La discussione sulla neutralità della scienza è cominciata molti secoli fa
tutte le volte che un'autorità sosteneva che i ricercatori, gli scienziati,
dovessero studiare tutte e solo le cose indicate dall'autorità e per i fini
prefissati dall'autorità.
Gli scienziati rispondevano a queste pressioni sostenendo che la scienza è
“neutrale” oppure, se rischiavano la tortura o la vita, affermavano
che avrebbero studiato soltanto ciò che l'autorità imponeva, ma poi, visto
che l'autorità in genere di scienza non capiva alcunché, studiavano quel che
volevano pur mostrandosi ossequiosi degli ordini ricevuti.
Nicolò Cusano, uno dei più grandi algebristi di tutti i tempi, scriveva in
arabo, che era allora la lingua internazionale della matematica, perché la
Chiesa di allora sosteneva che i numeri negativi erano “demoniaci”.
La ricerca scientifica è costosa e quindi occorrono finanziamenti, Galileo
vendeva cannocchiali e Copernico faceva l'astrologo di corte (pur non credendo
agli oroscopi!).
Se vogliamo capire il procedimento di costruzione della conoscenza dobbiamo
partire dalla ricerca di base, un tempo chiamata “pura”, sui principi
della conoscenza, sulle leggi fondamentali.
Dai principi si ricavano le applicazioni, che sono guidate da idee su cose
potrebbe essere utile, cosa potrebbe migliorare la società.
La ricerca applicata procede alla progettazione di prototipi e alla loro prova
sul campo e se i prototipi funzionano si va alla produzione.
Mentre è difficile trovare un legame tra il mondo delle imprese e le leggi
fondamentali: le leggi di Keplero o la gravitazione universale sono essenzialmente
solo conoscitive, nel prosieguo del cammino si trovano le applicazioni e,
alla fine, i prodotti sul mercato.
Un matematico di ottima levatura del Diciannovesimo secolo, il prof. Siacci,
fece ottimi sviluppi matematici della legge del moto dei corpi.
Ma egli era non solo professore, ma anche generale e quindi i suoi sviluppi
furono le “tavole di tiro” necessarie agli artiglieri.
Il cannone si spara per uccidere e non per far avanzare la conoscenza.
E così se la ricerca di base ha un forte grado di neutralità producendo affermazioni
e leggi universali, non appena ci si discosta da tale punto di partenza si
ha una ricerca applicata che costa.
Chi finanzia, legittimamente, chiede ritorni, quasi sempre sotto forma di
prodotti nuovi che conquistino fette di mercato e battano la concorrenza.
E' a quel punto che non c'è più neutralità. E' chiaro che occorrono gli sviluppi
a partire dai risultati della ricerca di base e nessuno vuole impedire che
ci siano le applicazioni, ma a questo punto si pongono vari problemi, sia
di chi finanzia, sia di chi controlla.
Senza continuare con gli esempi dobbiamo stabilire i meccanismi di controllo,
che sono sia interni al sistema scientifico come etica del ricercatore, sia
esterni, indispensabili, soprattutto da parte del sistema pubblico finanziatore
della propria ricerca e controllore assoluto dei prodotti applicativi della
ricerca privata.
D'altra parte a noi ricercatori è stato insegnato che la ricerca è una giungla
in cui sopravvive chi è più capace, ma ci hanno anche i molti settori inculcato,
appunto, l'etica della ricerca, la necessità di non prestarsi a un uso strumentale
e soltanto economicistico della ricerca.
Ma gli scienziati sono persone umane come tutti gli altri: c'è chi, come Maccacaro,
è morto conducendo la battaglia per una medicina al servizio della persona
umana, ci sono altri che hanno imitato il dottor Faust.
E' evidente, perciò, che occorre un controllo esterno, democratico, capillare,
esteso, su cosa fa la scienza, soprattutto la scienza applicata, ma questo
controllo deve collegare un potere politico, di cui è indiscussa la funzione
regolatrice, con un dibattito aperto, anche acceso, del sistema scientifico.
Una contrapposizione dei due sistemi è la fine dello sviluppo della conoscenza,
perché i cordoni della borsa lo hanno i politici e i centri di potere economici,
ma questo non vuole affermare che la scienza deve essere autonoma, autoreferenziata
e libera di studiare ciò che vuole come vuole.
Non è facile proporre rimedi, ma almeno cerchiamo di avere un flusso molto
maggiore d'informazione, seria, semplice (chi ha il sapere sa essere semplice)
e che esamini spietatamente a chi giovano certi fatti.
Non avere detto chiaramente a tutti gli evidenti mali dell'aver trasformato
erbivori in carnivori è una gravissima colpa degli scienziati, così come avere
trascurato di chiarire tutti gli aspetti delle applicazioni della genetica.
E, però, i politici dovrebbero cercare di dare voce agli scienziati, non soltanto
a quelli “amici” o “amici degli amici”, per esempio
finanziando alla luce del sole la diffusione della conoscenza, aumentando
il flusso di finanziamenti, ma legandolo all'analisi delle possibili applicazioni.
Ovviamente occorre che tutti conoscano tutte le implicazioni degli sviluppi
scientifici.
Occorre pubblicare i dati dello sforzo di ricerca pubblico e privato (in inglese
si dice know-how, in altre parole saper fare, perché il puro conoscere
non svela alcun segreto industriale) e chiedere l'impegno a sottoporre a comitati
etici, ovviamente laici, le vie di possibili sviluppi.
Forse così usciremo da una sterile contrapposizione e, come mi preme, la sinistra
si scrollerà dalle spalle una possibile accusa, peraltro infondata, di oscurantismo.