VII Congresso di Rifondazione Comunista - Documenti

Un congresso di discussione e confronto Avviare la ricerca e la sperimentazione di nuove pratiche politiche e sociali

Documento De Cesaris (Russo-Stramaccioni)[BOZZA]

La proposta politica

1. Disarmiamoci : liberi, pacifici/che al congresso

Ci serve un congresso di discontinuità. Un congresso di routine, la cui unica finalità, dopo la sconfitta elettorale, sia nella gara a chi conquista la segreteria, è destinato ad accentuare fino alla sfinimento tutte le dinamiche negative che hanno colpito Rifondazione comunista e messo nell’angolo la sinistra.

Discontinuità nel modo di fare i conti con la dura realtà che le elezioni ci hanno consegnato con la forza di uno schiaffo ; discontinuità con le pratiche politiche, fino a oggi per lo più oligarchiche e auto-referenziali che ci accomunano al resto del mondo politico ; discontinuità nella formazione dei gruppi dirigenti e nelle modalità di funzionamento dei medesimi : è questo che ci serve, un congresso di netta e radicale discontinuità. Questa scelta deve riprendere, rafforzare ed estendere quel processo di rinnovamento del pensiero e delle pratiche che ha segnato positivamente la storia di RC e che ha conosciuto una parabola discendente negli ultimi anni, nella stagione cioè in cui hanno avuto la meglio il primato ‘governamentale’ e la tentazione di risolvere in termini di tatticismi e di alleanze tra ceti politici la sfida della costruzione di una nuova sinistra.

Il congresso di Venezia e la conferenza di Carrara avevano posto al centro del nostro dibattito e del confronto di RC col resto della sinistra temi dirimenti ed essenziali per mantenere in piedi, in questa epoca storica attraversata da inedite e spesso ancora inesprimibili contraddizioni, la scommessa di un pensiero critico e di un agire politico di sinistra. La ridefinizione del rapporto con i movimenti e la critica femminista dell’intreccio tra nuovi patriarcalismi e globalizzazione capitalista, la nonviolenza come critica del potere e dei poteri, la critica della forma partito, a partire dalle separatezze e presunzioni che contraddistinguono in maniera crescente i comportamenti dei gruppi dirigenti, e la ricerca di nuove modalità dell’azione politica, di nuovi spazi pubblici, di sovranità democratica popolare.

Tutto ciò si è perso ed è stato contraddetto nella frenesia politicista che ha permeato la nostra azione nella ricerca di alleanze e di equilibri di governo. Questa azione, così negativa, è diventata sovradeterminante nella stessa pur necessaria ricerca dei modi e delle strade per avviare il processo costituente di una nuova sinistra. L’illusione di rendere permeabile l’Unione e il governo Prodi alle istanze dei movimenti si è trasformata nella realpolitik accettando il compromesso su tutto, compreso le esperienze di movimento straordinariamente avanzate come quelle del “No Dal Molin”.

Ripartire da dove ci siamo fermati e garantire il rilancio autentico di quel contesto innovativo : questo è congresso che ci serve.

Dopo una sconfitta di dimensioni inedite e inattese avremmo dovuto chiuderci in un ‘silenzio zapatista’ necessario ad avviare una riflessione profonda, non rinchiusa nelle nostre anguste stanze, in grado di proporre una via d’uscita unitaria indispensabile per un rafforzamento di Rifondazione senza il quale ogni processo a sinistra rischia di ridursi a una realtà depauperata. Non si può chiedere a nessuno/a solo di schierarsi, è tempo di assunzione di responsabilità di tutti/e dopo aver discusso ed esserci confrontati su analisi, riflessioni, proposte.

Abbiamo subito una sconfitta drammatica. Non serve minimizzarne la portata storica. Dobbiamo indagare i nostri errori. Occorre aprire la discussione andando oltre i confini di RC, assumendoci una responsabilità collettiva, partendo da chi ha rivestito ruoli dirigenti politici e istituzionali.

Ci serve un congresso di ‘avvicinamento’. La precipitazione del dibattito congressuale è necessaria ma non sufficiente. La nostra proposta è di istruire una discussione di più lungo periodo, un dibattito liberato dalla costrizione di schieramento.

Per questo motivo, avanziamo una proposta : il dibattito del congresso di luglio sia considerato come la prima fase di un percorso, come l’apertura di un confronto che si rivolge anche all’esterno del partito. Un congresso di avvicinamento e di esplorazione dei difficili problemi dinnanzi a noi. Un congresso che riconosca perciò la nostra inadeguatezza a leggere fino in fondo la società e i mutamenti che la hanno attraversato e perciò non pretende di dare risposte e proposte definitive.

Per disarmare il dibattito interno, assumiamo un impegno : nel congresso di luglio non si elegga il/la segretario/a del partito e si abbia una gestione collegiale, che chiami alla direzione e alla gestione soprattutto gli/le esponenti delle realtà territoriali di partito, senza seguire criteri di rappresentanza per componenti cristallizzate. Analoghe gestioni unitarie vengano sperimentate nei circoli, nelle federazioni, nei regionali, a partire dal riconoscimento comune della non-autosufficienza di tutte le parti in campo.

