Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista

Interventi A - Z

Roma, 21 - 22 gennaio 2006

Imma Barbarossa

La costruzione delle liste ha a che fare con il problema della rappresentanza, e quindi con la crisi della politica e del rapporto tra democrazia e trasformazione, tra nuovi diritti e trasformazione, tra pratica di movimenti e percorsi di autoliberazione di soggetti in carne e ossa nel contesto di nuove relazioni politiche. Spesso guardiamo con sufficienza a queste riflessioni, così le liste elettorali rischiano di diventare l’unico metro di valorizzazione e autovalorizzazione.

Le istruzioni diventano quasi l’unica forma non solo di visibilità ma anche di pratica politica e persino di costruzione della politica. Nonostante queste considerazioni, penso che la proposta illustrata da Ferrara sia il frutto di un buon lavoro, soprattutto per la presenza di personalità esterne, dai compagni del movimento ai soggetti protagonisti dei nuovi diritti, ad Haidi Giuliani ed Ali Rashid, per me punto di riferimento - insieme alle donne in nero - dell’analisi della situazione in Palestina, della politica del governo israeliano e del complesso e difficile dibattito tra le organizzazioni politiche e le forze sociali palestinesi.

Ma a partire dalle considerazioni sulla rappresentanza, voglio dare seguito alle considerazioni critiche di Ferrara sulla insufficiente presenza delle donne.

Di fronte a significative presenze femministe individuate a livello nazionale e frutto di forti relazioni politiche, la insufficiente presenza delle donne non è riducibile al quoziente numerico che manca, ma è - e resta - un fatto culturale profondo, una vera e propria rappresentanza del patriarcato di sinistra.

Ci sono nel nostro partito aperture significative: le prese di posizione di Bertinotti, il lavoro fatto da Ferrara (e la sua analisi critica), lo straordinario percorso del nostro giornale per merito delle femministe della redazione e della cultura politica del direttore.

Ma, tranne lodevoli eccezioni di nostri dirigenti a tutti i livelli, quello che colpisce è la sensazione di essere ospiti nel partito.

La grande manifestazione del 14 gennaio a Milano è la dimostrazione della straordinaria forza delle donne, della loro soggettività, del fatto che sono oggi quasi le uniche a contrastare l’oscurantismo ambizioso e pervasivo delle gerarchie cattoliche, a mantenere aperte forme di civilizzazione laica del nostro paese e della sinistra.

E’ riducibile a una questione sociale? Penso di no, e nemmeno a una questione di movimento. Si tratta di fare un salto di qualità, di riconoscere che i soggetti della politica sono sessuati: un riconoscimento che, quando c’è, viene meno di fronte all’approccio col potere.

Quando dai regionali è venuta la legittima richiesta di presenze territoriali, territorio è stato quasi sempre visto come segnato dal patriarcato e dal genere maschile. Sicché nella stragrande maggioranza la presenza delle donne tra gli eletti è frutto di una vera e propria forzatura nazionale.

Infatti la questione non è di aprire il partito, ma è nell’analisi del patriarcato di sinistra, nel senso maschile/potere e nella capacità (se c’è) dei compagni di mettersi in discussione come maschi e delle donne di non farsi sedurre dalle sirene del potere maschile.

Salvatore Bonadonna

Credo che questo gruppo dirigente debba esprimere una soddisfazione vera per il lavoro svolto nella preparazione del programma dell’Unione ed essere grato al compagno Walter De Cesaris per il lavoro di coordinamento puntuale ed attento che ha svolto. Come su tutti gli altri tavoli, anche in tema di Mezzogiorno, il confronto è stato tra noi e tutti gli altri; almeno quelli che hanno partecipato ai lavori. Ci siamo trovati di fronte ad ipotesi assolutamente insufficienti. Nel migliore dei casi c’era la proposta di riprendere le politiche del centro sinistra, considerando quella berlusconiana una parentesi da chiudere per riprendere dove aveva lasciato il Governo Amato.

Penso che la perseveranza con cui insieme a Giacomo Schettini, Vito Nocera e Celeste Nardini, abbiamo proposto le analisi su come il Mezzogiorno ha pagato in modo specifico le politiche liberiste, su come si siano mostrate fallaci le ricette del sostegno alle imprese, su come la precarietà sia diventata la cifra della società meridionale, capace di segnare sia il livello di vita che le relazioni sociali e la qualità stessa della politica, abbiano consentito di assumere una linea di intervento ed elaborare un quadro di proposte sostanzialmente nuove ed accettabili.

A partire dalla nettezza con la quale si è convenuto di cassare il Ponte sullo Stretto e di sviluppare, in alternativa, la rete ferroviaria e le reti materiali ed immateriali capaci di sorreggere un modello di sviluppo autopropulsivo ed ecologicamente qualificato.

Non mi sono meravigliato del tentativo di modificare l’impianto condiviso in sede di stesura del testo unificato.

Che ciò sia avvenuto per superficialità, a cui credo poco, o ad un tentativo di forzare sulla linea riformista del liberismo temperato, quello che conta è che la manovra non ha funzionato. Ma questo deve metterci nella condizione di collaborazione conflittuale che caratterizza il rapporto tra chi propugna l’alternativa di Governo e chi, come noi, guarda alla necessaria alternativa alla destra come condizione per far crescere l’alternativa di società. Si tratta di capire quale effettiva capacità di egemonia, di consenso, saremo in grado di costruire.

Si tratta di decidere se questo gruppo dirigente si misura e misura i consensi e i dissensi sul programma fondamentale del Partito o se, invece, intende condannarsi alla coazione a ripetere i termini di un confronto che aveva come traguardo l’intesa di governo e che, adesso, non mi pare trovi ragione se non nella esclusione “a priori” di ogni possibile intesa.

Abbiamo visto che nulla può essere dato per scontato; ma almeno la verifica che possiamo farcela dovrebbe spingere in avanti il nostro traguardo.

