Documento dei Giovani Comunisti di Milano

Solo la lotta paga

***

Piccola cronaca di una crisi mondiale

Solo la lotta paga 1

Stiamo vivendo un'epoca di tensioni sociali che non ha precedenti negli ultimi 50 anni. Il crollo del sistema economico sta mettendo in discussione consuetudini maturate nell'arco di decenni. Chiude un'azienda dopo l'altra mentre lavoratori di tutte le età vengono sbattuti in mezzo a una strada. Nelle scuole si fa largo una nuova stretta autoritaria e i costi di studio sempre più alti tagliano fuori dalla possibilità di avere accesso a un'istruzione di qualità. Pagare un affitto richiede una quantità sempre maggiore dello stipendio, mentre si può accedere a un mutuo solo con la copertura del reddito dei genitori. Il futuro di un'intera generazione sembra una corsa ad ostacoli in cui pochi vedranno la fine: ormai nessuno ha più il coraggio di parlare del capitalismo come “dell'unico sistema che può dare una possibilità a tutti”.

Oggi il sistema capitalista è in ginocchio: la crisi economica che stiamo fronteggiando è la più grave degli ultimi 80 anni e ed è una classica crisi di sovrapproduzione. La crisi finanziaria ha fatto esplodere una crisi dell'economia reale che si preparava da anni. La causa della crisi risiede nelle sfrenate politiche di profitto finanziario degli ultimi 10 anni che hanno gonfiato artificialmente le spese delle famiglie americane: queste si sono indebitate mantenendo alti i consumi americani per anni, ipotecando la casa il cui valore, grazie alla bolla immobiliare, cresceva sempre più; le agenzie immobiliari e le finanziarie hanno riempito i redditi americani di mutui spazzatura, detti subprime, elargiti anche a chi non era in grado di garantirne il pagamento. Il tutto con un costo del denaro mantenuto volutamente basso per anni: gli strateghi dell'economia mondiale hanno tolto qualunque freno a questo arricchimento veloce, come sempre hanno fatto nei momenti di boom dell'economia mondiale perché nulla per nessuna ragione deve ostacolare la libertà dei miliardari di guadagnare ancora e di più. Tuttavia, una vecchia legge dell'economia dice che, sebbene i prezzi delle case possano salire o scendere, i debiti rimangono sempre quelli e prima o poi devono essere pagati.

Quando la bolla immobiliare è scoppiata ha trascinato con sé tutti i settori dell'economia, a cominciare da quelli legati al settore delle costruzioni. I prezzi delle case sono crollati e molte famiglie americane si sono trovate a dover pagare mutui che valevano più della propria casa senza alcun credito, dato che la casa ipotecata non aveva più valore. I consumi sono crollati: le aziende hanno cominciato a chiudere con i magazzini pieni. La chiusura delle aziende ha aumentato i disoccupati e l'aumento dei disoccupati ha ridotto ancora di più i consumi. Altre finanziarie, con i conti distrutti, hanno cominciato a fallire. Colossi secolari della finanza sono spariti dal giorno alla notte.

Nel 1929, l'anno dell'ultima grande crisi strutturale del sistema, nuovi mercati vennero creati a costo di spingere l'umanità sull'orlo della barbarie attraverso la seconda guerra mondiale, il fascismo e il nazismo. La borghesia, la classe dominante nel capitalismo, per sconfiggere le rivoluzioni che andavano pulsando nel cuore dell'Europa dovette mobilitare tutte le proprie energie: guerre, fascismo, nazismo, corruzione sfrenata dei dirigenti storici dei partiti della sinistra e dei sindacati. Infatti il capitalismo non è mai caduto da sé: essendo un sistema economico in grado di rinnovare in continuazione i propri mezzi tecnici e produttivi è sempre in grado di trovare una via d'uscita alle crisi se non viene abbattuto. Anche in questa crisi vedremo momenti di risalita, se non di vera e propria crescita che prepareranno la strada a crolli ancora maggiori.

I padroni e la destra ora guardano con terrore alla crisi economica che sta distruggendo il tessuto produttivo del nostro paese. Sanno che l'unico modo per rimanere a galla è quello di colpire, colpire e ancora colpire i diritti e le condizioni di vita dell'altra classe della società: i lavoratori. Fra questi, i giovani sono i più colpiti. Per la prima volta nella storia del nostro paese le nuove generazioni sono in condizioni peggiori di quelle dei propri genitori. Se fino a 20 anni fa un giovane poteva assicurarsi un futuro e una stabilità sulla base dei sacrifici della propria famiglia, oggi nemmeno questi sono più sufficienti. Le controriforme dell'istruzione degli ultimi 15 anni hanno vanificato la prospettiva di avere un lavoro più stabile e una migliore retribuzione: che si tratti di un diploma o di una laurea triennale la prospettiva al termine degli studi sarà comunque quella di un lavoro temporaneo, privo di diritti e mal retribuito. Le controriforme nel campo del lavoro hanno fatto il resto: ciò che non è stato possibile distruggere tra i banchi di scuola o nelle aule dell'università subisce un colpo decisivo grazie al lavoro precario delle controriforme del lavoro degli ultimi 15 anni.

