Tra decreti attuativi ed atti concreti

LA CONTRORIFORMA DUALE.

Se la dualità della controriforma sia dovuta al caso o un'oculata tattica politica è difficile dirlo quando si ha di fronte una controparte che fa dell'improvvisazione e della politica dell'immagine la sua pratica fondamentale.

Per una scuola duale controriforma duale.
E' un considerazione che viene in mente vedendo come questo ministero procede sulla via dell'attuazione della legge 53 e dei suoi disegni controriformatori in campo educativo. Ed è una considerazione che tenta di spiegare anche l'impatto variato che l'operazione ha sul corpo docente, sull'utenza e sull'opinione pubblica.

Scuola primaria: la controriforma "de jure"

Ha suscitato un certo scalpore in questi giorni l'approvazione del decreto relativo a scuola dell'infanzia, elementare e media. La cosa si è anche tinta di giallo nel momento in cui si è scoperto che i testi illustrativi del decreto erano due: uno che in maniera asciutta definisce un'organizzazione oraria che "non lascia spazio alla fantasia" e un altro che si preoccupa invece di rassicurare su alcuni elementi che costituiscono oggetto di polemica, come la sopravvivenza del tempo pieno e la collegialità docente.

Il primo testo, pubblicato sul sito del MIUR, è il messaggio che viene inviato alle amministrazioni scolastiche, perché sappiano qual è il modello organizzativo su cui ci si orienta: 27 ore. Il resto c'è e non c'è: si gioca sui termini "opzionale", "obbligatorio per le scuole", "facoltativo per gli alunni". La mensa poi è lì non definita.

Il secondo testo, pubblicato sul sito del consiglio dei ministri, invece rassicura: il tempo pieno ci sarà, persino a 40 ore, e il tutor sarà all'interno della programmazione del team. Questo è il testo esplicativo su cui probabilmente all'interno della compagine governativa si è estorto il consenso di quei settori, sempre più risicati, che mantengono ancora qualche senso del sociale, di fronte alla spietata logica contabile dei settori più liberisti.

Come è possibile ciò? E' possibile per il semplice motivo che pur intervenendo radicalmente sull'organizzazione scolastica, scomponendo ciò che nella storia della scuola si era composto, disintegrando ciò che negli anni passati si era lavorato ad integrare (curricolo e extracurricolo, lezioni teoriche e attività pratiche, scuola ed interscuola, persino espressività e "grammatica" -sembra la cosa che sta più a cuore alla "signora maestra" Moratti!), la dotazione organica attuale della scuola elementare vede una consistenza tale di personale di ruolo che una drastica operazione di compressione sul frontale della scuola elementare così come è uscita dalla riforma dell'85 avrebbe solo l'effetto della produzione di una quantità di soprannumero tale da creare più problemi di quanti ne risolva. Se si esclude il sostegno (e le sostituzioni, che però non entrano nel conto degli organici) nella scuola elementare infatti è quasi inesistente il precariato. E questo dà modo di promettere ai dubbiosi una progressione blanda nei fatti, che può rassicurare e che a qualcuno fa dire anche: tanto tutto resterà come prima.

In questo quadro il decreto ha due scopi.

Il primo è dimostrare che la riforma va avanti: dimostrarlo a sé stessi, dimostrarlo all'opinione pubblica e dimostrarlo anche alla scuola, affinché gli insegnanti non si facciano soverchie illusioni. Questo è il senso del battage pubblicitario che ha accompagnato la cosa, scomodando il presidente del consiglio, sempre pronto a raccogliere messi mediatiche, quasi per compensare con la sua tronfia seriosità lo stile infantilmente balbettante della nostra ministra. Questa è anche la giustificazione del fatto che si continui a torturare proprio il settore più riformato e più efficiente del sistema, che però, per ragioni strutturali, è anche il meno complicato in cui mettere le mani.

Il secondo è predisporre, proprio in un settore in cui, sempre per le ragioni strutturali legate all'organico, la controriforma potrebbe avere tempi più lenti, l'invio di messaggi ideologici che incidano sulla logica pedagogica: il tutor come restaurazione dell'unicità docente, l'aggiuntività al posto dell'integrazione, la selezione al posto della promozione.

Scuola secondaria: la controriforma "de facto"

L'esatto contrario di ciò che avviene nella primaria lo registriamo nella secondaria superiore. Qui di decreti attuativi non se ne vedono. Anzi la riforma è ancora nel vago.

I pochi atti esplicitamente conseguenti alla legge 53 si limitano a documenti scarsamente conosciuti come il profilo dello studente, fiera delle ovvietà, o l'illuminante documento sui licei: illuminante perché pur essendo limitato ad un settore dell'istruzione secondaria superiore consente di vedere in controluce tutti gli altri.

