Continua la polemica sul libro di Alberto Asor Rosa

Il ricatto dell'antisemitismo

Intervista allo storico Angelo d'Orsi

«E' un ricatto che viene attuato ogni volta si osa muovere una critica alla politica dello Stato israeliano e al quale non si può più sottostare». Nella polemica suscitata in questi giorni dall'uscita dell'ultimo libro di Alberto Asor Rosa, La guerra. Sulle forme attuali della convivenza attuale (Einaudi, pp. 239, euro 13,00), tacciato di antisemitismo, interviene anche lo storico Angelo d'Orsi.

Questa polemica tocca un aspetto marginale del libro che è dedicato principalmente a una critica della volontà di potenza dell'Occidente. Il clamore della stampa non rischia di distorcere i contenuti?

Il volume di Asor Rosa, in realtà, è un vecchio libro, Fuori dall'Occidente. Più dei due terzi sono la riedizione di quel saggio, con l'aggiunta di due o tre articoli già apparsi su "Repubblica". Di nuovo ci sono soltanto una sessantina di pagine scritte dopo l'11 settembre. Sarebbe stato molto più onesto chiamarla una nuova edizione con un aggiornamento e una postfazione. Comunque è un libro che apprezzai già nel '92. Sul piano stilistico direi che Asor Rosa ha imboccato un linguaggio neotestamentario, tra metaletteratura e profetismo. C'è un atteggiamento da guru che a volte traspare nella scrittura, molto barocca. Per quanto riguarda la polemica sull'antisemitismo è significativa dell'imbarbarimento attuale. Vorrei citare un episodio recente. La Sissco, la società di storia contemporanea a cui sono iscritto, ha una lista di discussione su Internet. Uno dei soci è intervenuto sul conflitto israelo-palestinese dicendo "quando guardo i miei figli penso ai bambini palestinesi... " e accusando lo Stato d'Israele di politica di sterminio verso i palestinesi. Questa lettera ha suscitato una serie di reazioni scomposte, di attacchi viscerali. Alcuni hanno chiesto una sanzione, altri la sospensione, altri ancora l'espulsione. Mi sembra una questione di una gravità incredibile. L'accusa è quella solita, di cadere - anche involontariamente - nell'antisemitismo. Sono le stesse accuse che vengono mosse ad Asor Rosa. La prima cosa da dire è che la questione israelo-palestinese è importante, ma non è il tema centrale nel libro "incriminato". Il tema centrale, ancora una volta, è il discorso sull'Occidente, cosa significa essere occidentali e cosa significa l'occidentalizzazione del mondo - rispetto alla quale, peraltro, Asor Rosa ha ormai un atteggiamento di cedimento. E' un grido di dolore che non lascia alternative nel futuro.

E' d'accordo con la tesi secondo cui l'Occidente avrebbe assimilato la cultura dell'ebraismo?

L'Occidente ha riplasmato la tradizione ebraica, fino a cambiarle i connotati. Questa tesi somiglia molto a quella sostenuta nel libro-pamphlet di Daniel Lindenberg, Rappel à l'ordre. Enquêtes sur les nouveaux réactionnaires, sui nuovi reazionari in Francia, nel quale l'autore si chiede dove sia finita la grande tradizione franco-giudaica, la tradizione di libertà dell'800, i grandi moti progressisti, portatori di democrazia, di socialismo, di cosmopolitismo, la concezione universalistica dei diritti e così via. Ora, tutti costoro sono diventati acritici sostenitori della politica dei governi israeliani, quali essi siano, identificando quindi l'ebraismo con la politica israeliana. E' questa equazione che fa scattare le accuse a chi critica Sharon. Penso, ad esempio, alla contestazione degli ebrei romani contro "Liberazione", un episodio grave, davanti al quale - a mio modo di vedere - Rifondazione ha avuto un atteggiamento troppo cedevole. Io stesso sono stato accusato di antisemitismo per alcuni miei scritti pubblicati in varie sedi. Di fronte a tutto questo è ora di dire basta. Perché le persone di origine ebraica si devono sentire tirati in ballo in quanto ebrei, quando si attacca Israele? Cosa c'entra il governo israeliano con l'ebraismo? Così facendo, finiscono essi stessi con l'identificare l'ebraismo con Israele.

Esiste oggi uno scarto tra ebraismo e realtà istituzionale di Sharon?

