La corrente di Vendola abbandona il Prc

Una scissione ingloriosa

L’intera operazione è segnata da una completa subalternità politica nei confronti del Partito Democratico

L’assemblea nazionale tenuta il 24-25 gennaio a Chianciano dall’area Rifondazione per la sinistra ha dato il via a una scissione che senza esagerare possiamo definire come una tra le più ingloriose avventure nella storia della sinistra nel nostro paese.

Niki Vendola ha dichiarato di volere una “sinistra curiosa”. E in effetti questa nuova forza politica, il Movimento per la Sinistra, un po’ curioso lo è.

Luglio 2008: la mozione 2 del congresso di Rifondazione, guidata da Vendola, Giordano, Migliore, ecc. si ferma al 47,5 per cento dei voti e perde il congresso. Vendola dichiara di non voler arretrare di un millimetro dalla battaglia nel partito e annuncia la costituzione di Rps.

L’autunno passa rapidamente al ritmo di polemiche di scarso interesse, la più rumorosa delle quali riguarda il caso Liberazione. Si ricomincia a parlare di una nuova forza politica formata dall’area Vendola, da Sinistra democratica, dai Verdi e da un settore del Pdci. Due assemblee nazionali

(7 novembre e 13 dicembre) si concludono in un nulla di fatto, con accuse e recriminazioni reciproche fra chi (Fava di Sd e l’area Belillo che si sta staccando dal Pdci) vorrebbe lanciare subito un nuovo partito e chi (Vendola) prende tempo. Verdi non pervenuti. Decisione rimandata a gennaio.

Si arriva così a Chianciano, preceduta ancora una volta da interviste e dichiarazioni battagliere di quel settore più impaziente che vuole l’uscita immediata dal Prc. Nel frattempo a Torino, Genova, Firenze alcuni “pionieri” della scissione hanno già abbandonato il Prc. Si tratta invariabilmente di rappresentanze istituzionali (consiglieri provinciali, comunali, assessori) i quali come primo passo si affrettano a stringere i bulloni delle loro alleanze col Pd nei governi locali.

Si disgrega la mozione 2

Il 19 gennaio in protesta contro il cambio di direzione a Liberazione la gran parte dei componenti della direzione nazionale del Prc che facevano capo alla mozione 2 annunciano le loro dimissioni dall’organismo. Negli stessi giorni si aggrega un’area interna alla mozione che si dichiara contraria alla scissione e lancia un appello a restare nel Prc.

Dopo questa lunga agonia si poteva pensare che Chianciano avrebbe fatto un po’ di chiarezza. Ma la “sinistra curiosa” non può smentire se stessa. Scissione, ma quando mai! Si tratta di un “partire”, dichiara baldanzosamente Rina Gagliardi. Capisca chi può. Si prepara un ulteriore appuntamento per febbraio…

Secondo la ricostruzione del Manifesto (27 gennaio) è accaduto quanto segue: la proposta più netta, avanzata da Migliore e altri, di dichiarare immediatamente l’uscita dal Prc, è stata ritirata per manifesta impossibilità di convincere una maggioranza consistente di un’assemblea che tutti i resoconti descrivono come alquanto demoralizzata e disorientata. Giungono puntuali le smentite di rito, ma la sostanza è chiarissima: il famoso 47,5 per cento, la “minoranza più grande del mondo”, non esiste più. L’assemblea si conclude con una netta divaricazione fra chi dichiara la propria uscita dal Prc, chi resta, chi resta “per ora” e, c’è da presumere, un consistente settore di incerti.

È chiarissima la radice politica di questa netta sconfitta: al di là delle dichiarazioni altisonsanti e di un radicalismo di facciata, l’intera operazione è segnata da una completa subalternità politica nei confronti del Partito Democratico. Passato il tempo di Prodi, il nuovo pifferaio magico assume le sembianze di Massimo D’Alema, al quale sono bastate alcune dichiarazioni di critica a Veltroni per conquistare il ruolo di salvatore della sinistra italiana.

Subalterni al Partito democratico

Le dichiarazioni di alcuni dei leader del neonato Movimento per la Sinistra non si prestano a equivoci. Leggiamo La Stampa del 25 gennaio; Rina Gagliardi: “È evidente che io spero in una deflagrazione del Pd, cioè una scomposizione e conseguente ricomposizione della sinistra italiana. (…) sarei contenta se dalle eventuali ceneri del Pd nascessero due nuove forze politiche, una di sinistra e una di centro. È evidente che noi dovremmo essere molto interessati alla prima, magari guidata da Massimo D’Alema.”

