Si chiama nanotecnologia molecolare il nuovo
settore di ricerca che si affaccia sul mercato. E' la panacea di tutti i
mali o l'ultimo vaso di Pandora?

Le mani sugli atomi

Per chi ha vissuto dall'inizio l'avvento del biotech sembra di assistere a un remake dello stesso film: difficoltà di reperire notizie che non siano quelle messe in giro dalle aziende interessate, ricercatori che si prestano a confezionare iperboli fantascientifiche su di una tecnologia "definitivamente risolutiva" e grandi spostamenti di capitali. Paradossalmente l'unica voce prudente nel frastuono mediatico che ha preso il via dall'altra parte dell'Oceano Atlantico, è proprio quella di uno dei pionieri della nanotecnologia, come è stata battezzata la nuova tecnica: un ricercatore di nome Eric Drexler che negli anni '80 preferì frenare per "non scoperchiare il vaso di Pandora di una tecnologia potenzialmente rischiosissima", come dichiarò allora.

Un affare piccolo piccolo

"Perché costruire automobili quando puoi semplicemente farle crescere? " Comincia così l'editoriale di NanoTechnology Magazine, rivista on-line specificamente dedicata al nuovo settore di ricerca. Una domanda che potrebbe procurare qualche notte insonne ad Agnelli e a chi, alla Fiat, ci lavora. Di cosa diavolo parlano è presto detto: praticamente di tutto. Sì perché nanotecnologia molecolare significa semplicemente la possibilità di intervenire direttamente sugli atomi "assemblando", così sostengono i suoi fautori, direttamente le materie prime ma anche costruendo microscopici robot in grado di autoreplicarsi e bio-robot grandi come cellule capaci di entrare nel corpo dei pazienti per riparare i danni organici. "Nel prossimo futuro gli scienziati riusciranno a costruire la prima generazione di nano-robot capaci di autoreplicarsi. In pochi anni, e cinque trilioni di miliardi di nano-robot dopo, tutti gli attuali processi industriali saranno obsoleti, così come l'attuale concezione del lavoro. I beni di consumo diventeranno abbondanti, poco costosi e duraturi. La medicina farà un incredibile balzo in avanti, raddoppiando almeno la durata della vita umana".

Ma chi crede a queste scemenze? Innanzitutto il Dipartimento di Difesa statunitense che per il 2002 ha investito 8,75 milioni di dollari del suo budget totale solo nel nanotech, e ha annunciato l'intenzione di fondare un centro di ricerca appositamente mirato, l'Istitute for Soldier Nanotechnology. Ma sono bruscolini. I veri soldi li trovi nel giro delle start up, come si chiamano le aziende emergenti specializzate nell'alta tecnologia, e nel movimento di soldi gestito dalle finanziarie che lavorano con i capitali ad alto rischio - ovvero speculativi - già protagoniste del boom biotech. Una piccola lista della spesa rende l'idea. Nanosys ha accumulato 15 milioni di finanziamenti, la Zyvex - imparate questo nome, diventerà famoso - ha annunciato la costruzione della prima nano-macchina e le sue azioni si sono impennate, Harris & Harris Group ha puntato un milione di dollari sulla nanofarmaceutica, e il Nanotech Venture Fund, fondo appositamente istituito per dare una mano ai nuovi arrivati, ha raccolto la bella cifra di 120 milioni di dollari. A marzo, in Texas, si terrà la seconda conferenza planetaria dei diretti interessati dal promettente titolo "La strada verso la commercializzazione della nanotecnologia".

In cosa consiste?

Una volta stabilito che la cosa esiste, almeno secondo chi è disposto a puntarci sopra un bel po' di denaro, è forse giunto il momento di capire che cosa diavolo è. Per prima cosa sciogliamo l'arcano del nome. Nanotecnologia significa semplicemente "tecnologia che opera su di un livello infinitamente piccolo" dove nano è una precisa unità di misura che corrisponde a 1 metro x 10-9 o, per essere più prosaici, a un miliardesimo di metro. Operare su questa scala significa avere la possibilità di intervenire direttamente su di un livello atomico, sintetizzando materiali completamente nuovi o producendo in laboratorio materiali noti.

Le diverse molecole che si trovano in natura sono infatti frutto dei diversi modi in cui gli atomi si sono assemblati fra loro. Una molecola sintetica sarebbe semplicemente una nuova composizione di atomi con la quale "si può fabbricare qualsiasi cosa" promette Thomas McCarthy in un altro articolo della rivista succitata "costruire un diamante o un paio di scarpe di pelle sintetica significa riuscire a modellare la giusta risoluzione atomica, dove ogni atomo riesce a legarsi in una struttura definita. E' come un fare puzzle tridimensionale con una quantità illimitata di 92 pezzi base, gli elementi. Per fortuna abbiamo i computer che ci aiutano".

Il primo campo d'applicazione sono stati i nuovi materiali - tessuti o nuove leghe derivate dal carbonio - e l'informatica che ha l'esigenza di produrre microconduttori sempre più piccoli e potenti. I successi in questo campo hanno dato il via alla nanotecnologia, e alla fantascienza. Dalle aziende biotech - e dalla sostanziosa alleanza con queste ultime - è venuta l'idea di utilizzare le competenze sulla manipolazione dei geni al servizio della produzione di macchine infinitamente piccole in grado di operare come robot all'interno delle cellule. Operare con le nanomacchine significa, secondo i visionari del nanotech, "aprire la possibilità di ingenierizzare il corpo non solo per ripararlo ma anche per migliorarlo. Come mostrano semplici calcoli, si può operare sul carbonio presente nel corpo umano per rinforzarlo, magari introducendo nello scheletro un composto che assomigli al diamante, dove particelle più piccole delle cellule stesse possono aumentare la tolleranza alla forza di gravità, eliminando per sempre il rischio di fratture".