C'è un appiattimento sovranazionale. Rimane il cosmopolitismo internazionalistico ebraico, ma è ormai schiacciato sotto il segno della pura e mera difesa della politica israeliana. E questa è una perdita secca in termini di qualità del dibattito culturale. Ed è anche una rinuncia a quella specificità cosmopolita, socialista e libertaria dell'ebraismo classico. E' una perdita per tutto il mondo, il portato di un'occidentalizzazione brutale. Non si può più avere un atteggiamento di difesa nei confronti di coloro che ti dicono "antisemita". Non si può neanche più rispondere. E' assurdo essere definiti antisemiti non appena si attacca la politica di Sharon.

Lo Stato d'Israele, scrive Asor Rosa, nasce come risarcimento dell'Occidente. Come eliminare la natura oppressiva di questo Stato verso i palestinesi senza cancellare il diritto a una concrezione politica da parte degli ebrei?

Ma è stato un risarcimento fatto a spese di altri. L'Occidente ha pagato con moneta altrui creando un'ingiustizia. La tesi di Asor Rosa è che adesso il risarcimento del risarcimento è impossibile. La mia tesi è più radicale. Io continuo a ritenere che l'unica soluzione non sia quella del doppio Stato - due popoli, due Stati. Rimango sulla linea di un unico Stato che sia aconfessionale, e non uno Stato etico. Uno Stato di Palestina in cui convivano religioni e popoli diversi, come hanno sempre convissuto in quella zona cristiani copti, cristiani maroniti, cristiani cattolici, cristiani ortodossi, islamici sunniti, islamici sciiti ed ebrei, ortodossi, eterodossi e laici. Ma perché deve esserci uno Stato monoetico e monoreligioso? Contrapporre a uno Stato confessionale un altro Stato della stessa natura significa perpetuare le ragioni della conflittualità, mettere l'una al fianco dell'altra due entità che sarebbero inevitabilmente l'una contro l'altra.

Ad Asor Rosa è stato chiesto persino un atto d'abiura. Ci sono motivi che giustificano un'azione tanto estrema?

E' incredibile che si chiedano atteggiamenti del genere nei confronti di chi soltanto osi criticare lo Stato d'Israele. Non ci sto. Bisogna promuovere una campagna: si smetta di chiedere scusa se diciamo delle cose contro Israele. La patente democratica di un Asor Rosa non ha bisogno di essere certificata. E' inaccettabile che debba scusarsi. Questa accusa di antisemitismo è infamante per chi la muove. Dobbiamo continuare nella critica spietata alla politica israeliana perché Israele è davvero ormai l'avamposto degli Stati Uniti. E' parte integrante della guerra che gli Usa hanno dichiarato al mondo. Chi è che sta spingendo Bush alla guerra contro l'Iraq? Queste cose possono essere dette senza essere accusati di antisemitismo?

C'è però un'ambiguità linguistica di Asor Rosa. Non mi riferisco tanto al rovesciamento dei perseguitati in persecutori, ma all'uso del termine «razza». Qui c'è un problema, non crede?

L'unico lapsus in cui forse è incorso Asor Rosa è proprio l'utilizzo di questo termine equivoco. E' l'unico luogo al quale si può muovere una critica. Insisterei non sull'aggettivo «persecutrice», ma sul sostantivo «razza». Dagli anni Cinquanta noi sappiamo ormai che le razze non esistono. E' un mito, un'invenzione. L'unico errore di una certa rilevanza che io mi permetterei di far notare ad Asor Rosa è l'uso improprio di questo termine - che può essere usato solo tra virgolette quando si traccia una critica delle ideologie. Altrimenti, è una parola aberrante che confonde identità culturale e presunte basi biologiche.

C'è chi vede nello schema perseguitati-persecutori una equiparazione tra ebrei e nazisti. E' un terreno infido...

Gran parte degli studiosi onesti con raccapriccio stanno vedendo questa terribile nemesi della storia, la trasformazione dei perseguitati in persecutori. La pensano così insospettabili studiosi di carattere democratico, non c'è bisogno di essere estremisti o anarchici o marxisti accaniti. Ma non osano dirlo per paura d'essere chiamati antisemiti. Questa cosa terribile, invece, va detta: la trasformazione delle vittime in carnefici. Non intendo subire ricatti. Sono i fatti a mostrarlo, sono i bulldozer che distruggono le case dei palestinesi.

Tonino Bucci
Roma, 24 gennaio 2002
da "Liberazione"