VII Congresso di Rifondazione Comunista - Documenti

“Esci, partito, dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada” - (Majakovsky)

Documento Acerbo (Ferrero-Grassi-Mantovani)[BOZZA]

1. Questo congresso

L’impegno unitario come scelta di libertà. Il nostro congresso è carico di straordinaria responsabilità. Avviene dopo una sconfitta drammatica che ha cancellato per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana la sinistra dal Parlamento e una vittoria delle destre che si affermano con grande consenso popolare. L’indagine sulle cause della nostra sconfitta va oltre questo stesso Congresso, ma il modo in cui sapremo affrontare questa nostra discussione è decisivo, perché anche da questo dipenderà la capacità di essere adeguati alla sfida che abbiamo davanti: continuare nel percorso ancora da scrivere della rifondazione comunista, ricostruire una efficacia e un futuro per la sinistra nel nostro paese. Abbiamo bisogno di un congresso democratico, in cui la voce delle iscritte e degli iscritti conti davvero, dal circolo al congresso nazionale e in cui quella democrazia partecipativa che abbiamo indicato come uno dei nodi decisivi su cui rifondare la politica viva non solo nei dibattiti, ma nel nostro agire quotidiano, assai più di quanto non sia sin qui avvenuto. Abbiamo bisogno di un congresso aperto, in cui la sovranità piena delle donne e degli uomini che hanno scelto di appartenere a questa comunità sui destini del partito e sulle scelte da compiere, non delimiti uno spazio autosufficiente, separato dalla discussione con chi una tessera non ce l’ha, ma con noi si interroga sul futuro della sinistra nel nostro paese. Abbiamo bisogno di un congresso che superi vizi antichi: inutili lacerazioni e unanimismi esibiti; deleghe a leader carismatici e logiche di cordata che finiscono per sequestrare la pienezza del dibattito e delle scelte al corpo del partito.

La limpidezza sulle proposte in campo, su cui si è determinata la dialettica delle posizioni negli ultimi mesi deve accompagnarsi all’impegno inderogabile che assumiamo di governare unitariamente il partito, rimuovendo dal nostro agire ogni introiezione di logiche maggioritarie che hanno inquinato la nostra dialettica democratica. Non è quindi solo per una condizione di necessità, relativa alla gravità della situazione che viviamo, che abbiamo proposto un congresso che vedesse un unico documento a tesi emendabili. Questo avrebbe permesso di valorizzare il largo patrimonio unitario che tutti condividiamo, isolando i singoli punti dove si registrano dissensi. Vista l’indisponibilità dei presentatori degli altri documenti a procedere sulla strada di un unico documento a tesi emendabili, vogliamo però assumere un impegno preciso per il futuro. Ci impegnamo sin d’ora ad una gestione unitaria del partito dopo il congresso. Questa è la condizione per rilanciare rifondazione e per superare l’ingessatura in correnti che ha contraddistinto la vita interna negli ultimi anni. La non esclusione nella gestione, il suo carattere democratico e partecipato, è la condizione per il rilancio del progetto politico di rifondazione comunista.

Nel corso del Congresso non possiamo chiuderci in una discussione interna separata dalla necessità del lavoro politico, dall’ agire quotidiano necessario, qui e ora. E’ questo il primo impegno da assumere collettivamente.

C’è bisogno di costruire da subito l’iniziativa politica di opposizione al governo Berlusconi proponendo a tutta la sinistra, politica e sociale, di muoversi insieme.

La costruzione dell’opposizione sociale non aspetta il nostro congresso. Comincia da subito.

2. La profondità della sconfitta e le sue cause

Il risultato elettorale ci consegna una Italia profondamente diversa da quella che pensavamo di conoscere, caratterizzata da una vittoria netta della destra, da una inconsistenza politica del centro sinistra e dalla sconfitta verticale della sinistra.

2.1. La forza della destra.

La forza della destra è stata quella di confrontarsi apertamente con la crisi del neoliberismo e di far leva sulle paure derivanti dall’insicurezza sociale e dal consumarsi delle reti relazionali. Mentre il PD si è mostrato fermo nel sostenere il rispetto dei vincoli europei, la destra li ha criticati con grande spregiudicatezza, evocando il recupero dell’intervento dello stato, al quale riaffilare ruoli di protezione e direzione economica. Si è così accreditata come garante delle ragioni dei territori, a tutela degli interessi nazioanali e delle comunità locali. Ciò le ha consentito di recuperare consensi presso vasti settori di lavoratori dipendenti e autonomia e , nel caso della Lega Nord, presso fasce popolari e di lavoro operaio. Sul terreno dell’egemonia, la destra ha interpretato lo “spirito del tempo” dando una risposta precisa all’insicurezza e alla paura: il nemico esterno. In termini di insicurezza sociale il nemico è la Cina, la globalizzazione, l’Europa, lo stato che impone le tasse. In termini di insicurezza personale il nemico è lo straniero, lo zingaro, il diverso, chi dissente e lotta contro l’ordine sociale esistente. La destra ha riproposto la costruzione di una comunità basata sulla difesa verso l’esterno e sulla necessità di disciplinamento all’interno. Più polizia e più dazi potrebbero esserne le parole d’ordine. In questo contesto il fondamentalismo religioso e il richiamo ad una presunta “civiltà europea” sono connotati essenziali per costruire identità comunitarie (europea, nazionale o locale a seconda delle versioni) in cui riconoscersi e da difendere.

2.2. La debolezza del Partito Democratico.

La debolezza del PD a guida veltroniana è stata quella di oscillare tra l’inseguimento della destra sul suo stesso terreno in materia di politiche securitarie, nella modalità plebiscitaria di costruzione della direzione politica, nell’interclassismo e dall’altra nella proposizione di un sogno “progressista” scarsamente credibile. Una proposta da un lato subalterna e dall’altro minoritaria, capace di parlare solo ad una parte dell’Italia. La sconfitta di Rutelli a Roma ne è l’emblema. Da questo punto di vista il PD è obiettivamente dentro una crisi strategica, solo velata dalla presenza sui mezzi di comunicazione di massa. La vocazione a partito che vuole tenere insieme tutto e il contrario di tutto è spiazzata dall’azione politica che la destra agisce dentro la crisi della globalizzazione, sia sul piano degli interessi materiali che su quello valoriale, azione destinata a dividere il PD su ogni passaggio significativo. Non a caso la dirigenza veltroniana del PD punta ad un ulteriore restringimento degli spazi della rappresentanza politica, alla eliminazione di ogni concorrente a sinistra con la riforma della legge elettorale per il parlamento europeo e con il referendum del prossimo anno. Contrastare questa prospettiva di riduzione bipartitica del sistema politico italiano è dunque un punto decisivo che ci consegna come interlocutori quelle parti del PD ed altre forze politiche che si oppongono a questo progetto politico e istituzionale.

