Comitato politico nazionale di Rifondazione Comunista
Roma, 21 - 22 Gennaio 2006

Ordine del giorno di Progetto Comunista

Roma, 22 gennaio 2006

La crisi economico-finanziaria viene scaricata sui lavoratori La crisi economico-finanziaria che investe l’Italia, nel quadro della crisi capitalistica internazionale, in quest’ultima fase ha subito un’evidente accelerazione, investendo, negli ultimi anni, il tessuto delle piccole e medie imprese di tutto il Paese. Dopo la fase delle delocalizzazioni nei Paesi dell’Est Europeo, connessa alla ricerca di forza lavoro a bassissimo costo, abbiamo assistito alle chiusure aziendali di interi comparti produttivi, dal tessile al meccanico: la crisi non risparmia il terziario, commercio e servizi.

In queste settimane è emerso, dopo tangentopoli, “bancopoli”, segno evidente della concorrenza spietata tra le diverse fazioni della borghesia nel nostro Paese nelle scalate bancarie e di potere, col coinvolgimento di entrambi gli schieramenti di centrosinistra e centrodestra e di istituzioni borghesi come la Banca d’Italia e la magistratura. Uno scontro intercapitalistico interno ed internazionale, che vede la penetrazione nel capitale finanziario del Paese, e quindi nell’industria, di capitali esteri più solidi e più forti.

L’intreccio Unipol-Bnl e Bpi-Antoveneta rappresentano l’ultimo episodio di una sequenza iniziata con la privatizzazione del sistema bancario e la scalata di Tronchetti Provera in Telecom Italia, operazioni che vedono coinvolti, in un inestricabile intreccio, rendite e profitti, capitalismo delle nobili casate e dei parvenu, banche e imprese cooperative, governo e opposizioni; a ciò segue la bancarotta di Parmalat e Cirio, fino alla vicenda dei bond argentini. Mentre nel breve periodo l’aristocrazia finanziaria (Unicredit, Capitalia) mantiene il controllo su Fiat e Corriere della Sera, “gli olandesi” del Abn Amro assumono il controllo di Antoveneta e “gli spagnoli” del banco di Bilbao iniziano la scalata alla Banca Nazionale del Lavoro: entrambe di conseguenza penetrano nel tessuto industriale del paese. Mario Draghi, già vicepresidente di Goldman Sachs con interessi diretti nell’operazione della Banca di Bilbao sulla Bnl, assume oggi la direzione della Banca d’Italia in sostituzione di Antonio Fazio, estromesso non tanto per la scontata corruzione, ma perché liquidato dalla finanza internazionale.

Una crisi economico-finanziaria che i capitalisti e i loro governi nazionali e locali scaricano sui lavoratori e le masse popolari, come tra gli altri il caso Telecom Italia dimostra con i gravi effetti negativi su qualità del servizio, tariffe e occupazione.

I giornali locali ogni giorno annunciano licenziamenti, mobilità, cassa integrazione che colpiscono migliaia di lavoratori, mentre autorevoli esponenti delle organizzazioni padronali, supportati dagli esponenti del governo e dell’opposizione liberalriformista, chiedono ed ottengono aumento di flessibilità e precarietà, privatizzazione del sistema pensionistico e scippo del Tfr/Tfs, dei servizi pubblici essenziali, della scuola e della sanità pubblica.

Conquiste storiche della nostra classe di riferimento, acquisite dopo dure lotte nel corso di decenni, sono messe in discussione. E’ di questi giorni l’annuncio di oltre mille licenziamenti da parte della Fiat.

Confindustria vuole il controllo totale sul lavoro salariato, la resistenza dei metalmeccanici La giunta di Confindustria ha presentato il 22 settembre le sue proposte sui contratti e le relazioni industriali in vista della revisione del patto del 23 luglio ’93 e per il nuovo patto concertativo da realizzare insieme a Cisl, Uil e Cgil e al nuovo probabile governo di centrosinistra.

Dopo aver individuato le cause delle loro difficoltà economiche nell’alto costo del lavoro propongono l’abbattimento della quota fissa dei salari e una maggiore flessibilità, in entrata e in uscita, congiunta ad un aumento della precarietà attraverso l’utilizzo di tutte quelle tipologie contrattuali precarizzanti in funzione delle loro esigenze di mercato e alla gestione unilaterale e flessibile dell’orario di lavoro. Nel tentativo palese di stringere una camicia di forza attorno alle lotte operaie e popolari propongono “un patto costituzionale” al futuro governo e a Cgil Cisl e Uil che definisca regole e sanzioni. La Confindustria del liberalriformista Montezemolo, dopo aver chiesto ai lavoratori di faticare di più e con meno salario, vuole imporre regole per limitare il diritto di sciopero in tutti i comparti, depotenziare il ruolo delle Rsu nella contrattazione aziendale, impedire la democrazia sindacale attraverso procedure di conciliazione ed arbitrato assistite da sanzioni.

