Fondato a Roma il nuovo Partito della Sinistra Europea

«Il Congresso di Roma, un nuovo inizio»

Fausto Bertinotti a colloquio con la direzione di "Liberazione"

All'indomani delle due giornate di Roma - nascita del Partito della Sinistra europea ed elezione unanime di Fausto Bertinotti alla sua presidenza - la direzione di Liberazione ha incontrato il neo-presidente. L'idea era quella di un'ampia intervista, per ricostruire il senso - la straordinarietà - dell'evento che abbiamo vissuto collettivamente. Ne è scaturito, piuttosto, un "trialogo", un dialogo a tre voci - modalità relativamente inedita anche dal punto di vista giornalistico - nel corso del quale sono emerse anche le specificità generazionali, e di cultura politica. Ecco di seguito la sintesi di questa discussione. (r. g.)

Curzi - Prendo le mosse da quello che ha scritto domenica l'Unità: «Lui, almeno, ha capito che il 13 giugno si vota per le europee, oltre che per battere Berlusconi», scrive Gianni Marsili. Mi ha colpito l'efficacia sintetica di questa notazione. Solo Rifondazione comunista ha avuto questa consapevolezza: senza questo salto, senza questa dimensione europea, la politica rischia di perdere senso. Abbiamo cominciato un tragitto. Sappiamo che sarà difficile e che non potrà dare risultati immediati. Ma lo abbiamo cominciato e questo, per me, è un motivo di grande soddisfazione ed anche di emozione. Mi sbaglio di molto?

Bertinotti - No che non ti sbagli. Soprattutto, non si sbaglia la tua emotività, se così possiamo dire. Ho sempre pensato che la portata di un evento politico si misura sulla sua capacità di produrre emozioni (emozioni e non mozioni, come recitava un vecchio slogan del Maggio francese). Sabato e domenica l'evento c'è stato: da molto tempo non mi trovavo di fronte ad un'emozione così condivisa - tanto da trasformarsi in commozione collettiva, nel momento, per esempio, in cui Pietro Ingrao ha fatto il suo ingresso nella nostra sala. Ecco, quel che si è prodotto è la percezione di un fatto nuovo: si sta costituendo una nuova comunità politica. Una comunità scelta da coloro che vi partecipano e che si qualifica come dimensione sovranazionale. Qui riprende forza, e si rivaluta perfino la nozione talora così logora di unità. Non perché i soggetti costituenti non abbiano, tra di loro e al loro interno, differenze e lontananze anche rilevanti. Non perché non vi siano stati o non vi siano momenti di conflitto. L'unità sta nell'atto della fondazione, nel mettersi insieme: in questo senso questo momento non è il frutto di un compromesso, ma di un affratellamento, della condivisione di un progetto.

Gagliardi - Dal punto di vista del significato politico generale dell'evento (che i giornali e in genere il sistema dell'informazione, mi pare, hanno colto molto bene), molti hanno parlato, addirittura, di un «fatto storico». Secondo me, non si tratta, nient'affatto, di un giudizio enfatico. In che cosa consiste, secondo te, la sua "storicità"?

Bertinotti - E' la prima volta, nel dopoguerra, che una sinistra anticapitalistica si aggrega per rimettere a tema l'attualità della trasformazione rivoluzionaria in occidente: qui sta l'importanza politica-politica del Congresso. Si parva licet, l'analogia che mi viene in mente è quella con il «partito nuovo» di Togliatti. Esso fu proposto come lo strumento adeguato alla fase nuova e alla nuova strategia della via italiana al socialismo. Nei primi anni del 2000 noi proponiamo la sinistra alternativa, la Sinistra europea, in una relazione comparabile tra scelta organizzata e obiettivo strategico, per poter pensare la trasformazione sulla scala necessaria, quella continentale. Naturalmente, allo stato questa è ancora solo un'intenzione politica, una dichiarazione di intenti. E tuttavia un passaggio essenziale l'abbiamo compiuto.