2.3. La sconfitta della Sinistra Arcobaleno.

La sconfitta della Sinistra Arcobaleno nasce dentro l’esperienza di governo. Dopo le grandi lotte di massa che hanno caratterizzato il periodo del governo Berlusconi da Genova in avanti, una parte consistente del popolo italiano ci ha votato affidandoci un cambiamento da realizzare non solo sul piano del quadro politico, ma direttamente sul piano delle proprie condizioni di vita. L’aspettativa di cambiamento è rimasta frustrata. Sui punti fondamentali della vita delle persone non siamo riusciti a realizzare il programma che avevamo concordato nell’Unione. Nel concreto svolgersi dell’esperienza di governo, la nostra gente ci ha visto come impotenti e subalterni, cioè inutili. Il risultato lo si è misurato nelle urne dove larghissima parte delle persone che ci aveva votato nel 2006 non ci ha votato ad aprile. In questo contesto la parola d’ordine della sopravvivenza della sinistra è risultata politicista, percepita come l’esigenza di autoriproduzione di un ceto politico di cui non era chiara l’utilità sul piano sociale.

2.4. Per un bilancio critico di Venezia.

Si possono rintracciare le ragioni di questa sconfitta in mille passaggi, ma il punto fondamentale è che nel congresso di Venezia abbiamo sbagliato l’analisi dei rapporti di forza esistenti. Abbiamo creduto che fosse possibile rendere permeabile la sinistra moderata alle istanze sociali quando la sinistra moderata si è invece mostrata assai permeabile alle istanze dei poteri forti. Abbiamo pensato che le forze sindacali potessero svolgere un positivo ruolo di pressione quando invece hanno svolto un ruolo di stabilizzazione del governo in diretta concorrenza con la sinistra. Abbiamo pensato che la scrittura del programma legasse ad un patto le altre forze politiche e invece queste ne hanno fatto carta straccia. Abbiamo cioè sopravvalutato la nostra capacità di incidenza sul quadro politico quando la dislocazione dei poteri reali era tutta contro di noi. Noi abbiamo fatto parte della maggioranza parlamentare e siamo stati nel governo ma il paese lo hanno governato altri, spesso nella dialettica tra sinistra moderata, opposizione e poteri forti. In questa esperienza il partito si è progressivamente ripiegato su se stesso, i circoli si sono in buona parte svuotati. La crisi del radicamento sociale deriva dalla nostra impotenza politica e dall’incapacità a darci una comprensibile direzione di marcia, in un continuo ed inconcludente cambiamento di obiettivi.

Per di più, in una fase in cui veniva a maturazione la crisi della politica a livelli mai visti, ci siamo trovati a ricoprire ruoli percepiti come totalmente interni alla «casta».

Oltre a questi elementi di fondo e decisivi, le modalità di costruzione della Sinistra Arcobaleno hanno prodotto ulteriori effetti negativi sulla costruzione della campagna elettorale. In questo contesto siamo andati alle elezioni e abbiamo perso perchè per molti qualsiasi voto è sembrato più utile del nostro: il non voto, il voto al PD in una logica frontista, addirittura il voto alle destre populiste.

Abbiamo sbagliato l’analisi di fase e ne abbiamo subito impietosamente le conseguenze.

2.5. La nuova fase caratterizzata dalla crisi della globalizzazione capitalista.

Dalla nostra sconfitta elettorale non si può uscire semplicemente riprendendo il percorso interrotto prima del governo Prodi perché la crisi nel rapporto con la nostra gente e il contemporaneo affacciarsi della crisi economica frutto della crisi della globalizzazione neoliberista ci consegnano un quadro tutto modificato. La negativa esperienza di governo e la contemporanea crisi della globalizzazione esaltano gli effetti di alcuni processi di lunga durata che già da tempo stavano venendo a maturazione:

  1. La crisi di un modello di sviluppo basato sulla presunzione di illimitatezza delle risorse. Già oggi l’accaparramento delle residue fonti energetiche è alla base di molti conflitti e nei prossimi anni lo sarà il tentativo di accaparramento delle fonti idriche. Le devastazioni territoriali prodotte dalle grandi opere ci parlano di una contraddizioni palese tra gli interessi delle popolazioni e questo modello di sviluppo. L’inquinamento, i mutamenti climatici, la scarsità delle materie prime, dell’acqua, ci parlano della fine di una fase in cui lo sviluppo del movimento operaio e della sinistra si era intrecciato allo sviluppo economico.
  2. La ripresa della corsa al riarmo (convenzionale e non convenzionale). Essa va di pari passo con l’acuirsi di una tendenza alla guerra come mezzo di risoluzione violenta delle controverse internazionali e di conflitti regionali eterodiretti sulla base delle esigenze geopolitiche ed economiche dei potenti del pianeta. Questa escalation è connessa all’indebolirsi dell’unipolarismo statunitense e alla ridefinizione dei rapporti di forza a livello mondiale all’interno della crisi della globalizzazione neoliberista.
  3. La chiusura del ciclo istituzionale nato dalla Resistenza e fondato sulla Costituzione repubblicana. Le spinte bipolari oggi riproposte come bipartitiche, la sostituzione dei partiti di massa con partiti costruiti attorno al leader, la rottura del meccanismo della rappresentanza sociale e la conseguente crisi della politica hanno radicalmente cambiato il quadro in cui si svolge l’azione politica. Anche qui il terreno politico su cui la sinistra era cresciuta nel nostro paese si presenta come nettamente cambiato di segno.
  4. La modifica radicale della composizione di classe su cui si era costruito il ciclo di lotte del 68/69: la consunzione degli elementi di unità di classe e la frantumazione dei lavoratori in un contesto di profondissime modifiche sul piano dei processi lavorativi e dei meccanismi di valorizzazione del capitale, pongono problemi inediti ai fini della costruzione del blocco sociale di riferimento.

La costruzione di una risposta alla crisi in cui versa la sinistra oggi non è possibile senza una risposta ai quesiti che nascono dalla chiusura di questi cicli storici: come si costruisce un legame tra difesa degli interessi materiali degli strati subalterni della popolazione e progetto di trasformazione in un contesto di crescita economica scarsa o nulla? Come si costruisce un nuovo sistema di partecipazione democratica nella parziale inutilizzabilità del sistema istituzionale odierno? Come si ricostruisce la coalizione del lavoro e la solidarietà di classe nel tessuto produttivo disperso, atomizzato e frantumato territorialmente?

