Osservazioni sulla irregolarità del procedimento relativo all'erogazione dei buoni scuola, di cui alla legge regionale della Lombardia 5 gennaio 2000, n.1, art.4, comma 121, lettera e), con particolare riguardo alla incostituzionalità ed illegittimità della delibera del consiglio regionale 18/2000 relativa a

Indirizzi e criteri per l'erogazione del buono scuola

Alla Commissione statale di controllo presso il Commissario di Governo per la Regione Lombardia, e p.c. Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Al Ministro degli Affari Regionali On.le Agazio Loiero, Al Ministro per le Riforme Istituzionali On.le Antonio Maccanico, Al Ministro della Pubblica Istruzione On.le Tullio De Mauro

I sottoscritti consiglieri regionali sottopongono le seguenti osservazioni.

Premesse

Per comprendere bene le dinamiche della vicenda è opportuno fare una breve cronistoria della genesi del buono scuola in Lombardia.

Nell'ambito della deliberazione legislativa, numero 168 del 28.09.1999, che doveva attuare in Lombardia il decreto legislativo 112/98 (in materia di conferimento di funzioni e compiti

amministrativi dello Stato alle Regioni e agli Enti Locali), l'art.4, comma 120, lettera e), stabilisce che il buono scuola sia destinato ad esclusivo beneficio delle famiglie di studenti iscritti nelle scuole private.

Il buono scuola viene così configurato, nella sua versione originaria, non già come uno strumento tipico di assistenza scolastica: materia sì di competenza legislativa regionale, ma che, dovendosi esplicare nel rispetto dei principi universali di cui agli artt.3 e 34 della Costituzione, avrebbe allora dovuto obbligare la maggioranza in consiglio ad estendere l'ambito dei destinatari alle famiglie degli allievi delle scuole pubbliche.

Il buono scuola viene invece configurato come una forma del tutto nuova ed atipica di finanziamento indiretto alle scuole private stesse, senza alcun controllo sulla qualità degli istituti, per il tramite dei rimborsi delle spese scolastiche sostenute (in primis le rette di iscrizione), concessi solo alle famiglie di studenti che scelgono per l'appunto la scuola non statale.

Il che veniva deliberato dal Consiglio regionale della Lombardia senza attendere la definizione delle norme legislative nazionali sulla parità scolastica, in fase di discussione parlamentare in quel periodo, e successivamente approvate con la legge 62/2000.

Eccezioni di incostituzionalità

Sul punto, le opposizioni in consiglio sollevano delle eccezioni di incostituzionalità pienamente accolte dal Consiglio dei Ministri, nella seduta del 12/11/1999, e dal Commissario di Governo, con provvedimento del 12 novembre 1999, protocollo n.22902/2968, lettera h), sulla base della seguente motivazione, che riportiamo testualmente: esulano dalle competenze regionali le disposizioni di cui all'art.4, comma 120, lettera e) nella parte in cui stabiliscono "buoni scuola alle famiglie degli allievi che frequentano scuole private legalmente riconosciute e parificate, a copertura totale o parziale degli oneri a loro diretto carico per il pagamento dei costi dell'istruzione"; tale funzione non risulta, infatti, trasferita alle Regioni dall'art.138 del d.lgs.112/98, il quale si limita alla lettera e) ad attribuire alla Regione la funzione amministrativa di erogare alle scuole non statali i contributi prima erogati direttamente dallo Stato e non quella di istituire nuovi contributi. Il potere di istituire nuovi contributi per sostenere l'istruzione rimane nella competenza dello Stato non rientrando tra le materie che l'art.117 della Costituzione riserva alla potestà legislativa delle Regioni. Dette disposizioni, peraltro, anche sotto il profilo dell'assistenza scolastica violano il principio di uguaglianza, in quanto i previsti buoni scuola alle famiglie, che mirano a coprire oneri diretti a loro carico, e quindi non solamente le rette scolastiche ove richieste, sono riservati alle famiglie degli allievi che frequentano scuole non statali, legalmente riconosciute e parificate, con ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle famiglie degli allievi delle scuole statali e quindi con violazione del principio di uguaglianza. E' poi anche da rilevarsi che non è dettato alcun principio relativamente ai criteri per erogare i buoni scuola in questione, laddove non può disconoscersi che al riguardo sussiste una riserva di legge sia pure relativa.

