Se paragonassimo l'onda elettromagnetica ad un fascio di luce potremmo dire che un extraterrestre che avesse osservato la terra da un lontano pianeta, un secolo fa avrebbe visto una palla opaca, oggi invece vedrebbe una sfera luminosa. Questo esempio un po' suggestivo ci fa capire come negli ultimi anni le sorgenti artificiali di inquinamento elettromagnetico si sono moltiplicate indiscriminatamente, in assenza di una normativa seria ed aggiornata che imponesse lo studio delle possibili conseguenze sulla salute e sull'ambiente e che regolamentasse l'installazione degli impianti. L'elettrosmog è passato di conseguenza da livelli estremamente contenuti a valori di diversi ordini di grandezza superiori.
In termini più scientifici queste considerazioni possiamo tradurle così: il fondo naturale di radiofrequenza della terra è di 10 picowatt/cm2. Nel nostro territorio fortemente antropizzato, negli ambienti dove pur potendo usare corrente elettrica e telefonino non ci sono sorgenti prossime, si registrano circa 10.000 picowatt/cm (ovvero 0,2 volt/metro): si tratta di un innalzamento del fondo naturale di ben 1000 volte. Vicino a stazioni radiobase invece è facile trovare un valore di 2 volt/metro o 1 microwatt/cm2, e cioè centomila volte superiore al fondo naturale.
Gli effetti dovuti alle esposizioni acute ai campi elettromagnetici sono
stati studiati più attentamente perché si manifestano in tempi brevi, spesso
immediati e per essi esiste anche una normativa più o meno aggiornata. Mentre
sono minori gli studi riguardanti l'esposizione cronica (cioè l'esposizione
prolungata nel tempo a dosi basse) soprattutto per quanto riguarda il settore
delle alte frequenze di più recente diffusione.
Non mi soffermerò nel dettaglio, ma vorrei comunque citare alcune ricerche
significative. Sono stati eseguiti da ricercatori americani degli studi epidemiologici
del tipo "caso-controllo", confrontando le cause di mortalità di cittadini
residenti in prossimità di elettrodotti (caso) e di cittadini non esposti
(controllo). E' emerso un aumento statisticamente significativo del rischio
di leucemia, di tumori del sistema nervoso centrale, di linfoma. L'EPA, l'ente
federale americano per la protezione ambientale, aveva concluso che l'esposizione
ai campi elettromagnetici è una causa probabile di insorgenza di tumori nell'uomo.
E probabile significa appunto che esiste una correlazione statisticamente
significativa.
E' stato il Presidente Bush a far sostituire la parola probabile con la parola
possibile. In questo modo Bush ha bloccato la pubblicazione del rapporto EPA
e quindi l'attuale presidente Clinton non ha ravvisato la necessità di emanare
alcun provvedimento legislativo di tutela. Anche gli studi dei ricercatori
svedesi dell'Istituto di Mielomedicina di Karolinska - condotti su soggetti
suddivisi per sesso, età e distanza dell'abitazione dalla sorgente - hanno
confermato l'esistenza di rischio di leucemia infantile in funzione del tempo
di esposizione e della distanza dall'elettrodotto. Lo stesso dicasi per gli
studi condotti dai ricercatori danesi su bambini di età inferiore ai 15 anni
che dimostrano che il rischio sembra essere più alto per i bambini sotto un
anno rispetto a quelli che vengono esposti ad una età più tarda. Inoltre per
leucemia, tumore al cervello e linfoma maligno i rischi per i bambini aumentano
proporzionalmente con l'esposizione.
Tuttavia, nonostante questi ed altri studi, persiste un certo scetticismo
perché, secondo parte della comunità scientifica, manca una evidenza conclusiva
delle correlazioni tra l'esposizione ai campi e l'insorgenza di tumori. Sarebbe
più corretto che lor signori svolgessero un esperimento approfondito al fine
di sciogliere ogni dubbio (e, nell'ipotesi che i campi elettro magnetici siano
un cancerogeno debole, tale esperimento necessiterebbe di un grande numero
di casi da esaminare per tempi lunghi) anziché rinnegare il principio della
precauzione e della prevenzione.