Dalla risposta a questi quesiti e non da qualche operazione di ingegneria organizzativa dipende la possibilità di ricostruire un ruolo storico per la sinistra che altrimenti risulta completamente spiazzata. Tanto più che la forza della destra populista risiede proprio nell’aver interpretato questi processi e nell’aver individuato nella risposta al tema dell’insicurezza il punto focale della propria proposta politica. Che la risposta all’insicurezza declinata dalla destra sia al fondo fasulla e propagandista nulla toglie alla sua forza materiale nella misura in cui noi non siamo in grado di elaborare una risposta alternativa che abbia almeno pari forza evocativa e concreta efficacia. . In questo quadro avanziamo la nostra proposta politica, nella consapevolezza della sua parzialità e della necessità di agire attraverso l’inchiesta, la riflessione e la lotta per la costruzione di queste risposte.

COME USCIRE DALLA SCONFITTA

3. Il ruolo del Prc

3.1. Il rilancio politico e organizzativo del Prc.

La rifondazione comunista non ha esaurito la propria “funzione storica”. Essa continua per innovarsi, per proseguire una ricerca aperta sulle nuove forme della politica, che provi a colmare il divario tra culture e pratiche politiche, a partire dalla soggettività delle donne e dall’internità al movimento altermondialista.

La rifondazione comunista continua perché è strutturale a questo sistema la contraddizione tra capitale e lavoro, con gli esiti nefasti dello sfruttamento e della guerra, che tale contraddizione sistematicamente riproduce; continua perché solo all’interno di un movimento reale si può conoscere e trasformare lo stato di cose esistente. La rifondazione “senza aggettivo”, senza dispositivi interpretativi dell’attuale fase capitalistica, è pensiero debole, sinistra debole, un “oltre” senza orizzonte: la “rifondazione comunista” intende tematizzare e praticare il divenire oggi comunisti, non una divisa statica e dottrinaria, ma una ricerca attuata nella convinzione che il vigente sistema sociale, con le sue iniquità e la sua violenza non sia la fine della storia.

Tutti ora propongono di “ripartire da Rifondazione”: ma è manifestamente contraddittorio proporre di preservare un partito e, contemporaneamente, considerare questo partito residuale, un’entità in via di superamento. Attivare una “costituente della sinistra” significa considerare la sopravvivenza del Prc sterile e conservativa, priva di carica progettuale, meramente funzionale al traghettamento verso un altro soggetto politico. Per noi, al contrario, Rifondazione comunista rimane per l’oggi e per il domani, poiché é essenziale per lo stesso processo di ricostruzione della sinistra.

3.2. Il partito in movimento.

La fase politica inedita che affronteremo nei prossimi mesi e anni, con l’intera sinistra priva di rappresentanza parlamentare, impone di dedicare particolare cura al rafforzamento organizzativo e all’ insediamento sociale e territoriale del partito. La condizione extraparlamentare rende ancor più necessaria l’esigenza di ripensare la nostra strutturazione organizzativa e le nostre modalità di funzionamento partendo dalla valorizzazione di passioni e esperienze che vivono nella comunità dei militanti e degli iscritti al PRC.

La consapevolezza dei limiti della forma – partito e le difficoltà della fase apertasi dopo la sconfitta elettorale ci spingono a proseguire sulla strada della sperimentazione e dell’innovazione, avendo ben chiara l’idea che abbiamo bisogno di un partito radicato nella società e nei territori, capace di organizzare lotte e vertenze quanto di praticare forme di mutualismo nello spazio della quotidianità, che sia culturalmente autonomo dalle ideologie dominanti quanto aperto alla relazione con la realtà sociale e interno alle reti di movimento. Se concepiamo il partito come strumento per la costruzione di un blocco sociale della trasformazione e se constatiamo che la crisi della sinistra trova la propria radice anche e soprattutto nel progressivo distacco tra le rappresentanze istituzionali e una società sempre più frantumata diventa centrale la riflessione intorno alle forme dell’agire politico e l’accentuazione del carattere sociale del partito e più in generale della sinistra.

Ritrovare una connessione con il nostro popolo non può essere una scelta ideologica o puramente politica: deve essere primariamente una pratica. Nella crisi della politica che è anche crisi della società, il “partito sociale”, inteso come punto d’incrocio tra movimenti che si “politicizzano” e partiti che si“socializzano”, superando l’illusione dell’autosufficienza che sarebbe nociva agli uni ed agli altri è in questa fase una feconda traccia di lavoro per Rifondazione e la sinistra.

3.3. La rivoluzione delle pratiche: l’innovazione di Rifondazione comunista.

Il nostro Partito ha disatteso gli impegni collegialmente assunti con la Conferenza nazionale d’Organizzazione di Carrara. L’idea del rafforzamento del PRC e della contemporanea costruzione di un soggetto unitario e plurale, si è rapidamente involuta nell’idea di un soggetto unico nel quale il comunismo sarebbe sopravvissuto come semplice «tendenza culturale». Avere proceduto in una direzione opposta alla democratizzazione del partito indicata a Carrara è tra le ragioni degli errori compiuti negli ultimi mesi, sino alla modalità autoritaria di costituzione della Sinistra l’Arcobaleno e della formazione delle sue liste.

Oggi noi riteniamo non più differibile il tema della riforma del partito, di una sua vera e propria rigenerazione democratica, al fine di superare l’autoreferenzialità dei gruppi dirigenti, l’incapacità di costruire relazioni positive tra centro e organismi periferici, la separatezza dei gruppi istituzionali, il burocratismo, il personalismo, l’affacciarsi dentro il partito di comitati elettorali, il verticismo, la pratica di «esternalizzazione» delle decisioni dai luoghi statutariamente previsti.

Innovazione è prima di tutto superamento delle forme autoritarie, burocratiche ed escludenti – in senso proprio violente – che spesso rendono il nostro partito non accogliente, persino respingente in particolare per giovani e donne, restringendo di fatto le decisioni a chiuse oligarchie, che si riconoscono autorità e si spartiscono incarichi e potere. L’innovazione va praticata innanzitutto nelle relazioni interpersonali, nella partecipazione, nell’apertura a chi non è dentro le logiche di partito (che peraltro vanno cambiate) e che deve poter partecipare alle discussioni e alle scelte. Innovazione è aprire i nostri circoli a esperienze significative di movimento, di vertenze territoriali, di pratiche associative

Il PRC deve assumere irreversibilmente l’impegno di dare forma ad una partito bisessuato e paritario, al cui scopo non è sufficiente introdurre le regole della democrazia di genere (in primo luogo l’obbligatorietà della rappresentanza paritetica dei sessi), ma è necessaria una innovazione nelle modalità della vita democratica, per cercare soluzioni condivise alle divergenze e ai conflitti e rompere la cristallizzazione delle posizioni statiche e precostituite.