Rinvio del testo di legge al Consiglio Regionale

Sulla base di tali motivazioni, il testo non viene vistato e viene rinviato al Consiglio regionale. La maggioranza è costretta ad approvare una nuova versione legislativa del buono scuola rispettosa dei principi indicati dall'organo di controllo.

Il nuovo e definitivo testo, vistato dal Commissario del Governo, ossia l'art.4, comma 121, lettera e) della legge regionale 1/2000, recita testualmente: la Regione esercita le funzioni amministrative relative: (…) all'erogazione dei contributi alle scuole non statali, nell'ambito della legislazione nazionale, nonché all'attribuzione, nei limiti delle risorse regionali disponibili, di buoni scuola alle famiglie degli allievi frequentanti le scuole statli e non statali, legalmente riconosciute e parificate, al fine di coprire, in tutto o in parte, le spese effettivamente sostenute. I buoni scuola dovranno essere rapportati al reddito, alle disagiate condizioni economiche, al numero dei componenti del nucleo famigliare e all'entità delle spese gravanti complessivamente sul nucleo medesimo. Le modalità per l'attuazione degli interventi sono definite dalla Giunta regionale sulla base degli indirizzi del Consiglio regionale.

In sintesi, la norma regionale citata configura il buono scuola come forma di rimborso, totale o parziale, delle spese effettivamente sostenute dalle famiglie di studenti di scuole statali e non statali, da proporzionare al reddito, alle disagiate condizioni economiche, al numero dei componenti del nucleo familiare e alle spese scolastiche complessivamente gravanti sul nucleo stesso.

Deliberazione in contrasto con la legge.

In data 27.07.2000, il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato la deliberazione n. VII/00/18, con la quale vengono definiti degli indirizzi e dei criteri per l'erogazione del buono scuola.

Tuttavia, tale provvedimento consiliare, anziché applicare i criteri generali indicati dalla norma legislativa regionale di riferimento, prevede dei criteri del tutto difformi, in conseguenza dei quali il buono scuola di fatto viene previsto solo per le famiglie, anche ad alto reddito (il tetto massimo è di 60 milioni lordi annuali pro capite) che optano per la scuola, elementare e superiore, privata, sulla base di una copertura fissa (25%) della retta pagata, fino a un massimo di 2 milioni; nessun rimborso è invece previsto per i costi complessivamente sostenuti dalle famiglie, anche a basso reddito, degli allievi delle scuole elementati e superiori pubbliche, per le spese di libri, mense, trasporti.

In sostanza, il provvedimento in oggetto modifica surrettiziamente proprio i due criteri fondamentali indicati dal legislatore regionale, ossia il criterio, secondo il quale il buono scuola deve essere una forma di rimborso proporzionata all'effettivo stato di bisogno delle famiglie ("i buoni scuola dovranno essere rapportati al reddito e alle disagiate condizioni economiche", recita testualmente la norma), ed il criterio, secondo il quale il buono scuola deve essere rapportato non all'entità di alcune spese, bensì "all'entità delle spese gravanti complessivamente sul nucleo medesimo".

Ad avviso degli scriventi, nella fase esecutiva della legge regionale, il Consiglio non poteva, nell'ambito dell'adozione di un atto, che peraltro presenta nella sostanza gli elementi peculiari tipici non dell'atto di indirizzo ma del regolamento, omettere arbitrariamente di proporzionare il buono scuola al reddito familiare.

Avrebbe, invece, dovuto delineare, secondo la chiarissima volontà del legislatore, meccanismi che consentissero alle famiglie meno abbienti di avere di più in termini di rimborso, e non una quota fissa uguale per abbienti (fino al tetto massimo molto alto dei 60 milioni pro capite) e non abbienti, finendo così per proporzionare il buono scuola non all'effettivo stato di bisogno, bensì soltanto alle spese sostenute dalle famiglie in termini di rette, tasse, contributi volontari.