La mobilitazione sociale sarà fondamentale come l’opposizione alle destre nei territori e sulle politiche generali. Sul tema di fondo della sinistra e del carattere del processo unitario fermiamoci a riflettere, continuando una discussione approfondita tra di noi ma anche e soprattutto con chi è fuori del partito e fuori dai partiti. Ripartiamo dall’impegno collettivo per salvaguardare il patrimonio di RC, la sua cultura, curando la sua esistenza necessaria per un progetto di costruzione di una sinistra plurale. Una sinistra che non può e non deve nascere dall’alto, da operazioni di ‘ingegneria politica’, Non dunque una Costituente della Sinistra ma un’opposizione - sociale e politica - costituente di un processo di rifondazione della sinistra.

2. Indagare le sue cause della sconfitta

La scomparsa della sinistra dal parlamento italiano è un passaggio epocale che segna un vero e proprio spartiacque dopo il quale o si ha la capacità di mettersi radicalmente in discussione oppure ci si condanna al definitivo declino. Non si può però leggere la sconfitta con lenti che guardano solo allo Stato nazionale. Le sue cause di fondo rimandano a una analisi della globalizzazione neoliberista e di quella che abbiamo chiamato ‘rivoluzione restauratrice’. È un vento gelido che soffia verso destra, che inclina e cambia valori, coscienze, intelligenze in Europa e nel mondo intero − le elezioni britanniche ne sono l’ennesimo tassello. Un vento che spira attraverso guerre che non accennano a trovare vie d’uscita, che spingono il mondo intero sull’orlo dello scontro di civiltà, attraverso i cambiamenti climatici e i disastri ambientali, nello spettro della recessione globale, nella crisi dei mutui subprime e nell’impennata dei prezzi dei generi alimentari : non esiste più nessuna certezza sul futuro. La paura è divenuta la vera cifra del nostro tempo : la paura dell’altro, la paura del futuro, il panico che disarticola il linguaggio e l’immaginazione. Noi siamo stati sconfitti da classi dominanti che hanno offerto a questa diffusa insicurezza, da essi stessi prodotta, lo sbocco della contrapposizione all’altro come nemico, con un processo di costruzione di identità nel mito della guerra di civiltà, dell’opposizione al ‘diverso’, in cui violenza e sopraffazione divengono spesso strumento principe per riacquistare l’identità perduta.

Ha scritto l’esecutivo dei/delle giovani comunisti/e che « il paese scopre che molti degli operai sindacalizzati del nord hanno votato per la Lega : è lo stesso paese che li ha ignorati quando con la cieca politica economica del governo Prodi ogni redistribuzione è stata negata, ogni possibilità di politiche d’alternativa cancellata a priori ». Per questo si è prodotta « la chiusura nella dimensione territoriale, la scorciatoia della competizione violenta contro ogni diversità, il giustizialismo, la sfiducia nella politica come motore del cambiamento ».

Il risultato tanto paradossale quanto reale è che RC e la sinistra sono apparsi come difensori dello status quo, conservatori ; le classi dirigenti invece come portatrici del cambiamento.

Il populismo, è, nei suoi variegati sensi, il linguaggio con cui le destre parlano della e alla sofferenza e solitudine, del e al profondo ‘disagio di civiltà’ delle persone.

Dobbiamo indagarlo a fondo. Esso si esprime nel capo carismatico, nel padre benevole o nell’uomo di successo, personificati volta a volta in Italia da Berlusconi ; si manifesta nell’antipolitica di Grillo e nel giustizialismo di Di Pietro ; in Veltroni si celebra nel rapporto diretto del ‘leader buono’ legittimato dal popolo con primarie costruite con i media. Il populismo è facilitato anche dalla sconfitta di RC, che con le sue battaglie per la democrazia rappresentativa è fra gli argini alle derive plebiscitarie Dobbiamo rispondere ai fenomeni di protesta, dando di nuovo senso alla politica come ricerca di soluzioni collettive a problemi collettivi : la critica della politica come potere, intrapresa a Venezia, è una base per superare la separatezza tra politica e società.

3. I nostri errori : il governo, il PD.

Il governo ha assunto per RC il carattere della sfida, mai quello della certezza. La sfida era nel cambiamento, che non è avvenuto : la sfida è stata persa. La permeabilità del governo ai movimenti si è dimostrata illusoria pur essendo il paese attraversato da importanti mobilitazioni − si pensi al Pride, alla manifestazione contro la nuova base di Vicenza, al grande corteo di Roma del 20 ottobre. Esse si sono infrante contro il muro del governo, in cui noi non siamo stati in grado di aprire la benché minima breccia, ma che al contrario ha prodotto dentro il partito processi involutivi che hanno messo a repentaglio dieci anni di innovazione politica e culturale.