La vertenza dei metalmeccanici ha assunto in questo quadro un carattere generale di difesa di tutta la classe, specialmente dopo al firma, in linea con gli altri accordi nelle diverse categorie, del contratto delle telecomunicazioni che in cambio di appena 97 euro di aumento al 5° livello, in un settore dove le imprese macinano profitti, cede in flessibilità.

I lavoratori metalmeccanici hanno dimostrato in questi tredici mesi di scioperi e manifestazioni fino ai blocchi stradali e ferroviari degli ultimi giorni di non voler accettare scambi a perdere tra salario e flessibilità, di non indietreggiare e andare fino in fondo nella difesa del salario, dei diritti e delle tutele. L’ipotesi di accordo siglato da Fiom, Fim e Uilm con Federmeccanica giovedì 19 gennaio, da respingere quando sarà sottoposto al referendum dei lavoratori nelle fabbriche, è insufficiente a salvaguardare il potere d’acquisto dei salari: la cifra lorda di 100 euro, parametrati secondo i livelli, di fatto si riduce a pochi euro netti se consideriamo l’effetto degli scaglionamenti, lo slittamento di sei mesi della durata contrattuale, il ritardo rispetto alla scadenza del contratto. In cambio di una cifra simbolica si apre in tema di flessibilità: passa l’orario plurisettimanale - aggiungendo alla necessità stagionale anche “le ragioni produttive e di mercato” - da contrattarsi “in modo non ostativo dalle Rsu; l’apprendistato si estende sia in termini di durata che di lavoratori coinvolti.

La costituzione di una commissione paritetica che valuti entro giugno l’applicazione dell’orario plurisettimanale e nel contempo discuta di “competitività, produttività, orario, mercato e condizioni di lavoro” oltre a “contratti a termine e quelli di somministrazione” fa rientrare dalla finestra quanto apparentemente uscito dalla porta: l’applicazione della legge 30 e l’avvio del nuovo modello contrattuale in un quadro di concertazione con il nuovo probabile governo di centrosinistra.

Nel congresso in corso nella Cgil il passaggio della burocrazia sindacale riformista di Lavoro Società nella maggioranza concertativa di Epifani è stato giustamente punito dai lavoratori con la perdita di oltre il 50% dei voti rispetto al precedente congresso, mentre le tesi alternative sulla contrattazione e sulla democrazia sindacale hanno avuto una evidente affermazione: la costruzione di una sinistra sindacale classista in Cgil, aperta al confronto e al coordinamento con i settori classisti del sindacalismo di base, è all’ordine del giorno.

Il programma dell’Unione: coerente con il “lacrime e sangue” annunciato da Prodi.

Le primarie truffa, presentate come lo strumento attraverso il quale “spostare a sinistra l’impianto del programma dell’Unione”, si sono confermate invece come lo strumento dell’elezione plebiscitaria di Prodi e della sua legittimazione.

Una sconfitta a prescindere dai numeri: perché implicava il riconoscimento dei “principi dell’Unione” con tutto quello che ne consegue, sia in politica estera - regole di Maastricht; direttiva Bolkestein; patti militari, Nato inclusa; le guerre dell’Onu; sostegno all’imperialismo italiano inclusa l’occupazione militare dell’Iraq - sia in politica interna, con la continuità nelle leggi e nelle manovre finanziarie: contro i lavoratori italiani ed immigrati; la privatizzazione dei servizi essenziali, della scuola, della sanità e della previdenza.

La forza acquisita dopo le primarie dal centro liberale viene espressa nero su bianco nelle duecentosettantaquattro pagine del programma presentato il 10 gennaio ai partiti dell’Unione per le prossime elezioni politiche, bozza non a caso firmata da Andrea Papini, fedelissimo di Prodi. Il lavoro dei quattordici tavoli programmatici votato all’inizio di dicembre da tutti i partiti dell’Unione, dall’Udeur al Prc, ha trovato sintesi nella bozza di programma.

Un programma che prevede: un’accelerazione di liberalizzazioni e privatizzazioni; una politica fiscale e finanziaria mirata al rientro del deficit statale; l’introduzione del federalismo fiscale; il prolungamento dell’età pensionabile; continuità in tema di flessibilità e precarietà del lavoro salariato con la conferma degli assi del “pacchetto Treu” e della legge 30; l’abbattimento del costo del lavoro col blocco degli aumenti salariali; espulsioni e rimpatri per gli immigrati; il ritiro delle forze di occupazione in Iraq solo se concordato con il governo fantoccio del paese colonizzato.

Tutto questo è incompatibile con un partito che si richiama alle ragioni dei lavoratori e delle lavoratrici, delle giovani generazioni di studenti e precari scese in piazza per un altro mondo possibile.

La bozza di programma presentata dai liberali dell’Unione evidenzia la natura borghese del governo di cui Rifondazione Comunista farà parte, nel caso di una probabile vittoria del centrosinistra: governo in cui i ministri della sinistra dello schieramento e i sindacati concertativi avranno esclusivamente una funzione di copertura e stabilizzazione sociale, di avallo della subalternità al liberalismo.

