Per non cristallizzare divisioni irrimediabili e tenere aperto un processo unitario, sarebbe saggio rinviare ogni formalizzazione fondativa del "partito europeo" a dopo le elezioni

Un manifesto comune

Note sul “partito della sinistra europea”

Ho già espresso diffusamente le mie opinioni in un saggio a cui rimando il lettore interessato. Vorrei qui cercare di rispondere ad un interrogativo che viene spesso sollevato: perché la maggioranza dei partiti comunisti ha preso le distanze dal progetto in campo?

Mi riferirò, per esemplificare, alle tesi di tre dei maggiori Pc europei (greco, portoghese e ceko): partiti diversi, con un comune riferimento leninista, che insieme contano oltre 300.000 iscritti su una popolazione globale dei tre paesi di 30 milioni di abitanti, ed una bacino elettorale che varia dal 5 al 19%, a seconda del paese e del tipo di consultazione. Tre Pc di massa, con un forte radicamento sociale.

In un documento del 4.10.2003 il Cc del Pc ceko (Kscm), critica il progetto di "partito europeo" e afferma che «la istituzionalizzazione della cooperazione tra i partiti della sinistra può essere conseguita solo come il naturale approdo di una fase di unità d'azione praticata con successo. Bypassare questo stadio non potrà, allo stato attuale, contribuire ad alcuna reale unità della Sinistra europea». Nonostante alcune iniziative personali, il Kscm ha sempre confermato tale posizione e la risoluzione della direzione del 6.2.2004, dopo Berlino, si sostiene che: «i maggiori partiti dei paesi dell'Europa orientale devono essere coinvolti nel processo fondativo; vanno respinti approcci selettivi, che hanno finora dominato tale processo; tempi e modalità di fondazione non debbono compromettere l'effettiva unità del movimento comunista in Europa e pertanto questo soggetto politico non deve essere costituito prima delle elezioni europee; la sinistra europea non deve identificarsi con le istituzioni dell'Unione europea; i rappresentanti del Kscm staranno in questo processo con la funzione di osservatori attivi, e non decideranno alcun passo ulteriore senza l'approvazione del Cc».

Nella risoluzione del 20.10.2003, «il Cc del Pc portoghese esprime serie preoccupazioni per la direzione presa dal processo relativo alla creazione di un "partito politico europeo" e ai danni che tale processo può causare alla necessaria cooperazione delle forze che, nonostante alcune differenze importanti, hanno collaborato nel Gue…Il Pcp giudica negativamente la istituzionalizzazione di "partiti europei" nei Trattati della Ue… ma si sente impegnato per una soluzione unitaria del problema, basata sui partiti, che tenga conto dell'esperienza del Gue, rispetti la sovranità di ognuno e l'uguaglianza di tutti, con una struttura minima flessibile, lavorando collegialmente su basi di consenso e di rotazione delle responsabilità, con una piattaforma sintetica strettamente legata a questioni concrete di lotta. Gli sviluppi recenti di tale processo hanno fatto emergere questioni di metodo inaccettabili che contraddicono principi elementari nelle relazioni tra partiti, evidenziano discriminazioni e minano la necessaria fiducia reciproca. Sviluppi che potrebbero precipitare verso una costruzione artificiale che ignori le differenze di cui bisogna tener conto, e opti per criteri ristretti di affinità politico-ideologica che il Pcp non può condividere».

Tale risoluzione è stata inviata a tutti i partiti interessati con una lettera in cui si ribadisce «sorpresa e riprovazione per metodi che creano danni seri alla necessaria cooperazione dei comunisti e di altre forze progressiste». Nella presa di posizione ufficiale del Pcp sulla non partecipazione al "partito europeo" (Avante, 22.1.2004), si «concorda sul fatto che la situazione in Europa e nel mondo…richieda da parte dei comunisti e di tutte le forze di sinistra anticapitalistica una cooperazione più stretta e un'azione convergente», ma che «il problema consiste… nella ricerca degli strumenti più adeguati e nei contenuti». E cioè, «non nella creazione di un tradizionale "Partito politico europeo", con un profilo federalista e un'inclinazione sovranazionale», bensì nella «ricerca dell'unità d'azione su problemi specifici che toccano direttamente i lavoratori e le masse (questioni sociali, lotta contro il militarismo e la guerra, difesa della democrazia) … con riunioni ed eventi di massa che affermino i comuni propositi». Facendo sì che «tale cooperazione evolva verso forme più stabili e articolate… sempre mettendo in evidenza ciò che unisce, lasciando da parte argomenti polemici relativi all'analisi globale del capitalismo contemporaneo o a valutazioni di ordine storico o ideologico».

«Purtroppo, la diversità di posizioni tra i partiti non è stata debitamente considerata e ci sono state interferenze negative nel corso del processo, che hanno impedito quella convergenza che sarebbe stata auspicabile… e per tali ragioni il Pcp non ritiene di aderire al tipo di "partito" che ci è stato proposto».