Alberto Burgio

La bozza di programma dell’Unione suscita gravi preoccupazioni sui principali terreni del nostro impegno politico. Sulle politiche migratorie non prevede l’abolizione dei Cpt, che Prodi rivendica in quanto creatura del centrosinistra. Sulle politiche del lavoro, il pacchetto Treu resta la stella polare del centrosinistra, che continua a difendere lavoro a progetto e lavoro interinale. Sulle politiche economiche, la bozza prevede “politiche di apertura concorrenziale” dei servizi pubblici locali (energia, trasporti, acqua). Sul piano internazionale non vi è traccia della richiesta di ritiro immediato dei nostri soldati dall’Iraq, mentre si prevede di definire il calendario del ritiro in base alla “consultazione con le autorità irachene”, per “sostenere nel migliore dei modi la transizione democratica dell’Iraq”. Non bastasse, si prevedono “azioni” volte a “sostenere la ricostruzione economica” dell’Iraq, secondo il classico schema coloniale: prima si fa la guerra, poi si progetta di sfruttarne le conseguenze sul piano economico. Non ci stupiamo di questi dati di fatto, poiché non abbiamo mai condiviso la tesi dello “spostamento a sinistra” dell’Unione. Da tempo sappiamo che cosa Prodi, la Margherita e la maggioranza dei Ds pensino di privatizzazioni e precarietà, e non scopriamo oggi che la “leale alleanza” con gli Stati Uniti costituisce un cardine della loro politica estera.

Tutto ciò aggrava però le nostre critiche. Non avremmo dovuto adottare un basso profilo (prima siglare l’accordo, poi aprire il confronto sul programma), ma, al contrario, aprire il conflitto più marcato (facendo discendere l’eventuale accordo da un buon risultato del confronto programmatico). E’ tardi ormai per recuperare? Certo, è tardi, ma forse non troppo tardi. E’ necessario battersi fino all’ultimo, per inserire nel programma alcuni obiettivi qualificanti. Ma si tratta di chiarire, adesso, che l’accordo di governo non è un fatto acquisito. Una cosa è fuori discussione: tutto è meglio, piuttosto che sottoscrivere un’intesa programmatica che legittimerebbe politiche incompatibili con gli assi di fondo della nostra posizione e sulla base della quale non è proponibile l’ingresso del Prc nell’eventuale futuro governo dell’Unione.

Salvatore Cannavò

Sin dalla direzione ho apprezzato i criteri e la composizione delle liste.

Questo apprezzamento è ribadito qui in presenza di un’apertura delle lista a figure esterne al partito che parlano il linguaggio dei movimenti.

Mi fa molto piacere la candidatura di Ali Rashid in un contesto in cui la Palestina è in un’estrema difficoltà mentre sono molto orgoglioso della candidatura di Haidi Giuliani resa possibile dalla disponibilità di Gigi Malabarba.

I nomi nel contesto sono buoni e allo stesso tempo va dato atto al gruppo parlamentare uscente di aver lavorato bene e di essere stato all’altezza del compito.

Quello che proprio non va bene sono le deroghe ai parlamentari con mandati superiori a due. Perché non va bene? Perché un partito che vuole essere diverso e che fa della “riforma della politica” una bandiera deve avere poi gesti coerenti con le proprie asserzioni. Lo scarto tra queste e la deroga, che si configura come una sorta di “condono”, è evidente e dispiace che non si producano scelte anche individuali di indisponiblità a questo passaggio.

Si corre così il rischio di una professionalizzazione della politica che certamente riguarda anche il funzionariato - magari discutessimo di rotazione e di alternanza - ma che ha il suo culmine nelle istituzioni. Per questo voteremo contro la deroga. Così come è sbagliato il cedimento al leaderismo implicito nella candidatura del segretario in tutte le circoscrizioni.

Sbagliano le strutture locali a chiederlo e sbaglia il segretario a concederlo perché così non si darà mai quel rinnovamento del gruppo dirigente di cui c’è bisogno.

Bertinotti dice che la successione alla sua segreteria non è all’ordine del giorno: bene, ma allora basta con le chiacchiere di corridoio e con le riunioni riservate o con le manovrine di palazzo che a questo puntano! Come area politica ci attendevamo dalla maggioranza un gesto adeguato alla generosità espressa da Malabarba che rifiuta la candidatura.

Infine sul vincolo di mandato. Credo che lo statuto sia chiaro ed è per me evidente che finché si sta in un partito se ne rispettino le regole e il percorso. Ma il problema riguarda tutti. Noi abbiamo un vincolo con noi stessi, con la nostra storia e con la nostra identità. E il governo di centrosinistra metterà a dura prova questo vincolo che è fatto di solidarietà agli interessi dei lavoratori, di ripudio della guerra, di attaccamento ai diritti civili e altro ancora.

Il nodo del vincolo non è quindi amministrativo o burocratico ma politico e dipende da come sapremo insieme regolare le difficoltà che non mancheranno.

Mi auguro che quelle difficoltà siano attraversate da noi tutti, e io mi impegnerò in tal senso, in modo condiviso.

Pino Ciano

Porto innanzi tutto un saluto a tutta l’Assemblea del Comitato politico nazionale da parte della mia sezione di Taurianova e dai compagni della provincia di Reggio Calabria.

Voglio inoltre ricordare con grande gioia e commozione, il ritorno a consigliere regionale di Rifondazione Comunista in Calabria del compagno Damiano Guagliardi. Nel merito della relazione del compagno Ferrara non la condivido, perché non rispetta le proporzioni della minoranza, né la territorialità. Infatti sui possibili 60 parlamentari da eleggere, all’area Essere Comunisti che rappresenta circa il 27% di consensi all’interno del partito, viene riconosciuto appena il 10% delle teste di lista, cioè solo 6 possibili parlamentari da eleggere.

Inoltre è assolutamente inaccettabile che una regione come la Calabria, su 4 indicazioni (3 alla Camera ed 1 al Senato), non sia rappresentata da nessun candidato calabrese. Io sono seriamente preoccupato che la mancanza di una presenza territoriale nelle teste di lista possa non portarci quel consenso importante che pure è ipotizzabile in condizioni ottimali.

Chiedo pertanto ai compagni di rivedere questa proposta, nell’interesse del Partito tutto. Rispetto al programma, secondo me, una delle priorità per il Meridione, e sopratutto per la Calabria, è trovare soluzioni alla disoccupazione enorme in cui ci troviamo, cioè il 33% complessivo, il 45% femminile, ed il 55% giovanile. La percentuale più alta di tutta l’Europa, quella a 25, Romania compresa. Con questi dati è chiaro a tutti quanto sia difficile poter sconfiggere la corruzione dilagante, le clientele, la criminalità organizzata.