Dobbiamo indagare anche le ragioni di questa impermeabilità alla luce dei processi di globalizzazione che svuotano le istituzioni nazionali della sovranità riducendo la politica a tecnica di governance. Dobbiamo allo stesso tempo interrogarci sull’autonomia dei movimenti e sul perché del loro ciclo discendente.

Dobbiamo guardare al mutamento del quadro politico del nostro paese cercando di comprendere a fondo i caratteri di discontinuità che il PD tenta di immettervi. Il tracollo e la scomparsa della sinistra sono necessari al progetto di costruzione di un bipartitismo di cui sono elementi fondanti l’eliminazione del conflitto dalla politica, la sterilizzazione delle sue espressioni dirette a partire dal sindacato, l’equidistanza tra lavoro e impresa.

Dalla sconfitta elettorale del PD, Veltroni non fa discendere proposte per articolare le ragioni di una alleanza di governo nazionale con la sinistra, anzi la esclude. Non si può riproporre lo schema-base dell’Unione, il bipolarismo invece del bipartitismo : il bipolarismo è stato già sperimentato con Prodi − ha squassato la sinistra. Il bipolarismo è morto. La formazione del PD, e le sue scelte elettorali bipartitiche manifestano una tendenza di fondo, la rottura con la sinistra : la scelta strategica è la competizione al centro come unico spazio della sua politica

È sbagliato pensare che si possa riproporre in forme rinnovate la stagione del centro-sinistra : il PD chiude un ciclo, quello del centro-sinistra e ne apre un altro, quello del centrismo dove far vivere solo la competizione con il PdL.

4. Rifondazione, l’Arcobaleno e la sinistra d’alternativa

Si parla ora di ‘costituente della sinistra’ : il processo costituente andava aperto nel 2003, a ridosso di Genova 2001 e dell’insorgenza del movimento no global, delle grandi manifestazioni pacifiste e del referendum sull’articolo 18. Fu commesso da tutti/e noi un gravissimo errore

Della Sinistra/l’Arcobaleno, oltre ai vizi verticistici, di mediazione fra gruppi dirigenti, va messa in luce la contraddizione di fondo : per alcune forze, il tema del governo era ed è irrinunciabile, tale da costituire elemento di identità ; per noi, al contrario, la critica del potere e del governo come fine è un tratto irrinunciabile della riflessione e dell’innovazione prodotta dalla rottura costituente del 1998 fino al congresso di Venezia. È stato anche a causa del percorso intrapreso con Sinistra Democratica, Verdi e Pdci che non abbiamo mai portato alle conseguenze necessarie il confronto con il governo (nonostante per ben due volte avessimo deliberato una consultazione di popolo per decidere cosa fare sul tema).

Il nostro errore è stato di politicismo, avendo collocato al primo posto la fedeltà al governo e alla maggioranza a scapito del rapporto con i movimenti. Il contrario di quanto facemmo nel 1998. Tra la coerenza al ‘popolo del 20 ottobre’ e quella al ‘quadro politico’, questa volta abbiamo scelto la seconda.

Non abbiamo inoltre per tempo preso atto che il governo non era permeabile da parte dei movimenti : veniva con ciò a cadere una delle scelte qualificanti del Congresso di Venezia, dove avevamo sviluppato l’idea di critica al potere come elemento fondante dell’autonomia dei movimenti e del partito dal governo e dal quadro politico, principio proclamato e mai praticato.

Per questo è sbagliata la proposta sia dell’unità dei comunisti sia del processo costituente della sinistra o, peggio ancora, di una federazione, prospettive autoreferenziali e di fatto rivolte a ceti dirigenti. Esse eludono le due questioni di fondo : il rapporto di ‘internità’ con i movimenti e l’autonomia dal governo e dal quadro delle alleanze politiche. Ambedue sono solo interessate a definire soggetti identitari, pertanto incapaci di alimentare un processo di costruzione della sinistra dal basso. Non vogliamo definire un soggetto, bensì un processo che non può che nascere dalla materialità dei conflitti che si svilupperanno nella società all’opposizione al governo Berlusconi. Perciò crediamo sia inutile oggi inchiodare la discussione al contenitore, si tratta al contrario di gettarsi in un processo di cui è chiaro il punto di partenza ma non è predeterminato l’esito.

Linee di ricerca e di azione politiche

5. La globalizzazione

Per comprendere la globalizzazione, processo di ‘distruzione creativa’, è fondamentale l’indagine sull’impresa secondo la prospettiva di Marx, rintracciabile anche in Schumpeter : l’innovazione, il rivoluzionamento permanente, quale tratto caratteristico dell’impresa capitalistica motore del dinamismo dell’intera formazione sociale borghese.

Si mantiene sulla superficie chi vede la finanza solo nei suoi aspetti speculativi, perché perde la tendenza caratteristica dello sviluppo capitalistico : il rivolgimento dello stesso contesto sociale.

