Comitato politico nazionale di Rifondazione Comunista
Roma, 16 - 17 Dicembre 2006

Interventi dei rappresentanti delle minoranze sulla Conferenza di Organizzazione

Roma, 16 - 17 dicembre 2006

Bruno Steri

Abbiamo scelto come area “Essere comunisti” la strada emendativa, accogliendo quella che è secondo noi l’esigenza principale posta alla base di questa Conferenza d’organizzazione: quella di affrontare una vera discussione intorno alla nostra struttura politico-organizzativa e di intervenire su alcuni gravi processi involutivi che hanno caratterizzato la vita del partito in questi ultimi anni, evitando di prefigurare - con documenti alternativi posti preventivamente in competizione e con la relativa conta - gli schieramenti congressuali.

Votiamo quindi il documento proposto dalla maggioranza, ben sapendo che non è il nostro documento: un documento che avremmo certamente potuto scrivere, optando per un percorso più agevole per noi ma di scarsa utilità per il partito e le sue esigenze di rilancio. Sarebbe stato il quinto documento presentato in questa Conferenza e avremmo in tal modo sanzionato - a poco più di un anno dal congresso vero e proprio - una sorta di precongresso mascherato, con relative discussioni e votazioni già scontate in partenza sulla base delle rispettive appartenenze.

Rispondendo alla suddetta esigenza - che tra l’altro corrisponde a quella che è stata una delle componenti fondanti la cultura politica della nostra area - siamo certi di incrociare le aspettative di una grande parte del corpo militante del Prc. E’ evidente infatti che le motivazioni di tale scelta fanno tutt’uno con una grande preoccupazione sullo stato e sull’immediato futuro di Rifondazione Comunista. Abbiamo espresso un giudizio critico sull’azione del governo e sugli orientamenti di fondo che hanno ispirato la manovra finanziaria: qualche recente sondaggio che sembra premiare l’azione di contrasto del Prc non deve creare pericolose illusioni e far dimenticare i fischi dei lavoratori di Mirafiori, i quali restano al contrario un monito per tutti.

E, nell’immediato, ci attende una fase politica se possibile ancor più densa di difficoltà.

Occorre dunque un partito che sia davvero in grado di produrre tutto il potenziale politico e la capacità di mobilitazione necessari: l’efficacia organizzativa diviene, mai come in questa fase, un fattore immediatamente decisivo dell’azione politica complessiva.

Che il documento proposto alla discussione nomini caratteri degenerativi quali la tendenza all’istituzionalizzazione, il verticismo, la separatezza dei gruppi dirigenti, gli elementi di involuzione elettoralistica – nonostante l’assenza di autocritica riguardo alle palesi violazioni della democrazia e del pluralismo interni – è comunque un fatto significativo da cui ripartire per una netta inversione di tendenza. Che, al contrario, lo stesso documento resti silente sul versante dell’analisi sociale e del lavoro è lacuna grave, solo parzialmente compensata da uno dei nostri sei emendamenti, accolto solo per la sua prima parte, e da un nostro emendamento sul Mezzogiorno, accolto integralmente.

Su altri temi (su tutti: Sinistra Europea o Sinistra di alternativa?) le nostre opinioni divergono: alla discussione quanto meno il compito di circoscrivere con maggiore precisione i confini della divergenza.

Salvatore Cannavò

Proprio perché credo all’importanza di una discussione vera tra di noi credo che sia rispettoso per tutti presentare le proposte alternative nella forma di un documento compiuto che non è necessariamente la riproposizione di una logica congressuale ma solo la possibilità di effettuare una discussione compiuta.

L’elogio dell’opposizione Il nostro documento muove dalla necessità storica di ricostruire una soggettività della trasformazione. Un processo lento, complesso che passa per una fase di lotte sociali, di rielaborazione teorica, di confronto plurale. Ma che richiede anche “l’elogio dell’opposizione”, l’esclusione cioè della prospettiva, a medio termine, del governo con forze liberiste perché questa condizione è impedente la possibilità stessa di ricostruire quella soggettività. Sta qui il nodo politico e teorico che motiva la nostra contrarietà al governo.

Il partito necessario In questo progetto fondamentale è e resta il partito. Il partito come strumento dell’autorganizzazione sociale ma anche soggetto cosciente e portatore di memoria, collettivo e non verticistico, di lotta e non di governo, duale e quindi sessuato, garante dell’autonomia dei giovani, non istituzionale. Un partito che sperimenti nuove modalità di intervento con i “circoli dell’intervento sociale”, E che pensi ai circoli territoriali non come comitati elettorali ma come circoli che intrecciano l’intervento territoriale a quello sociale.

L’impasse del partito non può essere addebitata al “correntismo”: la segreteria nazionale è di maggioranza, la quasi totalità degli incarichi sono appannaggio della maggioranza, quasi tutte le segreterie provinciali anche e quindi appare un po’ ridicolo prendersela con il correntismo a meno di non volersi riferire al correntismo di maggioranza. Chiediamo di dare dignità alle differenze istituendo un “ufficio politico” tra la direzione e la segreteria che resta di maggioranza. Allo stesso tempo va segnalato il fallimento dello schema Direzione/ Esecutivo che ci ha profondamente diviso, inutilmente, al congresso di Venezia e che si è ritorno contro i suoi sostenitori.

Infine pensiamo si debba sburocratizzare al massimo il partito con l’elezione dei funzionari, la realizzazione di un’effettiva rotazione degli stessi permettendo a compagni e compagne di ritornare al lavoro, limitando rigidamente a non più di due mandati le cariche elettive.

Infine, una proposta dall’impatto simbolico: l’abolizione della carica di Segretario generale con l’istituzione di tre portavoce di cui almeno una donna.