Curzi - Questo tuo parallelo mi conferma l'idea che, nella tua elezione a presidente del partito della Sinistra europea (S. E.) è contenuto anche un riconoscimento storico-politico: quello del comunismo italiano. Anzi, parlerei di un vero e proprio "premio" alla cultura della quale Rifondazione è erede. O no?

Gagliardi - Viceversa e simmetricamente, non si potrebbe parlare anche del rilancio di una cultura consolidata del movimento operaio e comunista, quella internazionalista? Quella che ha storicamente affidato la forza e la pregnanza rivoluzionaria del suo messaggio al teatro del mondo?

Bertinotti - Queste vostre interrogazioni stimolano una riflessione ulteriore sulla nostra identità in fieri. Il riferimento al partito nuovo, è chiaro, vale soprattutto nel metodo - anche allora, in fondo, all'interno del Pci, ci furono obiezioni molto forti... Quanto all'internazionalismo, che è un possibile riferimento corretto, siamo di fronte, però, a una differenza significativa, ovvero a un mutamento di passo che non possiamo sottovalutare. Anche nei momenti di più intensa identificazione con la scena internazionale, nel movimento operaio e comunista il centro operativo era sempre costituito dallo Stato-nazione, sia nelle lotte sia nell'iniziativa politica generale. Le quali, naturalmente, si articolavano, si espandevano, fino alla solidarietà attiva, per citare solo un esempio, nei confronti delle lotte di liberazione dal colonialismo. Ma il teatro principale restava quello nazionale. Oggi, invece, il teatro minimo operativo è l'Europa, a partire dal quale si dipanano i nessi con il mondo - l'esempio della guerra e dell'iniziativa pacifista è solo il più eclatante. E' chiaro: le nazioni e gli scenari nazionali non sono aboliti, anzi, costituiscono un arricchimento oltre che una specificazione forte della Sinistra europea. Ma il salto di qualità è ineludibile. Soprattutto perché noi individuiamo un soggetto politico nuovo che non è fine a se stesso, ma serve alla costruzione dell'Europa - anzi, le è essenziale. Nel Partito della sinistra europea, in sostanza, è contenuta un'idea di Europa (ancora, scusate, l'analogia con Togliatti: anche nel "partito nuovo" c'era un'idea di Italia), un aggancio organico alla civiltà che l'Europa incarna. L'Europa della "traduzione" di cui parla Etienne Balibar, luogo di relazione e incontro tra culture diverse. Luogo per eccellenza di contaminazione. Io credo che questa sia stata la percezione dei delegati nel momento in cui il Congresso ha raggiunto i suoi momenti topici...

Curzi - Per esempio, l'Internazionale l'abbiamo cantata cento volte, spesso in modo un po' sciatto. Domenica no: l'abbiamo cantata insieme, in tante lingue diverse, e con identica passione. Ad esempio Ingrao ha parlato con i giornalisti del nostro passato con una libertà nuova...

Bertinotti -... anche per questo, certo, si può parlare non semplicemente di un inizio promettente, ma di un salto di qualità che comunque è stato compiuto. Del resto, era nell'aria. Guardate la lista di personalità del mondo della cultura che hanno aderito o mostrato un'attenzione non occasionale: esse sono rappresentative di tutte le scuole (o quasi) di pensiero presenti nei singoli settori, dal cinema all'architettura. Guardo alla scelta di Pietro Ingrao. Spero di non apparire adulatorio se ribadisco che la sua scelta di adesione, e di presenza, è la conferma più forte - ed anzi, l'incentivo maggiore - che potevamo avere in questo nostro cimento.

Gagliardi - Non è un caso, credo, che in questa circostanza Pietro abbia scelto di parlare in termini tanto autocritici quanto "liberatori" della storia da cui proviene. Come se percepisse che ne stava cominciando un'altra, del tutto nuova ma non negatrice del passato...

