq, contro tutte le guerre, contro il terrorismo, certamente da rilanciare a partire dalle manifestazioni di Roma e di Milano di questa settimana.
Non c’è più nessun alibi, dopo le impressionanti immagini sull’utilizzo delle armi chimiche da parte dell’esercito americano. Le truppe italiane e tutte le truppe di occupazione devono essere immediatamente ritirate dall’Iraq!
Insieme a questo impegno di ordine generale, ci interessa dire anche di un impegno che va tradotto in iniziative concrete da calare nelle realtà in cui viviamo.
Oggi siamo in presenza di orientamenti nel campo della politica estera in larga parte improntati ad un’ottusa autoreferenzialità, al peggior unilateralismo. Affermazioni del tipo: bisogna “esportare il sistema economico lombardo”, bisogna promuovere “il collegamento tra la Lombardia e i territori strategici per lo sviluppo delle relazioni di affari”; ed ancora “bisogna aprirsi a tutte quelle realtà disponibili ad abbracciare il modello lombardo”. Deve essere chiaro, i risultati di queste politiche non sono solo nei termini di una rottura di ogni nesso tra Nord e Sud, di una secessione di fatto della nostra regione “avanzata” dal tema della solidarietà, della cooperazione. Le ricadute sono sul piano interno in termini di ineguaglianze territoriali, di divisione tra cittadini di serie A e di serie B.

Migranti e diritti: una questione di civiltà

Non ci sono solo i fatti di Parigi e della Francia. Anche qui da noi c’è un rischio, quello delle banlieues dei nuovi emarginati per i quali la sola risposta, spesso, è quella del restringimento delle libertà, delle politiche securitarie. Oppure quella di essere abbandonati, alla mercé di manifestazioni di intolleranza, di xenofobia specie nei confronti dei migranti che orami costituiscono una fetta rilevante della popolazione residente nella nostra regione.
Sia detto, l’esistenza di un luogo di segregazione, impenetrabile, come il Cpt di Via Corelli è una vergogna per Milano e la Lombardia. Bisogna che si vada alla sua chiusura!
La Lombardia protagonista di relazioni internazionali? Certo, ma il punto di vista non può che essere quello della pace e della cooperazione internazionale, e insieme della costruzione
di un nuovo modello di civiltà i cui valori fondanti siano sul terreno dei diritti, dell’uguaglianza, della partecipazione sociale, dell’allargamento del diritto di voto ai migranti.

L’alternativa del disarmo e della pace

Non dimentichiamo, inoltre, che la Lombardia è la prima produttrice di armi in Italia. Bisogna disarmare la Lombardia: l’obbiettivo è di una riconversione della produzione armiera in attività di beni e servizi di uso civile. Per questo massimo sostegno al progetto di legge di iniziativa popolare alla cui campagna di raccolta firme abbiamo dato il nostro contributo.
Scegliere la pace, infine, significa scegliere un modello alternativo sul piano ecologico e sociale. Il che significa che noi dobbiamo assumerci qui e ora la responsabilità di cambiare il nostro sistema di vita che è un sistema di uso e consumo di risorse per pochi, questo a partire dalle nostre città, dalla nostra vita quotidiana, prendendo atto del fallimento della promessa di una crescita generale e inclusiva.
Un altro mondo è possibile. Bisogna impegnarci a costruirlo sapendo che nostro futuro dipende dal successo di questa sfida.

L’idea di un partito organo di “volontà trasformatrice”

Abbiamo parlato del contesto e di alcuni temi di politica regionale. Detto ciò, questo nostro Congresso è anche l’occasione per un bilancio del lavoro svolto.
Innanzitutto, se dovessi dire del tratto con cui abbiamo teso a connotare le discussioni e il lavoro di questi anni, direi essenzialmente di una forte e insistente sottolineatura nel senso di un partito fondato sul radicamento e sul primato dell’iniziativa sociale. Vale per noi una lezione fondamentale di Marx, per il quale “ogni passo di movimento reale è più importante di una dozzina di programmi”.
Per procedere in questa direzione c’è bisogno di un partito che stia dentro le contraddizioni, i conflitti, che promuove le lotte. Un partito che costruisce mediante connessione, che opera in maniera sistematica per educare alla politica di massa, alla partecipazione attiva.