Nel 1998 l'ISS (Istituto Superiore di Sanità) e l'ISPESL (Istituto Superiore
per la Sicurezza del Lavoro) hanno pubblicato un "Documento congiunto" in
cui ribadiscono l'aumento del rischio di patologie (in particolare di leucemia
infantile) per la popolazione esposta all'inquinamento elettromagnetico e
suggeriscono al legislatore di rivedere la normativa in senso più cautelativo.
Tale "Documento congiunto", per le considerazioni sanitarie e legislative
presentate, meriterebbe un approfondimento a sé. Quindi, anche se fosse vero
che gli studi finora condotti non sono in grado di garantire una risposta
causa-effetto, si potrebbe tranquillamente ribaltare il problema dicendo che
le stesse indagini non sono in grado di escludere la nocività dei campi elettromagnetici
per la salute.
Aspettare di avere la prova assoluta significa mettere a rischio la salute
della popolazione esposta. Perché ambire a diventare i soggetti di futuri
studi epidemiologici che potrebbero provare la nocività dei campi elettromagnetici?
Insomma, nel dubbio, è indispensabile assumere un atteggiamento di cautela,
di prevenzione, di massima riduzione del rischio. Inoltre, l'introduzione
di nuove tecnologie deve essere subordinata a preventive indagini sanitarie.
Le lotte operaie e ambientaliste contro il rischio chimico dovrebbero aver
insegnato qualcosa... O vogliamo che si ripetano i ritardi, gli errori di
sottovalutazione e quindi i decessi come accadde per l'amianto, il DDT, il
polivinilcloruro-monomero, ecc.? Purtroppo, parte della comunità scientifica
non la pensa così, critica le preoccupazioni delle popolazioni interessate
accusandole di inutili allarmismi, e non auspica l'adozione di limiti di esposizione
cautelativi affermando che il rapporto costi/benefici non sarebbe vantaggioso.
Questa affermazione non fa certo onore a chi dovrebbe occuparsi in maniera
oggettiva dell'aspetto sanitario lasciando ai politici, agli amministratori
la responsabilità delle scelte legislative.
Le recenti ed insistenti pressioni esercitate dai comitati, da alcune associazioni
per la tutela dell'ambiente e della salute, da alcune forze politiche più
attente al tema della prevenzione, hanno costretto il legislatore ad affrontare
il problema dell'elettrosmog. Purtroppo, la leggerezza di una parte della
comunità scientifica che si trincera dietro a posizioni "anti-allarmistiche"
e la debolezza di numerosi amministratori subordinati ai poteri forti del
settore dell'energia elettrica e delle telecomunicazioni, hanno impedito l'emanazione
di leggi adeguate ed efficaci.
E' sconcertante assistere all'ennesimo atteggiamento volutamente inconcludente
delle istituzioni deputate a tutelare il cittadino. Al contrario non stupisce
che i rappresentanti di Telecom, Omnitel, Enel, ecc., continuino a perorare
la propria causa inneggiando all'innocuità degli impianti. Infatti, lo sviluppo
tecnologico, interno ai rapporti capitalistici di produzione, punta a massimizzare
il profitto anziché a favorire l'uso sociale delle scienze e delle tecnologie,
la salvaguardia dell'ambiente e la tutela della salute. Si capisce quindi
perché le lobbie private e pubbliche del settore dell'energia e delle telecomunicazioni
esercitano notevoli pressioni affinché non si emanino leggi severe per la
tutela dall'esposizione ai campi elettromagnetici che imporrebbero limitazioni
al loro operare, costi di risanamento ambientale e investimenti nella ricerca
di tecnologie più pulite. La tecnologia, o meglio, l'industria, è al servizio
del capitale. Toccherebbe alle Istituzioni, dunque, emanare dei provvedimenti
che tutelino la salute pubblica e l'interesse collettivo.
