XI Congresso del PRC - Chianciano 22 - 24 Ottobre 2021

Enti Locali e lotta per i diritti delle cittadine e dei cittadini.

TESI 14

TESI 14 - Enti Locali e lotta per i diritti delle cittadine e dei cittadini.

Alla crisi del 2008 si è risposto con l’austerity neoliberista cominciata con i governi Berlusconi - Tremonti, e proseguita con Monti e i governi successivi, che ha comportato massicci tagli dei trasferimenti agli Enti Locali (oltre al welfare e alla spesa pensionistica) e una forte pressione verso l’ulteriore privatizzazione dei servizi. Solo fra il 2009 ed il 2011 sono stati tagliati 40 miliardi di trasferimenti.

Gli Enti Locali hanno sempre più difficoltà a chiudere i bilanci mentre l’aumento delle tariffe dei servizi a domanda individuale pesa fortemente sui redditi della classi popolari. La riduzione dei trasferimenti, l’aumento fisiologico dei costi ed i maggiori impegni procurati dal rinnovo dei contratti del pubblico impiego, porranno i Comuni nel prossimo triennio con bilanci ridotti assolutamente non sostenuti adeguatamente dallo stato (per il 2020 meno di 5 miliardi di euro). Oggi circa un comune su otto è sull’orlo di dichiarare il dissesto non essendo in condizioni di approvare un bilancio. La stessa deregulation urbanistica nel corso degli anni ha arricchito gli interessi forti mentre sugli enti locali e le comunità sono ricaduti i costi in termini di dotazioni e servizi. Il blocco del turnover ha portato a una fortissima carenza di personale anche negli enti locali e a un mancato aggiornamento delle competenze riducendo ulteriormente la capacità di rispondere alle esigenze della cittadinanza.

Il calo della produzione e dell’occupazione rende più drammatico il costo sociale di una politica di risanamento solo monetaria dei conti pubblici, rispetto all’esigenza di equità sociale e di rilancio dei consumi interni accentuando gli errori della politica economica già portata avanti dai tecnocrati come Padoa Schioppa durante il governo Prodi ed poi rilanciata da Tremonti.

Pur avendo consapevolezza di questa situazione vanno sviluppate vertenze che assumano anche gli enti locali e le regioni come riferimento/controparte per affermare dal basso i propri diritti, per incrementare la spesa sociale e rivendicare spazi di partecipazione, chiarendo che il raggiungimento di questi obiettivi e in genere l’efficacia delle lotte per il potenziamento del welfare sono strettamente collegati col superamento dei vincoli del patto di stabilità che quindi è un nostro obiettivo strategico.

La sospensione da parte della Commissione Europea del patto di stabilità a livello comunitario, pur con i suoi aspetti contraddittori, è un’occasione per battersi a livello nazionale per un formale prolungamento della sospensione del patto, almeno fino a dicembre 2023, costruendo in questi mesi una mobilitazione, con l’ ANCI e soprattutto con la Rete delle Città in Comune, tesa ad imporre una nuova strategia che ne definisca il superamento definitivo puntando su una reale autonomia finanziaria degli Enti Locali.

Gli Enti Locali, comuni, province e città metropolitane, sono stati oggetto in questi anni di profonde trasformazioni legislative, dalla elezione diretta dei sindaci alla modifica del titolo V della Costituzione, che ne hanno depotenziato il ruolo, variandone in senso fortemente negativo le funzioni dei propri organi di governo, accentrando il livello decisionale sul sindaco e le giunte ed indebolendo le funzioni del Consiglio, organo istituzionale centrale per la gestione democratica, rappresentativo della collettività locale. Il taglio del numero dei componenti dei consigli abbinato alla legge maggioritaria, con l’innalzamento di fatto della soglia di sbarramento ha determinato anche una riduzione della rappresentatività dei consigli che si accompagna allo svuotamento delle materie di competenza dei consigli e alla riduzione anche del loro potere di controllo. Il taglio della democrazia è andato di pari passo con la riduzione dei trasferimenti e l’esternalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici essenziali.

L’analisi sullo stato dei Comuni non può prescindere dalla considerazione sulle controriforme che ne hanno fortemente ridotto la rappresentanza e ridisegnato il ruolo.

Anche l’abolizione del suffragio universale per le elezioni dei consigli provinciali raffigura un’ulteriore riduzione della democrazia. La finta e demagogica abolizione delle Province si è tradotta in realtà nell’abolizione dell’elezione popolare dei consigli, declassandoli in assemblee elette con sistema di secondo livello. La sconfitta nel 2016 del referendum costituzionale proposto da Renzi imporrebbe di restituire a cittadine/i il diritto di voto.