E sinceramente non è una bella vista quella di una scuola divisa tra astrazione e praticoneria, da cui usciranno o fini dicitori o riparatori di motorini, perché questa è la concezione del rapporto tra teoria e pratica che attraversa tutta la legge: dalle attività dei maestri coadiuvanti nelle elementari, alle educazioni, diverse dalle discipline, nella media, alla scuola professionale regionalizzata.

Ma se non si vedono i decreti attuativi gli atti concreti non mancano.

Alcuni discendono direttamente dalla legge. O meglio discendono dal fatto che la legge ha abrogato la legge 9 sull'obbligo scolastico. Creato il buco nero, la voragine dopo la terza media, l'abisso che avrebbe risucchiato nella non istruzione alcune decine di migliaia di studenti, il ministero - incalzato dalla Cgil Scuola, se no non si sarebbe neppure accorto del problema - ha avuto buon gioco a presentare come male minore il salvagente di una semiscuola concordata tra Stato e regioni.
Il che significherà scuola più formazione professionale in alcune regioni, formazione professionale tout court in altre a seconda del colore politico delle giunte regionali o della lungimiranza degli assessori.
In ogni caso un fatto concreto che si muove in direzione di regionalizzare l'istruzione professionale, perchè è di quello che si tratta, e di disarticolarla.

Altri atti vengono compiuti apparentemente senza alcun legame con la riforma, adducendo motivazioni economiche sancite dalle varie finanziarie. Tra questi sicuramente l'atto più significativo è un non-atto: l'indisponibilità ad assumere in ruolo il personale e a coprire i quasi 100.000 posti vacanti.

Se è ormai chiaro che per i nostri governanti la riforma unisce l'utile di un risparmio nel bilancio dello Stato al dilettevole di una restaurazione culturale e sociale, ciò che non è chiaro è quanti morti e feriti dovranno restare sul campo.

Ci sarà la devolution e quindi tutti docenti passeranno alle regioni?
Passeranno solo i professionali e quindi via dallo stato gli insegnanti di quelle scuole?
Gli istituti tecnici seguiranno la stessa sorte e quindi via anche quegli insegnanti?
Si ribalteranno per effetto di questi spostamenti le iscrizioni e quindi serviranno più filosofi e meno tecnici?

Comunque vadano le cose 200.000 precari costituiscono un carico da sgomberare meno ingombrante di altrettanti docenti di ruolo che potrebbero restare sul groppone del cosiddetto soprannumero.

Ma abbiamo avuto anche altri atti: una legge che predispone persino il licenziamento per gli insegnanti tecnico pratici soprannumerari, quando si sa già che l'unica scuola secondaria superiore che rimarrà allo stato, cioè il liceo, non prevede i laboratori; una norma collegata alla finanziaria che esclude al tempo indirizzi monoclassi al di sotto di un certo numero di richiedenti e la possibilità di formare classi articolate, così si riduce il presidio scolastico di tipo tecnico professionale sul territorio; una norma sulla colmatura a 18 ore che tra un po', dopo aver disarticolato gli insegnamenti, suonerà così alle orecchie dei docenti: "preferisci 9 classi di storia per 18 ore o 4 di storia e filosofia per 20 ?" e a quel punto avrà rotto il limite delle 18 ore, per tutti!

Da ultimo l'uso disinvolto dei finanziamenti per il funzionamento degli istituti professionali, che dimenticando la natura curricolare della terza area, ha già deciso che questo non è più problema del ministero.

Due strade diverse dunque.

Nella scuola primaria, dove le reazioni potrebbero essere giustificate dalla scelleratezza delle intenzioni che sempre meglio si vedono nei decreti, si prova a stemperare il tutto sui tempi e sulle risorse.

Nella scuola secondaria dove le intenzioni non sono esplicite si mettono in moto misure parziali e apparentemente sconnesse, che servono però a mantenere parziali e sconnesse anche le reazioni e le proteste.

Così se da un lato il movimento contro la riforma si è potuto esprimere più compiutamente ma è stato magari tranquillizzato da un " sì, ma non ora" , dall'altro abbiamo avuto in sequenza scomposte proteste di gruppi di precari gli uni contro gli altri armati, in bilico tra ultima chance e rassegnazione al precariato a vita, di itp sul baratro del licenziamento, di insegnanti sballottati tra classi e orari, di scuole senza più indirizzi e di dirigenti senza soldi per far funzionare la scuola. Se la dualità della controriforma sia dovuta al caso o un'oculata tattica politica è difficile dirlo quando si ha di fronte una controparte che fa dell'improvvisazione e della politica dell'immagine la sua pratica fondamentale. Quello che è certo è che la sfida a cui il sindacato e quanti si oppongono a questa riforma sono chiamati è rappresentata dalla capacità di unificare la resistenza a questi due processi, di unificare i mille rivoli in cui rischia di articolarsi, senza che vada perduta la radicalità che ogni ragione porta con sé.

Pino Patroncini
Roma, 22 settembre 2003