Io penso che, a quei ragazzi di Locri, che rappresentano il futuro dei calabresi, noi dobbiamo dare delle risposte concrete e subito.

Ritengo che lo strumento della partecipazione dello Stato in economia, sia il più utile ed efficace in queste realtà.

Aurelio Crippa

Non condivido la decisione della direzione per le modalità ed i criteri adottati.

Una visione e pratica della democrazia, negatrice della partecipazione e del protagonismo attivo delle/degli iscritte/i, che non condivido proprio per questo. Il tutto avviene a decisione presa a su Liberazione.

Sui criteri c’è un ritorno al passato. In un sol colpo spazzati via i “modelli innovativi del fare politica”, introdotti con grande enfasi nel recente passato.

Sulla candidatura della segreteria La “innovazione” del passato: nessun parlamentare, salvo il Segretario, nella segreteria.

Motivo: un distinguo netto, per rendere esplicito il ruolo di direzione politica della segreteria, per l’agire del partito nella società e nelle istituzioni.

Riportando ad oggi questo, traggo la conclusione che questa direzione è indicata ed individuata nella presenza parlamentare (ed a caduta nei vari livelli istituzionali).

Se poi, rispetto alle proposte avanzate, guardo a quanti non saranno parlamentari nell’attuale direzione del partito, questo mutamento è ancor più esplicito.

Non condivido questa “innovativa” nuova scelta, pur riconfermando la mia opinione da sempre sostenuta, che vede e giudica importante la nostra presenza nei vari livelli istituzionali, nel Parlamento.

Sul doppio mandato, ho contrastato in passato la proposta per introdurre nello Statuto una norma rigida, anche per il segretario, per il doppio mandato come termine massimo per una presenza istituzionale.

La proposta oggi presentata altro è - infatti viene richiesta una deroga alla norma Statutaria (ormai è prassi la sua non applicazione).

Si tratta non solo della ricandidatura, aldilà dei mandati fatti - per tutti gli attuali parlamentari, ma anche per compagne/i che in passato hanno fatto 2/3/4 legislature, seppur in partiti diversi (il Prc non esisteva ancora).

Una negatività, espressione però del mutamento (scelta politica) che individua la direzione politica del partito, nella presenza parlamentare.

Sulla candidatura del segretario, considero la cosa normale, ma oggi però non più così, vigendo l’incompatibilità fra presenza nel Parlamento Europeo e quello italiano.

Alle recenti elezioni europee, mi è stato detto e spiegato l’importanza della presenza a livello europeo, perché ormai la politica lì viene fatta (non negando questa importanza, personalmente ritenevo più consona la presenza del segretario nel Parlamento italiano).

Delle due, l’una: o si è mutato parere o è una candidatura di bandiera.

Composizione liste: dopo le negative scelte del congresso, un passo in avanti per una rappresentatività dell’insieme del partito.

Essa però oggi non è tale, e quindi esprimo il mio dissenso.

Due note finali. Reputo che la partecipazione a processi politici non può che essere basata e regolata dalla garanzia e pratica della pari dignità per i soggetti che vi partecipano (collettivi o individuali); sulle esperienze passate. Aspettative elettorali recenti - elezioni, primarie - magnificate a parole di un grande consenso esterno, non hanno trovato poi riscontro nel dato (voto) elettorale. Senza il Partito, i suoi militanti, gli iscritti, che tirano il “carretto”, il consenso esterno di per se non è garantito.

Gianni Favaro

Nonostante tutti i tentativi di dimostrare, sia nella relazione sia il alcuni interventi di sabato, il carattere progressista del programma dell’Unione resto convinto che, al contrario, siamo riusciti ad incidervi troppo poco.

Certo questo governo Berlusconi fa venire la pelle d’oca per il suo carattere reazionario e per la spregiudicatezza con la quale difende i propri interessi e dunque se da un lato è strategico mandarlo a casa dall’altro lato non posso che esprimere una forte preoccupazione per la pesante deriva moderata del programma che ci apprestiamo a sottoscrivere.

In questo quadro difficile e denso di ambiguità il nostro Partito, che in questi ultimi anni si è di molto indebolito sia come numero di iscritti sia come capacità di radicamento, potrebbe eleggere un gruppo di una sessantina tra deputati e senatori, senza contare sottosegretari e ministri, con il rischio molto concreto che la parte istituzionale e governativa ne condizioni fortemente l’autonomia politica. In questo quadro leggo con forte preoccupazione anche una deriva correntizia che blocca il nostro dibattito interno e che, se si sommasse a quella istituzionale, annullerebbe non solo l’elaborazione politica dei nostri organismi dirigenti nazionali (che già ora contano poco) ma le nostre organizzazioni territoriali rischierebbero di trasformarsi in comitati elettorali slegati dai problemi reali e dai territori.

Per me sono inammissibili sia la scelta di riconfermare tutti i deputati uscenti, violando così lo statuto del Partito, sia l’esclusione, operata all’interno della mozione che ho votato al congresso, di realtà importanti come la Calabria facendo prevalere logiche opportunistiche, ma, anche, l’uso punitivo che la maggioranza congressuale (appunto con logiche di corrente) ha usato ad esempio in Sardegna per indicare i candidati o attuando una mortificazione delle minoranze interne nonostante rappresentino quasi la metà del Partito. Per queste ragioni voterò contro i criteri con i quali sono stati indicati i nomi dei capilista.

Maurizio Federico

L’applicazione concreta dei criteri stabiliti per la composizione delle teste di lista si tramuta, nei fatti, in un attacco, senza precedenti nelle sue dimensioni, al pluralismo e alla democrazia interna che verrà vissuto come una violenta sopraffazione in parti rilevanti del corpo del partito.

La stessa attenzione dimostrata con le proposte nominative per varie minoranze esterne, anche le più lontane dalla storia e dalla cultura del nostro partito, non viene espressa nei confronti delle minoranze interne che, pur assommanti al 41 per cento degli iscritti a Rifondazione comunista, saranno così scarsamente rappresentate nel gruppo parlamentare da avere assicurato solo quel “diritto di tribuna” da tutti noi tanto aborrito quando i nostri nuovi alleati del centro- sinistra, in passato, lo prospettavano per il nostro partito con le loro proposte di riforma elettorale.

