Paolo Ferrero è il primo ministro del PRC

“I ministri senza i movimenti non vanno da nessuna parte”

Intervista a Paolo Ferrero, nominato ministro della Solidarietà sociale e capodelegazione Prc nel governo Prodi

Paolo Ferrero

Photo by Alessandro Ambrosin

Ministro della Solidarietà sociale ma anche capodelegazione del Prc al governo. Su questo ruolo Paolo Ferrero è pronto a prendersi subito un impegno preciso, anzi tre. Che siano o no entro i primi cento giorni, il ritiro completo delle truppe dall’Iraq, il superamento della legge 30 e il via alla lotta alla precarietà, insieme all’apertura del grande capitolo della redistribuzione del reddito “che tutti a parole dicono di voler affrontare ma nessuno prende in considerazione”, sono i contenuti veri della presenza del Partito della Rifondazione comunista nella maggioranza e nella compagine dell’esecutivo.

L’intervista è stata fatta qualche ora prima che Paolo Ferrero infilasse il portone del Quirinale mercoledì scorso per il giuramento di rito. Una intervista “difficile”, con le agenzie di stampa scatenate nel tentativo di mettere insieme qualche riga di biografia di questo ex-cassintegrato Fiat, comunista, che ora andrà a fare il ministro in via Veneto a due passi sia dall’ambasciata americana che dalla sede di rappresentanza dell’azienda automobilistica. Ci tiene a sottolineare con precisione alcuni passaggi centrali della sua biografia: le scalate in montagna con il figlio Nicolò di 12 anni, la sua passione per la musica, e la “pluriclasse” di Chiotti, un paesino della Val Germanasca in Piemonte dove è nato nel 1960. In pieno riflusso, tra gli Ottanta e i Novanta, Paolo Ferrero faceva sia il segretario nazionale della federazione giovanile della chiesa evangelica italiana che quello della federazione del Piemonte di Democrazia Proletaria.

Affrontiamo prima il punto specifico delle deleghe. Come intendi affondare il tuo incarico alla Solidarietà sociale?

La prima questione è che le politiche di welfare non possono essere slegate dalla lotta alla precarietà del lavoro. Perché è del tutto evidente che solo a partire dal lavoro si ricostruiscono elementi di sicurezza sociale intervenendo con politiche apposite, altrimenti il welfare non ce la fa a ricostruire la società civile.
Confindustria, da una parte vorrebbe avere mano libera per determinare bassi salari e precarietà del lavoro, dall’altra intende scaricarne i costi sullo Stato attraverso l’integrazione del reddito e l’erogazione degli ammortizzatori sociali. Secondo loro, al massimo lo Stato può solo intervenire per la sopravvivenza individuale dei lavoratori. Noi invece pensiamo che bisogna garantire ai lavoratori, in quanto classe e non solo in quanto individui, i loro diritti dentro il rapporto di lavoro: salari decenti e rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Su questa base strutturale occorre innestare il welfare, che risulta essere quindi un di più dei diritti del lavoro e non al posto dei diritti del lavoro. Questa è la differenza tra il “welfare” e il “workfare” tanto caro alle destre di tutto il globo. In Italia, poi, c’è un problema enorme di un welfare che non garantisce diritti esigibili su tutto il territorio nazionale. La disparità di disservizi che c’è tra le varie zone del paese è inaccettabile. Il terzo punto è la costruzione di un welfare allargato che deve saper dialogare, valorizzandole, con le forme di organizzazione sociale, dall’associazionismo al volontariato per costruire una sfera pubblica ampia che garantisca diritti e ricostruzione delle forme della socialità. I diritti dei lavoratori dei servizi, tanto di quelli statali, quanto di quelli del cosiddetto privato sociale, devono essere garantiti fino in fondo.

Cosa farai non appena metterai piede in via Veneto?