In un documento del Cc del Kke greco (19.9.2003) si rileva che «la fondazione di un Partito della sinistra europea non aiuta la cooperazione e il coordinamento effettivo delle forze comuniste e di altre forze di sinistra radicale… Tale progetto prescinde dalle profonde differenze politiche e ideologiche - e anche dai contrasti - tra i punti di vista dei nostri partiti su temi cruciali: quale unificazione europea, quale giudizio sull'Ue; il ruolo dell'attuale Ue capitalistica nel contesto mondiale; i programmi; il tipo di società per cui lottiamo; il superamento del capitalismo e la prospettiva socialista; …la politica delle alleanze e il rapporto con la socialdemocrazia. Differenze già emerse più volte nel Gue. Ignorare questa realtà e prospettare la creazione di un partito europeo significa alimentare false illusioni e aspettative presso i lavoratori e i popoli; ferire i principi di eguaglianza, sovranità e indipendenza che devono caratterizzare le relazioni tra i nostri partiti. E ciò alla fine si ritorcerà contro tutti noi…».

Si tratta dunque - questo il tema ricorrente - di costruire non un "partito sovranazionale", di cui non esistono oggi le condizioni unitarie, ma un soggetto politico europeo, su basi continentali, che esprima un coordinamento efficace, permanente e strutturato, indipendente dalle istituzioni Ue. Un soggetto (un forum?) aperto ai partiti comunisti e di sinistra anticapitalistica di tutto il continente europeo, non solo dei Paesi dell'Ue, collegato ai movimenti sociali e di lotta, a partire dai lavoratori e al movimento contro la guerra.

Si obietta che la formula del "coordinamento " tra i partiti si è dimostrata incapace, nell'esperienza del Gue di produrre campagne di massa su scala europea. E non si comprende che l'origine di tale inefficacia, che è reale, non nasce da formule organizzative, ma da divergenze politiche che in molti casi hanno diviso il Gue. E cito l'esempio della guerra alla Jugoslavia, dove alcuni partiti, pur criticando l'intervento militare, facevano parte di governi belligeranti (Francia, Italia), altri erano all'opposizione, altri ancora erano possibilisti sull'intervento "umanitario" della Nato "contro Milosevic". C'è qualcuno disposto a credere che se tutte queste forze fossero state riunite in un "partito europeo", la paralisi dell'iniziativa comune sarebbe stata minore? Viceversa, un organismo come il Forum di San Paolo, che raggruppa oltre cento formazioni politiche, ed è coordinato a rotazione da un gruppo ristretto, ha dimostrato di saper dare impulso - quando c'è accordo politico - a campagne di massa continentali, come quella in corso contro l'Alca (il mercato unico liberista voluto dagli Usa).

Il 5° Congresso del Prc prospetta la «costruzione di un nuovo soggetto politico europeo (non si parla di un partito) per unire le forze della sinistra comunista, antagonista e alternativa su scala continentale…nelle loro diversità politiche e organizzative». In realtà, invece di unire, si moltiplicano divisioni e dissociazioni. I partiti i cui leader vogliono un congresso fondativo prima delle elezioni, contano in voti e iscritti meno del 20% della sinistra comunista e alternativa continentale. E la divisione è presente anche tra essi, in particolare sullo Statuto, ma non solo. Prc e Pcf sono divisi a metà nei loro gruppi dirigenti. Nel Prc la tesi di maggioranza è passata in Direzione con 21 voti contro 18. Nel Pcf il malessere è diffuso. E c'è un mandato congressuale che impone agli organismi dirigenti una consultazione di tutti gli iscritti prima di ogni decisione, il cui esito è incerto.

Ben più realistica, unitaria ed elettoralmente efficace parrebbe a me oggi la via di un manifesto comune per le elezioni europee, sui temi unificanti di grande impatto popolare (salari, pensioni, Stato sociale, pace) che potrebbe già oggi essere sottoscritto da quasi tutti i partiti comunisti e di sinistra alternativa dei 25 Paesi che il 13 giugno voteranno. Mentre una divisione plateale tra essi, alla vigilia delle elezioni, sulla questione del "partito europeo", avrebbe un effetto politico e di immagine negativo per tutto lo schieramento.

Si avverte una difficoltà del processo in corso, non è una forzatura il riconoscerlo. Per non cristallizzare divisioni irrimediabili e tenere aperto un processo unitario, sarebbe saggio rinviare ogni formalizzazione fondativa del "partito europeo" a dopo le elezioni. Per poi riprendere l'iter della discussione su basi unitarie e di pari dignità, bandendo veti ed esclusioni di ogni tipo: aprendo a tutte le forze comuniste e di sinistra alternativa del continente, per pervenire insieme, senza precipitazioni organizzative, a soluzioni condivise da uno schieramento assai più ampio di quello minoritario raccolto fino ad oggi.

Non credo di esagerare se dico che avrebbero potuto essere oltre sessanta i partiti coinvolti su scala continentale, se solo si fosse seguito in questo ultimo anno il metodo unitario adottato dai Verdi che, il 20-22 febbraio a Roma, hanno tenuto il congresso di fondazione del loro partito europeo: che riunisce 32 membri effettivi (più 7 osservatori) di 36 paesi di tutto il continente (Ue e non Ue), coordina l'insieme della galassia ecologista europea, vede tra i suoi membri i Verdi di Russia, Georgia, Ucraina, Romania e, come osservatori, quelli di Serbia, Albania, Slovenia, Moldavia. Forse, sul piano del metodo, si tratta di una esperienza che può insegnare qualcosa anche a noi.

Fausto Sorini (Direzione Nazionale Prc)
Bologna, 3 marzo 2004
da "Liberazione"