Bertinotti - Esattamente: anche questo dà la misura della novità del passaggio. Così come c'è un altro elemento di controprova: la straordinarietà del lavoro compiuto dai compagni che hanno messo in piedi la "macchina" del Congresso. Sono stati disponibili come accade soltanto quando si è persuasi, motivati, e non contano le ore e i minuti di fatica che si accumulano l'uno sull'altro... Molti di loro, non a caso, si sono messi il "vestito della festa", il vestito di Rossini della celebre canzone.

Gagliardi - Eppure, anche all'interno del nostro Partito, qualcuno dice che questa è la nostra Bolognina, la liquidazione di una storia.

Bertinotti - Voglio esser provocatorio: questo Congresso è l'esatto opposto della Bolognina, anche nel senso che esso è il vero nuovo inizio. La svolta della Bolognina è stata la fine di una storia lunga e gloriosa: con la quale si è liquidato il Pci, ma soprattutto se ne è cancellata l'originalità assoluta (la giraffa, l'animale strano di cui parlava Togliatti) e si è regrediti alla "normalità" del partito genericamente progressista. A Roma, all'opposto, abbiamo compiuto il primo passo per uscire dalla sconfitta e dalla dimensione della resistenza. Quest'ultima è stata e resta la condizione necessaria per la nostra lotta - necessaria ma non sufficiente. Il Partito della sinistra europea è il primo sbocco del percorso di innovazione che abbiamo praticato in questi anni: è il nuovo inizio, appunto, di un progetto di trasformazione.

Curzi - A questo proposito, vorrei porre un problema che mi pare rilevante. Questo nuovo soggetto politico si riferisce alla sinistra, senz'altri aggettivi: esso ospita, dunque, non solo forze comuniste ma forze della sinistra alternativa che al comunismo non si richiamano. Io sono d'accordo con questa scelta. Ma vorrei che ci ragionassimo sopra.

Bertinotti - La scelta di definirsi come sinistra europea, senz'altri aggettivi, si rivela come quella giusta, sia pure in una riflessione che è soprattutto ex-post.
Essa muove prima di ogni altra cosa da un'ambizione: tornare alle sorgenti, alle radici, dell'idea stessa di sinistra e di trasformazione. Pensa alla "semplicità" di una parola d'ordine come quella della Pace, o al ritorno di rivendicazioni operaie che molto assomigliano a quelle dei primordi del movimento - l'eguaglianza, per esempio, l'idea di una nuova cittadinanza sociale, la denuncia della precarietà, l'idea di liberazione connessa al nuovo proletariato... Noi ci troviamo a vivere una condizione in qualche modo eccezionale: siamo partigiani, fino in fondo, vogliamo rappresentare più che mai una parte, quella oppressa e sfruttata, della società. Ma in questa rappresentazione e in questa radicalità, siamo, di nuovo portatori - infinitamente di più di quello che non accada in ottiche interclassiste e generiche - di un'idea universale di liberazione. Come accadeva, in realtà, nella fase nascente - il proletariato che liberando se stesso libera tutta l'umanità. Questo ritorno alle scaturigini del nostro movimento è stato determinato, naturalmente, dalla rottura che hanno operato i movimenti: perciò il Partito della Sinistra europea nasce a partire da un rapporto di interlocuzione privilegiata con loro, con il movimento per la pace, con il movimento di critica della globalizzazione neoliberista, con il movimento operaio, e i suoi nuovi conflitti sociali e di classe. In questo quadro, le identità politiche e teoriche strutturate, come quella comunista, la nostra, accettano la sfida: si immettono nel processo avviato, di cui anzi sono promotori, senza rinunciare a determinarne gli esiti, ma con l'idea che chi ha più filo da tessere, tesserà. I comunisti, insomma, non si sciolgono, né nel movimento né nella sinistra alternativa. Condividono fino in fondo un percorso, un'opportunità, una scommessa.

Gagliardi - Ma perché un processo analogo non potremmo metterlo in moto anche nella nostra "provincia italiana"?