Credo che oggi sia assolutamente necessario invertire la tendenza e sfatare
il luogo comune secondo il quale "ci sono dei prezzi da pagare al progresso";
quindi, nel caso dell'elettrosmog, bisogna contrapporsi all'idea che in cambio
dell'uso dell'elettricità è accettabile mettere in conto un aumento dell'incidenza
di alcune patologie.
Bisogna contrastare questa impostazione per almeno due ragioni.
Pertanto non si chiede di "tornare ai tempi della candela" e dei "segnali
di fumo". Si vuole invece che la tecnologia sia al servizio dell'uomo, dell'ambiente
e della salute, e non l'uomo vittima delle proprie innovazioni tecnologiche
e schiavo del mercato e della società dei consumi.
Questa non è certo una richiesta impossibile poiché dal punto di vista tecnologico
c'è la possibilità di ricorrere ad una serie di accorgimenti in grado di schermare,
ridurre, direzionare o spostare il campo elettromagnetico o la sorgente che
lo genera. Il problema, semmai, è di tipo politico-economico. Migliorare le
tecnologie e bonificare gli impianti più pericolosi significa sostenere delle
spese in questa direzione. Ma senza un obbligo ed un controllo, cioè senza
una normativa seria ed efficace, non sarà mai possibile imporre alle imprese
pubbliche e private del settore elettrico e delle radio-telecomunicazioni
maggiori cautele.
Bisogna sostenere con forza la necessità di una normativa seria ed aggiornata,
animata dal principio di cautela e di prevenzione, che regolamenti con chiarezza
le modalità di autorizzazione, localizzazione e controllo degli impianti.
Solo così sarà possibile utilizzare, liberi da ogni pericolo, tutti gli agi
che l'elettricità e le teleradiocomunicazioni mettono a disposizione.
Secondo i dati forniti dal Corerat in Lombardia ci sono 222 emittenti televisive locali a cui vanno aggiunte quelle nazionali (RAI, Mediaset, Telemontecarlo, Telepiù), e 59 emittenti radiofoniche locali a cui vanno sommate quelle nazionali. A tali emittenti corrisponde un numero molto più elevato di antenne, aggiornato presso il Ministero delle Comunicazioni al 1990! La regione Lombardia ospita il più alto numero di impianti ripetitori e cioè 5.500 (3.300 per la radiofonia e 2.200 per la diffusione televisiva) sui circa 60.000 censiti in Italia. L'80% di queste antenne è concentrato in quattro province (Milano, Brescia, Bergamo e Como) e in alcuni Comuni raggiunge densità territoriali che superano i cento ripetitori per mille abitanti! Considerando che sull'intero territorio degli Stati Uniti sono presenti meno di 10.000 ripetitori ci si rende conto della deregulation che c'è in Italia. Telefonia mobile Secondo le prime vaghe informazioni fornite dalle ASL sembra che in Lombardia ci siano attualmente 1000-1100 stazioni radio base per la telefonia, di cui circa 300 in Provincia di Milano. A questi vanno aggiunti i sistemi di antenne per il DECT (FIDO) della Telecom, collocati nelle città più grandi. Radioamatori Secondo i dati forniti dal Ministero delle Comunicazioni i radioamatori presenti in Lombardia sono i seguenti: 80.000 in possesso di autorizzazione, possono utilizzare impianti sino a 5 Watt (i cosiddetti CB); 14.000 in possesso di concessione, possono utilizzare impianti sino a 75, 150 o 300 Watt.
Le linee elettriche dell'alta tensione a 380 KVolt hanno raggiunto in Italia uno sviluppo complessivo di circa 8.500 Km, quelle a 220 KVolt di 11.000 Km. A questi dati vanno aggiunte le 83 stazioni di trasformazione a 380 KVolt e le 116 a 220 KVolt. Inoltre la rete di distribuzione interna negli ultimi trent'anni è triplicata giungendo a circa 100.000 Km con oltre 1400 cabine di trasformazione primarie e 300.000 secondarie. La regione Lombardia ospita sul proprio territorio una quota consistente di tali infrastrutture sia perché regione produttrice che per l'alto numero di utilizzatori e di imprese industriali.