Lisbona 2006

La riunione di Lisbona conferma le differenze tra i Partiti Comunisti

Il fatto che circa la metà delle forze politiche presenti a Lisbona sia costituito da gruppi non rappresentati nei rispettivi Parlamenti rende l’idea della crescente marginalizzazione e gruppuscolarizzazione di molti partiti comunisti ortodossi.

Si è tenuto a Lisbona a metà novembre un seminario, organizzato dal PC portoghese, al quale hanno partecipato 63 partiti comunisti provenienti da una cinquantina di Paesi. Questa riunione, è l’ottava del suo genere, ma negli anni precedenti si era svolta ad Atene e il suo organizzatore era sempre stato il Partito Comunista Greco. Nonostante lo sforzo messo in campo dai promotori la partecipazione al seminario è stata leggermente inferiore alle aspettative (erano stati annunciati 73 partiti) ed in calo rispetto al 2005. Numericamente è paragonabile a quella di altre iniziative, che avevano però una dimensione prevalentemente regionale come il congresso del Partito della Sinistra Europea (55 partiti) e l’edizione del 2006 del seminario annuale del Partito del Lavoro Messicano (53 partiti).

I PC greco e portoghese sono i due più convinti assertori della ricostruzione di un “movimento comunista internazionale”, che riprenda il filo della continuità interrotto dal crollo dell’Unione Sovietica. Per questo la maggioranza degli interlocutori è costituita da movimenti e gruppi dell’antica corrente comunista filosovietica, ma non mancano partiti che fino agli anni ’80 erano schierati con la Cina maoista (il PC del Peru “Patria Roja” e il PTB Belga) o con l’Albania staliniana (il PC del Brasile). Presenti ma con un ruolo e una presenza di basso profilo partiti espressione di correnti comuniste che già prima del crollo si erano allontanate o non avevano mai fatto parte del movimento controllato dall’Unione Sovietica (come la maggior parte delle correnti costitutive di Rifondazione Comunista, il PC spagnolo e, con qualche oscillazione, il PC francese).

Oltre che per la provenienza ideologica, i partiti presenti a Lisbona possono essere analizzati sulla base delle dimensioni e del ruolo politico-istituzionale. Quattro partiti sono al potere in posizioni di monopolio politico: Cina, Vietnam, Cuba e Laos. Una decina svolgono funzioni di governo più o meno importanti (PC Sudafricano, PRC e PdCI in Italia, PC Catalano, AKEL cipriota, PC del Brasile, PC Iracheno, PC Ucraino e i due PC siriani). In altri due paesi i locali Partiti Comunisti soostengono i governi in carica (il governo di Morales in Bolivia, il governo del Congresso in India). Degli altri partiti presenti a Lisbona nove svolgono funzioni di opposizione parlamentare, mentre ben 36 sono gruppi di opposizione extraparlamentare mentre uno solo (il Tudeh iraniano) si trova in condizioni di illegalità ed è perseguitato dal regime islamico.

Il fatto che circa la metà delle forze politiche presenti a Lisbona sia costituito da gruppi non rappresentati nei rispettivi Parlamenti rende l’idea della crescente marginalizzazione e gruppuscolarizzazione di molti partiti comunisti ortodossi. Un processo iniziato già prima del crollo dell’Unione Sovietica, ma che questo ha in generale accelerato. A distanza di oltre quindici anni non si intravedono segnali significativi di inversione di tendenza, anche laddove, come in America Latina, l’ultimo decennio ha registrato un significativo spostamento a sinistra dell’elettorato e la crescita di movimenti sociali e politici alternativi e anticapitalistici.

La riunione di Lisbona è avvenuta a porte chiuse ed è quindi possibile valutare il dibattito solo a partire dai testi che sono stati diffusi dal partito organizzatore, ma anche da questi e dalle posizioni espresse dai partiti presenti in altre occasioni è possibile tracciare un profilo individuando almeno tre diversi indirizzi politico-ideologici.

I “marxisti-leninisti ortodossi”

Sono i partiti che si muovono in continuità con la corrente filosovietica. Per loro la crisi del socialismo è iniziata con il crollo dell’Urss dovuto al prevalere del “revisionismo” all’interno unita alla pressione capitalistica dall’esterno. Scontati gli effetti della crisi, occorre riprendere il cammino dal punto in cui si era interrotto senza significative discontinuità. L’obbiettivo è di salvaguardare l’esistenza di “partiti comunisti” su una base politico-ideologica comune in tutti i Paesi. Per questo sono violentemente ostili alla costruzione di partiti o di coalizioni anticapitalistiche pluralistiche che attenuino “l’autonomia comunista”, ma anche al Partito della Sinistra Europea e al movimento dei Forum Sociali. Questi partiti rifiutano la condanna dello stalinismo e in qualche caso vi si richiamano apertamente. Per questa corrente il partito-faro è il Partito Comunista greco. Anche il PC portoghese vi si è notevolmente avvicinato (ma con un grado leggermente inferiore di settarismo e di fanatismo ideologico di quanto non caratterizzi l’attuale direzione del PC greco). In questa categoria si ritrovano molti partiti marginali e gruppuscoli, soprattutto in Europa.

