Tra ottobre e dicembre abbiamo assistito ad una ondata di mobilitazioni in vari paesi europei a difesa della scuola pubblica.

Scuola pubblica sotto attacco in Europa

Rivolgiamo una serie di domande a Pino Patroncini, della direzione nazionale della CGIL Scuola, che sta seguendo queste vicende.

In Spagna si è sviluppata una forte opposizione alla cosiddetta Ley de Calidad. Puoi spiegare qual è il progetto del governo, quali sono state le tappe della mobilitazione e i soggetti che se ne sono fatti carico?

La Ley de Calidad, ovvero la legge di qualità, è il nome ambizioso che la destra di Aznar, al potere per la seconda legislatura di seguito, ha voluto dare alla sua controriforma. E quando dico controriforma non uso il termine in senso propagandistico. Si tratta proprio di una riforma che va contro la precedente, voluta dieci anni fa dal governo socialista e arrivata a regime appena lo scorso anno. La legge socialista aveva una forte struttura unitaria con l’obbligo scolastico fino a 16 anni e a quel punto la scelta tra un biennio, diremmo noi, liceale (in Spagna si chiama “bachillerato” e termina a 18 anni) e uno di formazione professionale. La controriforma, non ritocca l’obbligo ma prevede che a 14 anni, al terzo anno della loro scuola media (che inizia un anno dopo la nostra ed è di 4 anni e che finora era unitaria) l’alunno in base ai risultati scolastici sia obbligato a scegliere tra un percorso che lo indirizza al liceo e uno che lo indirizza alla formazione professionale. Quest’ultimo l’anno successivo si articola in una sorta di avviamento al lavoro per coloro che non andranno neppure alla fp. Un percorso dequalificante, che gli oppositori hanno definito “itinerario basura” ovvero percorso immondizia e che ha suscitato molte ostilità sia per la sua caratteristica segregazionista che per la scelta obbligatoriamente legata ai risultati scolastici. Naturalmente l’opposizione è stata in primo luogo quella delle forze politiche, Psoe e Izquierda Unida, ma anche dei sindacati degli insegnanti aderenti alle storiche Comisiones Obreras, alla socialista Ugt, alla Stes, sindacato regionalista e antifranchista, e alla neonata Cgt, dell’associazione dei genitori laici Ceapa e delle organizzazioni studentesche come il Sindicato de los Estudiantes. Gli studenti avevano un motivo in più per agitarsi: la Ley de Calidad infatti introduce anche un esame finale che prima non esisteva. La mobilitazione dura da parecchi mesi: il suo punto culminante è stato lo sciopero generale della scuola il 29 ottobre, che ha visto un’adesione superiore al 50% degli insegnanti e una forte partecipazione studentesca alle manifestazioni. Poi la mobilitazione è continuata a novembre e dicembre con numerose manifestazioni in molte città spagnole: le più grosse a Barcellona (60.000 manifestanti) e a Madrid (30.000) e una marcia studentesca da Bilbao a Madrid. A dicembre inoltre le elezioni sindacali hanno premiato i sindacati impegnati nel movimento che complessivamente hanno ottenuto più del 60% dei delegati eletti.

Anche in Francia il governo Raffarin ha preso iniziative sulla scuola che hanno suscitato forti reazioni. Anche qui: ci puoi descrivere l'oggetto del contendere e le caratteristiche delle mobilitazioni?

Luc Ferry, il ministro dell’educazione di Raffarin, non appena salito al potere col nuovo governo “chiracchiano” ha annunciato che non avrebbe onorato gli impegni sulle nuove assunzioni presi da Jospin e che anzi avrebbe licenziato 5.000 sorveglianti e mandato ad esaurimento i 70.000 aiuto-educatori, figure che in parte corrispondono ai nostri supplenti o agli insegnanti di laboratorio. Ciò naturalmente ha provocato una immediata reazione degli insegnanti francesi e dei loro sindacati. Ma dietro alle protesta non ci sono solo i posti di lavoro: anche in Francia, con la cosiddetta riforma del “college” ( la scuola media francese) si vogliono anticipare le scelte di orientamento dei ragazzi a 12 anni ( lì c’era già una prima scelta tra un ramo tecnologico e uno generale a 13 anni) ed inoltre si vuole decentrare la gestione delle scuole a livello regionale: la Francia ha una struttura scolastica ancora molto centralistica, anche se ciò non ha impedito una forte articolazione funzionale e professionale del sistema. Sicché il 17 ottobre cinque sindacati ( Fsu, Unsa, Cgt, Cfdt e Faen) e tre associazioni studentesche (Unef, Unl e Fil) hanno indetto uno sciopero generale anche qui con una partecipazione di oltre il 50% della categoria. L’incendio si è esteso anche ad altri settori nel mese di novembre con scioperi dei ferrovieri e di altri impiegati pubblici a cui localmente hanno aderito in forma sparsa i vari sindacati della scuola. Nel frattempo in Francia ci sono state due scadenze importanti:  le elezioni “prud’homales”  intercategoriali e quelle professionali della scuola. Le prime hanno visto ancora il primato delle Cgt col 32% e le seconde quello della Fsu col 45%. Nella scuola il fronte di lotta arriva a metter insieme oltre l’80% dei suffragi e. se c’è qualche defezione, questa premia addirittura i neonati sindacati più radicali come la Sud. Comunque il fronte si è ricompattato l’8 dicembre in occasione della manifestazione nazionale di 40.000 insegnanti a Parigi indetta dagli stessi cinque sindacati. Il 17 gennaio poi c’è stato lo sciopero nazionale dei precari ( sorveglianti e aiuto-educatori),   ed infine per il 28 è previsto uno sciopero generale. La situazione ribollente ha costretto Raffarin a correre ai ripari sicché in questi giorni Luc Ferry ha promesso l’assunzione di 30.000 docenti e di 16.000 ausiliari. 

