La campagna elettorale è stata vissuta dal Partito nel suo insieme come un investimento
politico di prima grandezza. Il partito è stato molto esposto in questa sfida e la risposta
che ha fornito, a tutti i livelli di direzione politica, è stata positiva ed efficace. Una
comunità politica, la nostra, ha attraversato questo appuntamento con un impegno e una intensità straordinari
di cui dobbiamo tutti essere riconoscenti. Si è trattato di un confronto difficile, come si
fossero svolte due campagne elettorali distinte, l’una fatta prevalentemente attraverso gli
strumenti di comunicazione di massa, l’altra dentro il Paese reale. Questo secondo aspetto
del confronto nel e con il Paese reale è stato l’elemento caratterizzante la nostra
campagna elettorale. Si è trattato concretamente di un grande evento politico, per larghi
tratti entusiasmante per il coinvolgimento popolare che si è realizzato e per l’interesse
che abbiamo visto crescere attorno a noi. Questo impegno largo e unitario va valorizzato adeguatamente.
Abbiamo raggiunto un risultato che va apprezzato in maniera netta. In una analisi articolata territorialmente
dobbiamo indagare l’andamento del voto e, anche attraverso questa indagine, investigare il
profondo della società e le culture politiche che vengono messe in luce.
Dobbiamo affermare un punto politico analitico di fondo. Il voto sancisce la fine di un ciclo politico.
Non la fine di quello che abbiamo definito berlusconismo, come fenomeno profondo che agisce dentro
la società ma la conclusione della stagione politica del governo delle destre. Si è trattato
di un progetto politico di prima grandezza: l’idea e la pratica del governo come strumento
per plasmare il Paese e un popolo in una direzione precisa, quella della modificazione genetica dei
tratti peculiari della democrazia partecipativa così come li abbiamo conosciuti in questo
dopoguerra. Insomma, l’idea di una ambiziosa controriforma che si proponeva di desertificare
le articolazioni con le quali la società italiana, lungo il corso di una storia lunga e contraddittoria,
ha costruito il suo tessuto di relazioni. Obiettivo di questa offensiva è stato l’attacco
sistematico a ogni forma di autonomia (autonomia delle Istituzioni, autonomia dei governi territoriali,
autonomia dei corpi sociali e dei conflitti) su cui questa costruzione complessa si fondava. La rottura
con il moderatismo tradizionale delle classi dirigenti ne costituiva la cifra per determinare le
accelerazioni attraverso le quali perseguire quegli obiettivi. Anche i tratti di volgarità con
cui questa offensiva è stata portata avanti, più che segno di sgrammaticatura, vanno
investigati dentro quella cornice.
L’accelerazione estremistica con la quale il governo ha caratterizzato l’ultima fase
della legislatura e Berlusconi in particolare ha contraddistinto la campagna elettorale vanno inseriti
dentro questo quadro: usare la leva populista come estrema difesa dell’impianto reazionario.
C’è un punto più di fondo che dobbiamo analizzare. In Italia, un’operazione
neoliberista classica non ha alcuna possibilità di successo. Il segno con il quale questa
operazione può passare è quello interpretabile come il sovversivismo delle classi dirigenti,
come realizzazione di una mutazione genetica del Paese e delle sue culture prevalenti in un mix di
liberismo e populismo.
La circostanza che Berlusconi e le destre vengano sconfitti con uno scarto di voti minimo non cambia
questa dato di fondo: il governo perde e finisce così un’era e quel progetto ambizioso
viene sconfitto.
Dobbiamo insistere, ai fini di una corretta interpretazione di questo avvenimento, sul carattere
internazionale di questa crisi prodotta dal logoramento del binomio guerra/neoliberismo. Logoramento
e crisi non vogliono dire fine di quelle politiche ma situazione aperta ad esiti differenti.
La crisi della guerra preventiva e il fallimento dei risultati che vantava di raggiungere sono clamorosi.
Questa crisi, che non va letta, ripetiamolo ancora, come esaurimento di questa scelta (che può essere
benissimo ulteriormente e avventuristicamente riprodotta e ce ne sono le premesse, si veda la questione
iraniana) si manifesta innanzitutto come incapacità di conquista salda del governo del mondo.