Il declassamento delle Province ha, di fatto, determinato un grave vuoto istituzionale rispetto alle funzioni precedentemente esercitate da questi enti territoriali di area vasta, in ambiti centrali quali: edilizia scolastica e diritto allo studio, infrastrutture stradali, pianificazione territoriale, tutela dell’ambiente e del territorio ecc.

Occorre aprire una nuova stagione di lotte per il ripristino della centralità delle assemblee elettive nei comuni e nelle città metropolitane e per la ricostituzione delle province, nelle quali gli organismi istituzionali ritornino ad essere eletti direttamente dai cittadini.

Il Prc, a partire dalla propria presenza negli EELL, deve costruire iniziativa politica volta ad accentuare il carattere di centralità dei consigli evidenziando l’incongruenza democratica dell’attuale assetto istituzionale.

Oggi l’Ente Locale, soprattutto dove non è presente una rappresentanza della sinistra di alternativa, schiacciato dalla mancanza di risorse, troppo spesso vede il suo ruolo ridotto a mera cinghia di trasmissione e attuazione delle scelte dei governi centrali: si pensi agli interventi sulla casa (fondi nazionali), sulla sanità (potestà regionale) e a strumento al servizio degli interessi forti locali.

La privatizzazione dei servizi pubblici essenziali (acqua, rifiuti, trasporto pubblico) non solo ha comportato un rincaro generalizzato delle tariffe, ma ha privatizzato anche le scelte di sviluppo e di controllo della gestione.

Il Comune rimane l’istanza più vicina al cittadino e per questo è prioritario renderlo nuovamente permeabile ai conflitti e ai bisogni popolari. L’azione che riguarda gli enti locali non può mai essere fine a se stessa ma deve essere uno dei livelli della ricostruzione del nostro radicamento sociale, per dare voce ai bisogni popolari, costruire comunità, difendere ambiente e beni comuni. Gli enti locali e le regioni prima che luogo della rappresentanza sono terreni di lotta e della sperimentazione e costruzione di alternative.

Nella realtà, le istituzioni locali, per quanto compromesse dall’insufficienza delle risorse messe a disposizione continuano a svolgere una funzione nella determinazione degli standard di vita (servizi sociali, diritto all’ abitare, ambiente, scuola), nella costruzione del consenso politico e nella lotta fra le classi sociali.

Per un Partito che fra i suoi compiti voglia inoltre articolare, in chiave di lotta, pratiche sociali e di mutualità solidaristica vertenziale, per dare risposte concrete ai bisogni effettivi di cittadine/i, gli enti locali possono diventare strumenti utili per dare visibilità a vertenze e ottenere obiettivi concreti.

Laddove siano presenti i nostri eletti debbono essere punto di riferimento conflittuale, laddove non abbiamo eletti dobbiamo attrezzarci dal punto di vista vertenziale e propositivo.

In questo contesto, positiva è stata l’esperienza della Rete delle Città in Comune, che come PRC-SE abbiamo contribuito a costruire e a rafforzare sviluppando campagne nazionali (ultimamente ad es. contro ogni tipo di autonomia differenziata). In molte realtà comunali liste di sinistra, civiche ed ambientaliste, costruendo dal basso programmi legati alle lotte sociali locali di comitati e di movimento, hanno trovato nella Rete delle Città in Comune l’unità d’azione nell’agire. Spesso tali liste nelle amministrative degli ultimi anni sono riuscite a ottenere risultati utili. Su questa strada il PRC SE deve continuare a lavorare.

All’interno e nei confronti degli Enti Locali Rifondazione Comunista deve sempre svolgere una iniziativa antifascista e antirazzista contestualmente alla sua battaglia contro i governi e le politiche neo liberiste.

Le difficoltà del nostro partito e della sinistra radicale e le leggi elettorali maggioritarie non implicano che si debba rinunciare a costruire le condizioni per partecipare alla competizione elettorale. Bisogna lavorare, come partito, per contribuire a processi che - a partire da un programma condiviso e partecipato dal mondo dell’associazionismo, dai movimenti, dall’ambientalismo, dal sindacalismo di classe e dalle forze politiche della sinistra - anche a dimensione civica pongano le basi per costruire aggregazioni di alternativa capaci di diventare punto di riferimento per settori sociali larghi.

