Comitato politico nazionale di Rifondazione Comunista
Roma, 14 - 15 Ottobre 2006

Documento presentato da:
“Falce e Martello”

Roma, 15 ottobre 2006

Ad un’analisi rigorosa appare chiaro come la finanziaria approvata dal governo non contenga alcun elemento di svolta di fondo che offra una risposta credibile alle attese di cambiamento che hanno portato alla vittoria elettorale dell’Unione dopo 5 anni di lotte contro il governo di destra. Seppure è vero che il governo ha dovuto, per timore di una forte reazione dei lavoratori, rinunciare a misure di “massacro sociale” su vasta scala, rimangono numerosi elementi che ci portano a un giudizio prevalementemente negativo.

In primo luogo le grandi imprese, come dichiarato dallo stesso ministro dell’economia, sono le principali beneficiarie dei fondi stanziati per il cosiddetto “sviluppo”, attraverso il grosso della manovra sul cuneo fiscale. Sul piano fiscale il governo dà poche decine di euro attraverso l’Irpef ad alcuni settori di lavoratori (per giunta con criteri discutibili) mentre con l’altra mano toglie attraverso i tagli agli enti locali che ricadranno nel peggioramento dei servizi e nelle addizionali e nelle “tasse di scopo”, mentre i ticket sul pronto soccorso sono uno schiaffo ai settori più deboli della popolazione (anziani, immigrati).

Mentre si stanziano 1,7 miliardi per nuove spese militari, si utilizza il Tfr dei lavoratori per coprire gli investimenti delle grandi opere. L’aumento dei contributi sui lavoratori “atipici” rischia di ricadere sulle spalle degli stessi lavoratori, data la mancanza di vincoli salariali determinati da un contratto nazionale di lavoro.

In sintesi, lo scarto fra le attese di massa, determinate dal peggioramento generale delle condizioni di lavoro e di vita che prosegue da decenni, e i pochi punti positivi della finanziaria (di fatto circoscritti alla questione Irpef e a un impegno peraltro di gran lunga insufficiente ad assumere precari nella scuola e pubblico impiego) è talmente grande che la gran massa dei lavoratori e dei settori più poveri non percepirà nella propria condizione il preteso “segno” di svolta di questa legge.

Restano inoltre aperti terreni di scontro decisivi che sono stati solo rimandati da parte del governo. In primo luogo la trattativa sulle pensioni, partita nel modo peggiore con il memorandum sottoscritto da Cgil Cisl e Uil (sul quale dobbiamo prendere una chiara posizione contraria sia come partito che attraverso una ampia campagna dei nostri compagni nel sindacato, a partire dalla Cgil) che parla esplicitamente di innalzare l’età pensionabile. Si prosegue poi con l’ultraliberista Ddl Lanzillotta, con le proposte Amato sull’immigrazione e con la chiara volontà del ministro del Lavoro di smentire gli stessi ispettori del lavoro riguardo la questione decisiva della precarietà, limitandosi a riproporre la logica fallimentare della flessibilità contrattata. La strategia di far costare di più il lavoro a termine di quello a tempo indeterminato si è dappertutto dimostrata illusoria, affidando al mercato la soluzione di un problema che può essere affrontato efficacemente solo attraverso una battaglia a tutto campo sia sul terreno delle vertenze nei luoghi di lavoro, che dei contratti nazionali, che di leggi che impongano la stabilità del rapporto di lavoro.

Di tutte le promesse di aggredire le peggiori leggi di Berlusconi (Legge 30, Bossi-Fini, legge Moratti) non si vede invece più traccia. Così come si sono dimostrate illusorie le prospettive di chi, nel nostro partito, teorizzava che avremmo potuto fare irrompere i movimenti di massa nella trattativa sull’azione del governo.

Da questo punto di vista assume grande importanza la manifestazione del 4 novembre della quale dobbiamo innanzitutto valorizzare la piattaforma di lotta al precariato che include giustamenente non solo la legge 30 ma anche il Pacchetto Treu. » necessario tuttavia che non ci limitiamo a una scadenza di piazza, ma che la mobilitazione per il 4 novembre diventi una leva per rilanciare a tutto campo la lotta di massa contro il precariato.