È questa distruzione e creazione di nuovi contesti sociali che può spiegare la contorsione in cui è preso l’operaio che ‘iscritto alla Fiom’ si schiera con la Lega : l’innovazione capitalistica non è solo tecnologica od organizzativa, implica un rivolgimento del senso comune e, complessivamente, delle relazioni sociali.

Inoltre, continuare a contrapporre capitalismo produttivo e finanza, come se quest’ultima fosse solo parassitismo e pura rendita fa perdere di vista che i « mercati finanziari sono e sono sempre stati il centro di comando del sistema capitalistico, da cui partono le direttive per ogni settore e le decisioni che vi si discutono e vi si prendono riguardano, in definitiva, sempre la pianificazione dello sviluppo futuro » (Schumpeter).

C’è stato nel nostro tempo un salto nel rapporto tra economia e società. Lo slogan – ‘l’economia domina la politica’ – nella sua semplificazione coglie un fenomeno di assoluto rilievo storico perché se è vero, come mostrato da Polanyi, che il capitalismo ha sempre trasformato mondi vitali in relazioni mercantili pure non era mai riuscito a mercificare completamente l’intera esistenza. Ora ogni cosa non solo può essere prodotta dall’impresa privata e scambiata sul mercato, ma si pretende che solo lo scambio di mercato guidato dal profitto sia indice di socialità dei beni (materiali, biologici, relazionali che siano).

La sfida da portare è all’impresa e al mercato, ed essa deve riguardare : a) la condizione di generalizzata precarietà mirando, al tempo stesso, b) a mettere in discussione ‘chi decide cosa e come produrre’.

6. Rompere la precarietà per riprendersi la vita

L’impresa pretende di gestire in assoluta libertà il lavoro, e di controllare l’intero tempo di vita.

Si assiste a una nuova crisi del diritto del lavoro, sottoposto a un’azione di restaurazione : l’impresa tende a imporre un ritorno alla libera contrattazione della forza-lavoro sul mercato. Le persone tornano a essere pura merce, al pari di tutti gli altri ‘fattori’ produttivi. Battersi per ‘salari e pensioni’ è importante quanto conquistare nuovi diritti nei luoghi di lavoro per la libertà e l’autonomia reali della prestazione lavorativa, sottraendole alla gerarchia aziendale. La precarietà, e con essa, l’insicurezza del lavoro si sono generalizzate, provocando una schizofrenia del lavoratore tra il suo essere sociale e il suo essere politico : con il sindacato in fabbrica e con la Lega sul territorio.

È necessario avviare campagne di mobilitazione contro la cancellazione del contratto nazionale di lavoro, che alimenterebbe ulteriormente la precarizzazione.

Va ripresa la piattaforma della manifestazione del ‘4 novembre’ 2006, guardando con attenzione anche ai contenuti di quella grande e moltitudinaria parade precaria che è l’euro-mayday. Si deve puntare all’abrogazione delle tre leggi cardine della politica della precarietà (la legge 30, la legge Bossi-Fini sui migranti, le leggi sulla scuola da Berlinguer alla Moratti), alla riscrittura della legislazione su lavoro e welfare. La garanzia del diritto a una continuità di reddito per le precarie e i precari è la rivendicazione da cui partire − superando la tradizionale ottica lavorista – per tentare una ricomposizione del polverizzato mondo del lavoro precario (punto di partenza è la proposta di legge per il reddito sociale costruita dai Giovani Comunisti/e e dal dipartimento lavoro).

La precarietà non è più una dimensione legata esclusivamente al singolo contratto di lavoro, diviene una condizione esistenziale generale che mina la possibilità stessa di immaginare e progettare la vita di ognuno/a. Con questa dimensione non siamo ancora in grado di fare i conti, affezionati a categorie e pratiche ormai del tutto inadeguate a intendere il tempo presente e a parlare alla e della materialità delle vite delle persone. Così quando parliamo, per esempio del voto operaio al nord ci dimentichiamo che stiamo nominando solo metà dei soggetti in questione perché l’altra meta è costituita dal lavoro migrante che, forse perché privo del diritto di voto, appare dimenticato e marginale nella nostra iniziativa, quella di un partito ‘biancocentrico’, ancora restio a fare i conti con un fenomeno globale – quello delle migrazioni – che è soltanto all’inizio e rispetto al quale non dobbiamo avere alcuna esitazione o reticenza nell’affermare il diritto di fuga da guerre, fame, disastri ambientali, fenomeni purtroppo ormai strutturali del nostro tempo.

7. La sfida ambientalista

L’ambiente può essere la leva della ‘grande trasformazione’.

