Dopo l'assoluzione dei dirigenti Montedison al processo EniChem
La città dei veleni
Tutti si aspettavano una condanna ed è arrivata l'assoluzione per tutti: dopo 38 mesi di dibattimento, si fa fatica a colmare questa spropositata distanza tra aspettative e sentenza.
Perché, nell'immaginario chimico, il Petrolchimico era il sinistro «Petrolkimiko» del libro di Gianfranco Bettin, scrittore, amministratore e, soprattutto, figlio di Marghera.
Lui ha pianto per l'assoluzione degli imputati.
Tutto dipende dal fatto che Marghera rappresenta un simbolo. E, se lo è, inevitabilmente il processo a trent'anni di chimica diventa a sua volta un simbolo, che si carica di passioni civili oltre che di procedura penale. Anche se le sentenze dei Tribunali non sono affatto tenute a fare storia, Marghera l'ha fatta ed è anche una storia da togliere il fiato.
Diceva Bruno Visentini, leader del separatismo tra Venezia e Mestre: «Mestre non può esser trattata come la zona industriale di Venezia, né Venezia come la zona monumentale di Mestre».

La nascita di Marghera

Meglio, a detta del professore, amministrarle ciascuna per proprio conto, ponendo anche fine al sogno di Giuseppe Volpi di Misurata, capitalista e uomo di potere come pochi, che inventandosi Porto Marghera nel 1917 aveva creduto di sintetizzare per sempre tutte le Venezie possibili, quella delle pietre e quella della Modernità, quella del cinema e quella della pirite, quella della persistenza e quella della città nuova. Marghera, nata per assicurare la crescita a Venezia, avrebbe fatto crescere attorno a sé Mestre. Ma perché proprio nel 1917?, si domanda Sergio Romano nella biografia di Volpi.
Semplice; perché la prima guerra mondiale coincideva con l'espansione industriale e con una montagna di profitti, tutti da investire. Allora, il capitalismo veneziano esisteva. La palude infestata dalla malaria diventa Porto Marghera, una sorta di fondaco di terraferma, dove si produce e si trasforma di tutto, dal riso ai cereali dei molini Chiari e Forti. Grandioso è anche l'emporio del sale e dei tabacchi ma soprattutto la trasformazione di materie prime in rive al mare appare «opera di titani».
Negli anni Trenta gli investimenti superano il miliardo, beninteso di allora, e la società petrolifera «Nafta» imbarca quaranta vagoni ferroviari al giorno. Per la chimica, ci sarebbe stato a prima portata di mano l'intera agricoltura del Veneto. Venezia e Marghera, così vicine e così distanti, e più cresce Marghera più Venezia si sente insicura di Marghera.

L'ammasso urbano di Venezia-Marghera

Questa è la storia, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, con il capitalismo lombardo e piemontese in prima fila. Indro Montanelli, che amava Venezia quanto detestava i suoi amministratori, era solito dire negli anni Settanta che il dilemma industriale non era «tra Venezia e Rotterdam, ma tra Venezia e Giacarta» .
Venezia gli appariva sul punto di diventare un tutt'uno con la sua periferia industriale. «L'ammasso urbano» lo chiamava. Abituata a deviare fiumi per non interrarsi, civiltà che trasformò in forza persino la sua fragilità fisica, Venezia ha sempre guardato con sospetto oltre il suo ponte. Marghera insidiava Venezia, la sua laguna, le sue sponde, ma Marghera ha finito con il mettere paura soprattutto alla sua gente, ai suoi operai.
Questo è stato l'atto d'accusa del processo conclusosi ieri in Tribunale. E' vero che Marghera c'entra poco o nulla con il modello Nordest, fondato sul capitalismo diffuso, sulla cultura postfordista, sull'impresa familiare.
Ma è anche vero che all'intero Nordest Marghera ha offerto ricerca, tecnologia, sapere industriale, quadri dirigenti, perfino imprenditori usciti dalla fabbrica più fordista che il Veneto abbia mai conosciuto.
Un capitolo misconosciuto questo. Non per nulla è stato un processo per così dire operaio anche quello celebrato nell'aula del Tribunale. Erano operai i morti, operai i luoghi sospettati di strage industriale, operai i veri investigatori.

Casson e Bortolozzo

Prima ancora che Felice Casson, era stato pubblico ministero di questo processo un lavoratore del Petrolchimico, Gabriele Bortolozzo, raccoglitore tenace di centinaia di casi di cancro, secondo l'accusa contratti a causa del cloruro di vinile monomero.
Tutta una cultura ambientalista è cresciuta attorno al Petrolchimico. E questa cultura ha prodotto nuove sensibilità industriali, inedite precauzioni, notevoli investimenti, soprattutto da parte di Enichem.
Un processo lungo, che richiede una bonifica lunga: c'è chi ritiene che certi rifiuti tossici possano restare attivi per 1.600 anni. La sentenza assolve gli imputati. Capiremo dalla sentenza perché il Tribunale non ha ratificato, a termini di legge, il nesso tra quelle morti e quelle produzioni; il nesso tra responsabilità personali e strage dell'ambiente. Ma fin da adesso, da subito, si capisce che nessuna sentenza - né di assoluzione com'è stato né di condanna - chiude una storia che ci ha aiutato a ragionare, anche tragicamente, sulla qualità del lavoro e della vita, sulla sicurezza, sugli stili di vita, sul profitto, sul rapporto tra sviluppo e società.
Tutto questo è stato Marghera, fordista e post, ieri con 50 mila occupati, oggi con meno di un quarto, ma infinitamente più vicina a risolvere il conflitto tra modernità e habitat. Un habitat che il destino ha voluto specialissimo quanto può essere Venezia, da sempre alle prese con lo choc da futuro, un luogo della mente spesso incerto tra la memoria di sé e la curiosità del futuro compatibile con la memoria.
Ivano Nelson Salvarani, presidente del Tribunale, ha detto no alla richiesta di 185 anni di carcere e di 71 mila miliardi di presunti danni ambientali.
Era popolarissimo quando inquisì Carlo Bernini e Gianni De Michelis; non lo è affatto dopo questa sentenza, ma Salvarani è giudice che non ama la vetrina, ieri come oggi, e che saprà motivare anche la sentenza forse più scomoda della sua vita. Da uomo di qualità.

Le assoluzioni non lasciano sconfitti

A mio parere, le assoluzioni non lasciano tuttavia sconfitti, a cominciare dagli operai che hanno provato a capire sulla propria pelle che cosa può voler dire il lavoro a rischio della vita. La sentenza assolve imputati, suppongo per carenza di convincimento processuale; non fa piazza pulita di una battaglia. Niente andrà perduto, niente.
Se a Marghera non si fa più la «sbronza da Cvm» , come la chiamavano gli operai, dipende tutto da questi anni di speranza chimica. Tenere insieme vita e Pil.
Giorgio Lago
Marghera, 3 novembre 2001