Ora il sistema economico che governa la nostra società si sta riprendendo tutte le conquiste ottenute grazie alle lotte dei nostri genitori. Quelle lotte, che si svilupparono nell'arco degli anni '60-‘70, permisero l'ottenimento di conquiste sociali che i padroni di questo paese sono andati rimangiandosi anno dopo anno: furono lotte profondamente generose che però non riuscirono a spingersi a un punto tale da rendere quelle conquiste stabili e irreversibili.

Da qui si spiega perché quelle attuate nel nostro paese negli ultimi anni siano state ricette di attacchi furiosi al diritto allo studio, al diritto al lavoro, all'immigrazione, alla cultura, alla casa, ai diritti delle donne e ai diritti democratici in generale: sono la risposta della classe che governa la nostra società, fatta di imprenditori “puliti” e “mafiosi”, banchieri, speculatori e politici che ne tutelano gli interessi, alla crisi economica.

Abbiamo bisogno di organizzarci in modo adeguato per rispondere all'attacco in atto. Le mobilitazioni degli ultimi mesi sono state importanti ma ci consegnano un'importantissima lezione: l'avversario sarà sempre più forte finché non ci dotiamo di un programma e di una strategia all'altezza. Per troppi anni nei partiti della sinistra ci si è seduti sugli allori convinti che qualche manifestazione e un po' di pressione nelle istituzioni fossero sufficienti a fermare gli attacchi del governo e della Confindustria. La crisi ora pone necessità differenti: di fronte alla prospettiva concreta della disoccupazione, della chiusura delle scuole, della negazione dello studio o della casa, le organizzazioni della sinistra devono riappropriarsi di quelle tradizioni che tanta forza diedero alle mobilitazioni del passato.

I Giovani Comunisti sono l'organizzazione giovanile di Rifondazione Comunista. La loro lotta è la lotta di giovani studenti e lavoratori per organizzare la difesa e l'ampliamento dei nostri diritti. Nell'autunno del 2008 abbiamo visto un accenno di quanta forza possano avere le lotte quando si politicizzano e uniscono studenti e lavoratori: ma questo, per ora, non è stato sufficiente a fermare gli attacchi del governo. E' mancato un programma complessivo che indicasse per cosa lottare e organizzarsi: un programma che desse forza alla lotta e indicasse le basi di una società differente. Questa è stata la debolezza fondamentale di quella mobilitazione che rende necessario il fatto che i giovani e i lavoratori più combattivi debbano organizzarsi: questo è il senso di questo programma. E' l'unica possibilità che abbiamo per riconquistare il nostro futuro quando la crisi sociale scoppierà anche nel nostro paese.

Scuola e università: pubbliche, gratuite, di massa e di qualità

Solo la lotta paga 2

L'istruzione pubblica è uno dei settori più colpiti dalla borghesia italiana. Che si tratti di tagli veri e propri o di leggi che introducono una progressiva privatizzazione e regalano soldi pubblici all'istruzione privata, poco importa: la sostanza è che negli ultimi 20 anni i finanziamenti all'istruzione pubblica sono stati progressivamente ridotti. Il disegno è semplice: il mercato ha poco bisogno di disoccupati istruiti ed è necessario tornare a un sistema come quello degli anni '50, ossia un sistema dove l'istruzione superiore sia disponibile solo per i ceti più abbienti e ai figli dei lavoratori sia destinata al più un'istruzione di natura tecnica. Non sorprende la natura dell'ultima controriforma della scuola targata Gelmini: oltre 7 miliardi di euro di tagli in 4 anni e il taglio di oltre 80 mila posti di lavoro. La direzione che si vuole intraprendere è quella di demolire progressivamente la scuola pubblica per lasciare l'istruzione di qualità solo agli istituti privati, spesso di matrice cattolica: istituti costosissimi, abbordabili solo dalle famiglie più abbienti per di più aiutate dagli scandalosi buoni scuola statali per chi decide un'istruzione privata. Il sogno dei padroni e della Chiesa è quello di abolire il valore legale del titolo di studio, che permette di dare lo stesso valore a qualsiasi diploma preso in qualsiasi scuola dello stesso tipo: un sogno che porterebbe la scuola pubblica a dividersi tra scuole di seria A, costosissime, con i professori meglio pagati e strutture all'avanguardia e scuole di serie B, con strutture fatiscenti e condizioni di studio infernali, dove il diploma vale poco o nulla.

La lista degli attacchi alla scuola pubblica non è solo targata Gelmini: negli ultimi 15 anni abbiamo visto governi di centrodestra e centrosinistra alternarsi indiscriminatamente negli attacchi alla scuola pubblica a dimostrazione di quale pericolo corra la sinistra del nostro paese quando sviluppa alleanze con chi non difende gli interessi dei lavoratori e dei giovani. Così fu un governo di centrosinistra che approvò nel 1997 la madre di tutte le controriforme, l'autonomia finanziaria di scuole e università, proseguendo poi con la riforma Zecchino in università che ha introdotto il 3+2 e terminando con la reintroduzione degli esami di riparazione a settembre targata Fioroni. Gli studenti universitari hanno ben presto imparato sulla propria pelle cosa significhi l'aumento delle tasse d'iscrizione e la poca validità della laurea triennale.