Sono quattro i terreni sui quali dare immediatamente un segnale. Il primo è quello della abrogazione della legge Fini sulle droghe, che ha già iniziato a dare i suo i frutti negativi tesa come è a equiparare droghe leggere e droghe pesanti e a trasformare il problema del consumo delle sostanze in un problema di ordine pubblico. Il secondo nodo è quello della immigrazione in cui occorre garantire la regolarizzazione dei migranti che oggi lavorano in Italia e l’effettiva possibilità di fruire del complesso dei diritti e dei servizi garantiti dal welfare per tutti i cittadini italiani. In terzo luogo occorre intervenire sulla questione degli anziani. Tutte le estati esplode sul problema degli anziani soli il caso giornalistico. Questa non è che la punta dell’iceberg di una situazione in cui la parte più debole della popolazione anziana è sostanzialmente abbandonata a se stessa con una carenza pesantissima di politiche sanitarie e assistenziali degne di questo nome. Occorre uscire dall’emergenza e dal sensazionalismo e costruire un vero e proprio progetto di accompagnamento nella terza età. Occorre intervenire a valorizzare e favorire gli spazi di aggregazione giovanili. Occorre battere la tendenza che sia la destra che una parte della sinistra vedono nei centri sociali invece che una opportunità da estendere un problema di ordine pubblico e quindi valorizzare ed estendere le forme di autorganizzazione sociale dei giovani mi pare un punto decisivo anche la fine di far sì che i giovani siano in grado di esprimersi anche in forma conflittuale, come espressione della propria soggettività.

Guardando la tua biografia politica non si può certo dire che tu abbia studiato da ministro. Come la consideri questa carica, il culmine di un percorso?

E’ sicuramente la cosa più visibile che mi sia capitata di fare e così come quella con maggior potere, ma non penso assolutamente che per una politica comunista vi sia una gerarchia di questa natura. Ho cominciato a fare politica facendo il militante politico di base in fabbrica prima, tra i cassaintegrati poi, come operaio, facendo bollettini operai o organizzando i disoccupati in cooperativa. Credo che la trasformazione sociale del nostro paese, che è l’unico motivo per cui faccio politica, è basata in primo luogo sul lavoro e sull’attività dei militanti politici di base. E il nostro problema è connettere i diversi livelli della politica senza pensare che la sfera della rappresentanza sia quella più importante. Il lavoro politico di base senza i ministri può determinare il cambiamento del paese, i ministri senza i movimenti sociali non vanno da nessuna parte.

Secondo te questa può essere una chiave attraverso la quale un giovane può provare a capire la politica di oggi?

L’attività politica più formativa è quella di costruire nelle realtà di base, tra la gente. Quella è la scuola politica migliore, come abbiamo visto nelle parti migliori del movimento che è nato nel 2001 a Genova. E’ evidente che oggi siamo completamente dentro la crisi della politica. E la ricostruzione della politica come trasformazione passa principalmente su due piani: il primo, è che questo governo deve fare come quello di Zapatero, ovvero fare le cose che ha promesso in campagna elettorale. La coerenza tra le parole e i fatti è un punto decisivo, dall’alto. E dal basso, occorre riuscire a costruire una vertenzialità diffusa sui diversi problemi sociali al fine di ottenere risultati che nella loro parzialità dicano però che con la lotta è possibile cambiare. Il ruolo di Rifondazione comunista è quello di connettere questi due livelli, operando affinché la politica istituzionale sia obbligata a dare risposte alle domande sociali.

Hai sempre dimostrato un grande interesse per la figura di Raniero Panzieri che era socialista e non comunista. Con una battuta potremmo dire che viene fuori il ritratto di un ministro comunista eretico.

Penso che le eresie corrono sempre i rischio di diventare una setta ma hanno anche l’opportunità di essere il lievito e penso che se oggi dopo il fallimento del comunismo storico novecentesco possiamo continuare a dirci comunisti è anche perché ci sono state le eresie e che hanno tenuta aperta l’ispirazione profonda di Marx e cioè di coniugare la libertà degli individui con il superamento dello sfruttamento e delle gerarchie sociali.

Torniamo ai problemi di oggi. Sei il ministro di Rifondazione in un esecutivo di più di 20 personaggi che con il Prc non hanno nulla a che vedere. Come ti senti?

Un po’ impaurito ma con la piena consapevolezza di avere un preciso compito politico. In questi anni abbiamo conquistato nel paese la legittimità e la visibilità della presenza di una sinistra di alternativa. Con l’elezione di Fausto a presidente della Camera abbiamo segnato l’esistenza delle due sinistre anche sul piano istituzionale. Dobbiamo conquistare questo risultato anche dentro il governo ben sapendo che certo partiamo da una condizione di debolezza, uno a venti per l’appunto. In questo quadro è evidente che non sono solo il ministro di Rifondazione comunista ma del processo di aggregazione della sinistra di alternativa a cui abbiamo dato il nome di sinistra europea. Questa scommessa non la si vince ovviamente solo nel governo e per questo è decisivo costruire dal basso nei prossimi mesi la sinistra europea in tutto il paese.

Fabio Sebastiani
Roma, 21 maggio 2006
da "Liberazione"