Il contributo del pensiero e della pratica politica del movimento femminista consente di alludere ad una forma partito non gerarchica, non oligarchica, non piramidale, nella quale il leaderismo e la conseguente formazione dei gruppi dirigenti per tramite di cooptazioni rispondenti a logiche di fedeltà sono definitivamente superati.

Il superamento di tali limiti, consolidati negli anni all’interno di Rifondazione Comunista chiama in causa la necessità di un recupero della «connessione sentimentale» con la vasta comunità politica di Rc e con l’intero “popolo della sinistra”. Per rompere il muro di diffidenza rappresentato dalla visione dilagante dei politici come “casta”, si rende necessaria una misura concreta di autoriforma: la fissazione di un tetto alle retribuzione di dirigenti ed eletti del partito che sia commisurato a quello dei settori sociali che intendiamo rappresentare.

Dobbiamo tornare a sperimentare il valore di una gestione collegiale e unitaria della direzione politica. Il superamento e la critica al partito novecentesco non può avvenire attraverso una liquidazione dei processi democratici. Bisogna, invece, ripensare alla costruzione condivisa del progetto politico a partire dalle esperienze territoriali. Correggendo la tendenza verso un partito “leggero” e “mediatico”, i circoli devono essere rafforzati, dotati di strumenti operativi che rendano materialmente possibile la sperimentazione di forme di organizzazione e partecipazione più efficaci e coinvolgenti. La destinazione delle risorse va decisamente riequilibrata a favore dei territori e realizzata una ristrutturazione dello schema organizzativo che consenta in aree omogenee di avere forme di coordinamento tra le varie realtà territoriali regionali.

3.4. Le ragioni della divisione.

Nel difficile contesto della sconfitta, il Congresso è caratterizzato dalla divisione del gruppo dirigente di Rifondazione comunista. Spiegare le ragioni della divisione è essenziale per comprendere le scelte che siamo chiamati ad assumere con il Congresso. Sono ragioni che nulla hanno a che vedere con l’assunzione di responsabilità per la sconfitta pesantissima che abbiamo subito che ci riguarda tutti. Sulle ragioni di questa sconfitta storica c’è da scavare, da capire, non da dividersi o da cercare capri espiatori. Tutto il gruppo dirigente della maggioranza emersa dal Congresso di Venezia, a partire da molti firmatari di questo documento, è quindi parimenti responsabile.

Il punto di conflitto ha riguardato e riguarda invece la prospettiva di scioglimento di Rifondazione Comunista in un nuovo soggetto politico. Nel corso della campagna elettorale è stata autorevolmente avanzata la proposta politica del superamento di Rifondazione Comunista all’interno di una costituente della sinistra, da fare “con chi ci sta”. Questa proposta politica è stata avanzata sui mezzi di comunicazione di massa ed ha visto la predisposizione di appelli finalizzati a questo scopo. E’ stata cioè agita da una parte del gruppo dirigente come una prospettiva politica da praticare nel concreto. Addirittura, anche dopo la sconfitta elettorale è stato proposto di accelerare nella prospettiva del processo costituente della sinistra arcobaleno. Su questo si è diviso il gruppo dirigente, sia per ragioni di metodo – poiché mai era stata discussa né decisa da alcun organismo dirigente del partito – che di merito.

Riteniamo infatti che la costituente della sinistra sia una proposta politica sbagliata.

In primo luogo questa proposta non fa i conti con la sconfitta della sinistra. Il punto su cui si è determinata la sconfitta non riguarda le forme di organizzazione della sinistra politica ma il rapporto tra la sinistra e la società. Siamo stati percepiti come non utili dai nostri referenti sociali e non siamo stati in grado di aggredire gli effetti della crisi della globalizzazione, il diffuso senso di paura e insicurezza e paura su cui le destre populiste hanno costruito un processo egemonico che le ha portate al successo elettorale. Mettere al centro i processi di riaggregazione politica della sinistra (concretamente tra PRC e Sinistra Democratica, vista l’indisponibilità di PdCI e Verdi), non ci fa fare un passo in avanti nella soluzione della crisi verticale in cui è la sinistra è precipitata nel suo rapporto con la società.

In secondo luogo la proposta della Costituente della sinistra aumenta la concorrenza interna alla sinistra stessa e questo è il contrario di ciò che serve per ripartire. Infatti, nella fase in cui la sinistra di alternativa ha funzionato meglio, a partire da Genova e nella fase successiva dell’opposizione a Berlusconi, un punto fondante era l’unitarietà del processo di costruzione di movimento che ha evitato sia spinte centrifughe e distruttive, sia gli elementi di moderatismo e di politicismo. In una situazione di sconfitta il punto dell’unità è infatti decisivo. La proposta della Costituente di sinistra inoltre apre spazi politici alla Costituente comunista, altrettanto sbagliata perché basata esclusivamente sul piano ideologico, incapace quindi di avere respiro programmatico e apertura ai movimenti, tali da incidere positivamente sulla realtà. Entrambi questi processi determinerebbero un terreno di spaccatura strutturale del movimento e metterebbero in grave difficoltà la costruzione di una sinistra e di una opposizione efficace. La realizzazione delle due costituenti rappresenterebbe la negazione del progetto politico di rifondazione comunista maturato dopo Genova.

La riproposizione dell’importanza di Rifondazione Comunista, se finalizzata alla realizzazione della Costituente della sinistra, è infine un fatto politicamente residuale e conservatore, perchè non coglie il ruolo storico del progetto di Rifondazione Comunista. Tale progetto è basato, a partire dalla rottura con lo stalinismo, sull’unità dialettica di due termini che si qualificano a vicenda: la scelta dell’innovazione radicale e la scelta di rifarsi criticamente e praticando profonde cesure, ad un filone politico qualificato dal tema della rivoluzione, intesa come superamento del modo di produzione capitalistico. Il termine comunista è sinonimo di rivoluzionario. Proprio nella fase della crisi della globalizzazione capitalistica, in cui le politiche socialdemocratiche si rivelano inefficaci, ed in cui la destra populista si presenta con un volto “rivoluzionario”, la messa in discussione delle compatibilità capitalistiche rappresenta l’unica politica efficace con cui contendere l’egemonia alla destra. La proposta della Costituente di sinistra non rappresenta quindi l’inveramento o il superamento del progetto politico di rifondazione comunista ma la sua negazione in chiave moderata: la sopravvivenza dei ceti politici nella dissoluzione del progetto politico, proprio quando questo si presenta come effettiva necessità storica e non come mera conservazione di un patrimonio.