Le ripetute tragedie ambientali i mutamenti climatici e la fame ripropongono il tema decisivo del rapporto con la natura. La globalizzazione capitalistica sta determinando un salto nel buio della distruzione del pianeta, provocando una rottura tra processi produttivi e riproduzione sociale e ambientale : il ricambio organico tra esseri umani e natura. Come ripetutamente argomentato da L’insostenibile, la novità è che dal movimento dei movimenti sono venute proposte per un altro modo di fare economia, sociale, non più affidato alla ‘crescita’, ma basato su una capacità di interazione positiva con i cicli ambientali. È possibile creare un’economia fondata sulla qualità merceologica che, non creando rifiuti, non richiede inceneritori e discariche, ma recuperi e riusi in modo sistematico ; garantire la sovranità alimentare come pratica del ‘ciclo corto’, capace di tenere in equilibrio agricoltura, industria, servizi e distribuzione, valorizzando il lavoro e il diritto per tutti gli esseri umani al cibo di qualità, Ogm free ; affermare il diritto alla ‘mobilità pulita’ attraverso il trasporto pubblico collettivo ; fermare la cementificazione e le grandi opere definendo, invece, grandi piani di risanamento territoriale e di riuso urbano. È necessaria una politica energetica fondata su risparmio e fonti rinnovabili : fermo deve rimanere il no al nucleare e a fonti inquinanti come il carbone.

Per tutto ciò la cultura rossoverde, quella della critica della merce insegnataci da Giovenale e che G. Nebbia continua a proporci, va assunta nella costruzione dei nuovi orizzonti della Sinistra.

Ha scritto Vandana Shiva, traendo una ‘lezione’ dallo tsunami, che si attaglia alla tragedia birmana : « Lo tsunami ci ricorda che non siamo meri consumatori in un mercato che tende al profitto. Siamo esseri fragili e interconnessi, e abitiamo un pianeta fragile. Questo è un richiamo alla responsabilità e al dovere nei confronti della terra e di tutte le persone ».

8. I valori della democrazia e della nonviolenza

Si è andata imponendo una costituzione economica che mina alle fondamenta il costituzionalismo democratico : ne sono espressione esemplare i Trattati dell’Unione europea, che hanno assunto la concorrenza come ‘principio’ guida. Così si è costruita una ‘cittadinanza di mercato’, cioè come accesso libero alle contrattazioni mercantili, quindi non più fondata sui diritti della persona. La crescita delle istituzioni ademocratiche è conseguenza della presa egemonica dell’impresa e della finanza che piegano le istituzioni alle loro esigenze, spostando i centri decisionali in sedi tecnico-economiche slegate dalle sedi della rappresentanza politica.

Rimane valida l’intuizione di Gramsci secondo cui la contraddizione di fondo della società capitalistica, in parallelo con lo sfruttamento delle persone, sono la scissione tra dirigenti e diretti, e il restringimento alle élites del potere decisionale, con il risultato di comprimere le potenzialità intellettuali e creative dell’intera società.

La democrazia maggioritaria e il bipartitismo – introdotto dall’accordo Veltroni-Berlusconi − hanno già cambiato di fatto la Costituzione. Il bipartitismo comporta la competizione tra partiti di centro, partiti pigliatutto, programmaticamente simili, che si confrontano solo per conquistare consensi elettorali al fine di gestire il governo entro le compatibilità stabilite dalle dinamiche dei poteri capitalistici.

Siamo di fronte a un’Italia in rapido e inquietante mutamento, a una profonda metamorfosi antropologica del senso sociale. Questa trasforma le complesse e differenti ragioni dell’insicurezza in cui vivono oggi ampi strati della popolazione, in fantasmi e paure indirizzate soprattutto a esorcizzare l’altro come nemico che insidia i nostri territori e i nostri beni. La sicurezza senza oggetto preciso, che pertanto il controllo poliziesco del territorio può garantire, assume il significato di un valore in sé, un vero e propri delirio ossessivo.

Le carceri, da sempre, sono il contenitore dell’esclusione : tossicodipendenti, migranti costretti al lavoro nero e all’illegalità, prostitute sono la tipologia ricorrente della popolazione carceraria. Contro le nuove e le vecchie forme di ‘istituzioni concentrazionarie’ va condotta la lotta per la garanzia dei diritti dei/delle detenuti/e, ormai cancellati in nome del ‘sorvegliare e punire’. C’è un paradosso dell’illegalità : è creata dalle stesse leggi dello Stato – quella Bossi-Fini o quella sulla tossicodipendenza −, produce devianza sociale ma è sempre lo Stato a punirla. In questo senso la battaglia antiproibizionista non è una rivendicazione per pochi, ma l’apertura a un’idea generale di società che rifiuta il carcere e la repressione come soluzione ai problemi dell’insicurezza sociale delle persone. Rimane attuale il richiamo di L. Ferrajoli per un diritto e uno Stato penale minimi.