Alfonso Gianni: “Su un’ipotesi del genere io ci metterei non una ma otto firme. Un bel partito socialdemocratico con noi dentro? Magari.”

Giordano: “Dalla crisi del Pd può rinascere la sinistra”.

Così, dopo anni passati ad aspettare che dalla scissione dei Ds nascesse la nuova sinistra, progetto naufragato con le elezioni di aprile, i compagni di Mps si apprestano con incrollabile ottimismo a ripetere lo schema mettendo Massimo D’Alema al posto di Fabio Mussi. Non possiamo che replicare con le parole che Vendola ha rivolto a Ferrero: buon lavoro compagni…

Che il Pd sia in crisi marcia non c’è alcun dubbio; che questa crisi sia un fatto positivo per la sinistra e in particolare per il Prc è altrettanto indubbio: niente di buono per i lavoratori può venire da un partito che, solo per restare agli ultimi mesi, è riuscito nell’ordine a: dichiararsi disponibile a discutere sull’aumento dell’età pensionabile; a inviare i propri dirigenti a manifestazioni guerrafondaie a sostegno dell’aggressione israeliana a Gaza; a non dichiarare il proprio sostegno allo sciopero della Cgil del 12 dicembre; a dividersi sull’accordo separato che demolisce il contratto nazionale, condividendone di fatto i contenuti e criticandone solo le forme; ad astenersi sul progetto leghista di federalismo fiscale e, a coronamento di questa vera e propria cavalcata trionfale, a riproporre lo sbarramento elettorale anche per le elezioni europee.

Tutto sta a come si affronta questa crisi: per noi, deve essere l’occasione per aprire un conflitto politico a tutto campo col Pd, per andare al recupero di coloro che fino ad oggi lo hanno sostenuto in nome dell’antiberlusconismo, del voto utile, dell’unire le forze, ecc., avanzando proposte forti di mobilitazione e di battaglia politica e sociale contro le politiche della destra e di Confindustria. Per altri, a quanto pare, questa crisi del Pd deve essere invece l’occasione per sedersi sul divano e “godersi” le interviste con le quali Massimo D’Alema sbeffeggia di tanto in tanto l’inutile Veltroni.

Il futuro del Prc

Il vuoto politico sottostante a questa scissione è stato coperto da una lunga catena di invettive rivolte al Prc, amabilmente descritto nei mesi scorsi come “casa degli spettri”, “morto che afferra il vivo”, ecc. Di tutte queste accuse l’unica alla quale dobbiamo sentirci in dovere di dare una risposta forte è quella di praticare un estremismo sterile, di proclamare il conflitto senza poterlo praticare.

Si risponde non tanto con le polemiche sui giornali, ma con la dura battaglia sul campo. La crisi mette a nudo tutte le deficienze, le esitazioni, gli opportunismi, i punti deboli dell’intera sinistra politica e sindacale nel nostro paese. Non Niki Vendola o Gennaro Migliore, ma milioni di lavoratori si domandano se esista una forza politica capace di proporre una strategia per il conflitto in un’epoca che demolisce rapidamente e senza pietà tutte le finzioni, tutti i riti, tutti i meccanismi concertativi, i ruoli garantiti, sui quali per anni e decenni si è basato il potere di quei gruppi dirigenti che hanno condotto la sinistra italiana al disastro. Basti pensare a quanto accade nella Cgil, letteralmente espulsa dai tavoli concertativi dall’arroganza di Confindustria, ma tutt’ora priva di una strategia e di un gruppo dirigente capace di mettere in campo un conflitto all’altezza della sfida.

Su questo si misurerà anche l’attuale maggioranza del Prc. Con la scissione del 25 gennaio finisce una fase, siamo tutti definitivamente messi di fronte alle nostre responsabilità. Ai compagni che sempre più spesso ci chiedono conto delle esitazioni di questo gruppo dirigente, della sua incapacità di affrontare a fondo una battaglia contro l’opportunismo, la subalternità, il carrierismo, l’istituzionalismo che ancora crescono rigogliosi nel Prc e che certo non spariscono con la scissione, possiamo dare solo una risposta: abbiamo investito sulla possibilità di una reale svolta a sinistra e a una rigenerazione del partito attraverso una radicale reimmersione nel conflitto di classe; saremo gli ultimi ad abbandonare questa battaglia, ma non la proseguiremo un minuto di più nel momento in cui, malauguratamente, dovessimo valutare che questa viene ridotta a un’etichetta senza contenuto.

La risposta è nelle mani di tutti noi.

Claudio Bellotti
Roma, 28 gennaio 2009