Abbiamo chiesto e chiediamo la rottura delle forze di sinistra con i liberali dell’Unione (maggioranza Ds e Margherita), i futuri azionisti del partito democratico, per liberare i lavoratori da questo abbraccio mortale. Le forze della sinistra che intendono difendere gli interessi immediati dei lavoratori, i sindacati - compreso il sindacalismo di base -, i movimenti di lotta popolari, il movimento degli studenti nelle scuole e nelle Università devono unire le proprie forze e lavorare per la costruzione di un polo autonomo di classe, in alternativa a entrambi gli schieramenti di centrodestra e di centrosinistra e alle loro politiche.

Per una risposta operaia e socialista alla crisi capitalista E’ necessaria una svolta profonda nella politica del nostro partito, non possiamo limitarci a suggerire correzioni del programma dell’Unione, non possiamo continuare ad illudere i nostri militanti proponendo, come fanno i dirigenti dell’Ernesto, un’offensiva della sinistra dell’Unione in nome delle “priorità del programma”: ma programma di quali forze sociali? per il governo di quale classe? E’ necessario rompere con i liberali dell’Unione, con i rappresentanti dei banchieri.

Sono altri gli obiettivi che il Prc si deve porre: il rilancio del movimento per il ritiro immediato e incondizionato delle forze di occupazione dall’Iraq e in solidarietà con il popolo oppresso di Palestina; la ricostruzione della sinistra sindacale in Cgil, a partire dal sostegno critico all’esperienza della Rete 28 aprile; la convergenza contro la concertazione di tutto il sindacalismo di classe, confederale e di base, attorno ad una piattaforma che unifichi tutto il lavoro salariato, tutti comparti e categorie, disoccupati e precari, italiani e immigrati. La lotta dei metalmeccanici di questi mesi e giorni, la manifestazione nazionale degli immigrati all’inizio di dicembre a Roma, l’occupazione dell’Università di Milano e altre città, le lotte popolari in Piemonte contro la Tav e a Bologna contro Cofferati, le grandi manifestazioni per la difesa dei diritti delle donne rivelano una enorme volontà e potenzialità di lotta e resistenza che dobbiamo saper unificare e rilanciare contro il padronato e il governo Berlusconi oggi, contro l’eventuale governo Prodi domani (altro che proporre -come fa l’area Erre- un “sostegno condizionato”, intermittente, al prossimo governo dei banchieri).

Di fronte agli effetti della crisi capitalistica e al tentativo del padronato e dei loro governi di scaricarne gli effetti sui lavoratori e le masse popolari è necessario elaborare una risposta operaia e socialista alla crisi capitalistica.

Un programma che includa obiettivi immediati e transitori a partire dal rilancio delle lotte per un forte aumento salariale uguale per tutti; l’assunzione dei giovani lavoratori precari; l’apertura sotto controllo operaio dei libri contabili delle aziende; la nazionalizzazione, senza indennizzo e sotto controllo operaio delle fabbriche che licenziano e chiudono; la nazionalizzazione, sotto controllo operaio e senza indennizzo, delle banche investite da bancopoli. E’ necessario cioè avanzare e propagandare un programma per la costruzione nelle lotte di una alternativa -e quindi di un governo- dei lavoratori. Ma per fare questo bisogna sconfiggere il tentativo di arruolare Rifondazione nel futuro governo dei banchieri, rimuovendo così una sponda politica di opposizione per i movimenti e le lotte dei lavoratori, facilitando un processo di “pace sociale” che, in una società divisa in classi, significa una guerra combattuta solo dalla classe dominante.

Per quanto riguarda le liste elettorali, constatiamo che per la prima volta si apre la rappresentanza parlamentare anche alle minoranze, cosa in sé corretta; significativamente, però, almeno per quanto riguarda Progetto Comunista, la scelta viene fatta direttamente dalla segreteria nazionale.

Questa modalità pare indirizzata a cooptare insieme all’ex portavoce dell’area anche l’area stessa, tentando di eliminare l’unica voce di opposizione coerente alla linea governista: di qui la richiesta di un impegno preventivo a votare la fiducia al governo. La maggioranza della rappresentanza in Cpn di Progetto Comunista (10 membri su 17, eletti al recente congresso) non ha concordato tale scelta e ribadisce la propria inflessibile opposizione alla deriva governista del partito, chiamando tutti i militanti del partito a salvaguardare il progetto di fondo della rifondazione comunista: l’opposizione di classe per l’alternativa rivoluzionaria dei lavoratori.

Respinto

Francesco Ricci, Alberto Airoldi, Luca Belà, Patrizia Cammarata, Nicola di Iasio, Pia Gigli, Ruggero Mantovani, Antonino Marceca, Michele Rizzi, Fabiana Stefanoni, Valerio Torre
Roma, 22 gennaio 2006
da "Liberazione" (del 4 febbraio 2006)