Case popolari in Lombardia: «Invece di fare i piaceri a Bossi, pensino a costruirle», dice Sandro Antoniazzi

Prima costruire, poi assegnare

Nella grande Milano si costruiscono in un anno 100 alloggi popolari.
Negli anni '60 se ne costruivano 6mila. Fabbisogno: 36mila

«Bossi va retribuito adeguatamente, soprattutto in campagna elettorale», dice Sandro Antoniazzi, storico leader della Cisl milanese e coordinatore dell'opposizione a Palazzo Marino. Riscrivono la costituzione per far piacere alla Lega e dunque non sorprende che il centrodestra in Lombardia riscriva in chiave anti-immigrati il regolamento dell'Aler. Detto questo, il problema vero è che «le case popolari non ci sono né per gli immigrati, né per i lumbard».

Gli anni di residenza valgono più punti del livello di reddito. Visto che le case popolari sono pochissime, questa «innovazione» è più pericolosa per gli effetti concreti che avrà o per il senso comune che rafforza?

Per entrambe le cose. Milano e gran parte della Lombardia sono ormai di fatto multiculturali. La presenza degli immigrati è destinata solo ad aumentare e questi fanno un regolamento che non va più bene neppure in Sud Tirolo. Le modifiche apportate veicolano un messaggio culturale arretrato e neutralizzano l'unico striminzito strumento a disposizione per soddisfare seppur in minima parte il problema della casa per gli immigrati. Per loro l'alloggio popolare è davvero l'unica speranza, sia per il costo abbordabile che per la scarsa disponibilità dei proprietari privati d'affittare agli stranieri.

A Milano quanti alloggi popolari si assegnano in un anno?

Meno di un migliaio e sono tutti «di risulta», alloggi che si liberano perché il vecchietto muore. Buona parte delle assegnazioni è assorbita dalle emergenze: sfrattati, senza tetto, gente vive in situazioni igieniche impossibili. Di alloggi popolari nuovi a Milano se ne costruiscono un centinaio all'anno. Negli anni del boom se ne facevano più di 6mila l'anno.

Quanti ce ne vorrebbero?

Il Cimep, il consorzio intrametropolitano dell'edilizia popolare, stima che solo a Milano ci sarebbe bisogno di 36mila alloggi popolari ed economici.

Dunque i 236 milioni di euro stanziati dal Pirellone per l'edilizia popolare e i 216 promessi per l'edilizia economica sono una goccia nel mare?

Sono pochi ma il punto è che non sono soldi della regione e che dall'anno prossimo non ci saranno più neppure quelli. Vengono dallo stato, dal fondo Gescal alimentato dai prelievi in busta paga e che è stato abolito. E' vero che i fondi Gescal sono stati utilizzato malamente, per coprire buchi che con la casa non c'entravano nulla. Però, via quelli, non resta niente.

Chi dovrebbe mettercerli i soldi?

Si ricade sempre sulla fiscalità generale. Ma regione e comuni, soprattutto se si tratta di Milano non di un comunello qualsiasi, se volessero potrebbero fare molto. Albertini e Formigoni non vogliono. Le aree dismesse erano un'occasione d'oro. Bastava imponessero alle immobiliari che un 20% del costruito nelle aree dismesse fosse destinato a edilizia calmierata. Invece hanno tirato su solo palazzi di lusso e di extralusso. La destra fa il suo mestiere. E il centrosinistra ha sbagliato considerando estinto il problema perché la maggioranza degli italiani è proprietario della casa in cui vive. Il problema si è ripresentato per i giovani, con tutte le conseguenze sociali che sappiamo: restano in famiglia fino a 40 anni, rimandano il matrimonio, fanno meno figli.

Per tornare agli immigrati, ci sono strade alternative alle case popolari che non ci sono?

Sì e costano pure poco, ma non decollano senza una regia politica che le incentivi e le coordini. Bisogna premere sulle banche perché concedano mutui agli immigrati che coprano il 100% del costo della casa. Le fondazioni no profit potrebbero fare da intermediari, da mallevadori. Andrebbero coinvolte le imprese che, in fin dei conti, gli immigrati li «usano». Ma se il prefetto di Milano convoca imprenditori e Caritas attorno a un tavolo per ragionare, Bossi strilla e tutto si ferma. Una cosa da pazzi, visto che la Bossi-Fini impone al datore di lavoro di «garantire» che l'immigrato che assume abbia una casa.

Manuela Cartosio
Milano, 6 febbraio 2004
da "Il Manifesto"