La rinascita della sinistra non può quindi ripartire da una costituente che non risolve nessuno dei problemi che abbiamo dinnanzi, anzi li aggrava. La ricostruzione della sinistra in Italia implica invece l’attivazione di tre processi: il rilancio politico e organizzativo del progetto della Rifondazione Comunista; la costruzione della sinistra dal basso; la costruzione di una efficace opposizione al governo Berlusconi.

4. La costruzione della sinistra

La sconfitta della Sinistra Arcobaleno non ha per nulla ridotto la necessità di unire la sinistra. In primo luogo vi è una richiesta di unità, di lavoro comune che viene posta da tanti compagni e compagne, in particolare dopo la sconfitta elettorale. Questa disponibilità si fonde con la necessità di organizzare rapidamente l’opposizione al governo Berlusconi e da questa riaprire il cammino dell’alternativa. Le ragioni di fondo della necessità di unire la sinistra stanno nel fatto che oggi solo una piccola parte dei compagni e delle compagne che fanno attività politica a sinistra si riconoscono nel nostro partito. La maggioranza non appartiene ad alcun partito e fa politica in comitati, movimenti, associazioni, sindacati. Così come moltissime persone di sinistra fanno attività volontarie di aggregazione del tessuto sociale, di risposta a problemi reali delle persone, di costruzione di elementi di mutualità o solidarietà sociali che nulla hanno a che spartire con il terreno della rappresentanza politica. Questi anni – e il movimento antiglobalizzazione ne è stato un esempio – è cresciuta la crisi della rappresentanza ma sono cresciute parimenti mille forme di attività e di lavoro politico che occorre riconoscere favorendone la messa in rete. Si tratta quindi di porsi il problema di come unire la sinistra, dalle forze politiche alle associazioni ai singoli individui senza ripetere gli errori e le forzature che hanno caratterizzato la sinistra arcobaleno.

4.1. Rovesciare il processo

La sinistra arcobaleno è nata dall’alto come accordo di vertice tra quattro forze politiche, finalizzata alle elezioni, cioè assorbita dal terreno della rappresentanza politica. La sinistra arcobaleno non è stata una federazione ma un accordo di vertice tra segreterie di partito. Una federazione avrebbe chiesto regole democratiche chiare, un processo di partecipazione, il coinvolgimento non solo dei vertici dei partiti ma di tutti i soggetti interessati. Tutte cose assai diverse da quanto è avvenuto. Si tratta quindi di rovesciare la piramide, costruendo la sinistra dal basso, a partire dal sociale, in forme democratiche e partecipate, coinvolgendo iscritte/i e non. L’esproprio dell’elemento della discussione e della decisione collettiva è stata una ferita inferta alla comunità politica del partito. Una ferita resa più amara dalla mancanza di chiarezza nella proposta politica e nella discussione politica (tra il livello mediatico-informale, e la discussione nei gruppi dirigenti). Da ultimo nella riduzione del femminismo, del comunismo e dell’ecologismo a tendenze culturali si è manifestato il tratto eclettico e politicista del cosiddetto “neorevisionismo”, ossia il pensiero debole verso la Cosa rossa: la riduzione dei soggetti a “culture critiche”. Non è, dunque, il ritardo nella sua costruzione ad aver segnato la non credibilità della Sinistra Arcobaleno, bensì il metodo e le pratiche con cui è stata costruita, la mancanza di progetto e di soggetto. Una sinistra senz’anima Noi non pensiamo alla sinistra né come a un campo né come ad un microcosmo da riaggregare e tanto meno come a uno spazio politico “apertosi”, come pure è stato detto, alla sinistra del PD: pensiamo occorra ridefinire oggi il significato della sinistra a partire dalla sua utilità sociale e dal suo progetto.

Pensiamo alla rifondazione della sinistra non sulla base di formule e modelli, ma a partire da soggetti, esperienze, sperimentazioni: che proceda per approssimazioni successive, sulla base del metodo del consenso e a partire da esperienze e contenuti di lotta. E’, dunque, un processo, non un modello quello che proponiamo. Un percorso in parte sperimentato con la costruzione della Sinistra Europea, che ha rappresentato un momento di intuizione importante e di sperimentazione sulle forme della politica: superare una concezione classica del rapporto partito-movimento, mantenere come strategica la scelta dell’internità ai movimenti, unire “nella rete di reti” soggetti politici diversamente organizzati. Una esperienza non priva di limiti ma che rappresenta il precipitato di un punto di ricerca che ancora tutto davanti a noi: ossia la costruzione di processi decisionali, nella costruzione del soggetto politico, che possano coniugare democrazia e partecipazione.

4.2. Il progetto unitario

Il nostro progetto unitario è rivolto a tutti i soggetti che si schierano a sinistra e non chiede a nessuno di sciogliersi, si tratti di un comitato o di un partito. Occorre costruire una sinistra plurale non come fase di passaggio da superare verso più alte e mirabili sintesi ma come condizione fisiologica di una sinistra che vede una pluralità di pratiche, una pluralità di riferimenti ideali. Se la sconfitta che abbiamo subito riguarda principalmente la percezione dell’inutilità sociale della sinistra, dal radicamento sociale, dalla presenza sui territori deve ripartire il suo percorso di costruzione.

In primo luogo proponiamo di costruire in ogni quartiere, in ogni paese case della sinistra, spazi pubblici della sinistra in cui sia possibile socializzare i diversi elementi di inchiesta sociale, mettere in rete le diverse forme di iniziativa sociale, costruire vertenzialità territoriale, pratiche di mutualità, consulenze, spazi di socialità. Se la destra costruisce la sua egemonia sulla paura che deriva dall’insicurezza sociale vissuta come dramma individuale, le case della sinistra devono essere luoghi in cui – come ci ha insegnato don Milani - i problemi individuali possano essere affrontati collettivamente. Ricostruire i legami sociali attraverso il canale prioritario della partecipazione diretta e non della delega alla politica intesa come regno della rappresentanza. Costruzione di coalizioni, di patti d’azione, individuazione di obiettivi attraverso il metodo del consenso.

In secondo luogo proponiamo di costruire da subito una coalizione a base nazionale tra tutti i soggetti organizzati per costruire l’opposizione al governo Berlusconi. Non sfugge nessuno l’urgenza di questo percorso unitario che non può ridursi alla progettazione di una manifestazione nazionale per l’autunno.