Per dar posto alle minoranze esterne la, maggioranza del partito non solo non ha messo a disposizione nessuna delle sue postazioni ma, addirittura, ha utilizzato per questo gli spazi per la rappresentanza del pluralismo interno. E questo proprio mentre in tutti gli altri partiti si assicura, nelle liste e fra gli eletti, la presenza “proporzionale” delle loro minoranze alle quali così, intelligentemente, viene assegnato un importante ruolo nella mobilitazione di tutte le forze per la salvaguardia dell’intero potenziale elettorale.

La contraddizione esplosa qui oggi è fin troppo clamorosa ed espone tutto il partito alla facile accusa di predicare la democrazia e l’uguaglianza in casa d’altri mentre pratica l’esatto contrario in casa propria.

Marco Ferrando

Il programma dell’Unione ci pone davanti ormai alle nostre responsabilità. Qui non ci troviamo di fronte a un programma di cui misurare virtù o limiti dal punto di vista di una prospettiva di alternativa.

Qui ci troviamo di fronte al programma degli industriali e dei banchieri italiani.

La politica estera che il programma rivendica è, testualmente, “la cooperazione con gli Usa. dentro l’Alleanza Atlantica e il modello europeo di difesa”: ciò che significa sostegno allo sviluppo delle spese militari nel quadro di una strategia di rilancio della gestione multilaterale delle politiche di potenza dell’imperialismo. Il sostegno alla continuità delle missioni militari nei Balcani e in Afghanistan e la soluzione negoziale del “ritiro” dall’Iraq, sono solo il risvolto di questa linea generale. Ma non è la linea contro cui il nostro partito si è battuto in tanti anni dall’opposizione? In politica economico-sociale il programma dell’Unione rivendica da un lato la flessibilità negoziata, a partire dalla difesa del famigerato pacchetto Treu, e dall’altro il rilancio del “rigore finanziario”, con esplicito riferimento ai parametri di Maastricht, al patto di stabilità europeo e addirittura al “rafforzamento” del patto di stabilità interno: ciò che significa esattamente quelle politiche impopolari che lo stesso Prodi ha annunciato dopo l’investitura delle primarie. E questo mentre assicura alle grandi imprese e ai loro profitti una nuova messe di risorse pubbliche, pagate anche dalla accelerazione della controriforma Dini sulle pensioni. Ma in tanti anni di opposizione non ci siamo battuti esattamente contro queste politiche e questi interessi? La verità è che le classi dominanti e il Centro liberale dell’Unione - dagli amici di Banca Intesa ai fiancheggiatori di Unipol - vogliono rimuovere la nostra opposizione ed ogni opposizione a sinistra proprio per poter realizzare nel modo più “pacifico” quelle politiche. Di più: salutando con soddisfazione la nostra disponibilità di governo puntano a corresponsabilizzarci nella concertazione di quel programma, contro la nostra base sociale e la nostra storia di opposizione.

Possiamo accettarlo? Qui siamo di fronte a un programma di governo che smentisce impietosamente, nero su bianco, tutte le alate illusioni seminate al Congresso dalla maggioranza dirigente del partito, e ci richiama, una volta per tutte, alla cruda realtà.

Questa realtà ci impone oggi una svolta. Non una “pressione più incalzante” sull’Unione, dall’alto o dal basso, nell’eterna illusione, ogni volta smentita, di piegarla a sinistra (come continuano a riproporre Ernesto ed Erre). Ma la rottura liberatoria con i Prodi, i Rutelli, i Fassino, con tutta la nomenclatura politica delle classi dirigenti, quale proposta generale da rivolgere all’insieme delle sinistre, del movimento operaio, dei movimenti di lotta: per cacciare sì Berlusconi, ma dal versante dei lavoratori, non dei banchieri.

E’ la linea dell’unità dei lavoratori contro la linea dell’unità con gli avversari dei lavoratori. E’ la linea dell’unità di classe contro la linea della collaborazione di classe. Non è da qui che deve ripartire la Rifondazione comunista? Progetto Comunista-Sinistra del PRC riproporrà con forza e coerenza questa linea generale in ogni sede in cui avrà voce e presenza.

Claudio Grassi

Ancora una volta, quando si decide la presenza nelle istituzioni, si avanza una proposta che mette in un angolo le minoranze. Nonostante questo partito sia nato con i propositi più innovativi e democratici, quando si tratta di rappresentare il pluralismo interno nel Parlamento, si conferma tra i più chiusi e più arretrati del panorama politico italiano.

Ritengo che sia lesivo della rappresentanza del partito reale riconoscere a delle minoranze che hanno un consenso del 41% uno spazio pari al 15%. Nei partiti dell’Unione non vi è altra situazione dove le minoranze vengano compresse in un modo così assurdo.

Ciò è ancora più mortificante poiché mentre non si dà il dovuto spazio alle minoranze, si riconfermano tutti i parlamentari uscenti - anche chi ha fatto più di due legislature - stravolgendo la deroga dello Statuto. Tra l’altro, tra queste riconferme vi sono compagni che ormai vantano un presenza pluridecennale in Parlamento: loro per primi, avrebbero dovuto sentire il bisogno di fare un passo indietro.

Alla direzione del 21 dicembre scorso avevamo chiesto che almeno nella costruzione delle proposte degli indipendenti, delle rappresentanze territoriali e del gruppo dirigente nazionale la maggioranza tenesse conto di proposte avanzate dalle minoranze.

Si è risposto, anche su una richiesta minima e di buon senso come questa, con una chiusura totale.

Devo dire amaramente che in quest’ultimo mese, in questo partito che ritengo anche un po’ “mio”, mi sono sentito quasi un ospite sgradito.

Non un piccolo segnale di apertura, anche su richieste che andavano nella direzione di migliorare in modo impercettibile la proposta, già così clamorosamente iniqua.

Mi sono chiesto il perché e la conclusione che ne ho ricavato è che, nonostante tutte le dichiarazioni di principio, la minoranza non viene considerata un fatto politico e come tale rispettata, ma una specie di ingombro da ridurre ai minimi termini.

Vivo tutto questo come un’ingiustizia. E siccome per me il senso primario che mi ha fatto diventare comunista è la lotta contro le ingiustizie, lotterò anche contro questa, anche se, e mi dispiace molto, avviene nel mio partito.