L’accelerazione verso la fondazione della Sinistra europea si realizza quindi in un quadro assai negativo che determina il carattere non a caso molto arretrato e formale della proposta in campo. Di fatto non esistono oggi interlocutori realmente vicini al progetto che rappresentino una reale capacità di organizzazione e mobilitazione significativa, in particolare fra i lavoratari organizzati. Si avanza una proposta su basi del tutto soggettive accompagnata da un metodo sottratto a qualsiasi reale verifica democratica. I principi proposti della pariteticità e del “consenso” implicano fatalmente un dibattito opaco, sempre alla ricerca del minimo comune denominatore, nel quale le diverse opzioni non sono sottoposte a una reale verifica di massa ma sono merce di scambio o di veti incrociati fra gruppi dirigenti. Un quadro che può soddisfare forse un ceto politico poco rappresentativo in cerca di ricollocazione, ma che non può attrarre le forze migliori che negli anni scorsi sono state protagoniste dei grandi movimenti di massa e che infatti sono completamente assenti tra coloro che si sono resi disponibili alla formazione della Sezione italiana della SE.

Una proposta, infine, scarsamente attrezzata a rivolgersi in modo efficace a quel vasto settore della sinistra (che non è costituito solo dalla sinistra Ds strettamente intesa) che rimane spiazzato dal processo di formazione del Partito democratico. » infatti evidente che la nostra capacità di influenzare settori importanti oggi ancora egemonizzati dai Ds e dalla Cgil non può prescindere dalla nostra alternatività politica, la quale tuttavia è oggi pesantemente compromessa dalla partecipazione al governo. La Linke tedesca, che ha unificato l’ex partito comunista con settori di sinistra socialdemocratica e sindacale ha potuto realizzarsi, tra l’altro, precisamente perché, pur con tutti i suoi limiti e ambiguità, si è costuita come forza di opposizione che ha raccolto la critica da sinistra maturata in anni di governo socialdemocratico di destra con una chiara politica borghese. Una situazione radicalmente opposta a quella attuale in Italia, anzi: data la posizione attuale del partito che si presenta come la più leale componente del governo Prodi, si rischia persino che settori che in futuro possano radicalizzare la loro posizione critica verso il governo e il Partito democratico non si riconoscano nel progetto della Se e si incanalino in altre direzioni, tentando di ricostuire un partito di sinistra socialdemocratica con l’appoggio di una parte consistente, forse maggioritaria, dell’apparato della Cgil.

Abbiamo invece bisogno di una prospettiva ambiziosa, che non si accontenti di raccogliere satelliti attorno al Prc ma che ponga al centro della nostra strategia la conquista dell’egemonia su milioni di lavoratori in una logica alternativa sia al riformismo di destra che a quello di sinistra. Da questo punto di vista l’insistenza sul fatto che il percorso della Se è del tutto indipendente da quanto accade nel campo riformista è non solo irrealistica, ma rischia di farci commettere gravi errori di prospettiva e di rappresentare un ostacolo a un reale processo di riaggregazione di quelle forze di classe collocate a sinistra del progetto del Partito democratico.

L’esistenza di un partito comunista dipende sia dalla sua capacità di proporre una prospettiva anticapitalista e socialista, ma anche dalla sua capacità di rapportarsi efficacemente con i processi reali di massa di evoluzione della coscienza della classe. Oggi entrambi questi elementi sono messi a rischio e non sono sufficienti a scongiurare tale rischio le ripetute assicurazioni sul mantenimento di un nome o di un simbolo. In assenza di una svolta di fondo, la prospettiva di “un forte Prc in una forte Sinistra europea” è destinata a rimanere nel regno delle buone intenzioni.

Tutto il partito sarà chiamato nella prossima fase a una verifica rigorosa degli esiti di questa proposta a partire non da una semplice riproposizione del dibattito congressuale ma dall’esperienza comune di tutti i suoi militanti. La Conferenza di organizzazione deve creare le condizioni migliori perché il partito possa dibattere in piena autonomia politica, organizzativa e di iniziativa.

Respinto con 5 voti a favore, pari al 2.7%

Claudio Bellotti, Simona Bolelli, Alessandro Giardiello, Mario Iavazzi, Jacopo Renda
Roma, 15 ottobre 2006
da "Liberazione" (del 17 ottobre 2006)