Si tratta di un punto decisivo perché i propositi del governo Berlusconi sono chiari con un’offensiva decisa sul terreno del lavoro e delle relazioni sindacali, sull’ambiente e sulle grandi opere, sul welfare, sull’immigrazione.

In terzo luogo, a partire dalla messa in pratica dei due obiettivi sopra descritti, cioè la centralità del radicamento sociale e l’opposizione, proponiamo di costruire un processo aggregativo di tutta la sinistra. Contro i progetti di spaccare la sinistra nella Costituente della sinistra e nella Costituente comunista, proponiamo di costruire una soggettività politica basata su una rete di relazione stabili tra i diversi soggetti organizzati e su regole democratiche che garantiscano la piena partecipazione dei singoli compagni e compagne. Il PRC, senza abiure o scioglimenti, intende partecipare come soggetto collettivo alla costruzione della sinistra unitaria e plurale. Saranno pertanto le compagne e i compagni del PRC a decidere democraticamente le modalità della partecipazione a questo percorso. Infatti, al contrario di quanto accaduto nell’esperienza della Sinistra Arcobaleno, il processo unitario che proponiamo, non deve essere un accordo di vertice centralistico e antidemocratico ma aprire invece un percorso di partecipazione che sposti i poteri in basso.

Per noi, la costruzione della sinistra politica passa necessariamente di qui: dalla ricerca, dall’ascolto, dalla partecipazione, dalla costruzione collettiva di lotte e progettualità politica.

5. La costruzione dell’opposizione al governo Berlusconi- Montezemolo

Il governo Berlusconi sta agendo molto rapidamente per la realizzazione del suo programma e, data l’ampia maggioranza parlamentare di cui gode, potrà procedere speditamente a realizzare i suoi propositi di controriforma. Visto il programma con cui il PD si è presentato alle elezioni è tutt’altro che scontato che questo partito faccia una vera opposizione al governo. Decisivo è quindi costruire una opposizione sociale che sappia da subito misurarsi con la rapidità, la durezza e nello stesso tempo l’intelligenza dell’attacco. E’ infatti assai probabile che Berlusconi, lungi dal ripetere gli errori del 2001 e 2002, punti ad un coinvolgimento concertativo degli attori sociali in particolare sul tema del lavoro, potendo tra l’altro contare sulla mancata distribuzione dell’extragettito e dunque su una certa quantità di risorse utilizzabili per offrire ai lavoratori soldi in cambio della cessione di potere e diritti.

Va ricordato come la presidente di Confindustria abbia oggi individuato nell’attacco al contratto nazionale di lavoro - uno degli ultimi strumenti di regolazione universalistica dei rapporti tra capitale e lavoro - l’obiettivo padronale immediato. In questa posizione vi è una profonda assonanza con il governo Berlusconi che vuole detassare straordinari, premi e regalie aziendali proprio per sostituire il paternalismo individuale alla contrattazione collettiva. La stessa proposta di reintrodurre le gabbie salariali va nella direzione di smontaggio del contratto nazionale di lavoro. Dopo la cancellazione della sinistra dal parlamento, governo e Confindustria vogliono far scomparire il movimento dei lavoratori, con una innovazione che ci riporterebbe all’ ‘800. A nessuno può sfuggire come questa offensiva trovi assonanze anche all’interno della CGIL: contestualmente all’attacco nei confronti della sinistra politica, è partito l’attacco alla sinistra sindacale e alla Fiom.

Con l’accettazione del documento sulla riforma della contrattazione, la maggioranza della CGIL, vuole aprire un nuovo capitolo della rappresentanza sociale connotato dall’interclassismo sindacale. Questa scelta cambia il modello di sindacato generale, rivendicativo, conflittuale e di classe che ha contribuito all’emancipazione dei lavoratori e ha diffuso con le lotte sindacali la conquista dei diritti nel mondo del lavoro. L’attacco di Berlusconi ovviamente non sarà rivolto solo al mondo del lavoro. Le grandi opere – dalla Tav al ponte sullo stretto ai rigassificatori - saranno un cavallo di battaglia motivato in nome di un colbertismo anticiclico. L’attacco al welfare - con la riduzione dei servizi pubblici, la costruzione di un mercato dei servizi e il rilancio deciso della sussidiarietà - costituirà un ulteriore pilastro di questa offensiva, intrecciato all’attacco dei diritti delle donne. Le stesse misure proposte in materia di immigrazione cercheranno sicuramente il consenso popolare in una logica securitaria, di guerra tra i poveri. In questo contesto, anche alla luce dell’omicidio squadrista di Verona, è necessario far crescere l’iniziativa antifascista rivolta soprattutto ai giovani.

Inoltre, non mancherà di farsi strada il progetto complessivo di revisione costituzionale, largamente condiviso tra PD e centro destra, all’insegna di logiche autoritarie e oligarchiche e della volontà di costituzionalizzare (attraverso il federalismo fiscale) i divari di ricchezza e di sviluppo tra le varie aree del paese. Occorrerà dunque riattivare i luoghi del conflitto e provare a organizzare una controffensiva sociale, anche con l’individuazione dello spazio europeo come terreno indispensabile per dare efficacia alla nostra azione. E si dovrà tenere viva la connessione tra i contenuti sociali e la mobilitazione per politiche di pace e in solidarietà con i popoli minacciati o direttamente aggrediti (a cominciare da Palestina, Cuba e Venezuela). In ogni caso, la costruzione dell’opposizione non sarà una operazione semplice o automatica; non basterà dire di no, ma sarà necessario costruire piattaforme che riconnettano senza scorciatoie i nessi della frantumazione sociale.

Questo vale in particolare per il Sud, ove occorre un progetto che abbia l’ambizione di forzare i vincoli di una storica dipendenza economica, sconfiggendo parimenti le politiche liberiste che puntano alla riduzione dei trasferimenti verso le regioni e gli enti locali. Per questa via è possibile intaccare una realtà sociale in cui persistono ed anzi si accentuano la presenza e il peso della malavita organizzata. Un Mezzogiorno che restasse confinato nel suo destino storico di area di consumo, di manodopera precaria e a basso costo cui sono riservati i segmenti poveri e nocivi della produzione, non potrebbe mai trovare gli anticorpi materiali necessari per contrastare in radice il potere criminale.