Queste controriforme hanno introdotto nella scuola pubblica una vera e propria selezione di classe, dove solo chi è in grado di mantenersi gli studi guadagna i vertici più alti dell'istruzione. I figli di lavoratori, impiegati, artigiani verranno progressivamente ostacolati da tale selezione di classe. Non stupisce quindi che ancora nel 2005 il 71% dei figli di operai in Italia finiva col fare l'operaio e che, viceversa, il 53% dei figli di imprenditore o libero professionista finiva col fare l'imprenditore o il libero professionista come i propri genitori.

Dobbiamo dotarci di un programma di lotta che contrasti scientificamente questa selezione di classe.

1) Drastico aumento dei finanziamenti statali all'istruzione pubblica a partire dall'immediato raddoppio. In Italia si spende meno del 2% del Pil (Prodotto Interno Lordo, la ricchezza prodotta ogni anno dal nostro paese) per l'istruzione pubblica. Strutture, abbassamento o cancellazione delle tasse, gratuità dei libri, dei trasporti e degli alloggi per i fuorisede, retribuzioni del personale docente e non docente: l'aumento dei finanziamenti statali alla scuola pubblica è la precondizione per ricostruire il diritto allo studio nel nostro paese. La regione Lombardia nell'anno 2007-2008 ha elargito oltre 45 milioni di euro per i buoni scuola, il 99% dei quali sono finiti nelle tasche delle famiglie abbienti delle scuole private. Sono soldi sottratti alle scuole pubbliche: servirebbero per laboratori, strutture, aule computer, abbassamento delle tasse etc... Inoltre, il governo italiano spende ogni anno 4 miliardi di euro per spese militari e oltre 300 milioni di euro all'anno solo per la missione in Afghanistan. I soldi dunque non mancano: bisogna lottare perché non servano al profitto ma ai lavoratori e ai loro figli.

2) Perché questo aumento dei finanziamenti sia possibile dobbiamo lottare per abrogare la legge di parità scolastica, che equipara l'istruzione pubblica e privata e permette i buoni scuola. Oltre a questa deve essere cancellata la legge di Autonomia finanziaria che è alla base dell'aumento delle spese scolastiche sulle spalle degli studenti: tale legge regola i finanziamenti dello Stato sulla base del rendimento di scuole ed atenei; in questo modo gli istituti divengono unità giuridiche aperte ai privati che devono spendere per divenire il più concorrenziali possibili. I risultati sono un aumento delle tasse scolastiche, un abbassamento dei servizi e una distruzione progressiva degli istituti pubblici. Allo stesso modo l'unica maniera per rilanciare un'istruzione di massa e di qualità è quello di lottare per la cancellazione della riforma Berlinguer - Zecchino e di quella Moratti che hanno permesso la formazione di un doppio canale universitario con l'introduzione della triennale e dei crediti. Con esse dobbiamo lottare per la cancellazione dei decreti del ministro Gelmini: legge 133/08, legge 169/08 e legge 1/09. Il percorso di laurea deve avere valore unico per non dividere gli studenti tra chi può permettersi un percorso completo e chi no.

3) In questo modo si può lottare perché sia lo Stato a farsi carico del sistema educativo: paghiamo già le tasse per il diritto allo studio per permettere il mantenimento del sistema pubblico di istruzione, tasse che i lavoratori dipendenti pagano come trattenuta in busta paga. Lottiamo per la gratuità dell'iscrizione a qualsiasi livello: sia una fiscalità generale fortemente progressiva, dove chi ha di più è giusto che paghi di più, ad assicurare i necessari introiti per il sistema educativo pubblico. E' una misura di equità legale in un paese che vede il più alto tasso di evasione contributiva e fiscale d'Europa: è giusto che i padroni comincino a pagare le tasse e a versare i contributi restituendo quanto le leggi degli ultimi anni gli hanno permesso di portare via. Lo studio è un diritto: o è gratuito o non è.

4) Lottiamo per una fornitura gratuita dei testi di studio attraverso un comodato d'uso nazionale adeguato alla richiesta: ogni anno lo studente deve ricevere la fornitura completa dei libri di testo per poi restituirli al termine dell'anno scolastico o dell'esame sostenuto. Tali libri vengano pagati solo se irrimediabilmente danneggiati o se lo studente vuole tenerli. E'ingiusto che i figli dei lavoratori debbano studiare sempre su fotocopie o su libri usati e macilenti solo perché i nuovi sono troppo costosi.

5) Lottiamo per l'abolizione di ogni forma di numero chiuso nelle università: un aumento sostanziale dei finanziamenti all'istruzione pubblica permetterebbe un piano di edilizia scolastico e universitario permetterebbe all'università di accogliere e tutti gli studenti e quindi in grado di garantire la scelta del corso universitario senza sbarramenti. In una società gestita democraticamente da chi lavora sarebbe un potente impulso all'occupazione e armonizzerebbe la richiesta di medici, ingegneri etc...

6) Lottiamo per l'apertura pomeridiana delle scuole e serale di scuole e università con personale appositamente pagato. La scuola è un luogo di formazione: chi proviene da un ambiente sociale svantaggiato culturalmente ha diritto a poter studiare a scuola e non affrontare lo studio da solo. E'una misura contro il ricatto delle ripetizioni private. Allo stesso modo chi lavora ha diritto a frequentare i corsi la sera e ad avere a disposizione le strutture dopo il lavoro.

