Screening delle popolazioni, terapia genica, farmaci su misura ...

Dna, nuovo santo grahal della sanità pubblica

In Italia e in Europa cresce il mercato dei test genetici: un grande business con poche basi scientifiche

Dimenticatevi il buon vecchio sistema sanitario nazionale.

Screening delle popolazioni, terapia genica, farmaci su misura: sono questi i capisaldi tecnologici della nuova sanità che dovrà ruotare, almeno così dicono, intorno al santo Grahal del Dna. Tutte gran belle invenzioni con un unico, grande difetto: per ora fanno parte del regno delle ipotesi. Altro difettuccio non secondario è che sono tutti strumenti diagnostici e terapeutici costosissimi, di fatto insostenibili senza una decisa privatizzazione della sanità.

Il grimaldello di questa operazione sono i test genetici, in sostanza gli "attrezzi del mestiere" della genetica applicata, che i teorici del mercato a ogni costo sognano di utilizzare ben oltre il loro valore scientificamente accertato - cioè quello della diagnosi di alcune patologie genetiche estremamente rare - per fornire previsioni sulle malattie prossime venture, tagliare i costi e fabbricare farmaci su misura per i pochi che se li possono permettere.

La scienza cambia, il mercato no

Negli anni Ottanta, quando furono scoperte le tecniche di ricombinazione del Dna, sembrarono aprirsi prospettive diagnostiche e terapeutiche illimitate. Una volta individuati i singoli geni, si disse, sapremo tutto delle malattie, e quando avremo imparato a correggere le mutazioni indesiderate avremo la cura per ogni male. Nel corso degli anni questa speranza si è alquanto ridimensionata e i ricercatori si sono ritrovati davanti scenari sempre più complessi. Nella primavera del 2001, quando venne completato il progetto di mappatura del genoma umano, anche i più accesi sostenitori del determinismo genetico hanno fatto marcia indietro: il modello della "mappa" e del "codice" non funzionava più. Il clamoroso fallimento di alcuni esperimenti di terapia genica condotti negli Stati Uniti ha finito col dare ragione agli scettici: i modelli semplicistici non rendono conto della complessità del vivente, e ragionamenti troppo lineari possono riservare brutte sorprese.

Stranamente, mentre la genetica determinista - che prevede una relazione lineare fra la mutazione di un gene e l'insorgere di una patologia - nel mondo accademico entrava in crisi, la medicina "genomica" continuava la sua marcia trionfale, anche se l'idea che la maggior parte delle patologie siano causate da geni difettosi non trova più alcun riscontro nella comunità scientifica. Strumento principe della medicina genomica sono i test genetici, estremamente affidabili nell'individuare un singolo gene mutato ma molto meno quando si deve dimostrare la correlazione fra quel gene e una data malattia. La correlazione diventa poi ancora più vaga quando non si tratta di fare diagnosi ma previsioni - i test cosiddetti predittivi.

Il sistema sanitario britannico

Mentre le menti migliori si cimentano con la complessità del vivente, la versione più semplice e riduzionista della genetica continua ad alimentare la trasformazione della medicina in "ingegneria dei geni" anche se, per ora, è a disposizione un solo prodotto: i kit per il rapido sequenziamento del Dna. Sugli screening genetici si basa, ad esempio, il progetto di riforma del Sistema sanitario britannico presentato al Parlamento nel luglio del 2003 dall'attuale ministro della Sanità, una riforma con la quale ci si propone di "Realizzare il potenziale della genetica" nel sistema sanitario nazionale, per citare il sottotitolo, attraverso uno screening della popolazione britannica. Insomma, sulla base di una "vecchia genetica" che sembra ignorare gli ultimi sviluppi ci si propone di testare l'intera popolazione - un succulento regalo da parte degli ignari contribuenti a favore dell'industria farmaceutica - per individuare predisposizioni a particolari malattie al fine di attrezzare i presidi medici a dispensare farmaci confezionati su misura dalla farmacogenomica o terapie geniche di là da venire. In nessuna parte del documento vengono discussi alcuni assunti dati per scontati, come per esempio l'effettiva capacità - o possibilità - di individuare delle predisposizioni o l'idea - del tutto falsa - che la maggior parte delle malattie che affliggono le persone abbiano origini genetiche.