Domenico Jervolino

Abbiamo di fronte quest’anno una duplice sfida: battere Berlusconi e contribuire alla formazione di un nuovo governo del nostro paese. Sarebbe un errore oggi considerare scontata la vittoria del centro-sinistra, ma è ragionevole ipotizzare, dopo una dura lotta, un risultato positivo. In questo caso sarà difficile per chiunque assumere l’onere del governo, ma certamente difficilissimo, per noi che ci vogliamo essere e restare sinistra alternativa.

Ma sappiamo bene che altro è speculare e dibattere sui nostri problemi di identità e di progetto, altro è impegnarsi in molteplici lotte parziali, altro è assumere - serbando una coerenza di fondo con la nostra ispirazione - responsabilità di governo, nel terreno scosceso delle istituzioni, in una società e in un’economia che restano (e resteranno a lungo) capitalistiche, per quel che riguarda il nocciolo dominante dell’organizzazione economica e sociale, e quindi regolate da logiche di sistema che non sono le nostre e che continuamente saranno opposte alle nostre istanze e ai nostri progetti.

Una sfida dunque difficile ma necessaria, ancora più necessaria se il caso italiano diventasse non l’eccezione, ma l’anticipazione di vicende che potrebbero riguardare domani anche altri paesi europei, dove un’alleanza fra sinistre radicali e moderate potrebbe diventare una necessità storica.

Sono convinto che molteplici fili, talora invisibili, legano la questione del governo a due altre questioni. In primo luogo, alla “questione cattolica”, vale a dire al complesso di problemi che nascono dalla presenza massiccia del mondo cattolico nella politica italiana e al suo ruolo nella dialettica delle classi e delle forze sociali in campo. Sarà forse un caso che dopo circa un cinquantennio di egemonia democristiana la lotta politica in Italia sembra ancora, in qualche momento, una contrapposizione tra forze (e spesso anche fra uomini) che si confrontavano nella vecchia Dc? Scorgere un nesso fra questione del governo e questione cattolica significa anche più in generale porre i temi delle istituzioni, dell’ideologia e del simbolico, temi tutti essenziali per la rifondazione di una politica di sinistra. Di queste cose bisogna riuscire a parlare evitando le derive sia del moderatismo preoccupato di non disturbare i rapporti col potere ecclesiastico, che di un riemergente anticlericalismo rozzo che ci farebbe ritornare indietro a prima di Gramsci. Noi siamo un partito nel quale convivono con pari dignità credenti e non credenti e il superamento dei privilegi della chiesaistituzione la dobbiamo vedere anche come risultato di una maturazione dello stesso mondo cattolico, e della sua base sociale.

Giulio Lauri

Condivido molto l’impostazione politica, i criteri e le proposte nominative per la composizione delle teste di lista avanzate dalla Direzione: una lista che ci permette di presentarci alle elezioni per quello che siamo stati in questi anni, da Genova in poi, che oggi forse facciamo fatica ad essere ma che al più presto vorremmo tornare ad essere: un partito comunista impegnato nella rifondazione, aperto all’incontro con le altre culture critiche e antagoniste che ha attraversato da protagonista la stagione dei movimenti.

Dentro a questo quadro pienamente condivisibile è presente però una macchia, quella della candidature territoriali, con alcune regioni sovrarappresentate e altre come il Friuli Venezia Giulia che, pur eleggendo questa volta una rappresentanza e non avendo da tre legislature un proprio parlamentare, si vedono anche oggi negata questa possibilità.

Non sopravvalutiamo la dimensione istituzionale del lavoro politico, anzi, personalmente apprezzo molto la scelta di Malabarba: quello che è certo, però, è che un parlamentare del territorio ti aiuta molto nella tua azione quotidiana.

Nella formazione delle liste è mancato un principio di solidarietà fra i territori. La segreteria ci ha chiesto di esprimere una rosa di candidature femminili. Per una serie di motivi, pur essendo una regione in cui la metà delle segreterie provinciali è composta in maggioranza da donne, non abbiamo assecondato questa richiesta, chiedendo invece al partito di valorizzare il lavoro che in questa regione di confine stiamo facendo su un tema cruciale come quello dell’immigrazione (la legge regionale più avanzata; la lotta contro la realizzazione del Cpt di Gradisca). Sono prevalsi altri equilibri e la risposta è stata negativa. I/le capilista nella nostra regione sono di grandissimo valore e ci impegneremo fino in fondo a sostenerli/ e: questa esclusione ci impedisce però di condividere appieno la proposta che viene avanzata.

Alessandro Leoni

La discussione sul “programma” della coalizione “di governo” di cui facciamo parte, cioè dell’Unione, non solo rischia di essere la, noiosa, ripetizione di ragionamenti, riflessioni che ci scambiamo, ormai, da mesi, ma, addirittura di franare in una specie di disputa fra “ottimisti” e “pessimisti”.

Cercherò, pertanto, di sottolineare alcune questioni, a mio parere, oggettive; intendo riferirmi ad una serie di fatti determinatisi in queste ultime settimane, dalla nomina di Mario Draghi a Governatore della Banca d’Italia, al significato, non semplicemente occasionale, della formazione del nuovo governo tedesco “Cdu-Spd” fino all’emblematica vicenda “Bnl/Unipol/ Banco di Bilbao”.

Da questi “fatti” emerge come l’egemonia moderataconservatrice in Italia e in Europa, sia ancora, sostanzialmente, pienamente in essere, onde per cui ogni possibile tentativo d’inversione di tendenza, sul quale non è lecito dubitare del nostro, complessivo, impegno, sia destinato ad arenarsi. Non solo, da queste vicende, a me pare, emerga anche un’effettiva inadeguatezza della nostra autonoma capacità d’elaborazione.

Prendiamo, ad esempio, la questione che ha coinvolto il gruppo dirigente diessino e il vertice Unipol; se abbiamo fatto bene ad evitare irresponsabili polemiche e sciacallaggi siamo, però, anche dovuti restare nel vago sulla questione centrale, strategica dell’assetto dei poteri finanziario-bancari del nostro paese e ciò, certamente, non perché coinvolti in “cordate” o lobbie particolari, ma, con tutta evidenza, per il deficit d’elaborazione “coltivato” in questi anni. Affidare ai “movimenti” l’essenziale della nostra capacità d’influire sulle scelte dell’auspicato governo dell’Unione rischia di trasformarsi in una, consapevole o meno poco importa, scelta opportunistica, una specie di scarica barile di corto respiro e di nessuna prospettiva.