Lavoro di massa e interlocuzione

Proprio per questo abbiamo insistito e investito molto, al di là delle scadenze nazionali, nella costruzione di campagne di massa, di iniziative pubbliche e di piazza, di raccolta firme su progetti di legge di iniziativa popolare, di costruzione di reti in ordine a diverse problematiche, da quelle contro il buono scuola a quelle contro la precarietà e la legge 30, da quelle contro la privatizzazione dei beni comuni alle campagne per il disarmo, da quelle in difesa della sanità pubblica e per l’abrogazione dei tickets a quelle sui temi dell’immigrazione, e poi ancora le iniziative in campo ambientale.
Dunque, come partito regionale non ci siamo limitati ad assolvere il ruolo tradizionale di produzione di servizi a supporto delle federazioni. Abbiamo inteso operare per uno sviluppo di presenza in importanti campi di iniziativa di partito e di movimento, aprendo al contempo un’interlocuzione con soggettività esterne, associative, sindacali e politiche. Siamo stati promotori, possiamo dirlo senza falsa modestia, di una molteplicità di iniziative e proposte che per la loro portata sono diventate punto di riferimento anche per altre realtà regionali.

Lo spazio della sinistra alternativa in Lombardia

Tre anni fa, in occasione del nostro primo Congresso regionale, di fronte al progetto neocorporativo del “Patto per lo sviluppo” promosso da Formigoni, lanciammo la proposta
di “dare vita insieme a forze sindacali, politiche, sociali, associazioni, comitati vari, ad una rete di discussione e di lavoro, una sorta di contropatto dal basso”, con l’obiettivo di costruire un’alternativa di disegno politico per la nostra regione. Decidemmo allora i primi incontri aperti, le prime assemblee regionali con l’idea di costruire uno schieramento per “un’altra Lombardia” - altra cosa e con altro impatto certamente dall’esperienza di ”Altralombardia”, costituitasi autonomamente, per altri canali, in occasione delle ultime elezioni regionali.
Ma ciò che vogliamo rimarcare è il senso, la continuità di alcune scelte, per quanto ci riguarda un’idea di politica e di costruzione del partito in termini di confronto aperto con aree
di sinistra alternativa. Recentemente abbiamo tenuto a Bergamo un incontro regionale, molto bello e partecipato, con realtà sociali e di movimento. Ancora una volta abbiamo avuto riprova di uno spazio, di una prospettiva per quanto riguarda la costruzione e il consolidamento di un’area alternativa nella nostra regione.
La presa di contatto, la lettura di questa realtà, ci ha portato ad operare un forte investimento in termini di apertura anche in occasione delle ultime elezioni regionali. Un investimento che abbiamo fatto non solo per un risvolto di ordine elettorale, ma per un’idea della rappresentanza politica che si costituisce in collegamento, in rapporto dialettico con le istanze che sono proprie della rappresentanza sociale.

Risultato delle elezioni regionali e nuovo Gruppo consigliare

Il risultato ottenuto alle regionali è un risultato di tutto rispetto, tendenzialmente più avanzato di quello nazionale, anche se al di sotto delle più generali aspettative. Con questo non voglio sottacere il rammarico che attiene alla mancata conferma di alcuni elementi di continuità del lavoro istituzionale.
Ma insisto, ciò non può far venir meno l’importanza, la positività di un risultato complessivo che non va letto solo per i voti, ma per le potenzialità che dischiude, la formazione di un gruppo consiliare che può contribuire ad aprire una nuova fase per il nostro partito, più rivolta alla costruzione di rapporti esterni, del rapporto con le associazioni, con il mondo del lavoro.
Buon lavoro, compagni consiglieri, e non ce ne vogliate se diciamo di un lavoro che vorremmo portato a compimento prima della scadenza naturale della legislatura, con la sconfitta di Formigoni!

