La maggioranza di centrodestra in Lombardia approva tra le proteste di opposizioni e sindacati un nuovo regolamento razzista che privilegia i residenti per l'assegnazione delle case popolari.

Case d'intolleranza a Milano

La spuntano (ex) fascisti e leghisti mentre a Milano ci sono 36 mila famiglie in attesa di un alloggio che non arriverà mai, altre 10 mila sotto sfratto e 60 mila con il contratto in scadenza

La più grande immobiliare pubblica d'Europa (66.667 immobili di proprietà a Milano, 140.000 in Lombardia) si è dotata di un nuovo regolamento pidocchiosamente razzista. Stabilisce che per l'assegnazione di un appartamento delle Aziende Lombarde di Edilizia Residenziale (Aler) conterà l'anzianità di residenza come criterio prioritario. Significa che non basterà più essere poveri per avere diritto a una casa ma sarà necessario anche il certificato di residenza in terra lombarda. Chi abita da appena un anno avrà 5 punti di vantaggio sugli altri, chi ha messo radici da dieci anni ne avrà 85, e addirittura 90 chi è lumbard da venti anni. Il capolavoro di stupidità condominiale è appena stato licenziato dalla giunta di centro destra del «governatore» Formigoni. A voler ben guardare la realtà, il provvedimento è stato adottato più per assecondare la demagogia di Lega e An (in teoria ci rimetterebbero stranieri, e, sotto sotto, terroni) che per incidere nell'assegnazione degli alloggi. Come spiega Leo Spinelli, segretario del Sicet, negli ultimi quattro mesi hanno ottenuto la casa popolare solo 4 delle 36 mila famiglie che a Milano sono in graduatoria. Infatti nel capoluogo (a parte quelle inspiegabilmente vuote) non ci sono case per nessuno: l'Aler in 5 anni ha costruito appena 465 alloggi, e l'anno scorso nemmeno uno.

La mente (si fa per dire) del nuovo regolamento è il grufolante consigliere regionale di An, Piergianni Prosperini, un fascistone che quando si tratta di dargli al negher sulle tv locali trova sempre la sponda della Lega. «Mi sembra un buon regolamento», ha tagliato corto l'elegante Formigoni senza premurarsi di spiegare perché non ha ancora speso i 900 milioni di euro già stanziati per l'edilizia popolare.

A dir la verità, martedì scorso il nuovo criterio è stato bocciato in aula grazie a un emendamento del consigliere Marco Cipriano (Ds), votato da un gruppo di «franchi tiratori»: ma come accade spesso, il malpancismo cattolico del centrodestra sempre si ricompatta e sempre digerisce. «L'assurdo criterio di residenza - spiega Cipriano - avrà effetti minimi perché le case non ci sono, ma la propaganda è pericolosa e odiosa: genera l'idea che gli stranieri tolgono la casa agli italiani e scatena una guerra tra poveri. Si è giocata un'indegna gara a chi la spara più grossa». Per Giuliano Pisapia, parlamentare del Prc, il bonus per i lombardi, oltre a essere «politicamente vergognoso», è incostituzionale perché vìola la parità delle condizioni personali e sociali dei cittadini davanti alla legge. I sindacati degli inquilini, dopo aver scritto una lettera aperta al cardinale Tettamanzi, ieri sera hanno presidiato l'assessorato alle politiche regionali per la casa. Mille persone in rappresentanza di tutti i quartieri popolari della Lombardia. «Oltre a contestare la demagogia del nuovo regolamento - spiega Carmela Rozza, segretario del Sunia - abbiamo chiesto fatti: che vengano ristrutturate immediatamente le 2000 case che a Milano sono libere». L'assessore regionale all'edilizia pubblica, Carlo Lio, ha detto sì, ha promesso che, si è impegnato a fare...

L'odiosa graduatoria su base etnica rischia però di far passare in secondo piano altri due punti controversi del nuovo regolamento. Escludendo sanatorie per gli abusivi, le nuove norme mettono sullo stesso piano abusivi e sfrattati per morosità: entrambi saranno esclusi dalle liste per 5 anni. E qui, ci rimettono i più poveri. «A parte la discriminazione razzista - sostiene Susanna Camusso, segretario generale della Cgil Lombardia - l'idea che gli sfrattati per morosità perdano il posto nelle graduatorie risponde solo a una logica punitiva e repressiva». E per finire, ai comuni è stata tolta la possibilità di disporre di alloggi da assegnare in casi di eccezionale emergenza, per esempio, a una famiglia con bambini piccoli che è costretta a dormire in auto.

Il Pirellone, per accontentare Lega e An, ha stabilito tutto ciò in un contesto di vera e propria emergenza. Lo dicono i numeri. In Lombardia sono 60.000 le richieste di alloggi popolari, più di metà delle quali solo a Milano. Qui il problema è più acuto anche per una forte speculazione immobiliare che in pochi anni ha portato Milano tra le 12 città più care al mondo: da 400 a 1.100 euro per un monolocale e da 900 a 1.900 per tre stanze (dati Sunia); anche se ormai in una zona semiperiferica uno studente paga 400 euro al mese per una stanza. A fronte di 36.000 domande, negli ultimi due anni hanno ottenuto un appartamento 530 famiglie (1,5% degli iscritti, contro il 3,5% del dato lombardo). Sono numeri destinati a crescere.

Il comune di Milano, infatti, da tempo ha dichiarato «tolleranza zero» contro gli abusivi, una politica che porta la polizia a sfrattare, o meglio, a tentare di sfrattare, mediamente 20-25 famiglie al giorno. Nella città che di sé rimanda solo l'immagine della ricchezza, 63.000 persone vivono in case popolari: una su tre è un anziano, il 12% non paga l'affitto e solo il 6% è straniero. Vista la fame, e non solo degli alloggi, l'abusivismo è un fenomeno sempre in crescita. Milano è al quarto posto con circa 2500 occupazioni (dietro Napoli, Roma e Bari). Le più chiacchierate sono sempre quelle estive, quando la città smobilita: 37 appartamenti solo lo scorso agosto. Non si può dire però che la giunta di Albertini se ne stia con le mani in mano. Infatti, proprio in estate il sindaco si era impegnato a investire risorse per migliorare l'edilizia popolare. Citofoni nuovi? Parchetto per i bambini? No. Installazione di telecamere per le videosorveglianza nei quartieri più a rischio, 43 postazioni per una spesa di oltre 2 milioni di euro. I risultati non si sono fatti attendere. Proprio l'altra notte tutte quelle appena installate nel quartiere Aler di viale Fulvio Testi sono state disattivate. A colpi di pistola.

Luca Fazio
Milano, 6 febbraio 2004
da "Il Manifesto"