Riflessioni di Mario Alighiero Manacorda, storico dell'educazione, sulla riforma scolastica.

Una scuola anticostituzionale

Ovvero come il progetto Berlinguer ha spianato la strada al piano Berlusconi - Moratti

Fa un certo effetto leggere nell'agile libro dell'ex ministro dell'istruzione del centro sinistra, Luigi Berlinguer, La scuola nuova, l'annuncio, che «la riforma della scuola è un'opera compiuta». In realtà, se c'è un'incompiuta, è questa: il nuovo ministro del centro destra, Letizia Moratti, felicemente trionfante al meeting di Comunione e liberazione, la sta già smantellando e il libro, come la riforma, è ormai cosa d'altri tempi. Ma che cosa era questa riforma, e che rischi ha comportato e ancora oggi comporta?

Ma quale riforma?

Per la sua ispirazione la riforma Berlinguer era parte integrante di tutta la politica, così squallidamente conclusa, del centro-sinistra e in particolare dei dirigenti diessini: un'affannosa rincorsa dietro agli obiettivi della destra, nazionale e internazionale, quasi a voler dimostrare di essere altrettanto bravi a perseguirli: modernizzazione, liberalizzazione, destatalizzazione, privatizzazione, decentramento, autonomia. Col bel risultato di aver aperto la strada a una più smaccata modernizzazione, liberalizzazione ecc. ecc. per la destra oggi al governo.

Eppure nel suo libro Berlinguer enuncia principi di grande rilievo pedagogico. Dice, ad esempio, che «il successo di tutti i bambini è il vero successo della scuola», la quale perciò deve essere "senza bocciature"; che, mentre «oggi la scuola è quasi esclusivamente l'aula», occorrono «attività integrative collegate al curricolo»; che occorre intervenire sul curricolo o i "saperi" per superare la frattura tra scuola culturale e scuola professionale, coniugando "il conoscere e l'operare"; che col riordino dei cicli, ridotti da tre a due, occorre superare anche «la cesura traumatica tra elementare e media»; che per garantire l'attiva partecipazione di docenti e studenti occorre dare alle scuole più autonomia, ecc.

Bene: peccato soltanto che Berlinguer vanti la novità di ogni sua proposta, occultando i precedenti storici, di cui pur si è giovato. Questi da lui proclamati sono più o meno i principi di tutta la pedagogia moderna: e già col disegno di legge comunista Donini-Luporini del 1959, sulla scuola unica obbligatoria dai 6 ai 14 anni avevamo proposto di abolire le bocciature, e anche la Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani del 1968, elencava tra le proposte di riforma: «Primo: non bocciare». E per la scuola secondaria già la nostra proposta di legge Raicich del 1972 proponeva «un processo formativo unitario superando ogni margine di opposizione tra scuola di cultura e scuola di professione»; e potrei continuare. Ma per Berlinguer è tutto suo, tutto nuovo. Pazienza! Anche se è un po' troppo sentirlo lamentare che «il rapporto scuola-lavoro era una specie di tabù, avversato dalla sinistra per paura del capitalismo. C'era un'idea antica del lavoro come estraneo alla realizzazione della persona». Incredibile: la secolare elaborazione della tradizione socialista, in particolare di Marx e di Gramsci, su una scuola unica di lavoro intellettuale e manuale per formare un uomo completo, "onnilaterale", e la nostra riflessione di decenni e le nostre proposte di legge su questo tema, tutto questo per il post-comunista Berlinguer non è mai esistito? Ma lui dov'era? Non c'è da stupirsi se perfino nel presentare se stesso, mentre si dichiara "parlamentare dal 1994 per i Democratici di sinistra", Berlinguer pudicamente occulta la sua lunga vita di parlamentare per il Pci e la sua iniziale adesione a "il manifesto" e la collaborazione con la Rossanda e Cini alla stesura, nel 1970, di un coraggioso opuscolo sulla riforma della scuola.

Moderna ma incolta

Già, pazienza! Ma su questi temi, e su altri, l'esigenza dichiarata potrebbe essere in parte comune al vecchio Pci e al nuovo ministro diessino, se non fosse che, al di là delle ingannevoli parole, le divergenze sono profonde. In tutto il suo progetto c'è una rincorsa a una modernizzazione senza cultura, a una professionalizzazione localistica subalterna alle immediate esigenze produttive, a una liberalizzazione generatrice di squilibri, a una falsa licealizzazione di tutti gli istituti secondari con rinuncia a ogni rigoroso apprendimento in nome degli inevitabili "alleggerimenti", della facilitazione e del computer. Tutte cose che sono la degenerazione di ipotesi buone, per fare della scuola, come chiediamo da un pezzo, il "luogo degli adolescenti". Ma così il suo non è un progetto di innalzamento del livello culturale di tutta la popolazione in una scuola insieme rigorosa e "divertente": è una rinuncia al rigore necessario per fare, come diceva Gramsci, di ogni cucciolo d'uomo un contemporaneo della sua epoca: è un progetto di rinuncia all'impegno della scuola in questa direzione.