Se avessimo sviluppato un serio dibattito sul “Programma” del nostro partito, dal quale far discendere, oggi, anche un elaborato per le questioni di “governo”, non solo saremo più forti, al presente, nella contrattazione con i patners del centro-sinistra, ma, forse, avremo, anche, aiutato a qualificare la non esaltante discussione sulle candidature per le prossime elezioni politiche generali.

Mirko Lombardi

Voterò a favore. La proposta è buona ed anche nelle sue parti critiche si può dirla con Totò: “ogni limite ha una pazienza”.

Nel contempo rivolgo un ringraziamento a quelle compagne e a quei compagni che con la loro disponibilità hanno aiutato nel trovare soluzione ai tanti problemi che sempre ci sono quando si devono definire liste di persone.

Il complesso dei criteri non è banale e risponde alla necessità di aprirci, di innovare e di sperimentare. Chi non risica… La proposta nominativa ha tante indicazioni molto belle ed alcune meno nelle quali si nota una certa prepotenza maschile dura a recedere.

Anche nelle deroghe vedo alcuni limiti di una sorta di sindrome del ”senatore a vita”, di chi non riesce a pensarsi se non con lo status di parlamentare.

Questo mi pare diseducativo perché fa correre l’idea che la politica, ed anche il ruolo dirigente, inizi e finisca tutto e solo dentro le istituzioni.

Guai se così fosse, in particolare per il nostro Partito che, soprattutto se chiamato alla prova del governo, deve resistere culturalmente e praticamente all’idea che la governabilità sia l’unica funzione nella quale si esplica la politica.

Una democrazia viva è più ricca della sola dialettica istituzionale, è fatta di società civile, di conflitto sociale ecc, ecc… le cose che ci diciamo sempre.

Ci sono tutte le condizioni per un buon risultato elettorale.

Spero risolti anche i problemi di similitudine del simbolo che ci hanno danneggiato alle scorse elezioni. Oggi abbiamo deciso gli “eleggibili”, ora le liste vanno completate al meglio e non con un criterio “riempitivo”, ma con intelligenza e la disponibilità di tutto il gruppo dirigente ad entrare, ricercando il massimo di rappresentatività interna ed esterna. Sarà una campagna elettorale storica, non si può mancare!

Aurelio Macciò

Non voglio stare sul terreno del “lo avevamo detto”. Ma è proprio stando al confronto tra la stessa linea congressuale e risultati ottenuti, ad oggi, sul programma dell’Unione, che non si può non cogliere, alla luce dei fatti concreti, uno scarto significativo.

Si era affermato: non metteremo paletti o pregiudiziali discriminanti, non useremo una tecnica contrattualistica, perché l’intero programma dovrà essere permeato da una tendenza alla fuoriuscita dalle politiche liberiste. E ancora a ridosso della scadenza elettorale, il tema delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni è tra quelli non ancora definiti, ma la contesa è comunque sul terreno altrui, sull’immissione sul mercato di fondamentali servizi pubblici, non certo su quanto, come e dove nazionalizzare nei settori industriali strategici o nel sistema bancario.

Si era dichiarato: puntiamo alle primarie sul programma, il popolo dell’Unione dovrà pronunciarsi sui punti dirimenti. Per ora, oltre ad aver invece svolto un plebiscito sul leader, non si sa ancora che caratteristiche avranno le assemblee regionali annunciate per il 5 febbraio, ma certamente non saranno assemblee popolari.

Il giudizio generale, ancorché provvisorio, su quanto è stato sinora definito del programma, è che si sta in un quadro di “liberismo temperato”.

Diversi problemi vengono taciuti (vedi G8, istituzione che, insieme ai movimenti, abbiamo dichiarato addirittura illegittima), altri affrontati con affermazioni generiche. Ma con chiarezza si afferma il rispetto del Patto di stabilità e crescita come bussola per l’orientamento delle politiche nazionali, il proseguimento di privatizzazioni al fine di ridurre il debito, l’attuazione del federalismo fiscale e il riconoscimento della modifica del Titolo V della Costituzione operato dal centosinistra, la conferma del Patto di stabilità interno che affossa il welfare locale.

Insieme alla mancanza di un impegno ad una legge di sostegno alla rappresentanza e alla democrazia sindacale e dell’abrogazione della Legge 30, con la conservazione dell’automatismo previsto nella Legge Dini vi sarà l’innalzamento di 2 anni dell’età pensionabile, mentre la previdenza complementare viene definita il pilastro del futuro.

Tutt’altro dalla “grande riforma” del Paese invocata a Venezia. Su queste basi non si può che tornare a richiedere un passo indietro, verificando che non vi sono le condizioni per un accordo programmatico e di governo, posizionandosi su una prospettiva di un accordo solo elettorale.

Gigi Malabarba

Non condivido la nostra entrata organica nel centrosinistra.

Come conferma il dibattito sul programma, avremmo dovuto lavorare per qualcosa di più della desistenza ma non per una piena partecipazione al possibile governo. Meglio un accordo politico-elettorale su alcuni punti forti al fine di cacciare Berlusconi.

Le candidature, pur scontando limiti nella rappresentanza sociale, di sesso e di pluralismo interno, sono apprezzabili, comprese quelle “esterne”.

Le deroghe generalizzate per gli eletti uscenti sono negative e chiedo un impegno formale perché la norma sia modificata. In ogni caso anche gli interessati possono fare autonomamente un passo indietro, specie chi ha superato i 3, 4, 5 mandati: si abbia un po’ di pudore, perché il malcostume si ripercuote a cascata! E’ in atto una degenerazione istituzionalista, incentivata anche dalla linea attuale ma non solo, che va combattuta perché segno di patologia gravissima.

Mentre diventa destabilizzante la collocazione di quasi tutto il gruppo dirigente in parlamento: è il contrario di ciò che fu deciso unanimemente pochi anni fa... Ci sono tutti i “pericoli professionali del potere” in un contesto in cui si pretende di non rivendicarlo neppure! Sono personalmente contento di potermi presentare con una candidatura di servizio come capolista al Senato in Liguria per poter lasciare il posto a una compagna il 20 luglio, giorno del V° anniversario dell’assassinio di un ragazzo in piazza Alimonda. Grazie ad Haidi Giuliani per aver accettato.