I “tradizionalisti pragmatici”

In questa corrente si possono collocare quei partiti che sviluppano un discorso abbastanza tradizionale sul piano ideologico riguardo all’URSS, a Cuba, al marxismo-leninismo, all’imperialismo e così via, ma perseguono una politica molto meno dogmatica. E’ il caso di partiti dalla storia diversa come l’AKEL cipriota (favorevole all’Unione Europea), al PC del Brasile (che si è dimostrato l’alleato più fedele di Lula) al PC (Marxista) Indiano che sta guidando con molta flessibilità il processo di modernizzazione economica e di inserimento nell’economia mondiale del Bengala occidentale, il grande stato dove è al governo da diversi decenni. Queste forze hanno un peso politico ed un’influenza reale nei loro paesi e non possono accontentarsi di uno sterile discorso identitario.

I “rinnovatori” o “neocomunisti”

E’ la componente meno o per nulla interessata alla ricostruzione di un “movimento comunista internazionale”, nel quale prevarrebbero le componenti più ideologiche. Il PCI lo considerava una inutile gabbia già negli anni ’60 e lo stesso Togliatti negli ultimi anni della sua vita ne riteneva inevitabile il superamento. Per questi partiti (PRC, PC Francese, in parte il PC spagnolo, tra quelli presenti a Lisbona) la ricostruzione di un movimento a base ideologica e non politica rappresenta un ostacolo al rinnovamento di un pensiero e di una strategia anticapitalistica resi necessari dalla crisi del movimento comunista tradizionale già evidente ben prima del crollo dell’Unione Sovietica. Occorre inoltre prendere atto che gran parte del forze politiche significative di orientamento alternativo e anticapitalista operano al di fuori dei partiti comunisti. In Europa l’insieme delle forze politiche che aderiscono al Partito della Sinistra Europea come membri a pieno titolo od osservatori raccolgono circa 12 milioni di voti, le altre forze di sinistra alternativa contano circa 1,5 milioni di voti, mentre i “marxisti-leninisti ortodossi” ostili alla Sinistra Europea rappresentano circa un milione di voti. In Europa il “movimento comunista” escluderebbe a priori la Linke tedesca, Izquierda Unida, il Synaspismos greco, la sinistra francese di origine trotskista, il Blocco di Sinistra portoghese, tutta la sinistra scandinava, il partito socialista olandese in forte crescita elettorale e così via. Analogamente in America Latina i partiti comunisti di tradizione filosovietica (con l’eccezione del Cile) rappresentano una frazione minima della sinistra anticapitalista.

L’antimperialismo come discorso unificante?