Allo stesso tempo, le politiche neoliberiste sono tutto altro che espulse dal cuore delle politiche
di governo ma non riescono più a conquistare una base di consenso.
La sconfitta del governo è quindi frutto della crescita di un’altra Italia, di un’Italia
che da un lato ha saputo resistere alla controrivoluzione dall’alto praticata dal governo e
dall’altro ha saputo crescere. Anche qui non capiremmo questo dato senza il riferimento al
cambiamento di fondo intervenuto dentro i processi mondiali. Questo accumulo è stato possibile
in grazie alla crescita di un movimento mondiale di critica ai processi innescati dalla guerra e
dalle politiche neoliberiste e dall’onda lunga che questo movimento ha determinato e che ha
contribuito in maniera decisiva a cambiare le culture politiche prevalenti, ha innervato anche nel
nostro Paese una ripresa dei conflitti, a partire da quello di classe e da quello della pace. Questa
Italia, cresciuta in opposizione all’offensiva restauratrice delle destre ha sconfitto il governo
Berlusconi e ha vinto, una vittoria risicata ma essenziale per poter aprire un nuovo corso.
Due visioni della società si sono confrontate e affrontate, due idee del nostro Paese e del
suo possibile futuro.
Ma è del tutto fuorviante la tesi del Paese spaccato in due. La divisione è nella sfera
della politica mentre la situazione è assai più complessa nel profondo dei corpi sociali.
C’è un Paese duale politicamente ma frastagliato socialmente, un Paese reale in cui
le fratture passano secondo linee di faglia verticali e orizzontali e non riducibili a due. Si pone
qui un tema cruciale e che riguarda la costruzione di un nuovo popolo dentro l’avvio e lo sviluppo
di un processo riformatore.
Abbiamo detto che Berlusconi non è una parentesi della storia ma una certa narrazione dell’Italia
e la prospettazione di un approdo della crisi.
L’Unione, invece, in larga misura, ancora non è entrata nel profondo della società,
laddove si subiscono i colpi della crisi e si vive drammaticamente la crisi della politica.
Dal punto di vista della politica, occorre porre senza incertezze il tema dell’autosufficienza
della maggioranza dell’Unione e dire con nettezza che si può governare con il 51%.
Ma occorre sfondare nella società, occorre porsi il problema della costruzione di un nuovo
popolo.
C’è una differenza di fondo nel modo di agire con le destre: una controriforma, come
nel progetto berlusconiano, può essere realizzata attraverso rotture imposte dall’alto.
La riforma del Paese che proponiamo non può avere lo stesso schema: si realizza dal basso
e dall’alto assieme. Il punto è che l’ambizione deve essere la medesima: guardare
a un vero processo costituente, un nuovo corso che è assieme politico, economico, sociale
e interagisce in maniera determinante nel promuovere nuove culture politiche.
Il netto successo che il PRC ha ottenuto in queste elezioni deve essere pienamente utilizzato per
questo obiettivo.
Anche dentro il dibattito interno al partito, dobbiamo favorire l’avvio di una fase nuova e
che permetta ad ognuno di misurarsi favorendo l’uscita da posizioni meccanicamente derivate
dal passato.
Il peso parlamentare che abbiamo così fortemente accresciuto contribuisce a dare rilievo alla
nostra iniziativa.
Durante la campagna elettorale, abbiamo proposto le tre ragioni fondamentali per il consenso al PRC:
la tensione unitaria (essere determinanti, dentro un’alleanza larga, per sconfiggere le destre);
la spinta a sinistra (spostare in avanti i rapporti di forza anche per l’impulso all’azione
di governo e la realizzazione del programma a partire dai contenuti più avanzati); l’apertura
e l’innovazione (il progetto della sinistra di alternativa e la costruzione della Sezione Italiana
del Partito della Sinistra Europea).
Ora dobbiamo pienamente dispiegare queste ragioni.