La critica della violenza del potere trae la sua radice più forte dalla nonviolenza in quanto pratica della trasformazione. Essa riguarda l’affermazione della pace e del pacifismo come valori primari, da praticare come scelta individuale e collettiva per contrastare le guerre e il bellicismo : valori che si disperdono se non si è conseguenti nel contrastare le scelte di guerra in tempo di ‘pace’, battendosi contro armamenti e basi, impedendo la costruzione a Vicenza della nuova base militare – sciaguratamente avallata da Prodi. La nonviolenza chiama, in secondo luogo, a un lavoro di decostruzione critica dei dispositivi antropologico-culturali che alimentano la creazione del ‘nemico’ interno o esterno, del ‘capro espiatorio’, dell’altro come nemico. Dunque ci interroga direttamente come soggetto della trasformazione. La verità è che la nonviolenza è stata da noi proclamata, quasi mai praticata : essa anzitutto è azione diretta di sottrazione ai meccanismi di violenza del potere.

Dai movimenti globali contro il neoliberismo è stata posta in discussione la scissione tra morale e politica. Essi lottano anche in nome di principi morali : la pace o la dignità della persona sono valori che sovradeterminano le opzioni e lo spazio della politica ; mirando così a riarticolare il nesso tra morale, politica e diritto proponendosi di superare la scissione tra mezzi e fini, da sempre chiamata a giustificare il cinismo del ‘realismo del potere’ e della ‘ragion di Stato’.

Alla politica spetta il compito di ‘fare società’, non di perseguire il potere. Si è giustamente rilevato come la critica del potere debba essere agita anche al nostro interno, al fine di rompere l’autoreferenzialità e separatezza dei gruppi dirigenti, che rischia di rendere impossibile recuperare la capacità del partito di avere una reale rappresentanza sociale.

Si è giustamente criticata la ‘democrazia militante’ (F. Bertinotti), che ha segnato la cultura del movimento operaio nel Novecento. La democrazia deve essere perseguita come lo spazio della ragione pubblica, che si forma nel confronto e nelle motivazioni pubblicamente addotte da tutti/e a sostegno delle diverse posizioni e dei differenti bisogni. In questa prospettiva la democrazia deliberativa, nei limiti invalicabili segnati dai diritti universali della persona − essendoci infatti sfere indecidibili per ogni collettività, a essa sottratti per salvaguardare l’autonomia delle persone (come la scelta sessuale, le credenze religiose, i tempi della propria esistenza). −, è la via per superare la scissione tra dirigenti e diretti, compresa quella tra ‘politici’ di professione e cittadini/e.

9. L’europeismo di sinistra

Rompere la centralità dello Stato nazionale e del suo governo e assumere l’Europa come spazio di pensiero e azione è condizione indispensabile per la sinistra. L’agire politico di Rifondazione deve continuare a essere europeo ed europeista. RC deve continuare a operare nel e con il GUE, con la Sinistra europea, e deve riprendere la sua attiva presenza nel Social forum europeo, la cui V edizione si svolgerà a Malmoe nel prossimo settembre. Il movimento no global europeo, e con esso RC, non ha commesso gli errori della sinistra storica, che dinanzi alla sfida europeista di Schuman, Adenauer e De Gasperi si rinchiuse nei confini dello Stato nazionale (e nel « campo socialista », cioè sotto le ali di Stalin). I movimenti sociali stanno costruendo un europeismo di sinistra, per conquistare i diritti universali – sociali, politici e culturali – e una democrazia sovranazionale.

Il costituzionalismo multilivello offre un terreno per progettare iniziative politiche in grado di determinare una discontinuità netta con le prassi intergovernative. Esso prospetta l’istituzione dal basso di una democrazia costituzionale senza Stato.

Per affermare la democrazia costituzionale europea si deve perseguire innanzitutto lo smantellamento dell’Europa-fortezza, eretta per impedire i naturali flussi migratori, indispensabili peraltro – come riconoscono gli stessi imprenditori al funzionamento dell’economia e a contrastare il declino demografico. Essa alimenta le politiche sicuritarie, con il suo apparato di Cpt e dei veri e propri campi di concentramento ai confini europei. Abbattere questa fortezza è fondamentale non solo per un dovere di solidarietà verso chi fugge fame e miseria, ma per istituire una nuova cittadinanza europea legata alla residenza, presupposto per una società meticcia, e multietnica.

Dopo il Trattato di Lisbona, poi, non bisogna abbandonare l’impegno per il processo di democratizzazione dell’UE, che corre in parallelo con la conquista dei diritti sociali e del lavoro, della cittadinanza di residenza per tutti/e.

La prima richiesta è l’attribuzione al parlamento europeo della generale potestà d’iniziativa legislativa ; in quest’ottica si deve anche prevedere l’iniziativa legislativa popolare ; una terza misura deve essere l’attribuzione di un’ulteriore potere d’ iniziativa ai Parlamenti nazionali, i quali potrebbero rivolgersi direttamente al Parlamento europeo per proporre l’adozione di norme regolamentari o di direttive.

Infine, il Parlamento europeo deve divenire organo della revisione dei Trattati, con lo scopo di giungere alla costruzione, in rapporto con i movimenti sociali, di una democrazia costituzionale europea.