6. I soggetti e le culture della trasformazione per l’alternativa di società

Dobbiamo confrontarci col nostro deficit di conoscenza e di analisi critica delle nuove forme del dominio, con la dilatazione tendenzialmente totalitaria del capitalismo del nostro tempo, con l’inedito processo di passivizzazione che attraversa la nostra società. La costruzione della sinistra sociale e politica pone allora il problema della soggettivazione: rinvia alla possibilità di costruire processi di liberazione dalla colonizzazione sempre più pervasiva dei corpi e delle menti. La vittoria delle destre, è stata, infatti, prima ancora che elettorale, culturale: una gigantesca “rivoluzione passiva” basata sull’ideologia della sicurezza come risposta immediata all’insicurezza sociale. E’ questa la risposta del neoliberismo alla sua crisi: una risposta egemonica, divenuta senso comune. Per contrastare l’egemonia della destra, l’alternativa di società, la capacità di ricostruire relazioni e soggettività, rimane l’orizzonte della nostra possibile risposta, nel rapporto con i movimenti. La nostra inchiesta si svolge, dunque, in primo luogo nella relazioni con i soggetti dell’alternativa. Ripartire dalla alternativa di società non significa, dunque, semplicisticamente, ritornare o rifugiarsi nel sociale o “andare ai territori”. Significa tornare a fare società, reimmaginare una politica dei nessi, tra vertenze territoriali, esperienze locali, contenuti di lotta, progetto politico, speranze. Pensare e praticare la nostra rivoluzione molecolare, qui ed ora. Come ci ha insegnato il movimento delle donne, la costruzione del soggetto politico non può non essere un processo di liberazione dei corpi e delle menti. Dobbiamo allora interrogarci sul rapporto tra libertà e liberazione, uguaglianza e differenza, volontà e desiderio.

L’internità al movimento:

La risposta alla sconfitta deve ripartire dalla scelta strategica dell’internità al movimento altermondialista, che ha affermato, ad esempio, la propria efficacia nell’impedire che per quattro sessioni negoziali del WTO le multinazionali potessero ottenere una generalizzata immissione nel mercato dell’acqua, della sanità e dell’istruzione, le cui lotte ed elaborazione sono all’origine di quella primavera latinoamericana. Il subcontinente che per primo ha sperimentato e messo in atto le teorie neoliberiste e monetariste e in cui l’opposizione al neoliberismo, ha visto nascere movimenti come quello zapatista, indigenista e bolivariano, che oggi costituiscono una speranza di emancipazione non solo per i rispettivi paesi, ma per riaprire la prospettiva di un socialismo del XXI secolo, segnato dalla democrazia partecipativa e dalla pluralità di modalità con cui si sta costruendo. La costruzione della mobilitazione contro il G8 alla Maddalena, è, per noi un impegno fondamentale e nella costruzione all’opposizione al governo Berlusconi e nell’ottica dell’internità al movimento antiglobalizzazione.

Il conflitto capitale lavoro:

I problemi e le lotte del lavoro costituiscono uno dei terreni cruciali per la ricomposizione di un nuovo movimento operaio. Intendiamo con ciò riferirci non solo ai problemi del salario (considerate anche le prestazioni dello Stato sociale) e della copertura pensionistica; e alla tutela dei diritti e delle condizioni di sicurezza contro malattie e infortuni. Ma anche al tema politico della (ri)costruzione della soggettività del lavoro come protagonista sulla scena sociale democratica. Di fronte al drammatico impoverimento delle classi lavoratrici e allo sfondamento capitalistico sul campo dei diritti e delle tutele occorre rimettere in comunicazione tutti gli attori del conflitto di classe, a cominciare dalle organizzazioni sindacali. Occorre porsi al servizio delle lotte delle lavoratrici e dei lavoratori per un salario adeguato e contro l’abbattimento dello Stato sociale, contro la precarietà (le leggi Treu e 30) e la vergogna delle pensioni da fame, contro lo smantellamento del contratto nazionale e a difesa della salute e della sicurezza sul lavoro. Un compito primario è ricostruire la cultura del conflitto e restituire a chi lavora la consapevolezza dell’essere classe, quindi controparte del capitale. La ricomposizione della soggettività del conflitto chiama in causa quella vera e propria “mutazione antropologica”, la frammentazione determinata dai processi di precarizzazione del lavoro e delle vite: di qui la necessità ridefinire il nesso lavoro-non lavoro, tempo di lavoro, tempo di produzione, tempo di vita. Si tratta più in generale, di analizzare la capacita del capitale di mettere a valore ogni facoltà umana: è questo il tratto distintivo del precariato cognitivo così come dei processi di femminilizzazione del lavoro.

Il movimento per la pace:

Sostenere le lotte dei popoli per il proprio diritto all’autodeterminazione, significa riprendere il cammino per la fine di ogni colonialismo, sia nelle forme militari dove è ancora presente, sia in quelle della nuova dipendenza economica. In questo contesto, l’Europa rimane divisa e subalterna all’amministrazione Bush, come nel riconoscimento del Kosovo, o in Italia, con la costruzione della base di Vicenza. Rifondazione comunista deve reinvestire nel movimento per la pace e per il disarmo, sostenere la battaglia per un’Europa libera dalla Nato e per il disarmo su scala globale. A fronte dell’allargarsi dei conflitti e della guerra come elemento costitutivo della crisi della globalizzazione, la lotta per la pace e l’opposizione alla guerra sono indissolubilmente legate a quella per un’alternativa al neoliberismo, alla ricostruzione di una sinistra di classe, di un punto di vista internazionalista sul mondo.

La sinistra in Europa:

Partiti e movimenti di sinistra alternativa registrano successi e crescite. E’ il caso della Germania, dell’Olanda, della Grecia e di Cipro. Sono casi differenti ma che hanno negli anni proposto un profilo radicalmente alternativo a quello delle socialdemocrazie, e in contrasto ai sistemi bipartitici di fatto dominanti in quei paesi. Al contempo, la Sinistra europea ha rappresentato, in Italia, un momento di sperimentazione sulle forme della politica: superare una concezione classica del rapporto partito-movimento, mantere come strategica la scelta dell’internità ai movimenti, unire “nella rete di reti” soggetti politici diversamente organizzati. Una esperienza non priva di limiti, in primo luogo l’eccessiva internità alle dinamiche dei gruppi dirigenti, ma che rappresenta il precipitato di un punto di ricerca che ancora tutto davanti a noi: la costruzione di processi decisionali, nella costruzione del soggetto politico, che possano coniugare democrazia e partecipazione