Antonio Marceca

In un quadro di crisi internazionale, con l’evidente accelerazione della crisi economico- finanziaria anche nel nostro paese, l’attacco al costo del lavoro è la strada privilegiata dal padronato: la crisi viene scaricata sui lavoratori, nei termini di riduzione dei salari, precarizzazione dei rapporti di lavoro, licenziamenti.

In questo quadro, la lotta dei metalmeccanici - 13 mesi di scioperi, manifestazioni, fino ai blocchi stradali e forroviari degli ultimi giorni - ha dimostrato che esiste la disponibilità, da parte dei lavoratori, a non retrocedere di fronte agli attacchi padronali.

A queste lotte occorre offrire una reale prospettiva anticapitalistica: va quindi respinto, a partire dal referendum nelle fabbriche, l’accordo siglato da Fiom, Film e Uilm con Federmeccanica il 19 gennaio. In cambio di un aumento irrisorio si assiste ad una drastica accelerazione dei processi di precarizzazione. E’ un accordo che annuncia il quadro che ci attende con il prossimo probabile nuovo governo Prodi, che farà della concertazione il fulcro del proprio agire. Il programma presentato dall’Unione dimostra che la borghesia italiana si appresta a trovare in un futuro governo di centrosinistra il portavoce dei propri interessi: si continua sulla strada delle privatizzazioni, si rivendicano elementi di federalismo fiscale, si prolunga l’età pensionabile, si confermano gli assi del pacchetto Treu e della Legge 30 in tema di precarizzazione del lavoro. La partecipazione del Prc alle primarie ha rappresentato, da parte del nostro partito, la benedizione in anteprima di questo progetto. E’ un programma, infine, che dimostra il carattere illusorio anche dei compagni dell’Ernesto e di Erre, che pensano possibile condizionare il programma e le politiche dell’Unione.

Oggi più che mai è necessario un drastico cambio di rotta nella politica del nostro partito: occorre rompere con i liberali, per rilanciare i movimenti (operaio, contro l’occupazione in Iraq, studentesco) e avanzare nelle lotte un programma anticapitalista per costruire l’alternativa dei lavoratori. Come maggioranza di Progetto Comunista c’impegneremo a garantire l’opposizione comunista ai governi della borghesia, siano essi di centrodestra o centrosinistra, nonostante il riuscito tentativo da parte della segreteria nazionale di cooptare l’ex portavoce dell’area, Marco Ferrando. E’ un fatto grave in quanto, in cambio della candidatura, è stato chiesto l’impegno a votare alla fiducia del futuro governo Prodi. Non ci riconosciamo in questa scelta e continueremo con coerenza a contrastare la deriva governista del partito.

Francesca Ruocco

Innanzitutto voglio esprimere condivisione sull’impianto complessivo delle liste, in quanto ritengo sia espressione di una tappa importante del percorso coraggioso che questo Partito ha intrapreso negli ultimi anni, in cui il Prc ha avuto la capacità di leggere la crisi delle forme classiche della rappresentanza e di organizzazione della politica, e di metterle in discussione - mettendo in questo modo in discussione anche una parte importante della propria storia e della propria identità.

E’ in quest’ottica che abbiamo creduto nella necessità di sperimentare e di scommettere sulle primarie come strumento di partecipazione, dimostrando così che c’era un modo altro di scegliere un candidato, di costruire un programma, e quindi di fare politica.

A Bologna abbiamo creduto e investito in questa scommessa fin dalle primarie in Puglia, durante le quali io stessa ho partecipato al comitato “Bologna per Nichi” (di cui ho già detto in un precedente Cpn), e poi con le primarie nazionali, in cui, insieme a molti altri compagni e compagne, ho attraversato l’esperienza di “Officine Precarie Pro Fausto”, uno dei comitati nati in città a sostegno della candidatura del nostro segretario.

E’ all’interno del ragionamento sulla sperimentazione di forme nuove della politica, che si colloca anche la costruzione della Sinistra di alternativa, che ha visto un momento centrale nella costituzione della Sezione italiana del Partito della Sinistra Europea.

Con essa, il Prc ha intrapreso un percorso di cessione di sovranità, nell’ottica di eccedere e superare se stesso, costruendo un ambito unitario con altri soggetti, singoli e collettivi, che hanno attraversato i movimenti sociali e sindacali di questi anni, e che oggi si uniscono sulla base di una cultura politica comune.

Ribadisco quindi la condivisione dell’impianto complessivo delle liste, in quanto lo ritengo un’adeguata declinazione nella pratica di questo percorso.

Per esempio, è per me un punto di discontinuità importante rispetto al passato il fatto che all’interno della lista vi siano nomi come quelli di Daniele Farina e Francesco Caruso, compagni con cui personalmente ho condiviso un percorso di lotte, a partire da quello che veniva chiamato il movimento di Seattle e poi, con Genova, il movimento dei movimenti. Questo per me significa tentare concretamente di far diventare le istanze di movimento e le istanze sociali alternativa politica e programmatica della Sinistra.

E’ con amarezza quindi che mi faccio, in questa sede, anche portatrice di un malessere, innanzitutto personale, ma che è anche di compagni e compagne dell’Emilia Romagna e soprattutto della Federazione di Bologna - compreso il suo Segretario Tiziano Loreti - dovuto alla candidatura espressa dalla mia Regione.

Malessere che riguarda sia il metodo con cui si è giunti a tale candidatura, che non ha visto una discussione collettiva né all’interno del Cpr che è stato annullato, né in altri ambiti, e quindi non è stata in alcun modo partecipata. E malessere riferito al merito, in quanto, in particolare a Bologna, avremmo auspicato una candidatura della Sinistra Europea e di alternativa, o comunque proveniente da quei movimenti sociali e sindacali di cui non si può dire che il nostro territorio non sia ricco.

Mi sembrava doveroso esprimere qui al Cpn questo disagio, che riguarda molti compagni e compagne a Bologna, che oggi temono di correre il rischio di essere il “Partito restato e non il Partito partito”, riprendendo una metafora del compagno Nichi Vendola al Congresso Nazionale.

Nonostante ciò, vista - come ho detto all’inizio - la piena condivisione del percorso complessivo, il mio voto sulle liste sarà comunque un voto favorevole.