La gran parte degli interventi noti del seminario di Lisbona sono largamente dedicati ad una denuncia dell’imperialismo, identificato in sostanza con la politica dell’Amministrazione Bush. Curiosamente l’unico intervento che non si unisce al coro è quello del rappresentante vietnamita, cioè dell’unico partito comunista che si è realmente scontrato con l’imperialismo e lo ha battuto sul terreno militare. Oggi il Vietnam è interessato a riallacciare i rapporti sia politici che economici con l’antico avversario e considera evidentemente inutile concedere anche solo concedere qualcosa alla retorica antiamericana. Al di là della prudenza dei partiti asiatici al potere, che può essere determinata da considerazioni diplomatiche, la critica alla politica degli Stati Uniti è un elemento comune ai partiti presenti a Lisbona. Emergono differenze sia di analisi che di politica sull’imperialismo ed in particolare sul rapporto USA- Europa e sul ruolo dei movimenti della destra populista islamica. Si conferma l’ormai storico contrasto sul tema nell’Unione Europea. Francesi, spagnoli e italiani del PRC ritengono ormai la dimensione sopranazionale come ineludibile per una politica di alternativa. Il PdCI considera l’Unione Europea un contrappeso all’imperialismo americano per questo ha approvato il trattato costituzionale bocciato in Francia e in Olanda ed è favorevole ad un esercito europeo. All’opposto per il KKE, l’Unione Europea non può essere altro che parte di una stessa “Santa Alleanza Imperialistica” con gli Stati Uniti. Anche tutto il groviglio mediorientale ha prodotto una sostanziale differenziazione delle posizioni. Presente a Lisbona, il PC Iracheno fa parte del governo sostenuto dagli Stati Uniti, anche se chiede la fine dell’occupazione e propone la ricerca di un accordo di unità nazionale per mettere fine al conflitto fra le varie componenti etniche e religiose del Paese. Altri Partiti Comunisti valorizzano i successi della resistenza irachena che ha tra i propri obbiettivi anche i dirigenti, dello stesso Partito Comunista, in particolare quelli che avevano ruoli di direzione nel sindacato, alcuni dei quali sono stati barbaramente assassinati. Mentre viene data grande enfasi alla, peraltro giusta, protesta contro la decisione di dichiarare fuori legge la Gioventù Comunista della Repubblica Ceca, nessuna solidarietà viene espressi agli iracheni e agi iraniani che hanno la sfortuna di trovarsi da lato sbagliato del conflitto imperialismo/antimperialismo. Non c’è unanimità nemmeno sull’intervento ONU in Libano, che ha trovato il consenso dei comunisti francesi, spagnoli e italiani (PRC e PdCI) ma l’ostilità di greci e portoghesi. Anche il PC Libanese, che negli ultimi anni, ha perso molti dirigenti e militanti per effetto di scissioni e abbandoni, ha assunto una posizione critica nei confronti della risoluzione ONU e della presenza della forza internazionale nel sud del Libano (tesi decisamente diverse sostiene invece uno dei più noti intellettuali marxisti libanesi proveniente dal PCL, Karim Mroué nel suo recentissimo libro “Communistes dans le monde arabe”, pubblicato in Francia). Il PC libanese ha assunto una linea di aperto sostegno ad Hezbollah. Ma d’altra parte a sostenere la forza multinazionale non ci sono solo alcuni partiti comunisti europei ma anche i ben più influenti cinesi che hanno incrementato la loro quota di soldati nella missione UNIFIL. Sul rapporto con le forze della destra populista islamica emergente in Medio Oriente si riapre una vecchia contraddizione già vissuta dai comunisti filosovietici iraniani alla fine degli anni ’70, con la vittoria degli islamici di Khomeiny nella rivoluzione iraniana. In nome dell’alleanza antimperialista, il Tudeh sostenne il governo islamico, anche quando ormai tutta il resto della sinistra laica e marxista era passata all’opposizione. Fu lo stesso regime a mettere fine a questa politica imprigionando e torturando i principali comunisti, costretti poi a umilianti abiure e conversioni all’islamismo trasmesse in diretta televisiva. I “marxisti-leninisti ortodossi” sono tendenzialmente favorevoli al sostegno e alla alleanza con le forze islamiste radicali in nome dell’opposizione alla politica statunitense e israeliana e per la costituzione di una sorta di “fronte antimperialista mondiale” che dovrebbe andare da Ahmadinejad a Fidel Castro. Una prospettiva che viene respinta dai partiti “neocomunisti” ma anche da alcuni “tradizionalisti pragmatici”, come ha illustrato in un suo recente intervento il leader del PC USA, Sam Webb che ha rilevato come sia Hezbollah che Hamas siano da considerare movimenti ideologicamente di destra e non potenziali alleati dei comunisti.

Il pericolo di divisione della sinistra anticapitalista

Una delle difficoltà a ricostruire una sinistra anticapitalista non minoritaria, soprattutto in Europa è la frammentazione politica che si è sviluppata almeno dagli anni ‘60. Il tentativo di ricostruzione di una corrente “marxista-leninista ortodossa”, può avere un impatto negativo in alcuni Paesi mettendo in pericolo il processo di rinnovamento programmatico e di costruzione di un soggetto politico unitario. L’irrigidimento delle varie componenti lungo le linee di fratture ideologica (a cui tendono anche alcune correnti trotskiste) può solo indebolire la credibilità della sinistra alternativa come forza di cambiamento. Un caso minore, ma indicativo è quello del Lussemburgo dove dalla reazione alla crisi del Partito Comunista, che fino agli anni ’70 aveva un forte seguito elettorale, ed era uno dei più filosovietici d’Europa, era sorto nella prima metà degli anni ’90 un nuovo soggetto politico “Dei Lenk” (La Sinistra) che univa quanto rimaneva della corrente filosovietica ai comunisti rinnovatori, ai trotskisti non dogmatici e alla nuova sinistra. Dopo la scomparsa dalla scena politica ed elettorale del PC, Dei Lenk era riuscita a riportare la sinistra anticapitalista in Parlamento facendo eleggere un deputato e ad entrare nei consigli comunali delle maggiori città. La decisione della maggioranza del PC lussemburghese, allineatosi alle posizioni settarie del PC Greco, ha portato alla rottura della coalizione. La maggioranza degli elettori della sinistra anticapitalista è rimasta con Dei Lenk, ma la presenza di due liste contrapposte ha portato all’esclusioni di entrambe dal parlamento e da molti consigli comunali. Un analogo lavorio teso ad alimentare la divisione della sinistra anticapitalista e a bloccare i processi di rinnovamento e di rilancio in atto è presente anche in altri Paesi (Danimarca, Austria, ma anche in Italia). Alcuni partiti comunisti tradizionali, laddove non siano ridotti a piccole sette ma abbiano un radicamento politico e sociale effettivo, possono invece portare un contributo alla ricostruzione di una sinistra alternativa ampia e pluralista, purché non scelgano di rinchiudersi nel proprio ghetto ideologico come vorrebbero alcuni dei promotori della riunione di Lisbona.

Franco Ferrari
Parigi, 19 novembre 2006
da “Bella Ciao”