La soggettività politica femminista:

l movimento delle donne ha rimesso al centro della politica nodi “tradizionalmente impolitici” quali il rapporto tra i sessi, il rapporto tra personale e politico, il rapporto tra corpo e legge. La critica femminista ha messo a tema la critica all’ordine patriarcale vero e proprio sistema proprietario e colonizzatore, fondatore di un tempo e di uno spazio di violenza non solo interpersonale ma anche sociale e simbolico: ha svelato, dunque, la falsa neutralità del maschile e posto il tema della fondazione della politica sulla rimozione di uno dei due generi. Siamo oggi di fronte di fronte ad una vera e propria reazione culturale che si misura ancora una volta sul corpo delle donne. Una nuova generazione politica femminista, nella fertile relazione col movimento LGBTQ, è uscita dal silenzio: ha posto alla sinistra il tema della sua rifondazione a partire dal nodo dell’autodeterminazione, della difesa della legge 194, della abrogazione della legge 40, dalla critica al familismo, dei diritti civili della violenza maschile sul corpo delle donne, con la straordinaria manifestazione del 24 novembre. Nodi considerati “eticamente” sensibili, ma ,per noi, pienamente politici.

Migranti:

Il punto da cui partire è la presenza stabile di quattro milioni di uomini e donne migranti all’interno dell’economia e della società italiana. L’ideologia che giustifica i meccanismi di esclusione è un composto in cui si mescolano vecchie e nuove forme identitarie, la concorrenza fra strati sociali impoveriti, la frammentazione delle relazioni, l’insorgere di una condizione perenne di paura che fa dell’immigrato il capro espiatorio su cui scaricare tensioni. Occorre operare su più fronti, intervenendo nella società e nelle istituzioni per concrete politiche che aggrediscano questo razzismo in quanto strumento di sfruttamento materiale. Vanno combattute le limitazioni alla libera circolazione delle persone, l’inscindibilità fra contratto di lavoro e permesso di soggiorno, ogni forma di detenzione amministrativa. La percezione degli “stranieri” come causa di insicurezza sociale, va combattuta svuotando i bacini di marginalità, collaborando per la realizzazione di forme di mutuo solidarismo. Un lavoro di lungo respiro da fare “con” le/i migranti che devono trovare spazi di agibilità politica più stabili.

Le nuove generazioni:

Una generazione nichilista, frammentata dalla precarietà, attirata, come dimostra una prima analisi del voto, dalla immediata risposta delle destre alla propria insicurezza. Potrebbe essere questa una fotografia della condizione giovanile oggi. Una fotografia che non racconta però, dei nuovi processi di soggettivazione precaria che danno, ogni anno vita, ad esempio all’Euromayday, della lotta per riprendersi spazi nelle metropoli e nelle periferie urbane, per liberare la conoscenza come bene comune nella scuola-univeristà azienda, della capacità di sottrarsi quotidianamente alla logica della competizione per dare vita ed esperienze associative e cooperative. “Il nostro tempo è qui e comincia adesso”: liberare il futuro di questa generazione è la scommessa della sinistra.

La nonviolenza:

Noi vogliamo contribuire a costruire e a far vivere una idea della nonviolenza come teoria e pratica di lotta, cioè come forma attuale di costruzione dell’egemonia, come critica dei rapporti violenti di potere tra le persone, lontana, dunque, dalla versione di assoluto metafisico o, peggio ancora, di metro eurocentrico con il quale giudicare il mondo o rileggere il passato. La nonviolenza è per noi la forma intrinseca dei processi di trasformazione della società, disobbedienza dinanzi al potere di classe e al patriarcato, rifiuto della guerra e delle pratiche terroristiche di annientamento di sé per uccidere l’altro.

La critica allo sviluppismo:

La violenza del capitale è alla radice della crisi ambientale. Ciò è vero soprattutto se si cumulano gli effetti crudeli e smascherati del vecchio capitale a quelli più intrusivi e raffinati del capitale nella fase della globalizzazione dei mercati. L’acqua, la terra, l’aria, l’energia- e non più solo la fatica e l’intelligenza dell’uomodiventano così le basi organiche del nuovo capitalismo. Essi entrano in un processo totale di nuove “recinzioni” che trasformano i beni comuni dell’umanità e della vita in merci, in profitti privati, addirittura in usi privati. Il modello che ne scaturisce, basato sulla pretesa di uno sviluppo illimitato e proteso simmetricamente allo sfruttamento dell’umanità e al saccheggio della natura è ancora più crudele. Nella prospettiva della rielaborazione di un pensiero anticapitalista, l’ecologia politica diviene allora una cultura critica fondativa, una prospettiva radicale di cambiamento del sistema: un modello economico, etico e politico del tutto alternativo.

Laicità:

La laicità per noi non è un contenuto da difendere, o un insiemi di valori. E’ lo spazio della politica, in cui i soggetti si autodeterminano e liberano. La politica delega al papa e alla Chiesa cattolica il terreno dell’etica, immiserendosi in una visione ridotta alla gestione dell’esistente. Occorre porre fine a questa deriva reazionaria: costruire un’etica pubblica libera dal potere del sacro, spezzare la sovrapposizione tra religione e norma. Una rigorosa difesa della laicità, dunque, non solo come lotta all’invadenza della Chiesa cattolica nella vita pubblica e privata di donne e uomini, ma anche come difesa delle libertà personali.

La rifondazione continua, allora, in primo luogo riprendendo quella ricerca sulla innovazione della propria cultura politica costitutiva della sua soggettività. Una ricerca che si è costruita, non nella sommatoria di culture critiche, ma nella relazione e nel riconoscimento di altre soggettività. Uscendo da sé, senza perdersi. Dunque, l’innovazione non è per noi un patrimonio da “preservare” o contendersi, nella dialettica interna, ma l’asse lungo cui pensiamo che la ricerca della rifondazione comunista possa essere utile, nella sua relazione con le altre soggettività, alla lettura degli attuali processi di globalizzazione. Si tratta non solo di elaborare una lettura complessiva delle contraddizioni del presente: la scommessa che abbiamo di fronte è quella della ricomposizione delle soggettività del conflitto, della costruzione di un nuovo movimento operaio.

Imma Barbarossa, Roberta Fantozzi, Loredana Fraleone, Fabio Amato, Ugo Boghetta, Bianca Bracci Torsi, Stefania Brai, Alberto Burgio, Maria Campese, Giovanna Capelli, Guido Cappelloni, Carlo Cartocci, Bruno Casati, Aurelio Crippa, Paolo Ferrero, Eleonora Forenza, Claudio Grassi, Ramon Mantovani, Laura Marchetti, Citto Maselli, Giovanni Russo Spena, Bruno Steri, Luigi Vinci
Roma, 11 maggio 2008