10. L’esperienza femminista

Non serve scrivere di nuovo, con il rischio dell’approssimazione, la ricca elaborazione femminista in RC, basilare contributo alla stessa critica della politica : essa resta un comune patrimonio del partito. L’orizzonte della ricerca femminista è l’intreccio tra capitalismo e patriarcato, che si esprime oggi in forme inedite, da analizzare alla luce delle trasformazioni intervenute nel corso del Novecento, a cominciare dalla straordinaria rivoluzione delle donne che ha lasciato un segno su tutto. Nei processi della globalizzazione neo-liberista, caratterizzati dal ritorno della guerra, dalla militarizzazione dei territori, delle culture e delle menti, dall’ossessiva volontà di erigere nuovi muri contro ogni diversità, dalle rinnovate forme di un infinito e devastante saccheggio del pianeta, le donne, con la loro stessa esistenza quotidiana, portano alla luce le contraddizioni essenziali tra le scelte del capitalismo globale e i bisogni primari e fondamentali dell’umanità. Le donne generano e curano quei corpi che la globalizzazione destina ogni giorno di più a un ‘mondo senza pianeta’, a un domani senza futuro. La contraddizione di genere, che informa le relazioni tra uomini e donne, offre chiavi d’interpretazione fondamentali per capire i problemi della contemporaneità. Il conflitto di genere, se attivato consapevolmente e responsabilmente, modifica alla radice il modo di pensare e di agire il cambiamento.

11. Laicità, diritti e libertà

Il governo di centro-sinistra, oltre a fallire nella politica sociale e del lavoro, non è stato neppure in grado di affermare una politica dei diritti della persona, come portata avanti con successo, anche elettorale, da Zapatero.

I diritti di ognuno/a a definire le proprie forme di vita, le scelte sessuali, le forme di convivenza, la disponibilità del proprio corpo nella procreazione sono elementi costitutivi centrali per una nuova sinistra. Essi sono stati sacrificati dal governo di centro-sinistra al rapporto con le gerarchie cattoliche.

Dobbiamo con coraggio, senza settarismi e anticlericalismi che negano le esperienze di solidarietà di cui è capace il mondo cattolico e la libera adesione di una persona a un ‘credo’, contrastare l’ideologia della Chiesa cattolica che pretende di fondare sulla ‘ragione cristiana’ − in nome della preservazione dei valori ultimi contro il relativismo − i principi morali di ciascuno/a, le relazioni tra le persone e lo stesso agire sociale.

La dignità dell’essere umano non è un dono divino, che la Chiesa di Roma è chiamata a distribuire : è una conquista storica costata tragedie come il genocidio nazista degli ebrei, dei rom e dei gay. Sono state le lotte contro l’ingiustizia e la barbarie nazifasciste, così come quelle contro il totalitarismo, che hanno condotto all’elaborazione e alla statuizione costituzionale della dignità umana.

L’attacco che la Chiesa porta all’Illuminismo va contrastato e respinto. Della sua tradizione, pure impregnata di provvidenzialismo dell’ineluttabilità del progresso, non va persa l’esortazione al « Sapere aude ! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza ! ». Quell’esortazione fonda l’uso pubblico della ragione, e la discorsività delle procedure democratiche e degli spazi pubblici.

Rifondazione comunista, quale progetto ?

12. Politica e movimenti

Una cruciale questione : il rapporto politica-movimenti. Ha più volte sostenuto P. Ferraris che questa fase storica ha delle analogie con quella della costituzione della I Internazionale, quando forze diverse sia per collocazione sociale sia per orientamenti ideali e culturali diedero vita al primo movimento politico operaio.

Oggi di nuovo dobbiamo definire un ‘campo politico e ideale’ : la sinistra di alternativa, connotata dai valori del movimento altermondialista e dall’autonomia dal governo. Questa era la forza della Sinistra Europea, che camminava proprio sul crinale della rottura della separatezza tra partiti e movimenti. La SE è stata di fatto contrastata da alcune componenti di RC perché considerata contraddittoria con l’identità comunista e poi, nella pratica, liquidata dal gruppo dirigente nazionale perché considerata superata dalla Sinistra/ L’Arcobaleno.

Non dobbiamo ripetere quanto è accaduto nel percorso di Sinistra/l’Arcobaleno, in particolare in relazione al rapporto tra il processo unitario e Rifondazione Comunista. Nei fatti, e al di là dei contenuti dei documenti, è prevalso un modo di agire che implicava una dissolvenza del partito nel processo di costruzione di Sinistra/l’Arcobaleno. Questo è stato un errore, e come tale va riconosciuto.

Le forme organizzative e politiche che potrà assumere la Sinistra non sono definibili solo da RC, a prescindere dal dibattito con le forze e tutti/e coloro interessati/e al progetto : RC non può comportarsi come un’azionista di maggioranza della sinistra, che può dettare tempi e condizioni.