Ma il peggio è che queste iniziative, piene di buone intenzioni e cattive attuazioni, sono inserite nel progetto, clerical-liberale, di un "sistema nazionale integrato" tra scuola pubblica e scuola privata, dove ogni valore ideale della tradizione risorgimentale, volta a promuovere la formazione di una coscienza nazionale moderna, anziché essere corretto e sviluppato, come si doveva, in senso democratico e scientifico, viene rinnegato. Non per niente Berlinguer occulta le origini di questa sua dubbia ispirazione: il "Documento dei 31", del 13 luglio 1994, autodefinito "pidiessino, popolare e confindustriale" (cioè clerical-liberale accettato dai post-comunisti), che proponeva la "idea nuova" di un «sistema formativo pubblico, nazionale ed unitario, del quale partecipano scuole statali e non statali». L'ispirazione della riforma è tutta lì, in questo vecchio programma della Dc giulivamente accolto dai dirigenti del Pds contro le resistenze della loro base. Miracoli del nuovo centralismo democratico, inaugurato da Occhetto e perfezionato da D'Alema: due persone cui Berlinguer non lesina elogi, parlando della «grande rivoluzione di Occhetto» e della "delega implicita" ricevuta dal governo D'Alema, col quale si è avuto «l'anno d'oro» delle riforme.

Ogni riforma di Berlinguer mira a creare questo sistema integrato, destinato a sboccare in quella «straordinaria novità che è nel riconoscimento concreto del principio di parità tra scuole statali e non statali», coi relativi finanziamenti. E' lui stesso, non io, a presentare tutte le sue leggi come grimaldelli per veicolare nei nuovi ordinamenti questa "svolta" della parità: soprattutto la legge sull'autonomia, «base dell'intero progetto formativo» e «anello da cui partire»: «Porre la parità nel contesto dell'autonomia e anzi in dipendenza da essa... Nel quadro dell'autonomia sembra logico riaffrontare in termini nuovi la stessa distinzione concettuale tra pubblico e privato», ecc.

Bella autonomia!

Bella cosa l'autonomia! Se non fosse che di essa fa parte una questiuncula dall'apparenza innocua, anzi bonaria: il riconoscimento alle scuole della «opportunità di essere coerenti coi propri principi». Tradotto in italiano, questo è il permesso di ignorare il principio costituzionale della libertà d'insegnamento, per restare scuole ideologiche, nella fattispecie cattoliche. Non sono io a dirlo, ma è il Codice di diritto canonico, a prescrivere che la scuola cattolica «deve fondarsi sui principi della dottrina cattolica», che i vescovi «hanno il dovere e il diritto di vigilare, che... siano osservati fedelmente i principi della dottrina cattolica» e che, di conseguenza, «siano nominati docenti i quali... eccellano per integrità di dottrina e per probità di vita, e che, mancando tali requisiti..., siano rimossi dall'incarico» (Can. 803, 804, 810). Ecco allora che la «coerenza coi propri principi» significa dipendenza dal Codice di diritto canonico e autonomia dalla Costituzione: sul territorio italiano.

Spogliata da ogni "ideologismo" e portata sul piano giuridico e politico, la questione si può esprimere così: può uno Stato sovrano dichiarare che sul proprio territorio la scuola di un altro potere, "indipendente e sovrano" (Costituzione, art. 7,1), è "pari" alla propria scuola? Può farlo, quando le due scuole sono così diverse che, mentre quella statale è fondata sulla libertà d'insegnamento (art. 33,1), l'altra è fondata su una canonica "dottrina"? Può farlo quando l'altro potere usa appellarsi all'infausto Concordato per impedire allo Stato ogni libertà di legiferare, come ad esempio sulla collocazione dell'ora facoltativa di religione fuori dell'orario curricolare obbligatorio, come invece aveva saputo legiferare l'Italietta liberale a opera del ministro cattolico Emanuele Orlando? Può consentire che quel potere violi i diritti costituzionali dei cittadini, come quando licenzia in tronco i suoi insegnanti, negando loro ogni garanzia sindacale, perché "non conformi" alla sua dottrina? Può, insomma, accettare che sul suo territorio vigano, a pari titolo, due legislazioni opposte? La sovranità dello Stato, la territorialità delle leggi, l'eguaglianza dei cittadini, le libertà personali, sono questioni ideologiche?

In realtà sono concretissime questioni ideali, di fronte alle quali si potrebbe perfino trascurare la questione bassamente materiale dei finanziamenti, che intanto scorrono allegramente per infiniti canali, alle scuole "private", cioè "dipendenti dall'autorità ecclesiastica". Berlinguer, che aveva scritto di suo pugno sulla relazione della Commissione da lui nominata: «Tenere separati parità e finanziamenti», li ha poi messi insieme, con un altro grimaldello giuridico: la legge sul diritto allo studio, dove, per correggere se stesso, ha corretto la Costituzione. Sentitelo: la sua riforma, spiega, conteneva «un'importante novità: il diritto allo studio, per tutti... a prescindere dalla scuola frequentata» (p. 155-156). Una novità davvero importante, "a prescindere" dal rispetto per la Costituzione, che non "prescinde" da alcunché, e ha in mente solo gli alunni delle scuole statali. Ma a Berlinguer questa prima correzione non bastava: per giustificare i finanziamenti, e allora il diritto allo studio ha candidamente aggiunto dell'altro: «E lo abbiamo coniugato con una norma negletta... il quarto comma dell'art. 33; dove si afferma che si deve dare un trattamento equipollente agli studenti della scuola statale e non statale».