La storia del movimento studentesco italiano insegna che l'ottenimento di una sola di queste rivendicazioni è una conquista inestimabile per i diritti degli studenti, purché essa apra la strada alla conquista delle altre. Esse sono intrinsecamente legate l'una con le altre: non esauriscono una adeguata piattaforma di lotta studentesca ma possono essere punti imprescindibili di riferimento.

I diritti del lavoro non si concertano

Solo la lotta paga 3

Il capitalismo italiano è il vero malato d'Europa. Sebbene sia stato il meno colpito dall'aspetto finanziario della crisi, già prima che questa si manifestasse era caratterizzato da una profonda debolezza strutturale. Negli ultimi 30 anni il tessuto produttivo del nostro paese è stato profondamente dissestato: distrutta l'industria chimica e tecnologica, lentamente è andata ridimensionandosi anche la già modesta industria pesante. Per 15 anni la borghesia italiana ha portato avanti una campagna martellante sul “piccolo è bello” a dimostrare che la struttura del capitalismo familiare caratterizzato dalla piccola impresa fosse un modello. A coronamento di questo processo abbiamo assistito a una progressiva finanziarizzazione dell'economia con la trasformazione di veri e propri settori: dalla produzione si è passati alla distribuzione. E' cresciuto in modo smisurato il terziario che con la distribuzione ha preso il posto della produzione industriale: banche, aziende immobiliari e supermercati al posto di fabbriche e centri produttivi. Uno dei fiori all'occhiello dell'industria chimica del paese, la Pirelli, è ormai diventata una società immobiliare- la Pirelli Re franchising. Tutto questo è ben lontano dall'essere un segno di forza: se questo ha permesso al capitalismo italiano una certa rendita nei periodi di boom del capitalismo, con l'inizio della crisi tutto questo si è trasformato nel suo opposto.

Le dimensioni piccole delle nostre imprese, unite alla scarsità di investimenti tecnologici, non hanno posto l'Italia in prima fila di fronte alla crisi finanziaria ma l'hanno posta in primissima fila rispetto all'emergenza produttiva. La produzione italiana è poco tecnologizzata e non regge la concorrenza di merci molto meno costose e presenti ben più in abbondanza come, ad esempio, quelle cinesi.

La debolezza della classe imprenditoriale italiana porta con sé quella della classe politica che ne deve tutelare gli interessi: non è casuale che sia il Pd che il Pdl siano partiti pieni di imprenditori, quando non sono direttamente governati da imprenditori. Questo periodo di trasformazione dell'economia italiana è stato caratterizzato dallo smantellamento dei diritti più elementari dei lavoratori, con l'introduzione dei contratti precari, di una riforma delle pensioni dopo l'altra e del tentativo, oggi giunto a uno scontro frontale, di distruggere il Contratto Nazionale. Dal 1995 ad oggi abbiamo visto la riforma delle pensioni di Dini, il Pacchetto Treu, la Legge 30 e il Protocollo Welfare: una legge dopo l'altra volta a indebolire le tutele delle nuove generazioni di lavoratori. Con una classe imprenditoriale sempre più parassitaria e un tessuto produttivo sempre più indebolito l'unico modo per mantenere gli attuali standard di profitto è quello di guadagnare il più possibile tagliando ciò che si spende per i lavoratori: stipendi, diritti, contributi pensionistici. Il ricatto della precarietà con tutte le conseguenze che essa porta non è altro che questo.

Un intero nuovo settore del movimento operaio deve lottare per sindacalizzarsi in posti di lavoro dove i padroni fanno di tutto per mantenere relazioni di lavoro ottocentesche. E' il caso di centinaia di aziende di call center, ma anche delle grandi catene della distribuzione e del terziario che sfruttano la presenza di contratti stagionali e a progetto per drenare quanto più guadagno possibile col minor costo. Oggi queste realtà lavorative cominciano ad essere attraversate da una radicalizzazione che sembrava impossibile pochi anni fa dato che il settore più giovane della classe lavoratrice sarà quello più colpito dai licenziamenti e dalle casse integrazioni: per i padroni sarà facile tagliare innanzitutto i propri lavoratori “usa e getta”. Il sindacato verrà scosso da queste mobilitazioni come lo è stato dalla lotta della Innse di Milano. La crisi economica, proprio per le condizioni in cui si trova il capitalismo italiano, porrà al centro uno scontro verticale su quali diritti e quali rapporti di forza si costituiranno nei luoghi di lavoro e il settore più giovane della classe lavoratrice potrà avere un ruolo determinante nel mobilitare gli altri settori della nostra classe. E' quindi evidente che è necessario sviluppare una piattaforma all'altezza della situazione che rimetta al centro la difesa dei nostri diritti e la possibilità di guadagnarne di nuovi.

1) Lottiamo per cancellare la legge Dini, il Pacchetto Treu, la Legge 30 e il Protocollo Welfare, ossia le controriforme del lavoro approvate dal 1995 ad oggi, vere responsabili della situazione lavorativa della classe lavoratrice italiana. La cancellazione di queste leggi è il prerequisito per un rilancio dei diritti del lavoro: la riforma Dini distrusse il sistema pensionistico pubblico; il Pacchetto Treu introdusse per la prima volta il lavoro interinale; la Legge 30 è stato il vero e proprio ariete dei padroni per sfondare i diritti dei lavoratori, soprattutto i più giovani; il Protocollo Welfare è stato l'ultimo regalo del centrosinistra per aumentare l'età pensionabile sulla base delle falsità sulle difficoltà dell'Inps.