Bertinotti - E non è quello a cui lavoriamo da anni? Anche in Italia ci piacerebbe contribuire alla costituzione di una nuova soggettività politica - la sinistra alternativa - in cui Rifondazione comunista sia presente a pieno titolo, in una prospettiva unitaria che non cancelli la nostra peculiarità e non alieni ad altri la nostra fisionomia e capacità di scelta. Non la proposta banale di una "confederazione", che sarebbe solo un "triciclo di sinistra", ovvero una pura sommatoria di soggetti. Ma l'apertura di un processo diverso, più qualitativo che quantitativo: un nuovo luogo della politica capace di attrarre consensi. Un'operazione attrattiva.

Curzi - Un'ultima questione, non certo in ordine di importanza. Mi ha colpito che la tua elezione a Presidente del Partito della sinistra europea abbia coinciso con la firma dell'accordo di Melfi. Un fatto grande, sottovalutato dai media. A parte questo, direi che questa lotta, ed anche questa conclusione, hanno un tratto straordinario: sono la prima lotta operaia europea degna di questo nome. Tu che ne pensi?

Bertinotti - Penso che tu abbia proprio ragione. E mi pare giusto concludere la nostra conversazione con questa, chiamiamola così, fortunata coincidenza. Quella di domenica è stata, ovviamente, solo un caso fortuito. Ma non è casuale che il Partito della Sinistra europea sia nato in corrispondenza piena - anche i simboli contano - con l'inaugurazione di una nuova stagione di lotte sociali. In questo senso, Melfi è la prima lotta operaia che fuoriesce dal quadro segnato, storicamente, dalla sconfitta dei 35 giorni della Fiat: è la prima lotta vincente, dopo la fine dell'era della concertazione. La quale, a sua volta, nella lunga notte degli anni '80, ha supplito a un deficit del conflitto sociale e di classe, alla sua impotenza: oggi molti di coloro che, negli anni che ci stanno alle spalle, hanno sostenuto la concertazione (penso a Pierre Carniti), avvertono che è mutata una fase. E che è proprio il tempo della riapertura di una stagione di conflitti.

Dunque, la lotta di Melfi è profondamente diversa dalle lotte dei '60 e dei '70, e dalla stessa tradizione della Fiom: nella pratica del sindacalismo italiano, anche del più avanzato, le lotte operaie erano, in un modo o nell'altro, lotte articolate. Lotte che si organizzavano per salto della scocca, autodeterminazione dei ritmi, vertenzialità diffusa, e così via. Quella di Melfi è stata invece una lotta ad oltranza: è cambiata la cultura dei suoi protagonisti, che sono operai, certo, ma agiscono, prima che come compagine lavorativa, come comunità, come popolo che si costituisce. Come rivendicazione di dignità...

Gagliardi -... come riscatto del lavoro

Bertinotti - Appunto, sì, anche qui torniamo alle radici della storia operaia. E il carattere europeo della lotta, nel senso detto, non sta proprio nel superamento delle gabbie salariali? Ancora. Perfino nei picchetti dei lavoratori si intravede una differenza e una novità: le "muraglie umane" non erano per fermare i crumiri o impedir loro di entrare in fabbrica, erano, prima di tutto, per stare insieme, per cementare la comunità in lotta. Ancora. Di fronte alle cariche della polizia, la risposta - spero di non apparire ideologico nel sottolinearlo - è stata nonviolenta, di resistenza passiva. E nessuno, in pratica, è entrato a lavorare: ecco un fatto straordinario. Infine, il ruolo enorme che la Fiom ha saputo svolgere: penso che anche questo non sia frutto del caso. La Fiom ha scelto di stare a Genova, nel movimento: ecco da dove è partita la lezione di unità e radicalità che a Melfi, alla fine, ha saputo vincere. E, alla fine, la lotta si conclude con il voto dei lavoratori: un altro "ritorno alle origini", un altro inizio di futuro. Sì, questa è davvero la prima lotta operaia di dimensioni europee.                            

Liberazione - Redazione
Roma, 11 maggio 2004
da "Liberazione"