Dopo il pessimo risultato elettorale

Il nostro futuro

Riflessione a cura dei Giovani Comunisti brianzoli

Le recenti elezioni regionali e nazionali deludono gli sforzi che il nostro Partito, pur in condizioni difficili, ha messo in campo con generosità. Il risultato elettorale si qualifica come una bocciatura senza appello. Il Partito risulta dunque “non pervenuto” nell’ambito della rappresentanza parlamentare.

1. Noi comunisti e il Parlamento

Il non superamento della soglia di sbarramento da parte della lista Rivoluzione Civile genera un contraccolpo psicologico assai duro per molti compagni. Nonostante ciò interroghiamoci: la reale cifra del nostro insuccesso politico è realmente rappresentato dalla distanza che intercorre tra il 2,2% conseguito e il tanto agognato 4%?

Il sentimento comune che si è progressivamente rafforzato farebbe propendere per un “si” deciso.

Vi è infatti chi, all’indomani del fallimento elettorale, pone in discussione, apertamente o in maniera più velata, la ragione ad esistere di un Partito Comunista in Italia. Ciò a fronte della sua, ormai pluriennale, incapacità a far eleggere rappresentanti.

Ivi sta per noi l’errore: la rappresentanza parlamentare non può e non deve essere l’obiettivo “finale” del nostro agire. I comunisti, in tutto il mondo, non si pongono l’obiettivo di eleggere deputati e senatori. Al contrario si pongono l’obiettivo del superamento della società capitalista e la presa del potere da parte della classe lavoratrice attraverso un laborioso processo di organizzazione della stessa. Pertanto il Parlamento si qualifica come strumento, in alcune fasi utile, ma mai indispensabile per il proseguire dell’attività politica. Per noi comunisti in Italia non può essere diversamente.

Tale considerazione è utile a sgomberare il campo dalle congetture di opportunisti che, lontani dalla prospettiva della carriera istituzionale, con profondo senso di smarrimento personale, gettano scompiglio tra le nostre fila. A costoro, che talvolta vanno cercando nuovi approdi, desideriamo dire che le nostre sezioni hanno bisogno come il pane di nuovi militanti per distribuire volantini e fare attività politica sui territori.

La nostra ragione di esistere, organizzarci e lottare è invece profondamente interconnessa alla natura stessa del capitalismo e alla sua incapacità ineluttabile di rispondere alle esigenze dei lavoratori: per questo motivo non verranno mai a mancare, finchè non cambieremo regime economico e sociale, i motivi per proseguire nei nostri intenti.

2. Le nostre debolezze

Se non verranno a mancare le motivazioni genetiche del nostro esistere, altrettanto non verranno a mancare le opportunità per raccogliere consenso, il quale si rifletterà, se lavoreremo bene, nelle elezioni a venire, con buona pace di quanti comunque ad ora ne sono particolarmente sensibili.
Perchè ciò accada è però necessario concentrare le nostre energie in tre direzioni:

  1. Studiare la realtà economica e sociale che sta intorno a noi e capire in quali condizioni e con quali bisogni di cambiamento vive il salariato del ventunesimo secolo in Italia. E su tali esigenze basare l’elaborazione del nostro agire politico per un’uscita progressiva dal capitalismo. Per far ciò si rivela indispensabile una rinnovata formazione teorica del nostro corpo militante e un rinnovato processo di indagine. Il fatto stesso che il nostro Partito non abbia previsto minimamente le tendenze di opinione del corpo votante rivela la debolezza sia nelle chiavi di lettura sia nei rapporti con le masse. Altro elemento a riprova delle tesi sopra esposte è l’assenza di un programma ben definito del nostro Partito che possa essere, nei tratti fondamentali, facilmente comunicato ai lavoratori con cui ci interfacciamo; quest’ultima non è solo una debolezza comunicativa, altresì è indice di disattenzione all’elaborazione teorico-strategica.
  2. Valorizzare la nostra comunità politica massimizzando l’efficienza e l’efficacia del suo agire nei territori. Perchè gli attivisti siano messi però nelle condizioni di lavorare con profitto serve una linea politica chiara che non sia schiava di volatili tatticismi, il cui solo fine sia rimettere piedi in Parlamento. Di qui l’esigenza del programma. Altrimenti, privi di una nostra agenda politica, non potremo che alimentare il codismo a movimenti che, dall’essere egemonizzati, finiranno per egemonizzarci, costringendoci a visioni parziali e spesso distorte, allontanandoci dai nostri obiettivi.
  3. Superare le divisioni correntizie che troppo spesso hanno paralizzato l’attività politica, finendo per fungere da comitati di spartizione cencelliana degli organismi dirigenti, dopo aver perso la funzione di propulsori di un vivace dibattito interno. Gli organi collegiali devono riprendere il ruolo di spazio di riflessione ed elaborazione collettiva: per troppo tempo si sono trasformati in ratificatori di decisioni, sfortunatamente fallimentari, calate dall’alto.

3. Tattiche elettorali

La differenza tra essere comunisti ed essere settari può riscontrarsi sul piano delle alleanze. Di per sè non vi è nulla di sbagliato nel cercare sinergie con soggetti che, al par nostro, mettano in discussione il sistema capitalista. Cosa ben diversa è diventare organici a liste o aggregazioni che non si pongano l’obiettivo di superare il capitalismo stesso o che non pongano il tema del lavoro al centro del dibattito. Peraltro alleanze o accordi con settori “illuminati” della borghesia non possono che apparire sensati se non di fronte alla certezza di poter ottenere avanzamenti importanti per lavoratori e studenti: chiediamo quando ciò sia accaduto negli ultimi vent’anni.

4. Il futuro può essere nostro

A fronte pertanto dello scoramento generale vogliamo rassicurare i compagni e le compagne sul fatto che “nulla è perduto”. La nostra battaglia non si esaurisce all’interno del nostro cortile, ma coinvolge milioni e milioni di lavoratori che ogni giorno, in tutto il mondo, come noi, vincono e perdono battaglie, ma mai si arrendono.

I comunisti hanno affrontato momenti ben peggiori, stretti nella caccia all’uomo durante il ventennio fascista in Italia, così come in altre epoche e altri luoghi. Sapremo uscire da questo periodo di empasse e dare il nostro contributo alla causa della classe lavoratrice, non italiana, ma di tutto il mondo.

Peraltro l’acuirsi delle contraddizioni capitalistiche durante la crisi e la manifesta mobilità nell’opinione degli elettori disegnano un teatro in cui da subito si intravvede agibilità politica.

Buon lavoro compagni, si riparte!

Giovani Comunisti - Monza e Brianza
Monza, 20 marzo 2013