2) Lottiamo per un aumento sostanziale di almeno 300€ netti su tutti i salari a cominciare da quelli più bassi e l'aggancio del salario al costo della vita. Tale meccanismo, la scala mobile, che fa sì che gli stipendi aumentino con l'aumento dei prezzi, è l'unico strumento in grado di combattere l'aumento del costo della vita: dato che gli stipendi vengono pagati dai padroni e non dallo Stato la polemica sul taglio delle tasse agli stipendi è solo un modo per risparmiare sui servizi sociali come scuola, sanità etc...Lottiamo inoltre per un salario minimo intercategoriale di almeno 1000€ contro ogni frantumazione del Contratto Nazionale: distruggere quest'ultimo è il desiderio di destra e padroni per dividere i lavoratori e isolarli nella contrattazione all'interno della singola azienda. Sarebbe un regalo ai padroni data la dimensione medio piccola delle aziende italiane: la forza dei lavoratori sta nella loro unità, non nella loro competizione.

3) Lottiamo per un salario ai disoccupati come unica misura contro il ricatto del lavoro nero e della precarietà che sempre emergono quando si è disoccupati e quindi spinti dal bisogno: in molti paesi ipotesi di legge come il ”Contratto di Primo Impiego” sono stati respinti proprio perché tali leggi non vengono controllate dai lavoratori ma dai datori di lavoro. Non esiste primo impiego che possa essere dato dai padroni: la loro offerta sarà sempre dettata da esigenze produttive che rendono il contratto di primo impiego un vero e proprio ricatto per accettare condizioni di lavoro peggiori. Contro queste misure rivendichiamo la chiusura delle agenzie interinali e il ritorno a uffici di collocamento pubblici gestiti dalle rappresentanze sindacali e da comitati di lavoratori.

4) Per i lavoratori precari rivendichiamo il diritto ad avere ferie retribuite per i precari di almeno 3 settimane e il diritto alla malattia e all'infortunio con un'indennità pari al 100% della retribuzione. Chi ha un contratto di collaborazione a progetto sa bene quanto sia difficile e laborioso ottenere il rimborso in caso di malattia e infortunio; inoltre è scandaloso che si utilizzi la leva delle collaborazioni per negare il pagamento delle ferie e dividere i precari dai lavoratori “garantiti”.

5) Lottiamo per estendere l'art. 18 a tutti i precari: la cancellazione delle controriforme del lavoro permetterebbe la trasformazione di tutti i contratti precari in contratti a tempo indeterminato con la tutela contro il licenziamento ingiusto che l'art.18 fornisce. Insieme a questo lottiamo perché il Tfr - la liquidazione - rimanga nelle casse dell'Inps e non nella speculazione dei fondi pensione, fossero anche quelli sindacali.

6) Contro la chiusura delle aziende rivendichiamo la loro nazionalizzazione con produzione sotto controllo di comitati di lavoratori e sindacato. Se i padroni vogliono chiudere gli stabilimenti e portare fuori la produzione per sfruttare ancora di più altri lavoratori si facciano da parte e lascino il lavoro a chi porta avanti davvero l'azienda: i lavoratori. Perché questo sia possibile sarà nostro compito lottare per un sindacato combattivo in cui a contare siano i lavoratori e non i funzionari: lottiamo contro la concertazione che sta distruggendo i diritti dei lavoratori e la forza del più grande sindacato italiano, la Cgil. I lavoratori dell'Innse hanno indicato la strada: la Cgil sia combattiva e difenda fino in fondo gli interessi dei lavoratori.

Contro ogni discriminazione

Solo la lotta paga 4

La destra e i padroni non stanno muovendo solo un'offensiva economica: a fianco di questa vi è una scrupolosa offensiva culturale che serve a legittimare il cuore ideologico degli attacchi che stanno muovendo. Tale offensiva culturale è fatta di razzismo, familismo, sessismo, omofobia e anticomunismo e alterna la distruzione culturale del paese al ritorno alle idee più retrive, non casualmente propugnate dalla Chiesa cattolica.

L'approvazione del Pacchetto Sicurezza costituisce un salto di qualità in questo senso: introduce il reato di immigrazione clandestina e sdogana le ronde in cerca di “diversi” di ogni tipo: immigrati clandestini, omosessuali, alternativi, comunisti e in generale chiunque vada fuori dai parametri di “normalità”. Il veleno del razzismo è un veleno di classe: serve a dividere i lavoratori immigrati da quelli italiani distogliendo l'attenzione dalla crisi per incanalarla verso i settori più poveri e sfruttati della nostra classe lavoratrice. La polemica sugli “immigrati che rubano il lavoro”, recentemente smentita anche da un rapporto della Banca d'Italia, serve proprio a questo: a evitare che i lavoratori si coalizzino contro i veri responsabili delle loro condizioni, ossia la destra e i padroni. Non casualmente i padroni con una mano demonizzano gli immigrati facendoli diventare l'oggetto di cronaca della stampa dopo l'orario di lavoro, mentre con l'altra li fanno lavorare a condizioni infernali. Vogliono schiavi che permettano di rendere schiavi tutti noi: la colpa è dei padroni, dunque, e non dei lavoratori immigrati.