Democrazia e partecipazione.

La partecipazione e il controllo dei cittadini e dei lavoratori nella determinazione dei bilanci, nella pianificazione urbanistica e territoriale, nell’organizzazione dei servizi e nella gestione dei beni comuni sono insieme alla ripristino della centralità delle assemblee elettive e di una legge elettorale proporzionale richieste imprescindibili per la democratizzazione degli enti locali e l’avvio di processi di socializzazione.

Occorre però prendere atto che le pratiche partecipative sperimentate in passato, nate dalla grande esperienza del bilancio partecipative di Porto Alegre, sono state spesso cancellate o svuotate da “finte” pratiche calate dall’alto. La crisi dei movimenti e della sinistra radicale non ha permesso il rafforzamento di queste importanti esperienze che pur rimangono strategiche per la democratizzazione degli enti locali.

La trasparenza, come il coinvolgimento della cittadinanza e la tutela degli interessi collettivi, è sempre più limitata da pratiche e procedure di governance che sostituiscono i percorsi democratici. Il diritto alla città si afferma attraverso la partecipazione e il conflitto.

Bisogna porre al centro delle nostre piattaforme programmatiche forme di bilancio partecipativo, di partecipazione dei cittadini alle scelte urbanistiche e ambientali, di controllo sulla qualità delle opere pubbliche, di consultazione popolare.

In conclusione le nostre priorità strategiche per una politica di sinistra antiliberista negli Enti Locali si possono così riassumere:

1. reinternalizzare, ripubblicizzare, trasformare le società partecipate da spa in aziende speciali pubbliche (l’esperienza di Napoli sull’acqua è esemplare in tal senso). Difendere la gestione pubblica, in particolare dei servizi e dei settori strategici come quelli dell’acqua pubblica, dell’energia, dei trasporti e della gestione dei rifiuti, preservandoli dalla logica della privatizzazione finalizzata al profitto, sostenuta dai governi centrali.

2. Ripubblicizzare ove possibile, acquisendone in pieno la gestione, le attività nel settore dei servizi sociali, oggi in gran parte esternalizzate e svolte dagli operatori del privato sociale e comunque battersi per la qualità del lavoro e dei servizi. Realizzare forme di partecipazione e controllo sui servizi erogati.

3. Attuare una svolta ambientalista e di valorizzazione urbanistica ecocompatibile del territorio nella riorganizzazione delle città a consumo di suolo zero, che intervenga per la riqualificazione dei quartieri e delle aree periferiche. Piano nazionale di finanziamenti per la riqualificazione degli aggregati urbani sperimentando programmi di partecipazione per l’individuazione di piccoli interventi di verde di prossimità con le “oasi del verde per l’incontro e la socialità”.

4. Creare localmente un ambiente economico e sociale che favorisca la realizzazione di posti di lavoro buono, nel welfare di prossimità e nei servizi, a partire da modelli gestionali che favoriscono l’occupazione rispetto agli investimenti in grandi impianti (esempio la raccolta porta a porta).

5. Diritto alla casa significa garantire il passaggio da casa a casa con un piano straordinario di implementazione degli alloggi riconvertendo il patrimonio a qualunque titolo pubblico compatibile con la residenza; realizzare un piano di solidarietà nazionale con grandi enti pubblici e privati (banche, Inps) per la messa a disposizione dei Comuni di appartamenti in affitto a prezzi popolari, - per fronteggiare l’emergenza abitativa e il dramma sfratti- e prevederne anche la requisizione per motivi di ordine sociale; avviare programmi di rigenerazione urbana prevedendo il riuso del patrimonio pubblico per il diritto alla casa e il diritto all’abitare che significa spazi per servizi sociali e attività di quartiere, e luoghi di aggregazione sociale e di comunità.

6. Promuovere l’economia circolare ed affermando un modello di sviluppo di produzione ecologica, che valorizzi le risorse locali, tuteli l’ambiente e la salute dei cittadini-fruitori.

7. Realizzare un nuovo modo di vivere e di organizzare la vita collettiva che parta dalla necessità di affermare la differenza di genere e dal contrasto di ogni discriminazione.

8. Realizzare una città aperta a lavoratrici e lavoratori provenienti da altri contesti culturali e spesso ormai stabilmente presenti nel paese che sappia offrire politiche sociali inclusive, secondo il principio che ogni persona è migrante e ogni migrante è cittadino/a.