L'effervescenza nel mondo della scuola ha toccato anche altri Paesi europei?

Si, ha coinvolto anche il Portogallo dove il 14 novembre c’è stato un colossale sciopero del pubblico impiego indetto dalle due confederazioni sindacali e dai tre coordinamenti del pubblico impiego, che nella scuola ha raggiunto punte altissime: il 90% di adesioni secondo la Fenprof, i principale sindacato degli insegnanti. Qui c’erano anche rivendicazioni salariali in ballo oltre che occupazionali: il Portogallo ha una forte percentuale di docenti precari. Infatti in dicembre c’è stata anche una marcia dei docenti precari che ha attraversato il paese toccando tutti i capoluoghi di provincia. Non è la prima volta che si adotta questa forma di mobilitazione. E il 10 dicembre la Fenprof ha aderito allo sciopero generale intercategoriale indetto dalla Cgtp-In.

Un altro polo di tensione scolastica si era aperto nei Paesi Bassi, dove il nuovo governo di centro-destra non prometteva bene: ma la tensione è stata disinnescata dalla crisi dell’impossibile coalizione tra democristiani e xenofobi e in questi giorni lì si va a nuove elezioni.

Anche la Gran Bretagna pur con tempi diversi ha visto scioperi e agitazioni nelle scuole: a giugno lo sciopero dei dipendenti comunali ha visto un’alta adesione del personale amministrativo, che è prevalentemente comunale. E a novembre ci sono stati scioperi degli insegnanti a livello locale indetti soprattutto sul tema delle mancate assunzioni e delle mancate sostituzioni dei colleghi assenti. Teniamo presente inoltre che in Gran Bretagna all’inizio dell’anno scolastico è saltato il Ministro dell’istruzione Estelle Morris e tutto lo staff che presiedeva alla valutazione di sistema a causa dello scandalo degli standard truccati nei loro esami di maturità.

Che punti in comune vedi tra le iniziative governative di questi Paesi europei e quelle intraprese dal governo Berlusconi?

Ci sono evidenti analogie col caso italiano soprattutto in Francia e Spagna. In primo luogo assistiamo in tutti e tre i paesi a un tentativo di risparmiare direttamente sulla scuola con tagli e mancate assunzioni. E ciò riguarda anche Olanda e Portogallo.

Da un punto di vista politico prevale in tutti e tre i paesi il tentativo di introdurre una vera e propria segregazione scolastica attraverso due fatti: l’anticipazione delle scelte (in Spagna da 16 a 14 anni, in Francia da 13 a 12, in Italia si è addirittura abbassato l’obbligo scolastico di nuovo a 14 anni) e una più rigida segmentazione degli studi. Questo processo è presente anche in Gran Bretagna, naturalmente “all’inglese”: Blair ha promesso più fondi alle scuole che sperimenteranno l’anticipazione delle scelte.

Incombe sui destini della nostra scuola il macigno della devolution: è una tendenza presente anche in altri Paesi europei?

In Francia temi della “decentralisation”, che attribuirebbe più poteri alle regioni in politica scolastica, sono simili a quelli della nostra “devolution”, anche se per il grado di incisività e per il contesto istituzionale il caso italiano è sicuramente più pesante. Teniamo presente che in Francia l’unica competenza scolastica finora decentrata riguarda praticamente solo l’edilizia. Il problema invece non si pone in Spagna dove il processo di attribuzione delle competenze scolastiche alle regioni è appena terminato e dove però ha un altro substrato storico e politico. Naturalmente anche qui i problemi non mancano. Primo fra tutti: in questo contesto è stato più facile per Aznar scaricare i costi della sua controriforma alle comunità autonome, le regioni spagnole.