Allo stesso modo la campagna della Chiesa contro qualunque diversità sessuale e contro i diritti delle donne procede nella medesima direzione. Schiavi sul lavoro, schiavi a casa e nella società: da queste basi parte una nuova crociata contro la legge 194 che permette l'aborto e su queste basi si è sviluppato l'attacco alla pillola abortiva Ru 486. Solo lottando per i diritti democratici più elementari potremo guadagnarne di nuovi: questi attacchi sono da rispedire al mittente perché non sono altro che un tentativo di dividere il fronte della nostra lotta.

1) Lottiamo per abolire le leggi sull'immigrazione: la Turco-Napolitano, la Bossi-Fini e il Pacchetto Sicurezza. Queste leggi introducono i flussi, ossia una quantità di immigrati che ogni anno ha diritto a entrare in Italia. Si tratta di flussi a uso e consumo delle disponibilità di Confindustria e dei suoi bisogni di manodopera. Lottiamo contro il reato di immigrazione: nessun uomo può essere illegale solo perché clandestino. Allo stesso modo lottiamo per la chiusura dei Cie (Centri di Identificazione ed Espulsione), vere e proprie galere per gli immigrati che scappano dalla barbarie del proprio paese. Da qui e dalla politica dei “respingimenti in mare” vediamo tutta l'ipocrisia della classe dominante: trasforma il Mar Mediterraneo in un cimitero di immigrati e fa affari d'oro con la Libia attraverso Eni, Enel e Telecom.

2) Lottiamo per la piena sindacalizzazione dei lavoratori immigrati e per pieni diritti: abbiano diritto al permesso di soggiorno e diritto di voto se risiedono in Italia da almeno un anno. Con la distruzione delle controriforme del lavoro e della scuola avrebbero la possibilità di integrarsi pienamente e quindi di decidere delle sorti politiche del paese. Rivendichiamo il diritto di cittadinanza per gli immigrati che sono in Italia da almeno 5 anni e ne facciano richiesta.

3) Lottiamo contro ogni discriminazione sessuale: parità di diritti economici e legali per le unioni civili. Lottiamo per difendere e applicare la legge 194 che ha bisogno di essere finanziata: i soldi non mancano per aprire nuovi consultori pubblici. Il Pacchetto sicurezza trasforma i medici in “ufficiali” in grado di denunciare i clandestini: è una misura di barbarie che aprirà la strada a una vera e propria marea di aborti clandestini tra le donne immigrate. Solo un sistema sanitario pubblico e finanziato, sotto il controllo dei lavoratori e dei sindacati, può garantire a tutti noi le cure di cui abbiamo bisogno mettendo fine anche al ricatto dell'obiezione di coscienza negli ospedali, vero e proprio cavallo di Troia della Chiesa nelle strutture sanitarie.

4) Lottiamo per il diritto alla casa: un piano di edilizia popolare sotto il controllo dei lavoratori e l'esproprio senza alcun risarcimento degli appartamenti delle grandi immobiliari che li tengono appositamente sfitti per mantenere alti i prezzi. Allo stesso modo deve valere un agganciamento dell'affitto allo stipendio così come lo stipendio deve essere agganciato al costo della vita: è quindi necessario un nuovo equocanone.

Allo stesso tempo la lotta alle discriminazioni significa anche lottare contro ogni discriminazione economica e legale nei confronti delle lavoratrici: rivendichiamo parità di retribuzione con gli uomini e parità di salario a parità di mansione. Lo stesso discorso deve valere per i lavoratori immigrati.

Distruggono il mondo per la loro avidità: lottiamo contro la guerra

Solo la lotta paga 5

Il capitalismo non è propriamente un sistema di “libera concorrenza” come vogliono farci credere: si può dire, anzi, che la fase di libera concorrenza sia stata la fase iniziale di questo sistema. Essendo un sistema economico che si basa sull'accumulo di profitto, e di conseguenza sulla lotta per i mercati, la condizione normale del capitalismo è quella del monopolio: poche multinazionali governano i settori decisivi dell'economia mondiale e del sistema bancario. Inevitabilmente le politiche dei governi e degli organismi che ne difendono gli interessi sono dettate dai consigli di amministrazione di queste multinazionali. Questo spiega anche perché molti organismi internazionali siano completamente inefficaci a risolvere la crisi mondiale e le contraddizioni che montavano precedentemente ad essa: il WTO, la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale sono tutti organismi in cui lo strapotere delle multinazionali è la normalità. Non possono risolvere nessun aspetto fondamentale degli squilibri del mondo, primo fra tutti il fatto che il 20% più ricco del pianeta governa oltre l'80% delle risorse mondiali.