Per restituire agli enti locali capacità di rispondere ai bisogni collettivi dobbiamo rilanciare la lotta per l’abrogazione del pareggio di bilancio in Costituzione imposto con il novellato art 81, contro cui vanno costruite le condizioni favorevoli per un referendum abrogativo.

La lotta per un rinnovato ruolo degli enti locali e un nuovo municipalismo è per noi strategica sul piano democratico, sociale e ambientale.

TESI 15 - Diritti lgbtqi. Un approccio materialista.

A 52 anni dai Moti di Stonewall e dall’irruzione sulla scena politica del movimento di massa LGBTQI, sono tanti i nodi vecchi e nuovi che ci interrogano come partito comunista.

Il movimento LGBTQI è forse l’unico a vedere dei passi in avanti tangibili in termini di visibilità delle soggettività che rappresenta e in termini legislativi, in decenni caratterizzati da un forte arretramento dei diritti conquistati nel ‘900 in ogni ambito.

Quelle stesse persone che per secoli sono state trattate come malate, devianti, degenerate, quelle stesse persone che decisero, stanche dell’invisibilizzazione e della violenza istituzionale, di portare in piazza i loro corpi e le loro rivendicazioni a partire dalle rivolte, inclusa quella di Stonewall, stanno conquistando, con una cavalcata apparentemente inarrestabile, i loro diritti e la loro presa di parola a macchia di leopardo in tutto il mondo.

Si moltiplicano i paesi in cui l’omosessualità è finalmente decriminalizzata, in cui le coppie formate da persone dello stesso genere sono in varie forme riconosciute, in cui si sanziona l’omolesbobitransfobia o si vietano le terapie riparative, in cui si promuove l’autodeterminazione delle persone LGBTQI. Tutto questo, però, avviene in maniera tutt’altro che lineare. Ancora oggi 71 paesi, metà dei quali appartenenti al Commonwealth con le sue leggi coloniali, puniscono l’omosessualità (di questi, 43 hanno norme specifiche contro il lesbismo) con pene che arrivano fino all’ergastolo e, in 11 paesi, alla pena di morte. 15 paesi prevedono norme esplicitamente repressive per le persone trans, molti altri le colpiscono per vie traverse.

Il cammino è accidentato anche nelle liberaldemocrazie occidentali, attraversate dal conflitto, nonostante vogliano offrire un’immagine pacificata. Lo scenario è ben diverso da quello descritto dalla destra che parla di “dittatura del pensiero unico”. In Occidente il pensiero unico è quello della distruzione dei diritti sociali o del dominio imperialista, mentre i temi LGBTQI sono un terreno di scontro. Questo è particolarmente evidente in Italia, dove la destra reazionaria e fascistoide e la sinistra liberal non hanno esitato a scontrarsi duramente sul ddl Zan che, al momento della scrittura di questa tesi, è bloccato in commissione al Senato e rischia di essere accantonato o completamente svuotato di senso e efficacia, sacrificato sull’altare delle larghe intese. Non sarebbe un fallimento isolato: diversi tentativi (il primo, nel 1996, fu del Partito della Rifondazione Comunista) di approvare una legge contro l’omolesbobitransfobia sono andati a vuoto per le infiltrazioni clericali nelle fila del centrosinistra. La stessa legge sulle unioni civili, approvata mentre nel nord come nel sud del mondo si legiferava sul matrimonio egualitario, ha di fatto sancito la discriminazione tra famiglie (eterosessuali) di serie A e “formazioni sociali specifiche” (omosessuali) di serie B.

L’Italia, secondo l’ultimo report “Rainbow Europe 2021” dell’ILGA, ha completato solo il 22% degli obiettivi verso la piena uguaglianza e il rispetto dei diritti umani delle persone LGBTQI, con un punteggio inferiore persino a quello dell’Ungheria di Viktor Orbàn. Sulla pelle delle persone, sulla loro incolumità, sul loro diritto ad autodeterminarsi si gioca una partita istituzionale indegna.

Le partite istituzionali, però, non vengono dal nulla, sono ramificazioni di conflitti più ampi. La destra reazionaria e la sinistra liberal rappresentano, infatti, rispettivamente il capitalismo conservatore e quello neoliberista, col loro scontro a tutto campo sul modello di produzione e consumo del futuro.