No alla “rifondazione socialista” Sulla Sinistra Europea crediamo sia giunto il momento di ammettere l’impasse e l’indefinitezza del progetto. La SE infatti oggi sconta tre grandi contraddizioni: era nata a Genova e viene realizzata al governo; deve affrontare la possibile scissione dei DS e la possibile “rifondazione socialista” che attrae molta parte del nostro gruppo dirigente anche se non viene finora esplicitato; non regge l’ipotesi di costruire contemporaneamente due partiti, la SE e Rifondazione. Costruire l’una equivale ad abbandonare l’altro e viceversa.

Noi vogliamo costruire Rifondazione come partito anticapitalista, femminista, ecologista, internazionalista. Ovviamente il Prc può andare oltre se stesso se preserva questa caratteristiche e allarga le sue potenzialità militanti e la sua influenza politica. Quello di cui siamo sicuri e che non accetteremo mai l’ipotesi di una “Rifondazione socialista”.

Claudio Bellotti

Concordiamo nell’identificare i mali che affliggono il partito, laddove si parla di istituzionalismo, verticismo, distacco dei gruppi dirigenti, ecc., ma non sulla diagnosi o sui rimedi. Non solo per le differenze di analisi e di strategia che ci vedono oggi come al congresso scorso su posizioni differenti, ma anche perché proprio rispetto al tema dell’organizzazione non condividiamo l’impostazione qui proposta.

La debolezza del partito come corpo militante va di pari passo con la sua istituzionalizzazione galoppante. Per dirla bruscamente, si rischia che la componente basilare del partito non sia più il circolo e i militanti, ma sia l’assessore o l’eletto con il portaborse.

Se non si rovescia il sentire comune dei gruppi dirigenti, che vede il lavoro nelle istituzioni come ambito privilegiato e il lavoro di costruzione del partito come una collocazione sacrificata e secondaria, non basterà nessuna regola a curare questi mali.

Si parla di combattere il correntismo, ma la maggioranza pratica una sistematica preclusione nei confronti delle minoranze. Non mi riferisco solo a incarichi e responsabilità, ma alla stessa vita dei circoli. È fatto comune che circoli che producono iniziative valide non trovino né ascolto, né sostegno nei gruppi dirigenti. I militanti e i circoli sono privi di punti di riferimento validi per costruire interventi efficaci, il lavoro di orientamento e proposta da parte delle strutture che dovrebbero dedicarvisi è ridotto i minimi termini. Sulla Sinistra europea chiedo chiarezza, perché sarà anche vero che la SE è stata decisa e votata, ma è altrettanto vero che il percorso è in forti difficoltà e il dibattito completamete opaco.

Questi problemi discendono direttamente da tante teorie sbagliate in tema di organizzazione che sono state abbracciate in questi anni. Per questi motivi presento qui un documento alternativo, che si propone non solo di avanzare una diversa visione sull’organizzazione, ma anche di stimolare nel percorso della conferenza la produzione di ulteriori contributi specifici che possano interloquire con tutti i compagni.

Marco Veruggio

Questa conferenza ci interroga sul tipo di organizzazione di cui abbiamo bisogno e su cosa costruire a sinistra del futuro Pd in Italia e del Pse in Europa. Ma in politica le scelte organizzative si radicano sempre nelle scelte di linea e di collocazione politiche. Non vogliamo riaprire il dibattito congressuale, ma una discussione che prescinda dalle decisioni prese a Venezia e da una verifica della loro congruità sarebbe del tutto astratta. Da questo punto di vista non possiamo che confermare, in piena continuità con quanto sostenemmo nel terzo documento congressuale e tanto più sulla base dell’esperienza di questi mesi, che la collocazione di governo rappresenta per il Prc non solo un elemento di contraddizione politica ma anche un fattore di crisi nel rapporto coi nostri settori sociali di riferimento e nella stessa tenuta materiale del Partito.

Una vera e propria mutazione genetica, risultato non di un “piano segreto” ordito nelle segreterie ma di una trasformazione politico-culturale, di un cambiamento dei nostri riferimenti storici e teorici, peraltro – devo dire - esplicitati dalla maggioranza del gruppo dirigente in particolare nell’ultimo congresso. A partire dal modello di un Pci “di lotta e di governo” e stabilmente collocato all’opposizione dei governi nazionali, si è disegnato un Prc “sempre più di governo e sempre meno di lotta”. In cui l’istituzionalizzazione è il frutto di una progressiva marginalizzazione delle strutture che dovrebbero esprimere allo stesso tempo il radicamento sociale del Partito, la sua mobilitazione, la sua capacità di controllo sugli organismi dirigenti e sui gruppi istituzionali. La domanda “Quale partito?” va quindi preceduta da: “Con quale prospettiva?” Serve un partito, non una mera sommatoria di culture, ma con una propria identità, che è cosa diversa dall’essere identitari. Un partito dei lavoratori, che non significa scadere in un operaismo ottuso e settario, ma ritenere ancora centrale la contraddizione capitale- lavoro. Un partito anticapitalista, che non può sopravvivere nella logica del “meno peggio”. Un partito internazionale e internazionalista fondato su una base politica, a partire dal no – senza se e senza ma – alla guerra e a tutte le politiche neocoloniali (comprese quelle europee). Spunti che lanciamo nel dibattito, auspicando convergenze in grado di andare aldilà delle vecchie barriere tra i molti compagni critici presenti nel Partito.

Claudio Bellotti, Salvatore Cannavò, Bruno Steri, Marco Veruggio
Roma, 17 dicembre 2006
da "Liberazione" (del 21 dicembre 2006)