SE era un’utile innovazione perché non prevedeva lo scioglimento delle forze contraenti ma la condivisione di uno ‘spazio comune’, dentro il riconoscimento dell’autonomia delle singole forze che avrebbero dovuto cedere ambiti di sovranità, cessioni mai avvenute da parte di RC. Difetti di SE sono stati quelli di non prevedere l’adesione diretta di singoli non appartenenti a nessuna delle sue strutture costituenti, se non attraverso un’apposita associazione, e di riproporre in SE organizzazioni del partito in quanto tali.

Abbiamo la ‘presunzione’ di ritenere oggi RC indispensabile alla sinistra, accompagnata dalla consapevolezza che essa non sia sufficiente a costituire il campo della sinistra di alternativa.

Processo costituente della sinistra alternativa come processo federativo dal basso : in questa visione, RC deve intraprendere un cammino di autorinnovamento che, al tempo stesso, deve rivolgersi alle forze politiche di sinistra, alla ‘sinistra sociale’, ai movimenti, a esperienze di radicamento sociale quali quella straordinaria di Action a Roma, interessati a darsi una dimensione politica.

Il processo federativo è aperto, nelle mani di coloro che vi prenderanno parte, non è la confederazione tra partiti esistenti, che ricreerebbe la gerarchia tra chi sarebbe portatore di interessi generali (i partiti) e chi di interessi particolari (i movimenti). Ognuno deve riconoscersi come parziale.

Processo costituente non è scioglimento dei partiti per la creazione di un soggetto indefinito che, se prodotto delle forze esistenti, riprodurrebbe un partito tradizionale, comprese le correnti organizzate. Il processo costituente serve a formare un campo, la sinistra di alternativa, e a delineare le forme per superare la separatezza tra politica, società, movimenti. Serve su tutto ciò riflessione, ricerca e sperimentazione, come già prima sottolineato : non c’è una ricetta miracolistica.

13. L’innovazione del fare e la politica della liberazione

Il problema centrale è trasformare i partiti che si richiamano alla sinistra da strutture autoreferenziali, e istituzionali, in organismi impegnati nel ‘fare società’. L’orizzonte di un nuovo mutualismo deve divenire modalità generale dell’agire politico.

Vogliamo portare a compimento il processo avviato con la Conferenza di Organizzazione di Carrara e realizzare un salto nel funzionamento e nell’organizzazione del partito : è necessaria una democratizzazione. Nonviolenza e ricerca del consenso non possono essere considerate buone soluzioni come linea culturale e come modalità di relazione con i movimenti e, al contrario, dentro al partito esse sono sostituite da una logica di scontro tra schieramenti, così come sono state elise nel rapporto con le istituzioni e con il governo.

Il punto focale è la critica alla pratica della separatezza istituzionale, che si manifesta nello smottamento del centro di interesse e di attività del partito dalla società alle istituzioni. Quello che proponiamo è un salto : l’adozione di un modello partecipativo che rompa l’autoreferenzialità della sfera del politico a cominciare dalle forme di adesione ‘generalista’ che attualmente esclude la possibilità di federarsi al partito da parte di associazioni e gruppi che agiscono sul territorio. Rompere la struttura piramidale e gerarchica del partito, il suo carattere monosessuato, ‘biancocentrico’ assumendo come cogente il vincolo della democrazia di genere. Proponiamo, dopo la moratoria che prospettiamo in questo primo dibattito congressuale, che i rappresentanti apicali del partito, quello che oggi chiamiamo segretario/a, siano sempre sessuati, una donna e un uomo. Come in altre organizzazioni (quale la CGIL) o nelle stesse istituzioni, va stabilito il limite di due mandati al massimo, che può, se non porre fine, limitare nel tempo il leaderismo.

Per superare la separazione di carriere tra chi svolge la sua attività nelle istituzioni e chi invece nel partito e nei movimenti, si deve prevedere una rotazione secondo quanto le indicazioni di ‘Carrara’ e regolamentare in chiave egualitaria le loro differenze di stipendio ; si devono prevedere misure per impedire l’esercizio di più incarichi.

Si deve procedere ad un radicale rinnovamento dei gruppi dirigenti, non solo su base generazionale ma anche per pluralità di percorsi ed esperienze di provenienza, così da rompere i meccanismi di affiliazione e cooptazione che governano e determinano molte scelte del partito… “l’obbedienza non è più una virtù !”.

La comunità politica di RC non può che avere forme di organizzazione e di relazioni coerenti con il progetto di liberazione e di eguaglianza, di cui è portatrice. Vogliamo un partito nuovo, una comunità in cui la trasformazione sia un processo quotidiano che riguarda anche le forme di vita, i linguaggi, le relazioni. Una comunità di uomini e donne liberi/e, senza più divise né eroi.

Walter De Cesaris, Franco Russo, Gabriella Stramaccioni
Roma, 11 maggio 2008