La Gran Bretagna non è un caso isolato. Anche la Commissione europea continua a considerare la rivoluzione genetica a portata di mano, e il fatto che "i test genetici diverranno presto parte dei sistemi sanitari" è presentato come un assioma nella prefazione del rapporto prodotto nel maggio 2004 dal Gruppo di esperti cui è stato affidato il compito di ragionare sugli aspetti etici, legali e sociali dei test genetici. Peccato che nello stilare il più aggiornato documento sull'argomento, gli esperti non abbiano pensato di indagare anche sulle premesse scientifiche della genomica che, anche qui, date per acquisite. Del resto genetica e biotecnologie per la salute sono premiate con larghissimi finanziamenti, come previsto dal Sesto programma quadro per la ricerca comunitaria. Inoltre l'indagine sugli aspetti legali e sociali della diffusione dei test, che dà origine a 25 raccomandazioni ufficiali, arriva in ritardo rispetto all'enorme diffusione dei test, a opera soprattutto del privato. Una diffusione che è stata rapidissima nel nostro paese come segnalato dalla Società italiana di genetica umana già nel '97.

Chi controlla il controllore?

A questo punto sorgono spontanee alcune domande. Insieme a test diagnostici di indubbia efficacia, ma che interessano soltanto alcune patologie molto rare e per lo più incurabili, sono attualmente in circolazione test che promettono di individuare precocemente una vasta gamma di malattie ma il cui livello di predittività non è ancora stato accertato. Chi deve accertarlo? E, soprattutto, quando?, visto che, secondo la Commissione Europea, sarà proprio su questi test che si baserà "l'assistenza sanitaria del prossimo futuro"? Di fatto, nel documento prodotto dal gruppo di esperti incaricati dalla Commissione europea, un po' d'imbarazzo traspare. Nel capitolo dedicato alla ricerca e allo sviluppo, dove si sottolinea l'importanza di una revisione indipendente per ogni nuovo test prima dell'impiego clinico, si legge una frase che stranamente non compare nella sintesi in italiano: «Alcuni dei test genetici di uso clinico quotidiano possono non essere stati sottoposti a un'appropriata procedura di valutazione durante il loro sviluppo o possono non essere stati oggetto di una revisione indipendente prima del loro impiego clinico (corsivo mio)». Tradotto in parole povere significa: ci sono in giro dei test che forse non sono adatti per le applicazioni cliniche perché non è affatto provato che facciano previsioni significative.

Bisogna sottolineare che, su 126 pagine, questo è l'unico passaggio in cui viene affrontato il problema della "penetranza" dei test, ovvero della capacità di individuare la connessione fra un dato gene mutato e una data patologia. Però, non è dato sapere quali o quanti dei test attualmente in commercio non sono stati appropriatamente valutati né revisionati. Insomma, è come se la Commissione unica del farmaco o la "Food and drugs administration", ci informassero che non tutti i farmaci venduti al dettaglio o distribuiti dal sistema sanitario sono stati sottoposti ai trials di sperimentazione, e che quindi non è detto che funzionino. Inoltre, nell'ammettere questa piccola impasse, gli esperti della Commissione europea non chiedono di bloccarne la vendita né di informare i pazienti su quali siano i prodotti "meno affidabili". Ma perché ciò che è a stento concepibile per i farmaci è considerato accettabile per i test genetici? Possibile che un test venga commercializzato e impiegato su larga scala, e che le persone basino sui suoi risultati scelte riproduttive o di vita, senza che la sua affidabilità, il suo valore predittivo, sia stato sottoposto a una revisione indipendente? Ed è possibile che siano queste le fondamenta sulle quali si vuole edificare la "nuova sanità pubblica"?

Si dirà che raramente scienza e medicina hanno il lusso di muoversi nella certezza. E' vero, ma ci sono cose un po' più certe di altre. Gli effetti di alcuni dei carcinogeni chimici attualmente in circolazione, ad esempio, sono chiarissimi, eppure si preferisce puntare sulla remota possibilità di intervenire sui geni per renderci in qualche modo immuni piuttosto che premere per un progressiva riduzione di sostanze che sono notoriamente responsabili della cosiddetta epidemia di cancro oltre che di danni al sistema immunitario, endocrino e respiratorio. Al contrario, mentre la genomica viene premiata e sovvenzionata, le reti di controllo e di prevenzione, così come i registri centralizzati per la raccolta dei dati sulle patologie, vengono smantellati. Contro ogni evidenza scientifica si è deciso che la malattia è una questione che riguarda prevalentemente la "Nostra eredità e i nostri geni", per citare il titolo del progetto di riforma britannico, e si lavora per rendere duratura questa rivoluzione concettuale, cementandola nei programmi sanitari a venire. Un grande business e una grande contro-riforma, basata sul niente.

Sabina Morandi
Roma, 21 dicembre 2004
da "Liberazione"