Tantomeno l'organo consiliare poteva, in questa fase, limitare arbitrariamente, contro la volontà esplicita del legislatore, la copertura del buono scuola alle sole spese testè citate ad esclusione delle ingenti spese scolastiche, complessivamente gravanti sui nuclei familiari, comprensive altresì dei libri di testo, dei trasporti e delle mense; né poteva introdurre una franchigia, che consente solo a quanti sostengono una spesa superiore alle 400.000 lire annuali di ottenere il buono scuola.

Il risultato finale di questi stravolgimenti è di escludere da ogni forma di rimborso le famiglie degli studenti delle scuole statali, visto che le tasse di iscrizione presso le scuole pubbliche (unica voce rimborsabile sulla base dei criteri surrettiziamente introdotti) sono inferiori alle 400.000 lire all'anno.

Non solo: anche la famiglia che sceglie la scuola non statale è rimborsata non in proporzione al proprio reddito, ma sulla base dell'entità della retta pagata, talché il buono scuola, così arbitrariamente stravolto, determina una disparità di trattamento non solo a danno delle famiglie degli allievi delle scuole statali, ma anche tra le stesse famiglie degli allievi delle scuole non statali.

Elusione della legge da parte della maggioranza

Tuttavia, i sottoscritti consiglieri non hanno potuto tempestivamente sollevere le suesposte osservazioni di incostituzionalità ed illegittimità, poiché il Consiglio definiva i predetti criteri nell'ambito di un atto di indirizzo generale, come tale non soggetto al controllo preventivo da parte del Commissario di Governo o della Commissione statale di controllo.

Lo ribadiamo a scanso di equivoci: il Consiglio regionale della Lombardia aveva tutto il potere di stabilire dei criteri diversi da quelli appena definiti in sede legislativa; ma allora avrebbe dovuto farlo con lo strumento proprio, ossia con un altro atto legislativo.

Invece, non ha seguito questo percorso, a nostro avviso, per eludere i controlli di costituzionalità e di legittimità previsti, visto e considerato che di fatto l'atto in questione reintroduce gli stessi elementi di disparità di trattamento e di arbitraria invasione nella sfera delle competenze riservate allo Stato, a suo tempo censurate dalla summenzionata nota del Commissario del Governo.

Ad ogni buon conto, a questo punto della procedura, ossia dopo la definizione degli indirizzi generali sui criteri di erogazione dei buoni scuola, approvata dal Consiglio con la delibera n.18/2000, la Giunta regionale, in base all'esplicita previsione dell'art.4, comma 121, lettera e), della l.r.1/2000, avrebbe dovuto definire "le modalità per l'attuazione degli interventi", e avrebbe dovuto farlo, ad avviso di chi scrive, nella forma propria dell'atto regolamentare, anche in considerazione delle intervenute modifiche all'art.121 della Costituzione, ad opera della legge costituzionale 1 del 1999.

Invece, la Giunta si è guardata bene dall'emanare un siffatto provvedimento, poiché, ai sensi dell'art.17, comma 32, della legge n.127/97, avrebbe dovuto inviarlo al controllo preventivo di legittimità della Commissione statale di controllo, là dove l'atto rischiava di essere sospeso, ove avesse riprodotto i medesimi contenuti delineati dall'atto di indirizzo 18/2000, in quanto contenuti palesemente difformi da quelli stabiliti dalla fonte legislativa primaria.

Cosicché tutti gli elementi di incostituzionalità ed illegittimità presenti nell'atto di indirizzo consiliare sono stati puntualmente ripresi e decretati non da una deliberazione di Giunta con natura di regolamento, bensì con un atto amministrativo, ancora una volta non suscettibile di alcun controllo preventivo di legittimità, ossia con il Decreto del Direttore Generale della Giunta regionale n.19449 del 3 agosto 2000, pubblicato sul BURL il 14 settembre 2000, recante "Modalità operative di applicazione del buono scuola. L.r.5 gennaio 2000, n.1, art.4, comma 121, lettera e)."

In sintesi, vi è una legge regionale (la numero 1 del 2000), la quale, nel rispetto dell'art.3 della Costituzione, dopo le censure del Commissario di governo, prevede il buono scuola come forma di rimborso di tutte le spese scolastiche, da destinare a tutte le famiglie, quale che sia la natura statale o non statale dell'istituto scolastico elementare o superiore frequentato dai figli, ed in proporzione al reddito e alle disagiate condizioni economiche.