La guerra per i mercati, sia essa commerciale, legale o militare si caratterizza come imperialismo: esso non è che il dominio delle multinazionali in modo più o meno aperto. Ci sono potenze mondiali come gli Usa, emerso come unico poliziotto planetario dopo il crollo dell'Urss, e poi vi sono potenze regionali come la Russia o la Cina, ognuna caratterizzata dai propri interessi: gli scontri commerciali che caratterizzano questa crisi e gli scontri militari sul pianeta sono la conseguenza dello stesso processo, ossia quello di controllare fette del pianeta per garantirsi mercati sufficienti. In questo modo è possibile spiegare come l'imperialismo francese, americano o russo abbia trasformato l'Africa in un enorme campo di battaglia dove vengono commesse le peggiori atrocità, oppure quale sia la natura della guerra che la Russia ha mosso alla Georgia, oppure le motivazioni della questione palestinese. Le potenze imperialiste, che sono paesi a capitalismo avanzato, utilizzano i paesi del cosiddetto “terzo mondo” come fondo gratuito per le risorse naturali e la manodopera a basso costo.

Naturalmente le guerre sono processi dettati solo in ultima analisi dai fattori economici: sarebbe sbagliato vedere la guerra in Iraq o in Afghanistan esclusivamente come una guerra per il petrolio. Si può dire in realtà che l'imperialismo americano si sia avventurato in Iraq e in Afghanistan come conseguenza politica dell'11 settembre 2001 per assicurare il proprio dominio sul Medio Oriente. Vogliono che il tallone americano sia ben calcato sulla regione: tuttavia, è sotto gli occhi di tutti come non riescano a garantire un briciolo di stabilità nemmeno a costo di centinaia di migliaia di morti e con quasi 70 mila militari sul territorio.

La guerra di classe che abbiamo descritto nel nostro paese trova un naturale riflesso su quanto avviene a livello internazionale: è tradotta nelle guerre per i mercati e nel cinismo dell'imperialismo americano. L'elezione di Obama alla Casa Bianca rappresenta un cambiamento solo superficiale: nelle elezioni americane le più importanti multinazionali statunitensi pagano la campagna elettorale dei due principali candidati allo stesso modo: una modalità per assicurarsi che chi venga eletto rispetti le volontà del “sistema”. E in effetti così è: Obama ha già annunciato che aumenterà il peso del contingente militare in Afghanistan e ha annunciato che la guerra potrebbe durare anni; allo stesso modo, nonostante i modi diplomatici e gentili, ha firmato un decreto dopo l'altro per salvare colossi storici della finanza in fallimento come Fannie Mae e Fannie Mac e Morgan Stanley: milioni e milioni di dollari dei lavoratori americani pagati per risarcire non le vittime della crisi, bensì i loro responsabili.

Il governo e i padroni italiani non rinunciano a nessuna di queste possibilità per arricchirsi. Avidi e predoni, dominano il mercato delle telecomunicazioni nei Balcani e hanno messo a disposizione le proprie truppe per garantire la vittoria dell'imperialismo americano in Iraq e Afghanistan. Lì si annidano interessi ben precisi dell'Enel e dell'Eni, le due principali aziende energetiche del nostro paese, oltre agli imprenditori legati alla cosiddetta “politica della ricostruzione”. Infatti prima guadagnano con le commesse militari e poi con quelle per la “ricostruzione”.

A pagare saranno i lavoratori, i giovani, gli anziani e le donne dei paesi colpiti: sulla loro testa e sul loro sangue viene perpetrato questo assalto. Come comunisti non possiamo tollerare che in Italia vi siano basi militari statunitensi o che l'Italia faccia parte della Nato, l'alleanza atlantica militare. Tali organismi non esistono per difendere i lavoratori italiani ma solo il diritto di annientare i diritti e la vita di altri popoli.

1) Lottiamo per il ritiro delle missioni militari all'estero: dai Balcani, dall'Iraq, dall'Afghanistan, dal Libano etc... Questi contingenti sono truppe militari pagate per assicurare il dominio delle nostre o delle altrui multinazionali. Per ogni pacco di aiuti alimentari che fanno piovere dal cielo reprimono una rivolta, uno sciopero, colpiscono la popolazione civile sotto la retorica della “guerra al terrorismo”, ne limitano i diritti o li costringono con la canna del fucile a lavorare in condizioni umilianti e disumane. Allo stesso modo lottiamo per una drastica riduzione delle spese militari, quest'anno arrivate alla cifra vergognosa di oltre 4 miliardi di euro: sono spese di offesa e non di difesa fatte in nome del profitto di destra e padroni.

2) Lottiamo contro le servitù militari e per l'uscita dalla Nato. Il governo italiano affianca i peggiori crimini militari al mondo e poi si tutela sotto uno degli strumenti militari di questi crimini: uscire dalla Nato significa lottare per la chiusura delle basi Usa e Nato nel nostro paese, tra cui la base militare Dal Molin (Vicenza), Mattarello (Gradisca d'Isonzo), Sigonella (Lentini) etc...

3) La lotta all'imperialismo può vincere solo se è lotta di classe: lottiamo contro il fondamentalismo islamico che è lo strumento degli sceicchi e delle borghesie arabe per perpetuare il proprio dominio su un'intera regione. Allo stesso modo non riconosciamo i regimi che si oppongono al dominio militare americano solo sulla base dei propri interessi come quello russo, quello cinese o quello iraniano. Solo i lavoratori possono sconfiggere i propri sfruttatori e legare questa lotta a livello internazionale: la nostra solidarietà con i popoli colpiti dall'imperialismo, sia americano sia di qualunque altra potenza, è totale e ci spinge a cercare legami internazionali con le forze sindacali e della sinistra che combattono questa oppressione.