La prima cosa necessaria per aprire la nuova fase è promuovere un’idea del governo più ampia del tema riguardante l’azione dell’esecutivo. Dobbiamo cioè promuovere un’idea del governo come rottura della separatezza con le autonomie e la società per una idea di governo allargato e coinvolgente in cui le forme dell’autonomie, che le destre volevano distruggere, vengano al contrario valorizzate. In sostanza, si tratta di dare conseguenza concreta alla critica del governo come “stanza dei bottoni”, oltrepassare quella critica attraverso un metodo e una pratica di governo allargato e complessivo. Per questo obiettivo sono necessari due capisaldi:
Non si tratta di alzare bandierine (non lo abbiamo fatto neanche nel momento della discussione sul programma) ma di approvare provvedimenti che abbiano la conseguenza di realizzare cambiamenti reali, aprire processi di trasformazione. Insomma, diviene cruciale come dare corpo all’affermazione del programma che dice un secco no alla politica dei due tempi. Ciò a partire dalla pace (il ritiro dall’Iraq) e dall’affrontare i nodi di una irrisolta questione sociale che, come questa campagna elettorale ha dimostrato, mettono in evidenza un punto di fondo che definisce la nuova condizione sociale: la precarietà che, nella sua generalizzazione prodotta dalle politiche neoliberiste, dal lavoro si fa pervasiva della condizione di vita. Ciò è assolutamente essenziale per dare risposte in avanti che rispondano al tema dell’efficacia di una politica che recuperi spazi liberati alla precarietà e, per questa via, dia risposte ai movimenti straordinari che in questi anni in tutta Europa hanno resistito anche efficacemente riuscendo ad impedire accelerazioni di questi processi (dall’articolo 18 in Italia alle manifestazioni in Francia contro la legge sul primo impiego) ma che hanno avuto la difficoltà di riuscire a invertirli.
Trasmettere una visione di società è sfida fondamentale da assumere. Non si tratta di una mera questione riguardante le tecniche di comunicazione ma della capacità di dare il senso e il significato di una grande operazione di riforma. Non si tratta di una cosa diversa dal programma ma della trasmissione di una ispirazione in cui l’applicazione delle diverse parti del programma si esplicita. Per fornire un esempio di questa ispirazione, penso a quello che possiamo chiamare laboratorio latino americano, al filo comune che lega differenti esperienze e alla loro capacità di trasmettere il segno di una sfida comune. In questo senso, sarebbe di enorme rilievo un governo che esordisse promuovendo una grande inchiesta sulla condizione sociale del Paese, chiamando le migliori intelligenze e le migliori energie a un confronto serrato per dare luce al paese reale e mettere mano a una azione riformatrice di grande spessore.
Si propone un aggiornamento della nostra linea, quello del rapporto tra alternanza e alternativa.
Qui proponiamo un riposizionamento. Negli scorsi decenni, l’alternanza si configurava come
messa fuori gioco dell’alternativa. I governi, cioè, potevano essere scelti dentro il
vincolo dell’accettazione del medesimo paradigma: la modernizzazione imposta dalla globalizzazione.
Negli anni ’90, il centro sinistra si propose come la forza più vocata a cogliere i
frutti progressivi di quella spinta prepotente e inarrestabile.
Oggi è tutto diverso. Perché? Da un lato a causa della crisi prodotta da quelle politiche
e dall’altro dalla crescita dei movimenti.
L’alternanza, oggi, quindi non viene più proposta dentro un paradigma comune. Ciò è dimostrato
anche dal fatto che in Europa, si confrontano ormai due modelli differenti: accanto all’alternanza,
viene proposta la grande coalizione e queste due scelte si pongono in contrasto tra di loro.
Nel nuovo quadro determinato dalla crisi, l’alternativa non è più insidiata dall’alternanza
ma dalla grande coalizione. Qui si pone il tema dell’aggiornamento di linea proposto. La grande
coalizione si pone oggi come supplenza nella sfera della politica all’incapacità del
neoliberismo di conquistare un consenso nella società e agisce proprio nel senso di rendere
impermeabile la politica alle istanze dei movimenti, recidere la possibilità di una efficacia
nell’azione delle lotte.
Non più alternanza contro alternativa, quindi, ma alternanza come possibilità per far
crescere l’alternativa.
Questa fase pone il tema dell’agonia della cosiddetta Seconda Repubblica.