Giovanni Russo Spena

Non sottovaluto i sacrifici e le sofferenze di alcune federazioni e di alcuni regionali; né la lettura sessuata della rappresentanza non del tutto sufficiente; ma mi pare che la proposta si caratterizzi per un punto fondamentale. Essa, infatti, evoca la forza di un partito che ogni giorno costruisce il suo essere segmento essenziale dei movimenti, parte di una soggettività globale che si va organizzando. E allude ad un incontro di persone, culture, ad una sinistra alternativa che si costruisce su relazioni nei conflitti e nelle comunità. I cosiddetti compagni e compagne “indipendenti”, “esterni”non sono autorevoli persone che vanno ad aggiungersi, come “fiori all’occhiello”, ai candidati dirigenti di un partito che vive se stesso come un corpus già definito. Essi sono, invece, il segno visibile, il primo stadio di una sinistra alternativa che costruisce se stessa senza diplomatismi e contrattazioni, ma dall’interno delle pratiche di movimento e di un confronto, perfino teorico, plurale, che ci costringe, fortunatamente, ad una rielaborazione dei paradigmi, ad una “ricerca infinita”. Queste compagne e compagni nostri candidati rappresentano, infatti, percorsi di conflitto ma anche elaborazioni, persino punti di teoria politica: dal disarmo (anche nella sua proiezione etica, componente fondamentale della nonviolenza), alla lotta contro i CPT e per un “meticciato” attivo, per una cittadinanza transnazionale; dalla centralità dei “beni comuni” (a partire dal contratto mondiale per l’acqua) alla straordinaria presenza metalmeccanica, punto di connessione, oggi, tra la critica del lavoro salariato e la critica del precariato come relazione sociale; dall’esperienza antiproibizionista del Leoncavallo al “Sud ribelle”. Ma vorrei particolarmente ricordare, con immenso affetto, Heidi Giuliani (che ci parla, con la sua umanità, di un movimento che tenta, in piena autonomia, di ricostruire teoria e “nuovo spazio pubblico”) e Ali Rashid. Ali è, per me, da quando l’ho incontrato, 30 anni fa, la Palestina laica, democratica, di sinistra, che non accetta che il suo volto sia sfregiato dall’occupazione militare. Una Palestina che vuole coniugare radicalità e intransigenza nell’opporsi al governo israeliano con la capacità di prefigurare uno stato democratico; per sé e per tutto il Medio Oriente. Di tutto questo parla la nostra presenza elettorale…

Licia Giuliana Sema

Ho apprezzato che nel preambolo della relazione, il compagno Ferrara, seppur troppo sommariamente, abbia accennato alla crisi della politica che investe anche il nostro partito. I fatti stanno a dimostrare che una volta di più sono prevalsi interessi personali piuttosto che interessi del partito e della classe, con la conseguenza che la discussione sulle persone, sempre difficile, talvolta sgradevole, finisce con determinare rotture irreparabili, con il retro pensiero che uno parli pro domo sua. In Friuli Venezia Giulia, la discussione sulle candidature é stata caratterizzata da un greve autoritarismo, illuminante del deficit di democrazia che caratterizza il partito, a tutti i livelli. Non solo la maggioranza non ha seguito l’indicazione della segreteria nazionale di proporre due donne, ma scelti i nominativi da sola, a porte chiuse, con le minoranze fatte spostare in un’altra stanza, non ha permesso che il Comitato Politico Regionale esprimesse un voto, nonostante le ripetute richieste avanzate in tal senso.

Ancora più insoddisfacenti le scelte operate a livello nazionale con forzature inaccettabili, sia per quanto concerne le deroghe, in palese contrasto con lo Statuto, sia per l’assoluta assenza di operai. Sui quadri operai e sulle modalità di individuazione dei quadri dirigenti, il compagno Raul Mordenti nel suo libro “La Rivoluzione”, ha scritto pagine molto utili per capire cosa stia succedendo nel nostro partito, parafrasando le sue parole, é necessario almeno che i nostri candidati, una volta eletti, siano capaci di “stare nella maggioranza senza essere della maggioranza”, possibilmente, aggiungo io, evitando il ridicolo.

Stefano Vinti

Giudico negativamente la proposta avanzata dalla Direzione nazionale dei nomi della nostra futura rappresentanza parlamentare perché la ritengo frutto di una scelta verticistica e perché rappresenta soltanto una parziale apertura delle nostre liste. Lo ha detto giustamente il compagno Crippa: il percorso di definizione non è stato affatto partecipato e siamo chiamati soltanto a ratificare una decisione già assunta dalla Direzione. Tra gli “esterni” ci sono nomi importanti e compagni che si sono impegnati nella costruzione della Sinistra europea.

Ma ne mancano molti altri, troppi: soggetti e movimenti che sono stati protagonisti delle lotte e mobilitazioni degli anni del disgelo sociale.

Penso all’Arci, alla Cgil, ma anche ad altre sigle sindacali, all’arcipelago ambientalista, a soggetti impegnati per una globalizzazione dal basso (Attac, Lilliput). Si poteva fare di più se non si fosse scelto di mandare in parlamento tutto il gruppo dirigente del partito: con la riconferma del gruppo parlamentare, la candidatura del 60% della segreteria e della direzione nazionale.

Inoltre, questa scelta ha portato a schiacciare la presenza territoriale, un criterio presente nella definizione dei capolista, e ad escludere candidati espressione dei gruppi dirigenti locali in realtà importanti, tra le quali l’Umbria. Avanzo anche in questa sede la richiesta di una candidatura espressione del gruppo dirigente umbro. So che non sarà accolta, ma abbiamo tutta la legittimità politica per farla: l’Umbria alle regionali 2005 - che sono prese come base per il ragionamento odierno sulle liste - ha ottenuto la percentuale più alta di Italia; la Federazione di Perugia in voti assoluti ha riportato il sesto miglior risultato del partito, un totale di voti che addirittura supera quello di molte intere regioni. Per non parlare del tesseramento o delle primarie. Davvero, continuo a non capire, e con me il Cpr dell’Umbria, di fronte alla qualità della proposta fattaci da Ferrara, il perché di questa esclusione.

Redazione di Liberazione
Roma, 21 gennaio 2006
da "Liberazione" (del 3 febbraio 2006)