Colpisce nella situazione francese e spagnola l'adesione alle mobilitazioni anche delle organizzazioni studentesche e dei genitori: cosa favorisce in quei Paesi questa alleanza?

La Francia ha una lunga tradizione di organizzazione degli studenti: pensiamo all’Unef. Una sorta di sindacato degli studenti universitari agli onori della cronaca fin dai tempi della guerra d’Algeria, per le sue esplicite posizioni anticoloniali. Ciò è stato favorito in passato anche dalle attenzioni al mondo giovanile espresso dalla politica: esiste un ministero dello sport e della gioventù. Ma il mondo giovanile e studentesco francese è stato sempre un po’ in ebollizione dal maggio ’68 alle manifestazioni liceali del 1999 che diedero il  via al movimento che l’anno successivo portò alla caduta di Allégre.

Anche in Spagna la partecipazione studentesca data agli ultimi anni del franchismo, quando i movimenti studenteschi ebbero un ruolo notevole nel superamento del regime, anche se ultimamente i commentatori spagnoli hanno notato un mutamento da un movimento eminentemente politico a un movimento con caratteristiche più sindacali. In Spagna è significativa la forte presenza degli universitari visto che tra le controriforme in atto vi è anche quella dell’università e questo dà al movimento studentesco uno spessore più alto in termini di cultura e di sedimentazione politica.

Infine, in Spagna soprattutto, la presenza dei genitori, organizzati dalla confederazione laica Ceapa, è una costante per tutelarsi dalle forti ingerenze che tradizionalmente la chiesa cattolica ha esercitato sull’educazione. 

Tra ottobre e novembre dunque si è sviluppata una congiuntura piuttosto straordinaria: una inconsapevole mobilitazione continentale della scuola pubblica. Ci pare che sia mancato pero'  l'elemento "soggettivo", la coscienza, la volontà e l'organizzazione comune. E' cosi'? Gli incontri di Firenze hanno permesso di fare un passo in avanti su questo piano?

Se guardiamo bene e se sommiamo gli scioperi italiani, quasi in contemporanea tra ottobre e novembre hanno scioperato nell’Unione Europea quasi un milione e mezzo di operatori scolastici. La metà delle scuole e  circa 30 milioni di famiglie, un cittadino UE su tre, sono state in qualche modo coinvolte. Sono dati ampiamente sottovalutati dalla stampa e conosciuti solo dagli addetti ai lavori. E per la verità l’ipotesi di uno sciopero europeo della scuola, per lo meno dell’Europa del sud, dove , come abbiamo visto, i problemi sono molto simili, era stato abbozzato anche da noi della  Cgil Scuola con i nostri colleghi francesi portoghesi e spagnoli. Ma poi sono prevalsi tempi delle politiche e dei contesti  nazionali. Certo Firenze, che è venuta subito a ruota, ha costituito un utile momento di confronto, come anche lo è il forum mondiale di Porto Alegre in questi giorni. A Firenze, oltre alle organizzazioni studentesche e oltre alla Cgil, c’erano la Fsu francese, le Comisiones Obreras spagnole, la Fenprof portoghese: tre sindacati di prima grandezza nelle scuole dei ripettivi paesi.

Credo che però, ancor prima di parlare di soggettività, sarebbe utile sottolineare lo scarto di iniziativa che rischia di crearsi tra l’Italia e gli altri paesi. Abbiamo visto che lì il movimento nella scuola è andato avanti e continua ad andare avanti tra scioperi e grosse manifestazioni. Da noi dopo il 18 ottobre non c’è stato più niente di grosso nella scuola: solo iniziative parziali o convegni, che vanno bene ma non bastano. Le iniziative abbozzate sono state via via rinviate e anche la manifestazione del 22 febbraio nel momento in cui scrivo tutti sentono che è in forse per i noti dissidi sindacali. Certo da noi oggi gioca molto l’atteggiamento di Cisl e Uil, ma, pur non rinunciando a tentare un loro coinvolgimento la Cgil farebbe ben a darsi una mossa. La scelta del 12 aprile per una manifestazione confederale sulla scuola è un momento importante soprattutto perché è di tutta la confederazione e segnala una solidarietà di classe sul tema, ma è molto avanti nel tempo. Sei mesi dal 18 ottobre sono tanti e dopo le molte iniziative di categoria e generali  dell’anno passato fanno un po’ l’effetto degli ozii di Capua.  

Redazione di Reds
Milano, 14 febbraio 2003
REDS