Un partito regionale più organizzato e funzionante

Un altro aspetto intendiamo richiamare. C’è un lavoro che è andato nel senso di un partito più organizzato, più funzionante, di un centro regionale più capace di alimentare l’iniziativa dell’intero partito.
Uno degli obiettivi che ci eravamo dati all’inizio del nostro mandato e che abbiamo portato a compimento è l’acquisto di una nuova sede regionale facendo partecipe di questa operazione la federazione di Milano. Ci siamo dotati di strumenti di informazione (Liberamente, sito internet, newsletter e informazione via posta elettronica), che ormai costituiscono aspetti decisivi del nostro agire politico. Strumenti che però non possono fare a meno di accompagnarsi con un impegno maggiore alla diffusione e alla circolazione del nostro quotidiano Liberazione.

Più radicamento sul territorio. Non disperdiamo il buon risultato delle primarie

Va però detto anche di un lavoro che non sempre si traduce in radicamento organizzativo, in crescita degli iscritti.
E’ vero che in questi anni abbiamo dovuto fare i conti con la crisi delle forme tradizionali della politica e della rappresentanza. Ma mi chiedo anche se da parte nostra non vi sia qualche elemento di sottovalutazione dell’importanza del nostro essere forza politica organizzata. Oppure, ancora, se non vi sia un problema di operatività, di funzionamento del partito da supportare con un investimento di attenzione e di risorse maggiore in funzione della crescita del partito nei territori.
Proprio nei territori, l’esigenza immediata che abbiamo è di un lavoro per non disperdere il risultato straordinario di partecipazione che abbiamo avuto in occasione delle primarie. Quasi 94 mila voti a Bertinotti in Lombardia - più di un terzo circa dell’elettorato di Rifondazione - sono un dato straordinario. Il problema è adesso di tradurre questo risultato in termini di continuità di partecipazione, di iniziativa, di crescita del partito.

Più peso politico ai giovani e alle donne, per il rinnovamento

Infine, che risposta diamo a una delle novità di questi anni, ovvero alla scesa in campo di una nuova generazione?
Anche in Lombardia il mondo giovanile si è reso protagonista di fatti importanti, positivi: la lotta contro i buoni scuola e la riforma Moratti – straordinarie le mobilitazioni studentesche di queste settimane, a cui va il nostro pieno sostegno -, la lotta contro la precarietà, le iniziative sul versante dei migranti, i centri sociali.
Avverto perciò una necessità, quella di un partito maggiormente aperto alla realtà giovanile, alla sua spontaneità, alle sue differenze. Non basta il riconoscimento, qualche volta paternalistico, di una presenza e di un lavoro dei Giovani comunisti. Dobbiamo dire a chiare lettere di un aumento del peso politico delle nuove generazioni, sapendo che non c’è rinnovamento e sviluppo del partito se non c’è un’apertura in questa direzione. Così come non possiamo rassegnarci ad un partito gestito sostanzialmente da un genere, quello maschile, perché questo significa avere un partito monco e deprivato della possibilità di prodursi in un salto di qualità.