In cosa si è caratterizzata questa nella sfera dei rapporti politici? Nella crisi dei grandi
partiti di massa, sostituiti dalle coalizioni da una parte e da un processo spinto alla personalizzazione
della politica. Il nostro partito è quello che ha affrontato un conflitto a viso aperto contro
questi esiti. Possiamo dire di essere usciti indenni da questo corpo a corpo e ciò ci consegna
una forza nella nuova fase.
Ma oggi siamo di fronte a un appuntamento ancora più impegnativo.
Abbiamo la consapevolezza che in questa legislatura le nostri sorti e quelle dell’Unione sono
legate in una sorte reciproca. Ciò vuol dire che non vinciamo se non vince l’Unione
ma, al tempo stesso, è necessario che il PRC recuperi appieno un progetto autonomo.
Alla prova del governo, noi misuriamo la strategia del Partito in una sfida decisiva.
E’ necessario non scambiare i fattori e i paradigmi. Il baricentro deve rimanere quello partito/movimenti,
partito/società.
Prima questo posizionamento poteva risultare favorito dalla collocazione di opposizione.
Il tema della sfida di oggi è confermare questa collocazione strategica nella fase della prova
del governo. Ciò è assolutamente indispensabile per consentire l’avvio del processo
riformatore.
Abbiamo detto che è cresciuta un’altra Italia, un’Italia composita ma che ancora
non ha un’egemonia. Perché? Credo che si incroci qui il tema di fondo, quello della
crisi della politica. Si sono sviluppati fenomeni di frantumazione sociale, una divisione tra l’alto
e il basso secondo linee di faglia che non sono sovrapponibili a quelle tra destra e sinistra; si è realizzato
in corpi sociali diffusi uno sprofondare che scompone le classi e le generazioni, processi di spoliazione
e desertificazione che creano smarrimento di sé e afasia.
Va ricostruito un senso della politica e proposti processi di inclusione dentro la messa in campo
di una riforma economica, sociale, politica del Paese.
Se questo non accade, non facciamoci illusioni, la grande coalizione riappare con grande forza. Un
processo devastante che passerebbe solo attraverso la sconfitta dell’Unione e la messa da parte
di Prodi. Ma c’è una tentazione di fondo delle classi dirigenti, un’attitudine
a un sovversivismo dall’alto che permane e di cui Berlusconi nella nuova fase si fa interprete
nel tentativo della realizzazione di una connessione tra populismo e regressione, tra popolo spoliato
e borghesia furiosa.
Tre impegni di lavoro per questa fase così importante.
- L’impegno coerente dentro l’idea del governo allargato per determinare una incisività nell’azione
e una sua coerenza. Dobbiamo battere le tentazioni che saranno fortissime a quella che definirei
grande coalizione informale, basata non sul governo ma sulla materialità delle relazioni.
- Approfondire il discorso sulle comunità scelte e il rapporto tra conflitti, movimenti e
comunità.
- L’apertura del partito, l’ampliamento dello spettro delle forze e delle persone che
si mettono in gioco. Abbiamo individuato una strada per la costruzione della sinistra di alternativa:
l’avvio di un processo costituente per la Sezione Italiana del Partito della Sinistra Europea.
Abbiamo anche individuato una modalità concreta attraverso la quale sviluppare questo percorso:
una costruzione a rete e non processi di cooptazione di ceti politici. Nel confronto elettorale,
questa scelta ha avuto anche l’espressione di candidature che hanno avuto grande visibilità e
forza e ancora di più lo sarà nell’attività del Parlamento.
Questo processo è ormai maturo e senza alcun indugio dobbiamo procedere con nettezza e decisione
secondo le scadenze che ci siamo dati.
Nella fase seguente al voto ci siamo mossi secondo una ispirazione, quella della valorizzazione del
pluralismo delle culture politiche dentro l’Unione e affinché, a partire dai passaggi
istituzionali, questo pluralismo avesse un’espressione. Per questo motivo abbiamo chiesto che,
accanto alle forze riformiste, vi fosse evidente anche la visibilità della sinistra di alternativa.
Se, nei prossimi giorni, nelle importanti scadenze che vi saranno, questo si realizzerà, svilupperemo
una conseguente larga discussione dentro il partito.
Investiamo molto sul pieno coinvolgimento del partito nel processo politico che si apre per una discussione
ampia e partecipata a partire dalla valorizzazione dello straordinario patrimonio di cui disponiamo.