Vi è poi un atto di indirizzo del Consiglio, non sottoposto a controllo preventivo di legittimità, benché nella sostanza definisce con i caratteri della normazione secondaria, e quindi del regolamento, i criteri di erogazione.

Tale atto amministrativo smentisce la legge: esso, infatti, introduce surrettiziamente degli escamotages, tali da determinare di fatto una destinazione dei rimborsi soltanto alle famiglie degli studenti delle scuole non statali, e senza nessun rapporto di proporzione né con le spese scolastiche complessivamente gravanti sui nuclei, né con il reddito familiare.

Successivamente le modalità di attuazione del buono scuola vengono definite direttamente con un decreto del direttore generale dell'area amministrativa, anziché essere definite dalla Giunta, ossia dall'organo indicato espressamente come competente dalla norma legislativa regionale in oggetto.

Nota bene: l'atto di Giunta avrebbe dovuto rivestire la forma propria del regolamento, e quindi del provvedimento sottoposto al controllo preventivo di legittimità, visto che l'atto di indirizzo politico del consiglio formalmente non assume la rilevanza giuridica immediatamente vincolante erga omnes, propria degli atti di normazione secondaria.

Infine, a chiudere questo anomalo procedimento, interviene la Giunta regionale con una delibera del 22 settembre 2000 n.VII/1253, che richiama semplicemente le modalità di erogazione già definite dall'organo ex lege incompetente, ossia il Direttore generale dell'area amministrativa interessata.

Certamente gli elementi di illegittimità rilevati potranno comunque essere eccepiti in sede giurisdizionale davanti al TAR, con i ricorsi di singole famiglie discriminate.

Tuttavia, è opportuno che, al di là del merito e dei contenuti delle delibere, non si crei un precedente pericoloso sul piano istituzionale, tale da pregiudicare in futuro il corretto e leale rapporto tra le istituzioni ed il principio del buon andamento della pubblica amministrazione contemplato dall'art.97 della Costituzione.

In altri termini, nella fattispecie si evidenzia la volontà degli organi regionali, via via coinvolti nel procedimento, di assegnare arbitrariamente un nomen iuris di comodo agli atti prodotti, a prescindere dalla loro effettiva sostanza giuridica, in modo tale da eludere i controlli preventivi di legittimità e costituzionalità previsti.

Inammissibilità del comportamento della giunta.

Il che è inammissibile in uno Stato di diritto, anche perché la cognizione del Giudice Amministrativo riguarda esclusivamente quei provvedimenti che incidono direttamente su posizioni soggettive specifiche, mentre il già richiamato principio generale di cui all'art.97 della Costituzione (che contempla altresì i fondamentali requisiti della imparzialità e della legalità dell'azione amministrativa) esige una garanzia di legittimità anche per gli atti a valenza generale, non suscettibili di una immediata impugnazione nell'ambito delle regole procedurali della giurisdizione amministrativa.

Per le suesposte ragioni, abbiamo proposto al Consiglio regionale di approvare, nella seduta del 17 ottobre, una mozione urgente, affinché le procedure relative all'erogazione dei buoni scuola siano al più presto regolarizzate, con una richiesta finale alla Giunta di impegnarsi ad emanare un regolamento formale in materia, da sottoporre ai previsti controlli preventivi di legittimità da parte della Commissione statale di controllo.

Qualora tale mozione non fosse approvata dalla maggioranza dei consiglieri, riteniamo necessario, quale extrema ratio, inviare agli organi in indirizzo le suesposte osservazioni per segnalare gli aspetti di illegittimità ed incostituzionalità che inficiano il contenuto delle singole delibere amministrative sul buono scuola, e la regolarità dell'intero procedimento.

Le denunciate irregolarità potrebbero configurare gli estremi di un conflitto di attribuzioni fra Stato e Regione Lombardia, da dirimere nell'ambito della giurisdizione della Corte Costituzionale, ai sensi dell'art.134 della Costituzione.

I CONSIGLIERI REGIONALI

Gianni Confalonieri (P.R.C.)

Mino Martinazzoli (Partito Popolare)

Maria Chiara Bisogni (D.S.)

Roberto Biscardini (S.D.I)

Carlo Monguzzi (Gruppo Verdi)

Milano, 19 ottobre 2000