Sciopero dei metalmeccanici, sciopero generale, Congresso Cgil: protagonismo dei lavoratori

Per concludere, stiamo vivendo una fase politica nodale. Ciò che non possiamo permetterci è un indebolimento di percezione dei problemi che abbiamo davanti, dall’opposizione alle politiche dei governi di centrodestra, al sostegno delle lotte dei lavoratori, alle imminenti scadenze elettorali. In particolare penso alla giornata di lotta della più forte categoria operaia dell’industria, ovvero allo sciopero dei metalmeccanici del 2 dicembre. La posta in gioco è grande, non solo il contratto, il salario, ma un’idea di società, di sviluppo, dei diritti di chi lavora. Facciamo sentire il nostro sostegno, così come è importante la nostra partecipazione allo sciopero generale contro la finanziaria del 25 novembre. Penso altresì all’importanza dell’esito del Congresso Cgil.
Il più grande sindacato italiano è chiamato a reinterpretare un ruolo che non potrà risolversi in un ritorno al passato, a collateralismi politici, ma che dovrà andare nel senso di rilanciare il protagonismo e il punto di vista autonomo dei lavoratori.

Elezioni amministrative, e primarie a Milano

E poi ancora, al di là delle elezioni politiche, credo che sia a tutti presente la portata delle elezioni amministrative della primavera prossima.
A questa tornata sono interessati 215 Enti locali lombardi per un totale di quasi due milioni di elettori. Inutile sottolineare la portata strategica delle elezioni comunali di Milano, e l’importanza delle primarie cui parteciperemo con la candidatura di Dario Fo, nel cuore pulsante di un berlusconismo che possiamo finalmente portare alla sconfitta.

Unità, confronto politico e partecipazione nel partito

A fronte di queste scadenze impegnative abbiamo bisogno come non mai di unire e di utilizzare tutte le nostre potenzialità di lavoro politico.
Certo che anche nel nostro partito ci sono differenze, e fortuna che queste esistono! Ma c’è una scelta che deve impegnarci tutti, nessuno escluso, dato che nessuno è perfetto, e cioè la partecipazione alla vita del partito nei termini di un reale confronto politico, di un confronto che non scada mai in personalismi o in una sorta di contrapposizione, al maschile, tra posizioni rinchiuse in se stesse.

Rinnovamento del partito

Insieme ad un’opera di unità c’è un’opera di rinnovamento che dobbiamo portare avanti. Anche qui, quando si parla di gruppi dirigenti o di apparati, penso che dobbiamo rifuggire da una sorta di “permanentismo politico”, perché un partito che ristagna, che si autoconserva è inevitabilmente un partito che si impoverisce. E proprio per questo, lasciatemelo dire, siamo contenti per tutto ciò che di nuovo, di giovani e meno giovani, di indipendenti, di esponenti di vari movimenti, abbiamo contribuito ad avvicinare, a mettere in relazione con il partito nel corso di questi anni.
Naturalmente quello che vale per tutti vale per noi stessi. Abbiamo avuto la responsabilità di dirigere il partito nella più importante regione d’Italia per oltre cinque anni. Lo abbiamo fatto unitamente al contributo di lavoro e di direzione di molti. Nel ringraziare tutti, permettetemi, in particolare, di ringraziare il compagno presidente Giuseppe Sacchi per il senso di rigore e di correttezza dimostrato in tutti questi anni.
Ora, credo che dobbiamo guardare per tempo ad una nuova fase, ad una prospettiva di rinnovamento e di spinta ad un avanzamento del partito.
La proposta che facciamo è di una Conferenza di organizzazione da tenersi subito dopo le elezioni della primavera prossima. Ma già a partire da questo Congresso ognuno di noi deve sentire forte il senso di una responsabilità. Tante sono le persone che guardano a Rifondazione Comunista come a un punto di riferimento intorno a cui riporre e far vivere le proprie speranze, la domanda di costruzione di un’altra società fondata sulla pace, sulla libertà, sulla giustizia e sulla felicità delle persone.

Qui con noi avrebbe dovuto esserci Vittorio Lazzaroni, un compagno di grande slancio e dedizione politica scomparso improvvisamente due giorni fa. Ci mancherà tanto il suo apporto, così come quello di altre compagne e compagni carissimi che ci hanno lasciato in questi anni.

Anche per loro, siamo chiamati fare un buon Congresso.

Ezio Locatelli
Milano, 20 novembre 2005