Dalle ricerche sulla bio-robotica - ricordate i cyborg? - e sulla bio-informatica si è passati all'idea di fabbricare dei microchip neuronali - fatti per metà di silicio e per metà organici - in grado di trasmettere impulsi direttamente alla corteccia cerebrale o, ancora meglio, di stimolare o inibire sostanze chimiche che influiscono sull'umore e sul comportamento. Infine, grazie ai promettenti successi della robotica, si è pensato di produrre nano-robot in grado di autoreplicarsi, macchine che crescono da sole, appunto.

Dei piccolo problema

"La storia si sta ripetendo: nella totale assenza di dibattito viene lanciata una nuova tecnologia, talmente nuova che a malapena si riesce a comprenderla. Gli scienziati sembrano ubriachi e propongono cose come immettere nell'atmosfera nano-particelle per riparare il buco nella fascia di ozono. Non riesco a credere che dei ricercatori possano proporre seriamente una cosa del genere sulle pagine di una rivista scientifica. Ma nel nanotech, come agli albori del biotech, vige la concentrazione della ricerca in poche, potenti mani. Che, tra parentesi, sono sempre le stesse".

A parlare è Pat Moony, fondatore e presidente della Rafi, l'organizzazione canadese diventata famosa per avere battezzato come "terminator" i semi sterili di Monsanto e che ora lancia l'allarme sui pericoli della nuova tecnologia: "Voglio essere chiaro: le possibilità offerte dalla nanotecnologia sono notevoli e potrebbero essere decisive per produrre materiali meno inquinanti, per fare riciclaggio su larga scala e per rendere economico l'impiego di tecnologie più sostenibili come l'energia solare, solo per fare un esempio. Ma credo che sia ormai chiaro a tutti che nel valutare una nuova tecnologia bisogna porsi una semplice domanda: chi la controlla? Se non c'è alcuna possibilità di un controllo sociale che imponga un utilizzo prudente e razionale ma soprattutto vantaggioso per la collettività nel suo insieme, è davvero difficile che la nanotecnologia porti qualcosa di buono".

Chi la controlla è presto detto: Xerox, Exxon, Boeing, Ibm e Toshiba, più le solite note dell'industria biotech - ormai rimaste in cinque a spartirsi la torta dei geni - che si sono lanciate nel nuovo mercato. Ecco allora che lo studio sponsorizzato nel 1996 dall'Unesco che definisce la "nanotecnologia come la logica conseguenza e l'ultimo capitolo del nostro tentativo di controllo e manipolazione della materia che porterà, fra il 2010 e il 2020, enormi benefici all'umanità" appare davvero un po' ingenuo.

Come al solito nessuno si fa quelle due o tre domandine fondamentali. Cosa accadrebbe al mondo se una decina di multinazionali riuscissero a produrre in proprio ogni derivato del carbonio? Che fine farebbero i paesi dell'OPEC, tanto per dirne una? E le fabbriche? "Le fabbriche contemporanee diventeranno obsolete dal momento che il primo nano-robot autoreplicante farà la sua comparsa, con i suoi triliardi di figli. La nazioni che dipendono dalle loro fabbriche di automobili, come il Giappone, dovranno adattarsi" scrive McCarthy. Il vecchio mito delle macchine che rendono "lavorare un gioco" torna alla carica. Abbiamo imparato abbastanza bene che bisogna lottare, e duramente, perché semplicemente non prendano il tuo posto.

Ma una domanda aleggia, e nessuno di questi ricercatori entusiasti - tranne appunto il pioniere della tecnica - sembra particolarmente interessato alla questione. Cosa succederebbe se dei nanorobot autoreplicanti invisibili a occhio nudo e capaci di una produzione geometricamente accelerata, dovessero diventare incontrollabili? Quali misure vengono proposte dagli scienziati? Semplicemente nessuna: l'ipotesi non viene nemmeno presa in considerazione.

Secondi fini

Nel rapporto della Rafi - disponibile in rete in inglese e spagnolo (www.etcgroup.org) - il campanello d'allarme suona forte e chiaro: "Dati gli incredibili scenari proposti per il nanotech, uno stretto controllo governativo sembrerebbe un obbligo. C'è chi vuole riparare lo strato di ozono, chi vuole ridurre i gas serra, creare acqua potabile o desalinizzare gli oceani. Se riesci a riassemblare le strutture atomiche niente è impossibile. Visto che i fattori di rischio di tutte queste proposte sono pazzeschi quanto le idee, i governi del nostro mondo privatizzato agiranno per assicurarsi il controllo dei monopoli delle imprese impegnate in queste attività. E le cosiddette società democratiche rischiano di dover cedere molta della propria libertà in cambio di un utilizzo ‘sicuro' della nanotecnologia per tali colossali progetti".

Ma la possibilità di produrre in laboratorio le materie prime ha anche un altro aspetto seducente, soprattutto in un periodo come questo, che vede i paesi del Terzo mondo rialzare la testa. Con l'aria che tira, il Nord del mondo rischia di dover ridiscutere i prezzi delle materie prime verso una linea di maggior equità: cosa c'è di meglio, allora, che farsele da sé?

Sabina Morandi
Roma, 10 marzo 2002
da "Liberazione"