Come riprendere dopo le recenti elezioni?

Rifondazione, ora serve un cambio di passo

Un partito comunista “di opinione”, per radicale che sia la sua fraseologia, è la grottesca parodia di quel che serve.

Dino Greco

Dino Greco

La sola cosa altamente probabile, in questa orribile fase postribolare della politica italiana è che Silvio Berlusconi dovrà abbandonare - credo definitivamente - il sogno di concludere alla presidenza della Repubblica la sua stagione istituzionale. Questo, naturalmente, è un bene. Per tutti. Anche per quella parte dei “poteri forti” che avvertono l'impresentabilità del caudillo di Arcore come una palla al piede della quale sarebbe auspicabile liberarsi.

Questo non significa affatto che il Cavaliere sarà a breve disarcionato, perché il grumo di interessi e la trama di reciproci ricatti che tiene fra loro avvinghiati gli uomini dal potere è tale da rendere la situazione torbida e ogni previsione azzardata. Non di meno, è importante che il naufragio del referendum sul premio di maggioranza abbia simultaneamente assestato un colpo - non definitivo, ma certo robusto - tanto al bonapartismo di Berlusconi, quanto al sogno bipartitico del Pd, tentato di rendere strutturale il presunto “voto utile” e fagocitare sistematicamente il pur riluttante consenso di una parte dell'elettorato di sinistra.

Le buone notizie, tuttavia, finiscono qui. Malgrado le esigenze della propaganda spingano Franceschini alle più disinvolte esternazioni, difficilmente si può sostenere che la destra si sia avviata verso il declino. I ballottaggi hanno evitato che la consultazione amministrativa si trasformasse in una Caporetto. Ma il segno resta. Inequivocabile. E se, in particolare nel Mezzogiorno, il centrosinistra difende qualche postazione, lo fa incassando il sostegno dell'Udc, dunque virando al centro. Siamo ancora alle prove tecniche, ma c'è da scommettere che l'imminente congresso del Pd segnerà un'ulteriore caratterizzazione moderata di quel partito, proteso a capitalizzare un sistema di alleanze che traccerà una netta linea di demarcazione a sinistra.

Questa elementare osservazione rende edotti di quanto sia velleitaria l'idea di staccare dal Pd la sua parte - sia detto con generosità - mancina, per formare un assemblaggio eterogeneo che comprenda l'Idv, gli eredi di Craxi, i radical-liberisti di Bonino e Pannella e la Sinistra della scissione. Un'acrobazia politicista di questo genere è, palesemente, priva di realtà, per esplicita indisponibilità dei soggetti che dovrebbero farne parte, quand'anche decidessero di passare sopra alle diametrali differenze che segnano la cifra politica di ciascuna di esse. Quel che rimane è una sorta di pulsione autodistruttiva destinata a risolversi, fatalmente, nell'inseguire un ruolo ancillare verso il Pd e a concludersi con qualche verticistica cooptazione di ceto politico.

La sinistra che invece si è unita, elettoralmente, nella lista anticapitalista e comunista, ha avviato - sotto l'effetto non proprio corroborante del mancato raggiungimento del quorum - una riflessione su come evitare un'ulteriore implosione, capitalizzare il risultato e rimeditare una strategia di riunificazione, nelle forme possibili, dell'arcipelago della sinistra indisponibile ad un ripiegamento moderato.

Il Prc si è proposto di farlo a partire da un grande sforzo di elaborazione culturale, da condividere con le espressioni più vitali del lavoro e dei movimenti, con le forze intellettuali. Cimento che deve però camminare insieme ad una rottura di passo, ad una radicale trasformazione del modo di fare politica e di concepire la vita stessa del partito, in larga parte del Paese ridotta a cosa modesta, con radici esauste o recise, nei luoghi di lavoro e nel territorio.

Rimettere in funzione il muscolo atrofizzato non è impresa di un giorno. Ma o la ripresa passa di lì oppure non vi sarà. Se tutta l'attenzione dovesse essere ora proiettata sui prossimi appuntamenti elettorali, nell'aspettativa di taumaturgiche rivincite, credo che l'avvitamento continuerebbe e si andrebbe incontro a nuove, questa volta irrecuperabili, delusioni. Occorre cambiare. E molto.

Per esempio, bisogna affrancarsi dalle inconsistenti diatribe sul simbolo e sul nome. Fra chi crede che l'identità del partito sia custodita, come in uno scrigno, nella falce e martello e chi, all'opposto, ritiene che lì ristagnino tutti i nostri vizi, c'è, malgrado le apparenze contrarie, la distanza di un foglio di carta. Entrambe sono vittime di una sorta di feticismo, simbolico o antisimbolico che sia.

Beninteso, faremo bene a mantenere le nostre insegne e il nostro nome.

Nei critici del cosiddetto “vizio identitario”, molto spesso si nasconde l'assenza di qualsiasi identità, ed una personalità politica “liquida”, che spaccia l'evanescenza per modernità e il più superficiale eclettismo per apertura creativa. Occorre, tuttavia, sapere che ciò che dai simboli si poteva avere, in questa consultazione elettorale, l'abbiamo avuto. E nel futuro non ne verrà di più.

Quel che conta è - come ci insegnano i classici - l'essere reale. Non ciò che dici e presumi di te stesso, ma ciò che concretamente fai, come lavori, come ti relazioni con la realtà, con le sue contraddizioni, come ricostruisci rapporti, conflitti, risposte a bisogni reali, dal più piccolo borgo agli agglomerati urbani più vasti. E come lì fai vivere la partecipazione, la democrazia, riscuoti il consenso e guadagni il diritto, non più velleitariamente presunto, alla rappresentanza politica. E, ancora, come a quel materiale attingi per costruire una nuova narrazione, non più desunta “dal cervello di Giove”, ma in corpore vili, nella pratica sociale.

Se non si riconquista questa concezione della lotta e del lavoro politico, questo si esaurisce nel mondo vacuo del politicismo, dell'annuncio, dove tutti i progetti, anche i più diversi, sono perfettamente intercambiabili. E destinati a tramontare con la stessa velocità con la quale vengono formulati. Con il risultato che la distanza fra le persone, la materialità della loro condizione, le loro domande risultano sideralmente lontane da ogni nostra capacità di intercettarle e di darvi risposta.

Un partito comunista “di opinione”, per radicale che sia la sua fraseologia, è la grottesca parodia di quel che serve. E' una contraddizione in termini: un ossimoro. Semplicemente, non esiste. Se non nelle fole intellettualistiche di qualche frequentatore di salotti, delle cui miracolistiche ricette è sempre bene diffidare.

Dino Greco
Roma, 26 giugno 2009
da “Liberazione”