La paura del morbo ha costretto ad aprire gli occhi: dietro la fettina del supermercato, si nascondono veri e propri lager per le bestie
Bse, il prezzo pagato alla zootecnia intensiva.

Per prima cosa una precisazione: dall'inizio dell'epidemia di Bse e dai primi casi di contagio degli esseri umani, quindici anni fa, in tutta Europa sono morte 80 persone.

Più o meno quante ne muoiono, solo sulle autostrade italiane, in un paio di settimane.

Ciò significa che, statisticamente, è molto più rischioso per una persona salire in macchina che mangiare una bistecca. Detto questo, e riportati gli allarmi su toni più pacati, non è che si voglia negare l'esistenza del problema.

Solo che il problema non ha il nome di una malattia o di un agente patogeno, che siano prioni o virus lenti, quanto di un sistema di produzione: la zootecnia intensiva. Nell'ambito degli orrori e dei pericoli sanitari che gli allevamenti industriali comportano, la Bse non è il più grave.

E mucca pazza ha avuto questo di buono: ci ha costretti ad aprire gli occhi. Per la prima volta abbiamo intravisto, dietro all'asettica fettina del supermercato, dei veri e propri lager nei quali animali sofferenti venivano mantenuti in vita con ogni sorta di sostanze.

Di fatto, dalle pratiche degli allevamenti industriali hanno tratto profitto tutti quanti: gli allevatori, che ora si trovano a pagare il conto tutto insieme, e i consumatori, quelli stessi che ora tremano ma che, per anni, hanno comprato la carne a prezzi sempre più stracciati.

Ma i costi degli allevamenti industriali - come quelli in genere di qualsiasi produzione - tendono a essere esternalizzati ovvero non si mettono in conto le conseguenze sanitarie e ambientali dei processi impiegati per abbattere i costi.

Prima o poi qualcuno pagherà - la Comunità europea, lo Stato, il Comune, i singoli che si ammalano - ma oggi devo restare competitivo, e solo questo importa. Mucca pazza ci apre gli occhi su di un sistema, quello dell'agricoltura intensiva, sostanzialmente squilibrato e destinato a creare problemi di qualche genere sul lungo periodo. Le famigerate farine a base di proteine animali, ad esempio, sono state introdotte per far crescere gli animali più in fretta. E più in fretta cresce l'animale meno a lungo dovrò mantenerlo prima di macellarlo.

Altri paesi hanno scelto altre soluzioni, per esempio l'utilizzo di soia transgenica, come gli Stati Uniti, unita alla somministrazione della variante geneticamente modificata dell'ormone della crescita bovina. Le mucche americane non hanno la Bse, ma gli effetti sulla salute umana di un'alimentazione a base di soia transgenica e di un ormone transgenico, com'è noto, non sono mai stati testati. Sempre a proposito di ormoni, è noto che gli animali - specie i vitelli - ne sono letteralmente rimpinzati.

Non ci sono effetti immediati - salvo il fatto che la fettina, una volta uscita tutta l'acqua, si dimezza - ma non ci sono nemmeno protocolli di monitoraggio per esaminare l'effetto che fanno. Si sa invece molto bene, e l'ha denunciato l'Organizzazione mondiale della sanità, che l'abuso degli antibiotici negli allevamenti intensivi aumenta la resistenza agli antibiotici nei consumatori cosa che, secondo l'OMS, è il problema sanitario di questi anni.

Ma perché alle bestie vengono dati così tanti antibiotici?

Da sempre gli allevatori hanno incrociato fra loro gli animali migliori. Con la nuova tecnologia - e non stiamo parlando di biotecnologie recenti ma di pratiche diffuse già da qualche decina di anni - si prende lo sperma di un “campione” e se ne ricava una discendenza con le caratteristiche volute.

Ma questi incroci ripetuti generano animali deboli, immunologicamente compromessi. Da qui gli antibiotici distribuiti a scopo preventivo.

Un panorama disperante? Indubbiamente cercare di risolvere uno di questi problemi senza modificare il modello di produzione, così come quello di consumo, è un tentativo disperato, destinato a fallire.

Ma se questa impossibilità viene presa per quello che è, ovvero un segnale che questo modello è stato spremuto abbastanza e che bisogna inventare qualcosa di nuovo, allora ben venga la mucca pazza: almeno si vede, se ne parla e i suoi effetti sono più conosciuti di quelli degli ormoni o delle farine transgeniche.

Un tempo gli allevamenti erano integrati all'agricoltura, a sua volta integrata col territorio. Sia per l'allevamento che per l'agricoltura separare la produzione da altre sue funzioni, come il mantenimento dell'assetto idrogeologico, solo per dirne una, ha comportato solo guai.

Un tempo il letame degli allevamenti era una ricchezza, impiegato come fertilizzante necessario alle coltivazioni.

Oggi il letame è un rifiuto tossico, che non si sa bene come gestire: se lo butti in mare provochi un'invasione di mucillagini, se lo seppellisci rischi di avvelenare le falde acquifere.

In questa trasformazione c'è tutta la storia degli allevamenti industriali e, in sostanza, dell'attuale modo di produrre.

Sabina Morandi
Roma, 18 gennaio 2001
da "Liberazione", 18 gennaio 2001.