L’orientamento sessuale e l’identità di genere non sono fatti privati, perché non esiste capitalismo senza patriarcato, che è etero patriarcato. Il diverso approccio ai diritti LGBTQI ha quindi un ruolo chiave nello scontro intercapitalistico e corrisponde a due diversi paradigmi. Da un lato il capitalismo conservatore basa il suo modello sulla difesa dei ruoli di genere e della famiglia tradizionale con la funzione che essi hanno avuto nel modo di produzione fordista attraverso la divisione sessuata del lavoro, tra produzione e riproduzione, dall’altro il capitalismo neoliberista vuole “femminilizzare” il lavoro di tutti e tutte, tra precarietà e globalizzazione. Se il capitalismo conservatore propone esclusione e omolesbobitransfobia, quello neoliberista propone un’inclusione che somiglia molto all’assimilazione dentro un sistema di dominio in cui l’eterosessualità è la norma e le eccezioni sono “tollerate”, stando ben attento a depotenziarle: usa la rappresentazione “rainbow” per far in modo che i processi di identificazione con una comunità si sovrappongono alla logica del mercato e delle sue nicchie, usa il diversity management per illudere che sia il capitale a salvare dalle discriminazioni i lavoratori e le lavoratrici LGBTQI, si autoassolve e si incorona come salvatore. Entrambi i paradigmi, però, hanno due cose in comune: usano l’”eccezionalismo occidentale” sui diritti civili e l’omonazionalismo per rafforzare l’imperialismo e sono consapevoli del potenziale trasformativo delle lotte LGBTQI (uno lo teme e lo contrasta, l’altro lo attenua e lo sussume).

I comunisti e le comuniste non devono esitare a leggere e sostenere quel potenziale trasformativo: il nostro partito da anni prova ad avere familiarità con il nesso tra capitalismo e patriarcato, ma fatica a riconoscere la natura intrinsecamente eterosessuale di questi due sistemi.

Dobbiamo avere, dunque, un approccio tanto autenticamente intersezionale quanto materialista. “I diritti civili devono andare di pari passo con i diritti sociali” è una formula giusta ma, se rituale, non ci aiuta a individuare l’intreccio tra oppressioni e tra strumenti di liberazione. Come diceva Audre Lorde: “Non esistono battaglie monotematiche perché non viviamo vite monotematiche”.

Sappiamo bene che un diritto civile, il diritto di sciopero, ha dato gli strumenti al movimento operaio per ribaltare i rapporti di forza e conquistare i diritti sociali. I diritti civili per le persone LGBTQI hanno un valore intrinseco, ma possono fare molto di più.

Viviamo in un paese in cui l’orario di lavoro è modellato attorno alla divisione sessuata fordista del lavoro di cura, in cui l’accesso allo stato sociale è su base familiare e così via: le persone LGBTQI, in un quadro di contrazione dei diritti per tutti e tutte, restano sempre un passo indietro.

Il matrimonio egualitario, la riforma del diritto di famiglia, una legge contro l’omolesbobitransfobia capace di fornire strumenti di autonomia e difesa attiva dalla violenza avrebbero ricadute su svariati diritti sociali. Il diritto alla salute per le persone LGBTQI avrebbe bisogno di attenzioni precise, come il divieto di terapie riparative fisiche (si pensi agli interventi chirurgici su* neonat* intresex) e psicologiche, la semplificazione della corsa a ostacoli verso la transizione dopo la depatologizzazione dell’incongruenza di genere operata dall’OMS, la formazione del personale medico, il rimborso da parte del SSN di diversi farmaci. L’elenco di diritti potrebbe essere sterminato, se adottassimo collettivamente questo approccio. I diritti civili vanno già di pari passo con i diritti sociali, in un intreccio inestricabile che sembra invisibile a chi gode pienamente dei primi.

Sosteniamo con forza le lotte LGBTQI non solo perché non sarà possibile sconfiggere il sistema capitalistico in qualsiasi sua incarnazione senza demolire le sovrastrutture su cui si regge, ma anche perché vogliamo una società basata sulla libertà e l’autodeterminazione di tutti e tutte. Lo facciamo perché siamo comunisti e comuniste, perché siamo femministe e perché siamo anche persone LGBTQI. Il nostro femminismo non è essenzialista, non nega la durissima oppressione subita dalle persone trans né la loro identità di genere, rifiuta ogni tentativo di esclusione e divisione, soprattutto quando rafforza esplicitamente il fronte reazionario usando le sue stesse argomentazioni. Libertà e autodeterminazione per tutti e tutte, perché la coperta dei diritti non è mai troppo corta.

XI Congresso Nazionale del PRC
Chianciano, 24 Ottobre 2021
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