Crisi di governo

Paradosso clamoroso con il sapore amaro della beffa

Il Prc, cioè il partito che con maggior convinzione aveva sostenuto in aula la relazione del ministro degli Esteri, è apparso, per responsabilità di un singolo e neppur determinante voto, come responsabile di una crisi che si era adoperato più di ogni altro per evitare.

E' un paradosso clamoroso, ha il sapore amaro della beffa.

Mercoledì al Senato è venuta meno la maggioranza numerica nel momento e sul tema che registravano la massima coesione della maggioranza politica.

POLITICA ESTERA

E’ sul fronte della politica estera, infatti, che il governo Prodi ha marcato in questi mesi la più netta innovazione rispetto alle scelte del precedente esecutivo.
Nella sua relazione di mercoledì, il ministro D’Alema aveva ribadito con grande precisione le pietre angolari di questa nuova politica estera:

D’Alema si era poi spinto oltre. Affrontando il nodo delicatissimo della missione afghana aveva chiarito al di là di ogni dubbio l’intenzione di adoperarsi attivamente per ottenere un cambio di strategia, sfruttando a tal fine le occasioni offerte dall’agenda dell’Onu, in particolare dal dibattito del prossimo ottobre sulla conferma delle missioni, ma anche impegnandosi per la convocazione di una conferenza internazionale. Allo stesso tempo, il ministro aveva chiaramente affermato la decisione di privilegiare, nell’immediato e a maggior ragione in prospettiva, il versante cooperativo della missione in vista di uno sbocco politico della crisi.
Nonostante il franco dissenso sulla nuova base di Vicenza, il Prc è sempre stato cosciente della profondissima innovazione introdotta dal governo di centrosinistra in politica estera.

A maggior ragione, lo è stato dopo la relazione del ministro degli Esteri. Identica e convinta condivisione era stata peraltro espressa da tutti i gruppi dell’Unione: tanto più assurdo e a prima vista incomprensibile risulta pertanto l’esito del voto.

L'ASTENSIONE DEI SENATORI A VITA

La scelta dei senatori a vita è libera e insindacabile. Quegli esponenti dell’Unione (pochissimi) che ieri hanno criticato il senatore Andreotti per la sua fatale astensione hanno senza dubbio sbagliato. Senza voler sindacare nulla, è però lecito chiedersi cosa abbia spinto i senatori Andreotti e Pininfarina a votare contro il governo dopo una relazione che, almeno il primo, pareva invece condividere. E’ impossibile evitare il sospetto che quelle astensioni abbiano veicolato un dissenso che non riguardava la politica estera ma piuttosto l’introduzione dei Dico. Non si tratta di immaginare complotti, ma solo di prendere atto delle fortissime pressioni esercitate dalle gerarchie vaticane, con tutti i molti mezzi a loro disposizione, per bloccare la legge sulle Unioni civili.

L'ASTENSIONE DEI DISSIDENTI DELL'UNIONE

Chiedersi se a provocare la caduta del governo sia stata davvero la politica estera non può tuttavia indurre a sottovalutare il ruolo destabilizzante esercitato in questi mesi, e anche in questi ultimi giorni, dai cosiddetti “dissidenti” dell’Unione. A provocare la sconfitta del governo non sono state le astensioni dei senatori Ferdinando Rossi e Franco Turigliatto, come fanno credere quasi tutti i giornali di ieri. Se anche avessero votato a favore, la relazione del governo sarebbe stata sconfitta per un voto.

Tuttavia i dissensi “di sinistra”, le continue indecisioni, le martellanti apparizioni sui giornali, le ricorrenti minacce di far mancare il proprio voto hanno creato un varco, offerto un’occasione e un alibi, reso facile il lavoro ai molti che non vedevano l’ora di accollare alla sinistra alternativa la responsabilità della crisi. Poco importa, di fronte a un simile (ma del tutto prevedibile) bombardamento, ricordare che non una sola volta, incluso il voto di mercoledì, il governo è stato battuto per responsabilità della sinistra alternativa. Alcuni dirigenti dell’Unione e gli editorialisti di importanti quotidiani non se ne curano: dalle loro parole trasuda l’impazienza di metterci il bavaglio
Questa incapacità di comprendere la necessità, non di piegarsi a una realpolitik, bensì di valutare l’azione del governo nel complesso, misurandosi sulle strategie di fondo e non sulle scelte particolari, è stata incomprensibile ed esiziale. Il danno per il paese, per la sinistra e per il Prc quasi incalcolabile.

Il Prc, cioè il partito che con maggior convinzione aveva sostenuto in aula la relazione del ministro degli Esteri, è apparso, per responsabilità di un singolo e neppur determinante voto, come responsabile di una crisi che si era adoperato più di ogni altro per evitare.

LE PROSPETTIVE FUTURE

La situazione è difficile e pericolosa. Ma la coesione politica raggiunta, su un terreno molto avanzato, in occasione del dibattito sulla politica estera costituisce una risorsa preziosa, indica la sola via possibile per superare la crisi. Si tratta di trasformare quella maggioranza politica in maggioranza anche numerica, muovendosi all’interno del perimetro tracciato dal programma dell’Unione. Senza svendere nulla ma anche senza inutili rigidità. Si tratta anche di chiarire, una volta per tutte, che la fiducia in un governo non può esaurirsi nel voto iniziale, ma deve riguardare anche le sue scelte particolari, almeno sino a quando queste non siano tali da rimettere in discussione la sua ispirazione di fondo e la sua strategia complessiva.
Raggiungere l’obiettivo non sarà facile e non sarà indolore. Costerà fatica e costerà sacrifici che si sarebbero facilmente evitati senza l’irresponsabilità di alcuni. Il percorso è diventato più aspro. La nostra bussola non può che essere, ancora una volta, la condivisione delle iniziative dei movimenti e il “saper fare” nella difficile dialettica istituzionale.

Bisogna saperlo.

Giovanni Russo Spena, senatore del PRC
Roma, 23 Febbraio 2007
da “www.rifondazione.it