Le ragioni della nostra lotta

Solo la lotta paga 6

Pur essendo diritti elementari, queste rivendicazioni possono sembrare utopiche. In fondo, nella mente dei giovani e dei lavoratori del nostro paese per anni si è fatta strada l'idea secondo cui studiando più in fretta si avrebbe alleviato la sofferenza e facendo più straordinari si avrebbe guadagnato un po' di più. In una società divisa in classi, una che sfrutta e una che è sfruttata, le idee dominanti sono sempre quelle della classe dominante perché essa ha a propria disposizione i mezzi materiali della stampa, della cultura, dell'ideologia.

Per anni l'idea che si potesse mettere in discussione la “sacra” idea della proprietà privata delle aziende e delle banche è stata considerata un'eresia innominabile. Il massimo organismo del capitalismo mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, ha assoggettato un intero continente, quello sudamericano, come banco da esperimento delle proprie ricette monetarie. Finché l'economia mondiale cresceva paesi come l'Argentina, l'Ecuador, il Venezuela e la Bolivia erano considerati dei veri e propri modelli da esportare: paesi che crescevano economicamente da pubblicizzare senza mostrare gli enormi costi sociali di questa crescita. Come spesso succede con i boom nel capitalismo ad un certo punto tutto questo è saltato: i lavoratori e i giovani dell'America Latina si sono svegliati da un sogno e si sono ritrovati in un incubo. Le economie sono crollate di colpo rendendo i risparmi di una vita carta straccia e da qui la rivolta contro le oligarchie corrotte che governavano la vecchia società è dilagata da un paese all'altro, cominciando con l'Argentina nel 2001. Nell'arco di pochi anni hanno messo in discussione consuetudini maturate nel corso di decenni. Ovunque i lavoratori hanno trovato gli stessi nemici: i politici corrotti, i banchieri, gli imprenditori e i militari prezzolati dall'imperialismo Usa.

Ora sull'America Latina soffia forte un vento di rivoluzione sociale. Paesi come il Venezuela nazionalizzano le aziende chiave del paese e fioriscono coordinamenti di aziende non solo occupate dai lavoratori ma anche gestiti sotto il loro controllo. Emerge nitida la realtà: un'azienda produce tranquillamente anche senza il proprio consiglio d'amministrazione. Anzi, produce di più e meglio perché sono eliminati gli sprechi di una gestione che ormai non aveva più alcun legame con la produzione ma solo mansioni finanziarie. La crisi del capitalismo ha fatto rifiorire parole d'ordine come “consigli operai” e “soviet” che sembravano essere state relegate per sempre nelle curiosità dei libri di storia. Questo processo rivoluzionario non sarà lineare e prima o poi dovrà vedere uno scontro finale tra i lavoratori e i vecchi detentori della società, ossia l'oligarchia economica e politica che non vuole mollare i propri vecchi privilegi.

La lezione che proviene da questo scontro di forze vive è che ogni rivendicazione di cui abbiamo parlato in questo opuscolo è legata all'altra. Se riuscissimo a sconfiggere il piano di privatizzazione della scuola attuato dal governo otterremmo una vittoria inestimabile, da cui trarre forza e incoraggiamento. Ma potremmo fare dei passi in avanti significativi solo cancellando le altre leggi e unendoci alla lotta dei lavoratori per migliorare le nostre condizioni una volta terminati gli studi. Allo stesso modo organizzare gli immigrati e lottare con loro per i propri diritti non porta a nessuna conquista effettiva se non leghiamo queste lotte a quelle per la gratuità dell'istruzione e la stabilità delle assunzioni. Nessuna di queste rivendicazioni può essere accettata pienamente da chi governa questa società: non ci daranno mai un reale diritto allo studio o un reale diritto al lavoro. E' necessario lottare per una società diversa.

Questa è la lotta al capitalismo. Questo sistema ha esaurito il suo potenziale storico: non è in grado di garantire nemmeno i diritti più elementari per i quali siamo costretti a imbastire una lotta feroce. La profonda instabilità della nostra società è dovuta al fatto che, in fondo, dal punto di vista storico il capitalismo è un sistema decrepito che si rifiuta di morire. Combatterà fino alla fine per mantenere il proprio dominio sulle nostre vite. Saremo in grado di assicurarci un futuro solo ricostruendo la società su basi nuove e più democratiche, dove le risorse materiali, industriali, ambientali e culturali siano controllate democraticamente dai lavoratori per il bene della maggioranza della gente e non per il profitto di una cupola di multinazionali: questa è l'essenza di una società socialista.

Questo per ora è solo l'orizzonte della lotta in Europa: solo organizzandoci e armandoci di un programma di classe potremo fare in modo che questa lotta abbia inizio.

Richiedi il documento e aiutaci a diffonderlo. Inviaci una mail a questo indirizzo:

giovani.comunisti.milano@gmail.com

LOTTA INSIEME A NOI!
Giovani Comunisti - Milano
Milano, 20 ottobre 2009
www.gcmilano.altervista.org