Come aggirare un comma

Ancora un piccolo grimaldello giuridico, un falso smaccato, la cancellazione di una paroletta da niente: la Costituzione, parla non di "trattamento" pensando ai soldi, ma di "trattamento scolastico" pensando alla validità degli studi.

Insomma, Berlinguer ha messo insieme - pardon! - ha "coniugato" due commi della Costituzione che proprio non hanno niente a che fare coi finanziamenti alle scuole private, per violare il comma "senza oneri per lo Stato" che esplicitamente li vieta. Crede davvero che i costituenti scrivessero un comma per cancellarne un altro? Ma lui tutto questo lo fa per «assicurare laicità, libertà e pluralismo nella scuola tutta, privata e pubblica»: come se nella scuola pubblica già non ci fossero, e come se la "dottrina" imposta e l'arbitrio nel licenziare fossero manifestazioni di laicità e libertà. Per giustificarlo dichiara che nelle loro scuole «i cattolici hanno introdotto la distinzione tra istruzione e catechesi». Davvero? E la "dottrina" imposta dal Codice di diritto canonico? Se vuole una scuola laica e libera, è la scuola statale, dove tra l'altro opera liberamente una maggioranza di cattolici, liberissimi di esserlo.

Contro Berlinguer, perché...

Ma contro noi suoi oppositori Berlinguer rispolvera l'accusa di ideologismo, già ricantata per decenni dagli Intini e dai Ronchey. Nelle centosettantacinque pagine del suo libretto si leggono, per chi ha la pazienza di leggerli, almeno trenta ritornelli sul presunto ideologismo, in media uno ogni sei pagine: «La sinistra conservatrice e ideologica... La sinistra e i "laici" rifugiati nell'ideologismo... Coloro che nella sinistra si sono sfibrati in un lungo impegno ideologico... L'avversione ideologica preconcetta» e via ideologizzando. Ora, a prescindere dal fatto che, se una parte rappresenta un'ideologia, è probabile che l'altra parte ne rappresenti un'altra, c'è da chiedersi se solo di ideologia si tratti e, semmai, di quale.

Dice Berlinguer: «L'Italia ha bisogno del contributo dei cattolici per battere il clericalismo e l'integralismo» (p. 158). D'accordo: quando scrissi su "Riforma della scuola" (la sola stampa di partito su cui avrei potuto farlo) il primo articolo di un comunista contro il concordato, mi trovai pressato da credenti di varie fedi perché dessi vita a un movimento anticoncordatario, quello che poi fondammo con Piero Bellini, Eugenio Garin, Filippo Gentiloni, Franco Giampiccoli e Cesare Luporini, col nome di "Carta '89". Ebbene, i più attivi in questo movimento sono i credenti di varie fedi, cristiane e non, in particolare cattolici del dissenso o cristiani di base: ma nessuno tra i cattolici ufficiali, nessuno dei "popolari". Anzi, tra i cattolici è toccato proprio a questi riproporre i vecchi temi del Sillabo del 1864 del beato Pio IX su la limitazione dell'impegno statale, l'ingerenza della Chiesa nelle scuole statali, l'obbligo dei cattolici di frequentare scuole cattoliche, più le richieste di don Sturzo del 1919, più le concessioni del Concordato fascista del 1929, più i programmi dc del 1943-44, più la quarantennale amministrazione dc dell'istruzione, più le nuove concessioni del Concordato craxiano del 1984, più le sue tendenziose applicazioni alla Falcucci et similes, più i finanziamenti, sottaciuti in tutti questi documenti, ma insistentemente richiesti da Wojtyla.


E a queste tesi vaticane riproposte dai popolari (democratici in tutto ma non in questo) ha aderito giulivo il Pds contro la volontà della sua base: e Berlinguer le ha attuate.

P. S. Parrà ingeneroso oggi tanto mio accanimento (poco!) contro la riforma Berlinguer, cosa ormai d'altri tempi. Non è così: Berlinguer dichiarava che, se non l'avesse fatta lui, l'avrebbe fatta peggio la destra: in realtà, facendo lui quello che nemmeno la Dc aveva osato fare, ha spianato la strada alla prossima riforma Berlusconi-Moratti. Insomma: parlo a Luigi perché Letizia intenda. E' importante che si sappia (che la Corte costituzionale sappia) che i limiti dell'incostituzionalità sono già stati superati e che non si può andare avanti su questa linea, ma solo tornare indietro, alla Costituzione.       

Mario Alighiero Manacorda
Roma, 5 giugno 2002
da "Liberazione"